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 2021  maggio 11 Martedì calendario

Biografia di Zdenek Zeman

Zdenek Zeman, nato a Praga il 12 maggio 1947 (74 anni). Allenatore di calcio. Inizi nel settore giovanile del Palermo, ha allenato il Licata (dal 1983 al 1986, promozione in C1), il Foggia (1986-1987), il Parma (1987), il Messina (1988-89) e di nuovo il Foggia per un quinquennio, dal 1989 al 1994, con promozione in Serie A nel 1992, un calcio offensivo e spettacolare e la nascita del mito di Zemanlandia. Nel 1994 firma per la Lazio, dove rimane per due stagioni e mezzo (secondo posto in campionato e quarti di finale di Coppa Uefa alla prima; terzo posto e sedicesimi di Coppa Uefa alla seconda; esonero alla terza). Nell’estate del 1997 passa alla Roma, che guida per un biennio (quarto e quinto posto in Serie A). Ha allenato il Fenerbahçe di Istanbul dall’ottobre 1999 al gennaio 2010, il Napoli nel 2000 (esonerato dopo sei partite), quindi la Salernitana (2000-2001, in Serie B), l’Avellino (2003-2004, in Serie B), il Lecce (2004-2005, in Serie A), il Brescia (2006, appena 11 partite) e di nuovo al Lecce (2006, solo il girone di ritorno). Dopo una pausa di due anni è ripartito dalla Stella Rossa di Belgrado, licenziato dopo tre partite di campionato. Nel 2010 è stato richiamato alla guida del Foggia, in Prima Divisione. Nella stagione 2011-2012 ha portato il Pescara alla promozione in Serie A e nel giugno 2012 è tornato alla Roma, incarico dal quale è stato esonerato nel febbraio del 2013. Dopo un’esperienza fallimentare con il Cagliari (licenziato a dicembre 2014, richiamato a marzo 2015, s’è dimesso dopo un mese), nel 2015/2016 ha guidato il Lugano. Nel febbraio 2017 è stato richiamato a Pescara, dove non è riuscito a evitare la retrocessione in Serie B, ed è stato poi esonerato nella stagione successiva. Dal marzo 2018 è disoccupato. «La mia vita è in mezzo alle linee di fondo e ai fuorigioco».
Vita «Nato a Praga, allora Cecoslovacchia, suo padre Karel era un primario dell’ospedale, la madre Kvetuscia casalinga. “Papà voleva che anch’io diventassi medico, ma a me piaceva lo sport. Quando mi sono iscritto all’università non mi hanno preso perché a medicina c’era il numero chiuso, e per dieci mesi ho lavorato in una fabbrica farmaceutica, chiesi il turno di notte, così di mattina potevo allenarmi. Non era un lavoro difficile, più che altro c’era da controllare temperature e macchinari, però in quel periodo ho dormito poco e mi sono stancato molto. Il mio soprannome in squadra era “Pistone” perché in campo mi muovevo molto. E in campo portavo sempre due palloni, perché c’erano ragazzi che non ne avevano. Eravamo amici di Zatopek, ma vederlo nella divisa dell’esercito, faceva effetto”» (Emanuela Audisio) • «Zdenek era affascinato dallo zio Cestmir Vycpalek, ex giocatore di buone qualità di Juventus, Palermo e Parma e poi tecnico di due scudetti alla guida della Vecchia Signora. Zeman scoprì l’Italia grazie allo zio. Era a Palermo, a casa di zio Cestmir, quando nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 le truppe sovietiche invasero la Cecoslovacchia per stroncare la Primavera di Praga. Ed è in Sicilia, tra Cinisi, Bacigalupo, Carini, Misilmeri, Esakalsa, le giovanili del Palermo – dal 1974 al 1983 - e il Licata che iniziò la sua avventura nel calcio» (Stefano Boldrini) • «Dal ’69 al ’75 Zeman si ferma a Palermo. “Il sud mi piace, i vicini si fanno sentire, mi invitavano spesso a pranzo: vuole favorire? Uscivo di casa la mattina, tornavo di notte. Ho preso il diploma Isef, seguito molti sport: nuoto, pallavolo, calcio, pallamano. Per i ragazzi che venivano a giocare al campo, nella società di quartiere accanto alla Favorita, era motivo di aggregazione. Nella pratica quotidiana facevo da padre, mi riconoscevano autorità, gli stessi genitori mi pregavano di passare messaggi ai figli”. Dal Carini passa a fare il preparatore atletico al Bacigalupo, la squadra palermitana dei fratelli Dell’Utri, dove c’è anche il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e il senatore Vizzini. “In Sicilia non ho mai incontrato comportamenti mafiosi, non dico che la mafia non esiste, ma la mia esperienza diretta non la contempla, forse sapevano che io venivo da fuori e non ci provavano”» (Audisio) • «Il primo modello fu l’allenatore romeno Stefan Kovacs, tecnico dell’Ajax dal 1971 al 1973, gli anni d’oro del club di Amsterdam. L’altro punto di riferimento, successivo, è stato un olandese, Guus Hiddink: “L’ho sempre considerato molto bravo. Il mio gradimento non nasce dal curriculum o dalle bacheche, ma da quello che si costruisce e si lascia. Guardiola è un grande, ci mancherebbe, ma penso che il suo Barcellona sia stato erede del calcio di Cruijff”» (Boldrini) • Il presidente del Foggia Pasquale Casillo lo prese nel 1986: «Allenava il Licata. fu quando perse 4 a 1 contro di noi che pensai di assumerlo: loro stavano tre gol sotto, è vero, però alla fine della partita correvano il doppio» (dal documentario di Giuseppe Sansonna Zemanlandia del 2009) • Dopo una stagione al Foggia in C1 e un breve passaggio al Parma in Serie B (appena sette partite), torna in Sicilia nel 1988, a Messina, conquistando l’ottavo posto in Serie B e lanciando Totò Schillaci, capocannoniere del torneo con 23 gol • «Il migliore tra i suoi presidenti? “Il più simpatico l’ho incontrato a Messina. Si chiamava Salvatore Massimino. Se ne è andato nel 2005. Le racconto un episodio. Totò Schillaci, la punta, avrebbe dovuto avere il numero nove. Un giorno Massimino, carbonaro, mi prende da parte e fa: ‘Mister, mi raccomando, dagli il numero undici. Gli avversari si confondono, lo lasciano libero e lui segna’. Erano sciocchezze, ma io le adoravo. Il giorno dell’addio, Massimino mi chiuse in una stanza. ‘Se non firmi, giuro non ti faccio uscire’". E lei? “Aprii la porta e non mi voltai”» (a Malcom Pagani) • Nel 1989 il ritorno al Foggia • «Campionato di serie B, 10 dicembre 1989. Il Foggia ha appena perso contro il Parma davanti ai suoi tifosi, e rischia di sprofondare definitivamente in zona retrocessione. Gli ultras di casa, inferociti, stringono d’assedio il Zaccheria: urlano, intonano cori minacciosi, vorrebbero regolare i conti di persona con calciatori e mister. I rossoneri, rifugiatisi negli spogliatoi, cominciano a infilare le uscite secondarie nella speranza di non essere notati da nessuno. una triste pantomima andata in scena un’infinità di volte sui campi di calcio del nostro paese: a ciascuno la sua parte. Tuttavia, qualche minuto dopo, in modo assolutamente imprevedibile, all’uscita principale dello stadio si presenta un uomo. Zdenek Zeman, l’ancora semisconosciuto allenatore del Foggia: spalle strette in un trench bogartiano, sigaretta tra le labbra, raccoglie sputi e insulti senza battere ciglio. Alza infine lo sguardo di ghiaccio verso chi vorrebbe linciarlo, e zittisce tutti quanti sussurrando mollemente: “Non - pausa - sprecate - pausa – fiato”. Pochi anni dopo, con una squadra di ragazzini il cui costo complessivo non supera le spese di pedicure di Van Basten, farà sognare un’intera città lottando per la Uefa nella massima serie» (Nicola Lagioia) • «Zemanlandia. Tutto cominciò così: con una parola coniata da un giornalista della Gazzetta dello Sport, inviato a Foggia nei primi anni Novanta per raccontare la fenomenologia di una squadra riportata in serie A nella stagione 1990-91 e guidata da un allenatore nato a Praga ed esule volontario in Sicilia dal 1968. Valerio Piccioni ha il copyright dell’invenzione. Il termine nel 2012 è stato adottato dal vocabolario Treccani: “Zemanlandia, sostantivo femminile: il sistema di gioco, fantasioso e votato all’attacco, ideato e adottato dall’allenatore di calcio boemo Zdenek Zeman”. [...] Zeman ha proposto però anche metodi di allenamento e di alimentazione moderni. I famosi “gradoni” per sviluppare la forza. Il lavoro sul fondo durante la preparazione. Le ripetute di mille metri. I balzi. La dieta mirata […] Lo Zeman più bello è stato forse anche quello più vicino al successo: la Lazio 1994-95, quella del trio d’attacco Rambaudi-Casiraghi-Signori, seconda in classifica e con il miglior attacco (69 gol), semifinalista in Coppa Italia e approdata ai quarti di finale della Coppa Uefa. Lo spartito del calcio zemaniano è l’inossidabile 4-3-3, con difesa alta, applicazione del fuorigioco e fase di attacco sviluppata con otto giocatori» (Stefano Boldrini) • «Tre vite vissute a Roma: una alla Lazio, la prima, le altre due nella squadra di Totti e poi di De Rossi. L’ultima stagione fu la più traumatica, con l’esonero, la frattura con la dirigenza e le polemiche con alcuni leader di quel gruppo scontenti della sua gestione. Ai suoi tempi circolarono mail sui rapporti con lo spogliatoio? “Io so che sono stato fatto fuori perché dissi pubblicamente che volevo che la società mettesse delle regole stringenti. E lì si sono arrabbiati. Dovevo tenerlo per me”. Chi si arrabbiò? “Non so: i dirigenti, qualcuno a Boston, non lo so”. A Roma ebbe un problema con Daniele De Rossi. In quella stagione lui giocò poco e legò poco con lei. Che idea si è fatto a distanza di anni? “Non so di chi fosse la colpa della mia situazione con De Rossi. Sicuramente posso dire che con me non ha reso come ci si aspettava, visto che anche dai suoi amici giornalisti prendeva 4,5 in pagella. Non è vero che ha giocato poco: in campo andava spesso. Ma aveva una media bassa. Per me aveva dei problemi lui, ma può anche essere che sia anche stata colpa mia”» (Matteo Pinci) • A un giornalista che gli chiese di elencare i cinque migliori giocatori del calcio italiano rispose: «Totti, Totti, Totti, Totti, Totti» • Ha ottenuto la cittadinanza italiana nel 1975 • «A Fabio Fazio che osò dargli di filosofo rispose: “Io ho studiato filosofia, ma non ho mai capito cosa volevano dire”. Zeman non si atteggia a intellettuale, non è un comunicatore camaleontico dell’èra del global football come Mourinho, anzi possiede una certa rigidezza, una ruvidezza di vecchio legno boemo che sembrano ricacciare indietro, a un’epoca che non c’è più, quando le parole erano pietre e le idee chiare, definite, irremovibili. “Dovrei parlare di arte? Di politica? Di economia? Io sono uno che sta nel calcio, fuori dal calcio io sono uno qualunque e il mio parere conta come quello di un contadino. Eppure dal contadino non va nessuno”. Oppure: “Non c’è nulla di disonorevole nell’essere ultimi. Meglio ultimi che senza dignità”» (Maurizio Crippa) • «“Per cinquant’anni mi sono sentito boemo. Ero più preciso, metodico, meno flessibile. Poi mi sono scoperto italiano e ho imparato qualcosa del vostro carattere […] Ho avuto offerte da Real Madrid e Barcellona e ho declinato l’invito”. Perché? “Avevo preso un impegno, dato la mia parola, promesso. Ha idea di quanto sia fondamentale riconoscersi?". Ha rimpianti? “Neanche l’ombra. Per me è come esserci stato. Ho allenato le migliori squadre al mondo”» (a Malcom Pagani).
La guerra con la Juventus. Grande accusatore della Juventus di Luciano Moggi e Antonio Giraudo, che ha accusato di dopare i giocatori. «Per vincere a una società servono solo due persone, una esperta di farmaci e un’altra brava in matematica, che sappia far quadrare i conti», disse tra l’altro • Tutto comincia con un’intervista all’allora allenatore della Roma Zdenek Zeman pubblicata dall’Espresso del 15 luglio 1998. Titolo: «Il calcio deve uscire dalle farmacie». Il 12 agosto il tecnico è convocato dal pm Guariniello. Il 30 maggio 2001 arriva per Antonio Giraudo e Riccardo Agricola (rispettivamente amministratore delegato e medico sociale della Juventus) il rinvio a giudizio per frode sportiva. Il 31 gennaio 2002 comincia nell’aula 43 del tribunale di Torino il processo, affidato al giudice monocratico Giuseppe Casalbore. Il 21 luglio 2003 cominciano le testimonianze dei giocatori: i primi a deporre sono Del Piero, Conte, Birindelli e Tacchinardi. Il 26 novembre 2004 arriva la sentenza primo grado: Agricola viene condannato a un anno e dieci mesi per frode sportiva, Giraudo viene assolto da tutte le accuse. Il 14 dicembre 2005 la sentenza d’appello: assolti Agricola e Giraudo: per i giudici non si poteva applicare la legge 401 del 1989 (la frode sportiva) per l’uso di farmaci. Quanto all’uso di Epo, «il fatto non sussiste» • All’invito di Giraudo a leggersi bene la sentenza della Corte d’Appello che lo ha assolto dalle accuse di doping, Zeman rispose in un’intervista al CdS: «Aggiungerò le motivazioni della sentenza alle altre mie letture: Scudetti dopati, In campo con la Juve, le perizie di Muller e D’Onofrio, la relazione del professor Frati, i testi degli interrogatori ai giocatori, Lucky Luciano» • «Quando a causa delle sue denunce sul doping era già diventato il nemico pubblico numero uno della Juventus, con il senso della battuta che lo contraddistingueva e che amava spalmare sul suo più spiccato senso del potere, Gianni Agnelli commentò: “Per me Zeman veramente è nipote di Vycpálek, Vycpálek noi l’abbiamo salvato dalla Cecoslovacchia comunista e l’abbiamo portato in Italia, quindi anche il nipote ci deve della gratitudine”. Non è dato sapere se l’esule si sia mai sdebitato» (Maurizio Crippa) • «Raffaele Guariniello, il magistrato che si occupò dell’inchiesta, raccontò nel 2017 in un’intervista rilasciata all’Avvenire: “Zeman non sapeva più di tanto, ma il suo allarme ci aprì un fronte fino ad allora ignoto, quello dell’abuso dei farmaci nel calcio. La Figc non aveva né dati, né voglia di collaborare. I giocatori furono una delusione. Le omissioni furono più delle ammissioni. Del resto, nel mondo del calcio l’omertà è una regola non scritta”. Si deve a Zeman e alla sua denuncia l’istituzione di una legge moderna sul doping in Italia. Si deve sempre a lui una maggiore autoconsapevolezza nel mondo del calcio sul tema dei rischi per la salute» (Boldrini, cit.) • «Quanto l’ha rovinata quel monito: “Il calcio deve uscire dalle farmacie...”? L’ho pagata cara... Anche come risultati sul campo. Il sistema non ci voleva, e anche la mia carriera ha preso una direzione diversa. Potevo allenare il Milan, l’Inter o il Real Madrid. Bloccato anche all’estero? Certo, perché tutto parte sempre da un sistema interno. Però per me non è mai stato importante dove allenare: Licata, Foggia o Pescara, nella mia idea di calcio hanno lo stesso valore del Real o del Barcellona. Nessun rimpianto. Il campo di Madrid è uguale a quello di Lugano, cambiano solo i nomi e i milioni che girano dentro e fuori i prati dei grandi stadi e il fatto che in panchina i grandi club vogliono gestori e non allenatori. Io sono rimasto un allenatore a cui piace ancora correggere il giovane che inizia a fare calcio”» (a Massimiliano Castellani).
Critica «Non ha coniugato fino in fondo il gioco con i risultati, ma non ha mai deluso nessuno, tutte le città in cui è stato lo ricordano, molte lo rimpiangono. Le sue squadre sono le uniche dove si riconosce al volo la mano del tecnico. I suoi movimenti, i suoi allenamenti, sono ancora oggi studiati in tutte le scuole calcio. Chiede troppo a sé stesso, chiede anche di più ai giocatori. Lavora bene con i giovani perché gli obbediscono più facilmente dei vecchi. Non è vero che è incompatibile con i grandi campioni. Non se i campioni hanno voglia di imparare. In più è un grande scout, riconosce il talento due anni prima degli altri» (Mario Sconcerti) • «Bisogna passare tra i suoi silenzi. E nel suo schema preferito: pause lunghe e sigarette. Bella faccia, da film western: abbronzato, occhi azzurri, un po’ felino, un po’ sornione. Sorriso disincantato. Autoironico, non male nella terra di Flaiano. Uno che la fa corta, però la sa lunga. […] È sempre più celebrato, ha discepoli ovunque, è venerato come quei professori che se ne stanno in posti defilati a fare lezioni grandissime, specialità miracoli. Lui in panchina non si dimena, non esulta al gol. La sua è stata definita: “l’entusiasta staticità di un’iguana”. Zemaniano è diventato un aggettivo: significa essere zen, andare avanti per la propria strada, credere nella bellezza di un’azione non nella certezza di un risultato (che però spesso arriva, ma dopo)» (Emanuela Audisio) • «Chi è Zdenek Zeman? L’allenatore più innovativo del nostro calcio, un filosofo del pallone o un equivoco vivente? Un bluff? Perché con l’allenatore boemo giocano bene le squadre di provincia e male le grandi? Com’è possibile che nella Roma epuri Osvaldo e De Rossi e questi invece, in Nazionale, vadano tranquillamente a rete? Zeman è uno di quei personaggi cui non si addicono le mezze misure, anzi la dismisura è la sua unica certezza, tale da destabilizzare le nostre certezze calcistiche. C’è chi lo ama follemente, ricordando gli anni di Zemanlandia, quando sulla panchina del Foggia l’allenatore mostrava un calcio spettacolare, e c’è chi lo detesta in sommo grado, a cominciare dal vasto popolo juventino, per via delle accuse a Moggi, a Vialli e ad altri bianconeri» (Aldo Grasso).
Amori Sposato con Chiara Perricone, conosciuta a Palermo nel 1969. All’epoca lei era una nuotatrice professionista. I due hanno due figli, entrambi nati a Palermo: Karel (1977), anche lui allenatore, attuale tecnico del Lavello in Serie D, e Andrea (1983).
Religione Cattolico. Quando Giovanni Paolo II morì, si fece sei ore di coda in piazza a San Pietro. «Rimasi colpito, ma ci andai per un altro motivo. L’avevo conosciuto in udienza, quando ancora stava bene e sciava, non era come gli altri, emanava qualcosa di forte e di speciale, energia, sentimento» (a Audisio).
Politica Ha fatto sapere che alle elezioni del 2018 ha votato Movimento 5 stelle. «Ma sono deluso, perché si fanno mettere i piedi in testa un po’ da tutti. Non sono riusciti a proporre le cose che avevano in mente» (a Un giorno da pecora su Radio1 Rai nel 2020).
Vizi Grande fumatore. Non ha mai pensato di smettere: ««Mai, anche se me lo dicono tutti. Non ho nemmeno fatto fioretti. Ho sofferto il divieto di fumo in panchina, poi ci si abitua e comunque ho continuato a fumare dove potevo» (a Francesco Balzani) • «Non conto le sigarette che fumo altrimenti mi innervosirei e fumerei di più».