25 maggio 2021
Tags : Helena Bonham-Carter
Biografia di Helena Bonham Carter
Helena Bonham Carter, nata a Londra il 26 maggio 1966 (55 anni). Attrice. «La mia filmografia potrà sembrarvi una lista di pazze, da Fight Club alla Mangiamorte di Harry Potter. In realtà, le malattie psichiche mi affascinano da sempre, proprio perché nella vita vera non sono il tipo che si mette a dividere pazzi da “normali”. Siamo tutti pazzi. Specialmente noi donne: libere per natura» (a Filippo Brunamonti) • «A dispetto dello stile controcorrente e dell’indole ribelle, Helena Bonham Carter appartiene all’upper class britannica. Suo padre Raymond, banchiere, era figlio di un politico liberale e nipote di sir Herbert Henry Asquith, primo ministro inglese dal 1908 al 1916. La madre Elena è figlia di una pittrice ebrea di origini francesi e del diplomatico spagnolo Eduardo Propper de Callejón, nominato Giusto tra le nazioni per aver salvato migliaia di ebrei durante le persecuzioni naziste. “Mamma è mezza francese e mezza spagnola, la mia famiglia possiede una casa in Italia, ad Arcetri, fin dalla Seconda guerra mondiale e io frequento Firenze da sempre”, ama ripetere l’attrice. […] Il prestigio e la ricchezza dei genitori non la mettono al riparo da un’infanzia infelice. “Nelle mie foto da bambina ho sempre l’aria preoccupata. In effetti ero preoccupata”, ha spiegato. I problemi iniziano con la morte del nonno materno: Helena ha cinque anni e assiste al crollo nervoso della madre. La donna sprofonda in una depressione devastante, ma affronta la sofferenza con grande coraggio: “Mamma ha sempre pensato che la sua fragilità mentale fosse un dono e l’ha vissuta con dignità. Una volta guarita, ha ripetuto a lungo: ‘Guarda a cosa sono sopravvissuta’. Poi si è messa a studiare ed è diventata una psicoterapeuta”. […] Dopo la malattia della madre, al padre viene diagnosticata una grave patologia cerebrale, che rende necessario un intervento chirurgico rischioso. Uscito dalla sala operatoria, Raymond Bonham Carter viene colpito da un ictus che lo priva della vista e dell’uso delle gambe. Per Helena, che ha 13 anni e lo adora, la sofferenza è grande, ma riesce a superarla vedendolo reagire con una forza d’animo fuori dal comune. “Era un uomo intelligente e spiritoso. È rimasto seduto per 25 anni, fino alla morte”» (Silvia Casanova). «“La prima volta che ho capito che volevo fare l’attrice avrò avuto quattro anni. Avevo visto il film Mary Poppins. Dissi a mia madre ‘Io da grande voglio fare Mary Poppins’, e lei: ‘Non essere sciocca’. Ma io nella mia testa lo ero già”. […] “Da giovane ero timida e introversa: diventare attrice è stato un modo per fuggire da me stessa ed esplorare altre vite”. Anche perché la sua è stata a lungo spesa nell’accudire i genitori. Ha vissuto con loro, assistendoli, fino ai trent’anni» (Arianna Finos). Iscrittasi a un’agenzia per attori senza aver mai seguito corsi d’arte drammatica, dopo alcuni ruoli minori in televisione, nel 1985 «fu scelta per il ruolo da protagonista di Lady Jane: “Il regista mi chiamò dopo avermi vista in una foto in cui avevo un mono-sopracciglio”, ride l’attrice, sonora e sfrenata. Quella pellicola fu l’anticamera del successo mondiale di Camera con vista e l’inizio della fase “fanciulla in corsetto”, una serie di film in costume che ha caratterizzato parte della sua carriera» (Finos). Pur essendo stato girato prima, Lady Jane di Trevor Nunn fu però distribuito due mesi dopo Camera con vista di James Ivory (1986), che è pertanto la pellicola con cui la Bonham Carter esordì effettivamente sul grande schermo. «Ho ritrovato il mio diario di quei giorni. […] Ero angosciata, agonizzante, perché ero consapevole di quanto non sapessi: non sapevo quanto avrei dovuto imparare sulla recitazione. Mi sentivo profondamente impacciata, ma determinata a essere semplicemente me stessa. Ricordo la sensazione di pensare di non meritare un tale successo. Ricordo che guardavo il film e ne odiavo ogni singolo secondo, non per il lavoro degli altri, ma per il mio. Mi ritenevo terribile. Ma allora fui adottata da una fantastica famiglia sul piano emotivo: Merchant e Ivory. Mi chiamavano “la piccola”. Ismail Merchant e James Ivory, Ruth Prawer e Richard Robbins [rispettivamente il produttore, il regista, la sceneggiatrice e l’autore della colonna sonora del film – ndr] mi hanno adottata, e a me serviva essere professionalmente adottata, perché non sapevo che fare di me stessa. Forse sarei tornata all’università, o avrei fatto altro. Pensavo continuamente che il film fosse un incidente che non sarebbe dovuto accadere, che non sapevo recitare» (ad Andrea Lattanzi). «Ho compreso presto che quella sensazione, quell’angoscia, gli attori la provano sempre: da un film all’altro, ho continuato a odiarmi in tutti i ruoli che facevo. Ho fatto tanti film, ma non mi sono mai sentita parte di un “sistema”». Tra gli altri ruoli in costume da lei interpretati in quegli anni, quelli di santa Chiara d’Assisi nel Francesco di Liliana Cavani (1989), di Ofelia nell’Amleto di Franco Zeffirelli (1990) («Per convincere Zeffirelli a darmi il ruolo di Ofelia nel suo Amleto persi chili e chili e, respinta, mi ripresentai a lui») e di Helen Schlegel in Casa Howard di Ivory (1992). «Nel 1994 Helena incontra un nuovo pigmalione, un pilastro del teatro shakespeariano, Kenneth Branagh: l’attore e regista è ancora sposato con Emma Thompson quando Miss Bonham Carter entra nella sua vita. Per lui interpreta Elizabeth, moglie del protagonista nel film Frankenstein di Mary Shelley (1994). Fanno coppia fissa per 5 anni, poi si dicono addio» (Casanova). Se nel 1995 interpretò la moglie di Woody Allen nel suo La dea dell’amore, l’anno seguente tornò tuttavia a un ruolo in costume per lo shakespeariano La dodicesima notte di Nunn (1996). «Per Helena Bonham Carter la contessa Olivia non fa che arricchire la lunga categoria di aristocratiche in costume che ha interpretato sullo schermo. “Sono rassegnata: ci dev’essere qualcosa sulla mia faccia che la rende giusta per donne del passato. Per questo ho amato Woody Allen, che in Mighty Aphrodite mi ha vista come una donna di questo tempo. È stato meraviglioso lavorare con lui: ama gli attori, li fa sentire liberi e creativi. Un altro personaggio su cui conto per diventare moderna è quello di un film che ho fatto in Canada, Margaret’s Museum, in cui ho tutte le contraddizioni e le nevrosi di una ragazza di oggi”, scherza l’attrice. […] “Malgrado la stanchezza non potevo rifiutare l’offerta di Trevor, uno dei registi con cui ho lavorato tanto agli inizi della carriera. E Olivia è una donna molto divertente, forse la più ambigua che mi sia capitata. Rifiuta la corte di Orsino con la scusa del lutto, ma in realtà è perché non le piace, perché quando si innamora di Viola in vesti maschili diventa molto seduttiva e intrigante. C’è un piacevole senso di perversione quando si recita una scena di innamoramento con un’altra donna, sia pure in abiti da uomo”» (Maria Pia Fusco). L’anno successivo, il ruolo della protagonista nell’ennesimo film in costume, Le ali dell’amore di Iain Softley (1997), le valse la sua prima candidatura al premio Oscar, come miglior attrice. La prima fase della sua carriera stava tuttavia volgendo al termine, e una nuova e ben diversa stava per iniziare. «Il fattore “eccentrico” è cresciuto negli anni soprattutto […] dopo la svolta dark, avvenuta con il ruolo della fidanzata di Brad Pitt in Fight Club di David Fincher (“un regista a cui ti puoi affidare completamente”). In quel film l’ha notata Tim Burton. La prima dichiarazione è per telefono: lui la chiama in piena notte dall’Australia per dirle di non prenderla male, ma che “sei la prima persona a cui ho pensato per incarnare una scimmia”. Helena la prende benissimo, anzi prende anche lui. Nel 2000, sul set di Il pianeta delle scimmie, l’ex rosa inglese e il genio pallido di Burbank, California, stessa chioma indomabile, stesso look contrario ai dettami della moda, stesso rifiuto delle convenzioni, avviano un formidabile sodalizio artistico e sentimentale, che ha prodotto […] sette film e due figli» (Finos). Dopo averle fatto interpretare il doppio ruolo della strega e della melanconica Jenny in Big Fish – Le storie di una vita incredibile (2003) e averle fatto prestare la voce alla protagonista del macabro cartone animato La sposa cadavere (2005), «il regista la fa invecchiare per assegnarle il ruolo della nonnina di Charlie Bucket (La fabbrica di cioccolato, 2005), l’affianca a un serial killer in Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007), la imbruttisce trasformandola nella perfida Regina Rossa di Alice in Wonderland (2010), […] sempre accanto a Johnny Depp» (Casanova). «Per recitare la parte della Regina Rossa, ho riletto il libro e ho provato a seguire la descrizione che ne dà Lewis Carroll quando la descrive come un essere pieno di furia e rabbia, afflitto da una passione sfrenata. Tim invece mi ha detto “Sei Elisabetta I” e mi ha consigliato di ispirarmi a Bette Midler, che l’ha interpretata in maniera alquanto bizzarra, quasi come un personaggio da cartone animato. L’altra mia ispirazione è stata Faye Dunaway nel film Mammina cara». «È sempre molto interessante lavorare con il proprio compagno. Per Sweeney Todd, nel 2007, c’era molta tensione sul set: Tim non aveva mai realizzato un musical e io non avevo mai cantato prima. Per Alice in Wonderland è stato completamente diverso: ci siamo divertiti molto sul set e Tim era davvero rilassato. Mi sembra che siamo maturati lavorando insieme. Lui è una persona che tiene molto alla propria libertà creativa e mantiene un silenzio superstizioso attorno alle sue idee. Io gli do spazio e non gli faccio mai domande: è sempre una sorpresa scoprire cos’ha in mente». Nel frattempo, «Helena diventa una strega per non allontanarsi troppo dai suoi bambini: […] il set della saga di Harry Potter si trova nelle vicinanze di Londra, cosa che le permette di rientrare a casa dopo il lavoro» (Casanova). Soprattutto tra gli spettatori più giovani, infatti, «la sua popolarità, più ancora che alle opere del marito, è dovuta al ruolo di Bellatrix, la strega della saga di Harry Potter, mentre il ruolo di moglie di Giorgio VI in Il discorso del re le è valso una candidatura all’Oscar» (Finos). «Tim mi ha liberata dai corsetti, e quando sono ritornata alla Regina Madre in Il discorso del re avevo ormai esperienza». Al 2012 risale Dark Shadows, ultimo capitolo del suo sodalizio con Burton, in cui «l’immancabile Johnny Depp è Barnabas, vampiro che dopo due secoli risorge dalla terra per ritrovarsi negli psichedelici primi anni Settanta, tra discendenti strani almeno quanto lui. E nella grande villa sulla scogliera c’è anche Julia Hoffman, proprio Helena Bohnam Carter, […] per la settima volta diretta dal compagno di vita Tim Burton, “che stavolta mi aveva detto di lasciar perdere, che sarebbe stato noioso, […] poi un mese dopo mi ha detto che c’era una parte per la quale non poteva pensare che a me. Gli ho chiesto: la strega sexy? (che nel film è una magnifica Eva Green, ndr); e lui: no, una psichiatra psicotica. D’altronde, dieci anni fa mi ha chiesto di essere una scimpanzé. Tutto sommato, da scimmia a psichiatra alcolizzata è un bel passo in avanti, no?”. […] Di Julia, il personaggio di Dark Shadows, amo la tristezza, e la capisco, perché per ogni donna è difficile invecchiare. Per disegnarlo ho pensato a più persone: gli attori sono gazze ladre che rubano qua e là. Ho pensato un po’ a Bette Davis, un po’ a Judy Garland, è stato divertente. Certo, Julia ha molti problemi, ma gli psichiatri di solito hanno più problemi dei loro pazienti”» (Miriam Mauti). Dello stesso anno è la sua partecipazione a Grandi speranze di Mike Newell, ispirato all’omonimo romanzo di Charles Dickens, in cui la Bonham Carter «interpreta Miss Havisham, una nobile che, abbandonata nel giorno delle nozze, trent’anni dopo alleva un’orfana per farne un’arma contro i maschi. Al cinema l’hanno interpretata grandi attrici (tra cui Anne Bancroft e Charlotte Rampling), tutte in età più avanzata. “Quando Mike mi ha proposto il ruolo mi sono stupita. Mi è sembrata una scelta originale, anche se poi, rileggendo il libro, appare chiaro che Miss Havisham ha più o meno quarant’anni”. Realizzarne il look è stato facile: “Tradita nel giorno delle nozze, reagisce in modo estremo al dolore: blocca il tempo, resta vestita da sposa, la casa chiusa, la torta nuziale a marcire sul tavolo. La pelle, senza luce, diventa pallida, gli occhi smettono di vedere. È come se lei fosse ancora in attesa, fantasticando un ritorno impossibile”. Un personaggio incredibile ma realmente esistito: “Il libro è ispirato alla vicenda di una australiana, abbandonata sull’altare, che ha aspettato invano 14 anni il fidanzato, indossando abito bianco e velo”. Se per Miss Havisham Helena ha studiato ogni dettaglio del romanzo, per il ruolo comico della terribile Madame Thénardier di Les Misérables, musikolossal di Natale in Usa, […] s’è esercitata nel borseggio e nel gorgheggio, esibendosi in deliziosi duetti con il collega Sacha Baron Cohen: “Cantare è una delle mie più grandi passioni, mi fa un effetto simile all’alcol”» (Finos). L’anno successivo «ha […] interpretato Red, una prostituta, in The Lone Ranger, accanto a Johnny Depp: “Siamo amici: condividiamo scelte di vita e gusti inconsueti. Ma è stato strano essere solo noi due sul set, senza Tim. Mi è mancato”» (Finos). Conclusa la relazione con Burton, nel 2015 la Bonham Carter accettò di collaborare nuovamente con Kenneth Branagh, interpretando la fata madrina nella sua Cenerentola. «Entra in scena con la faccia rugosa di una vecchia mendicante, ma si trasforma subito in una creatura gioiosa e scintillante. Simbolicamente, è un ritorno alla luce per un’interprete condannata all’immagine dark – fuori e dentro il set –, complici i 13 anni di unione con Tim Burton, da cui si è separata. […] Subito l’ha chiamata sul set un altro grande amore del passato: Kenneth Branagh, che per lei nel ’94 aveva lasciato la moglie Emma Thompson. “Sapevo che solo Helena aveva la giusta dose di umorismo”, ha detto il regista. In effetti la sua apparizione è uno dei momenti più riusciti del film. “Sono partita dalla versione del cartone, ma poi ho ragionato in libertà, mi sono affidata alle circostanze in cui ‘lavora’”. Il risultato è “una fata imperfetta, stressata dal poco tempo a disposizione e dalle alte aspettative. Finge che tutto vada bene, ma è sempre in preda al panico. Ha migliaia di anni, è smemorata, improvvisa. Magari il trucco della carrozza non prevedeva una zucca ma un cocomero, e la scelta delle scarpe di cristallo è priva di logica”. […] La funzione della fata è illuminare la storia. “Nella prima parte c’è il dolore, la morte, tanta tristezza. Io dovevo portare Cenerentola al ballo e riportarla alla vita”. […] Se l’immagine di fanciulla in corsetto di Lady Jane e Camera con vista l’accompagna ancora, chiusa la fase burtoniana (che l’ha voluta primate in Il pianeta della scimmie e megera in Sweeney Todd), archiviata la Bellatrix di Harry Potter, l’attrice si è liberata dell’alone oscuro» (Finos). Eccezion fatta per la Regina Rossa, nuovamente impersonata nel 2016 in Alice attraverso lo specchio di James Bobin («Quando Tim mi offrì per la prima volta la parte della regina nel suo film, la cosa mi elettrizzò: adesso, sei anni dopo, mi pare di incontrare nuovamente una vecchia amica»), infatti, in questa terza fase della sua carriera la Bonham Carter sta interpretando una gamma di personaggi più ampia rispetto al passato, tra cui la farmacista femminista di Suffragette di Sarah Gavron (2015), la protagonista di 55 passi di Bille August (2017), indebitamente internata in manicomio, la stilista fallita di Ocean’s 8 di Gary Ross (2018) e la madre dei fratelli Holmes in Enola Holmes di Harry Bradbeer (2020). Parallelamente alla carriera cinematografica, nel corso degli anni l’attrice ha continuato a partecipare anche ad alcune produzioni televisive, tra cui, a partire dal 2019, l’acclamata serie The Crown di Peter Morgan (Netflix), in cui interpreta la principessa Margaret del Regno Unito (1930-2002), sorella minore della regina Elisabetta II. «Per catturare l’essenza del personaggio della principessa e capirla meglio, Bonham Carter ha fatto un vero e proprio viaggio nella storia. Conosceva già le vicende dei Windsor per aver interpretato la Regina Madre ne Il discorso del re (ruolo che le valse una nomination all’Oscar), ma non era impresa facile interpretare Margaret, come le ha detto Morgan: “Potresti interpretarla in dieci modi diversi”. Per questo l’attrice […] ha parlato con i più stretti confidenti e collaboratori di Margaret, come Colin Tennant, con cui Margaret si sarebbe divertita nell’isola caraibica di Mustique, ha letto dozzine di biografie e ha persino consultato il suo astrologo. […] “Margaret ha interpretato la solitudine in mille sfaccettature. È divorziata, e ci sono passata anch’io, quindi so che devi dare una svolta alla tua identità, devi ricostruire te stessa perché non fai più parte di una coppia. Margaret non era tipo da compatirsi, e probabilmente era stanca di essere vista come una donna tragica. Era straordinariamente intelligente – secondo il suo parrucchiere Josef Braunschweig poteva fare un cruciverba in circa 11 minuti – e aveva un’enorme capacità di divertirsi, come mi ha raccontato il suo amico Derek Deane, un ex primo ballerino al Royal Ballet (Margaret è stata presidente della compagnia). […] A Margaret piaceva far rispettare le regole agli altri tanto quanto lei amava infrangerle. Era il suo modo di servire la monarchia: non sempre aveva il controllo, ma cercava di esercitarlo”» (Liam Freeman). «Quando ho compiuto cinquant’anni, temevo che sarebbe stato un inesorabile declino, ma è quasi il contrario. Non credo di essere mai stata più felice o più soddisfatta. Questa enorme fioritura della televisione si traduce in storie ispirate ai personaggi, quindi c’è molta scelta e molto lavoro. Quando ero giovane, eri considerata “vecchia” dopo i trent’anni!» • Il 22 febbraio 2012 «si è presentata a Buckingham Palace vestita come una suffragetta in versione dark: abito longuette a scacchi rosso e nero, scollatura aperta sulla lingerie in pizzo, catene e catenine di lunghezza diversa attorno al collo, cappellino nero con fiocchi sui capelli ben spettinati dal parrucchiere. Quel giorno Helena Bonham Carter riceveva da Elisabetta II l’onorificenza di comandante dell’Impero britannico. Un’occasione perfetta per mostrarsi con uno dei suoi look stravaganti» (Casanova) • Due figli, Billy Raymond (2003) e Nell (2007), dalla sua relazione con Tim Burton (2001-2014). «Eccentrici e controcorrente, su di loro si raccontano gli aneddoti più strani, perfino che vivano in due cottage adiacenti, perché di notte lui russa e lei parla nel sonno. A lungo formano una coppia tra le più solide del cinema e l’annuncio della separazione viene accolto con sconcerto. Non si conoscono i motivi della decisione, ma tempo dopo l’attrice definirà doloroso quel periodo della sua vita: “Soffro di depressione quando qualcosa finisce. Sì, è successo anche quando io e Tim Burton ci siamo lasciati”. Dall’estate del 2018 Helena Bonham Carter ha un nuovo amore, più giovane di vent’anni. Si tratta di Rye Dag Holmboe, uno scrittore di origine scandinava. Pare che si sia trattato di un vero colpo di fulmine, scoppiato a una festa di matrimonio» (Casanova). «Ti lasci, ti rattristi, ti annoi di soffrire, e poi finalmente vai avanti. […] Sono molto contenta di avere qualcun altro al mio fianco. È stato un pizzico di magia inaspettata nella mia vita» • «I figli […] sono la sua grande missione: “Diventare madre significa passare dal bianco e nero al technicolor. Entrare nel Paese delle Meraviglie: ah, ecco finalmente cos’è quello stato di grazia di cui parlano tutti. […] Quando ho messo su famiglia, per un momento ho pensato sul serio di smettere di recitare. Ma poi sono arrivate le offerte per Harry Potter e Sleepy Hollow, e così sono andata avanti”» (Finos). Intorno al 2010 «ho smesso di lavorare per un po’ e mi sono dedicata a tempo pieno ai miei figli, frequentando corsi su come essere un buon genitore. Abbiamo avuto questioni da risolvere con mio figlio e mia figlia: con loro mi sentivo un po’ come un poliziotto che continuava a dare ordini. Mi piaceva stare con loro, ma non mi piacevo io: ero quella negativa. Questi corsi, chiamati “Calmer easier happier parenting”, sono proprio utili. Dai ai tuoi figli l’amore, ma non è mai abbastanza, gli dai il tempo ma non è mai abbastanza. Adesso ho imparato a trasmettergli disciplina senza essere negativa, scoprendo queste “lodi di attenzione”: ogni volta che fanno qualcosa, fai notare di averlo visto e gli mostri il massimo dell’attenzione» (a Pierpaolo Festa). «Quando sei un genitore devi stare attenta ai ruoli che accetti. C’è una sorta di assenza emotiva quando fai un lavoro come questo, perché la tua testa è altrove. E poi ci sono set per cui devi lasciare la famiglia per mesi. Questa è una fase in cui la maternità è più importante. I miei figli stanno crescendo: devo godermi ogni gioia e ogni momento» • «Cucino spessissimo, altrimenti chi nutrirebbe la mia famiglia? Il mio cavallo di battaglia a tavola è l’agnello, una ricetta che ho imparato da mia madre: lo cucino con aglio e tanto pomodoro. La mia filosofia nel cucinare è “more is more”, quindi aggiungo tutto quello che posso in quantità industriale: per questo amo tanto le salse» • Grande e lunga amicizia con Johnny Depp. «È il padrino dei miei figli, Billy e Nell, e vanno pazzi per lui. Non conoscono Johnny Depp. Conoscono Willy Wonka, Capitan Jack Sparrow, il Cappellaio Matto. […] Credo non abbiano mai visto Johnny “al naturale”. Devo sempre chiedergli di passare a trovarci truccato, altrimenti i bambini non lo lasciano entrare». «Cos’è che vi rende così uniti? “Credo che sia perché siamo simili. Non solo perché siamo due Gemelli, ma anche perché ci piace mascherarci, recitiamo per nasconderci invece che per rivelarci. Ci piacciono i cappelli, le penne d’epoca, tutto ciò che ha un aspetto ‘invecchiato’, amiamo la scrittura. E abbiamo tutti e due gli zigomi alti”» (Mauti) • «Cos’è per lei la monarchia? “Rafforza il senso di identità in un Paese che sta attraversando tante crisi, soprattutto ora, con il nostro difficile rapporto con l’Europa e la frammentazione in atto per via del Covid. Scozia, Inghilterra e Galles hanno diverse regole al riguardo. Sono molto preoccupata per loro e per noi. Penso che quando la regina morirà sarà per tutti noi un grande shock, considerando quanto solo la sua presenza ci abbia dato stabilità. Sarà interessante vedere cosa succederà dopo. Sopravvivrà la monarchia, ci sarà ancora un Regno Unito? Non so, è difficile capirlo. La regina Elisabetta è sopravvissuta a tredici primi ministri: questa sua continuità ci aiuta psicologicamente”» (a Silvia Bizio). A proposito della regina Elisabetta II, nel 2012 dichiarò: «Ha fatto un buon lavoro negli ultimi sessant’anni. È una ragazza in gamba» • Apertamente contraria tanto all’indipendenza della Scozia dal Regno Unito quanto all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea • «Un personaggio che sembra uscito dalla penna di Lewis Carroll. […] Occhi animati, mobilissimi. […] È divertente, irriverente, elegante: a modo suo, of course» (Alessandra Venezia). «Ha uno stile e un fascino per nulla convenzionali. Piccola, arruffata a cominciare dalla testa coperta di ricci scuri, ha un viso ampio e cesellato, la pelle chiarissima illuminata da grandi occhi neri. Una bellezza antica e fuori dal tempo, così come i suoi abiti, lontani dalle mode. È difficile non notarla quando passeggia a Primrose Hill, il quartiere settentrionale di Londra, che continua a preferire a Hollywood. Può capitare che esca in pigiama per comprare il latte o che si agghindi sovrapponendo tessuti, volant e pizzi, applicazioni sgargianti e borchie. In testa porta cappelli strampalati, fiori in tessuto, cuffie con nastri. Ai piedi alterna stivaletti vittoriani a scarpe da ginnastica massicce. L’effetto è un mix personalissimo di neoromantico, punk, gotico. Non per nulla la sua stilista preferita è la connazionale Vivienne Westwood, […] trasgressiva regina londinese della moda» (Casanova). «Fin da ragazzina Helena si metteva abitini, pizzi, scialli rétro: «Mia madre è franco-spagnola, mio padre inglese, sono figlia di un miscuglio culturale. Nella realtà tutti siamo un prodotto ibrido, ma il fatto è che a me non è mai davvero interessato apparire come tutti gli altri. […] L’etichetta della stravagante non mi dispiace, se si riferisce alla mia libertà di vestire. Ma è più legata all’immagine pubblica che alla realtà. […] Penso di essere un esempio positivo per le persone comuni: tutti pensiamo di essere imperfetti, difettosi. Ma chi se ne importa, se a volte i capelli sono spettinati, se i denti non sono di un bianco smagliante. C’è troppa pressione su questo”. S’infervora. “Quando sui tabloid mi paparazzano davanti alla scuola commentando ‘Ma non si poteva conciare meglio?’, io rispondo ‘No: quando vado a prendere i miei figli mi vesto come mi pare’. Come attrice ho solo l’obbligo di essere credibile quanto recito, e di arrivare ‘pulita e in ordine’ sul tappeto rosso. Bella? Dipende. A volte no. Chi se ne importa”» (Finos) • «A Hollywood lei pare un’aliena piovuta da un’altra galassia. “Oh, anche in Inghilterra tutti pensano che sia un’eccentrica, ma io sono semplicemente me stessa; convinta, per di più, che tutti hanno il potenziale di essere degli originali una volta che rimangono fedeli a se stessi”. Che cosa pensa allora dei cerimoniali di Hollywood? “Detesto il red carpet, lo odio in maniera assoluta, come odio essere definita da ciò che indosso. L’industria della moda ha sabotato il mondo del cinema: a me piacciono i vestiti, e i costumi, con cui ho sempre una relazione piuttosto speciale, ma mi fa orrore pensare che siano più importanti del film. Lo so, parliamo di spettacolo, ma essere preda dei parrucchieri… boh. L’unica cosa da fare è riconoscere che non si tratta di questioni essenziali per la vita di nessuno, e cercare di sorriderci su”» (Venezia). «Io sono sincera fino alla sfacciataggine. […] Io sono fin troppo aperta: a volte dico cose che poi rileggo sui giornali, ci ripenso e mi dispiace, ma la vita è troppo bella e troppo breve. E, confesso, un po’ mi piace prendere in giro le persone». «Ciascuno di noi è un essere umano unico, per certi versi diverso e fuori dai canoni. Io non sono mai arrivata al punto di dover rinunciare a essere me stessa per diventare uguale a tutti gli altri» • «Una delle attrici più brillanti e originali del panorama cinematografico internazionale. […] Sullo schermo è un’interprete raffinata e versatile» (Venezia). «Una delle migliori attrici di cinema dei nostri tempi» (Curzio Maltese) • Spesso, prima di interpretare un personaggio, si avvale della consulenza di un amico astrologo. «In che modo il tuo astrologo ti ha aiutato a capire meglio Margaret? “Non so come funziona l’astrologia e francamente non mi interessa. Darby, il mio amico astrologo, passa le persone ai raggi laser. Che io debba interpretare Margaret o Elizabeth Taylor in Burton & Taylor o Eleanor Riese in 55 passi, potrei passare 10 giorni a leggere le loro biografie, ma basta mezz’ora con Darby per conoscere davvero il carattere di ognuna. Margaret era del segno del Leone. Non era in grado di controllarsi, diceva qualunque cosa le venisse in mente, e questo me l’ha confermato Darby”. Vedere un astrologo è utile nella tua vita al di fuori della recitazione? “Sì, come molti amici e parenti. Quando sei a un bivio e stai lottando per prendere una decisione, ti aiuta ad ascoltarti”» (Freeman) • «Lei ha cominciato a recitare giovanissima. Dopo tanti anni, che cosa le piace ancora di questo lavoro? “Mi piace fingere, indossare i costumi, perdermi nei personaggi. Sfortunatamente qualche volta, nel rivedere il film, ti accorgi che non è andata come avresti voluto, e questo un po’ è deprimente. Ma ritengo che sia un privilegio assoluto poter far finta di essere qualcun altro, peraltro pagata per farlo. Una gioia assoluta”. Di costumi, ne ha indossati tanti. All’inizio della sua carriera la chiamavano “la regina del corsetto”. “Mi piace mischiare. Io vivo qui e ora, e mi diverte ‘mescolarmi’ con una persona di un altro secolo. Faccio viaggiare me stessa attraverso i vestiti”» (Mauti). «Recitare appaga la mia immaginazione: essere invitati a fare parte di un mondo che hai sempre sognato è un autentico privilegio». «Amo moltissimo il mio lavoro, lo faccio con la stessa felicità con cui a quattro anni giocavo a fare la maestra. Ma diventando adulta ho bisogno di ruoli complessi: da giovane ero più carina, oggi produco pensieri più interessanti».