1 aprile 2021
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Biografia di Umberto Orsini
Umberto Orsini, nato a Novara il 1° aprile 1934 (87 anni). Attore • «Il nume tutelare del teatro italiano» (Stefano Giani, il Giornale, 15/6/2020) • «Una forza della natura e della scena» (Gianfranco Capitta, il manifesto, 4/1/2020) • «Fin dal suo esordio ha mostrato un notevole impegno nel ritrarre i ruoli più diversi, al cinema ma soprattutto in teatro, attraverso una recitazione particolarmente misurata, risultato di uno studio rigoroso del personaggio e della sua interiorità, che ha saputo impostare sempre con consapevole autorevolezza» (Federica Pescatori, Enciclopedia del Cinema, Treccani, 2004) • Debuttò sul palcoscenico nel 1957 con la Compagnia dei giovani di Giorgio De Lullo e Rossella Falk in Il diario di Anna Frank. Nastro d’argento al miglior attore non protagonista con La caduta degli dei (Luchino Visconti, 1969). Già direttore del teatro Eliseo di Roma. Famoso anche per alcuni sceneggiati per la televisione, tra cui: La Pisana (Giacomo Vaccari, 1960), Gli spettri (Vittorio Cottafavi, 1963), I fratelli Karamazov (Sandro Bolchi, 1969), Notti e nebbie (Marco Tullio Giordana, 1984) • Tra i suoi film: Marisa la civetta (Mauro Bolognini, 1957), La dolce vita (Federico Fellini, 1960), Un amore a Roma (Dino Risi, 1960), Il pianeta degli uomini spenti (Antonoio Margheriti, 1961), Il mare (Giuseppe Patroni Griff, 1962), Il giorno più corto (Sergio Corbucci, 1963), La ragazza e il generale (Pasquale Festa Campanile, 1967), Città violenta (Sergio Sollima, 1970), Ludwig (1973), Tony Arzenta (Duccio Tessari, 1973), Il delitto Matteotti (Florestano Vancini, 1973), Al di là del bene e del male (Liliana Cavani, 1977), Pasolini, un delitto italiano (Marco Tullio Giordana, 1995), Il viaggio della sposa (Sergio Rubini, 1997), Il partigiano Jhonny (Guido Chiesa, 2000) • «Amico di Judi Dench, Ian McKellen, Rod Steiger, Laurence Olivier, vanta perfino un fugace incontro con Orson Welles» (Anna Bandettini, la Repubblica, 7/4/2019) • Ha detto: «Sì, la vita è stata molto generosa nei miei confronti».
Titoli di testa «Orsini si accende una sigaretta. Il sorriso gentile fa a pugni con lo sguardo, quasi severo: “Da dove cominciamo?”» (Katia Ippaso, Il Messaggero, 5/11/2017).
Vita «Sono cresciuto in una famiglia normale. Mio padre aveva un ristorante e mia madre lavorava in cucina» (a Giani) • «L’infanzia? Beh, ne ho viste di tutti i colori. Dopo aver incrociato fascisti, nazisti e americani, forse sono stato l’unico sciuscià novarese, nel senso che mentre la famiglia era tutta attorno a mio padre ammalato, io trafficavo in sigarette, le compravo dalle truppe Usa e le rivendevo a un bar della città, col risultato che dall’età di dieci-undici anni ho sempre avuto soldi in tasca, anche se poi un giorno mi scivolò via il portafoglio con millesettecento lire dentro, e corsi subito a comperarmi i pantaloni alla zuava, chiusi alle caviglie, per evitare altre sciagure del genere» (a Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica, 5/8/2007) • «Che tipo era Umberto Orsini ragazzo? “Un giovane di belle speranze ma senza vocazione da attore”» (Giani). I genitori vorrebbero per lui una bella carriera. Finito il liceo, si iscrive all’Università di Milano, facoltà di giurisprudenza. «Studiai da notaio. Entrai a far pratica in uno studio e il mio compito a un certo punto fu di leggere gli atti notarili al posto del notaio che aveva un cancro alla gola. Fu così che mi accorsi che anche un rogito può essere letto come una pagina di Shakespeare» (Antonio Gnoli, la Repubblica 6/10/2013) • «Declamava talmente bene, con voce calda e suadente, che i clienti restavano affascinati. “Allora mi suggerirono: perché non fai l’attore?”» (Emilia Costantini, Corriere della Sera, 7/1/2017) • «I miei erano contrari alla carriera dell’attore, anche se ci fu un periodo in cui avevamo un cinemino in gestione» • «Preferivano che continuassi l’università, mi dicevano che fare l’attore era un mestiere-non mestiere, che sarei andato incontro a enormi frustrazioni» • Alcune colleghe, però, intuiscono che quel ragazzo ha poco a che spartire con le pratiche di uno studio notarile. «Lo sorpresero con il tiro mancino più benefico che si potesse concepire. Iscrissero quel ragazzo, poco più che ventenne, all’Accademia» (Giani) • L’Accademia è la Silvio D’Amico di Roma. «Ero un ragazzino carino partito dalle risaie di Novara senza una lira e mi sono ritrovato alla fontana di Trevi» (a Porro) • «Quando mi arrivò la lettera dell’Accademia, cominciai a comprarmi abiti e scarpe di pregio facendo debiti nei negozi migliori della mia città. Mia madre se ne lamentava, i commercianti le chiedevano “suo figlio quando viene a saldare?”. Per fortuna, in Accademia vinsi una borsa di studio, altrimenti come avrei potuto mantenermi?» (alla Costantini) • I suoi compagni di studio: Ferruccio Soleri, Ilaria Occhini, Giuliana Lojodice, Gian Maria Volonté, Luca Ronconi solo per citarne alcuni. «Grandi amici! Gian Maria era un tipo ombroso, ma si capiva subito che aveva una marcia in più. Era un po’ più grande di me e mi dava molti consigli che accettavo di buon grado. A Luca soffiai un ruolo: avrebbe dovuto essere il giovane Enzo in D’amore si muore di Patroni Griffi, ma io ero più fustarello di lui e scelsero me. Col senno di poi, posso dire di aver contribuito alla nascita di un grande regista» (alla Costantini) • Per il saggio dell’Accademia, Orsini decide di farsi biondo. «“A quel tempo gli impresari, i registi importanti, le compagnie primarie venivano a vedere gli allievi neodiplomati, per scritturarli in futuri spettacoli. Io sapevo che Luchino Visconti per il suo Uno sguardo dal ponte stava cercando un protagonista quasi platino, così andai dal parrucchiere e presi la drastica decisione. Quando mi presentai alla prova generale del saggio, che era Nostra Dea di Bontempelli, ai colleghi venne un colpo vedendomi con quella capigliatura. Mi arrabattai, dicendo che intendevo dare un’interpretazione diversa del mio personaggio: non potevo dire la verità”. Ma poi fu scritturato da Visconti? “No, scelse Corrado Pani”» (Costantini) • Sono gli anni dei caffè di via Veneto e della Dolce Vita. Umberto conosce Moravia, Pasolini, Zeffirelli, Giorgio De Lullo. «I suoi esordi cinematografici con Fellini? “Avevo un ruolo marginale, sembravo lì per caso”. «Come ha fatto un ragazzo giovane a farsi scritturare da un mito? “Il casting director del Maestro, Guidarino Guidi, che si occupava degli interpreti minori, mi vide a un saggio dell’Accademia e mi scelse per La dolce vita”. Come ricorda quell’esperienza? “Sono rimasto tre settimane a veder nascere una scena nella quale c’entravo ben poco. Però ho avuto la fortuna di assistere a una creazione. È un tesoro che porto con me”. Di che cosa si trattava? “Nella sceneggiatura erano un paio di paginette appena abbozzate. Nessuno sapeva nemmeno come si svolgesse. E dal nulla Fellini ha fatto sbocciare un germoglio. Quel giorno capii che avevo di fronte un genio”» (Giani) • Umberto, nella Dolce vita, si vede solo nella scena finale. «Una piccola parte: ero uno dei ragazzi che spogliava Nadia Gray nel celebre streaptease. Ma venni pagato bene, e potei permettermi di andare in Inghilterra a vedere il grande teatro». «Con i soldi guadagnati sono riuscito a pagarmi un corso e nonostante non fossi uno degli attori principali, quasi sempre inquadrato dalla vita in giù, con Fellini a giustificarsi: “Umberto ti devo un bel primo piano”. Oltre Fellini, Visconti… Con lui ho vissuto uno dei momenti più emozionanti: dovevamo portare in scena Vecchi tempi, ma era appena stato male, dirigeva da seduto, le prove a casa sua perché non riusciva a uscire. Ma la sera della prima, la meraviglia: erano presenti i suoi attori, da Alain Delon a Claudia Cardinale; da Burt Lancaster a Sophia Loren; alla fine tutti in piedi verso il palco dove stava Visconti, e lui con le ultime forze in piedi a prendere l’applauso. A vederla oggi fa impressione, è una sfilata di morti, mi sento un sopravvissuto» (Alessandro Ferrucci, Il Fatto Quotidiano, 3/11/2016).
Amori «Visconti si innamorò di lei? “No. E nemmeno Franco Zeffirelli che stimo molto, neanche De Lullo, Romolo Valli, lo stesso Luca. Sì, Giuseppe Patroni Griffi mi amava, ma sapeva che l’omosessualità non era una mia tentazione”» (Bandettini). Eppure, nella sua autobiografia, Sold out (2019), racconta di due uomini. «“Peter, il soldato inglese, e Corrado che giocava a calcio e mi baciò. Rileggendo l’episodio nel libro, mi pare di averlo raccontato quasi da innamorato: l’immagine di lui che parava come un angelo, un po’ alla Testori. Chissà, forse in quegli anni ho sfiorato l’omosessualità, amicizie che potevano sfociare in qualcos’altro, ma poi c’era la famiglia: ‘col lì l’è cupia’, un gay, e qualunque sentimento veniva sporcato”. E non ne fu traumatizzato. “No, anzi, mi hanno reso forte. La mia sfida era frequentare i “cupia”, i miei amici Dado e Nello con cui in realtà non c’era niente di gay. Poi andai all’Accademia e la cosa finì lì» (Bandettini) • Dopo, molte donne. Rossella Falk, che era già sposata. Sylvia Kristel, conosciuta in Oriente sul set di Emanuelle. «Lo sappiamo, è stanco di sentire il nome di Ellen Kessler accanto al suo. “A chi interessa più? È successo tanto tempo fa.” I suoi rapporti più lunghi sono stati con Ellen Kessler e poi con Valentina Sperlì. “Anche”. Come anche? Se le chiedessi: al di là delle cronache rosa e del tempo passato insieme, quali sono stati i grandi amori della sua vita? “Non lo so, perché sono stati molto diversi. Non posso fare una classifica. Sono amori che sono stati forti nel momento in cui li vivevo, col tempo sono diventati molto meno forti. Non so neanche se mi sono mai veramente innamorato nella mia vita”. Non lo sa? “No. Però, a parte un paio di casi di storie finite burrascosamente, sono diventato amico delle donne a cui ero legato sentimentalmente. Una volta mi sono trovato a tavola con cinque donne tutte amiche tra di loro, e mi sono reso conto che in varie epoche della vita tutte e cinque avevano avuto un rapporto con me. In quel momento quasi non mi ricordavo più. Non perché fossi rimbambito, ma perché era tutto al passato”. E ora che siamo al presente, ha una storia d’amore? “Ho una compagna da 7 anni”. È un’attrice? “Diciamo che sta cercando di fare seriamente l’attrice, ma questo mestiere è diventato molto duro per le nuove generazioni. Lei è molto più giovane di me” Quanto più giovane? “Di 43 anni”» (Ippaso, 2017) • Alla fine, ad ogni modo, ha deciso di non sposarsi e di non avere figli. «Perché? “Pensavo che matrimonio e figli potessero essere d’ostacolo alla mia libertà. Quando sei giovane, fai di questi pensieri”. Se n’è pentito? “Qualche volta ci ho pensato con nostalgia, ma il rammarico non mi appartiene. Non prendo mai decisioni viscerali”» (ibidem).
Dolori Una sola grande perdita. «Corrado Pani. Un fratello. Mi telefonava alle nove del mattino per chiedermi semplicemente come stavo. E preferiva si parlasse di calcio e di Borsa» (a Di Giammarco).
Politica «Questa sinistra meritava di più, ma è il Paese che mi fa paura, più che la politica».
Religione Misurati pensieri spirituale. «Li avverto se li leggo o li sento da altri».
Filosofia «Siamo piccoli esseri umani pieni di ambizioni, siamo nulla e vorremmo essere tutto, quel che solo il teatro ci permette e quindi è solo il teatro che ci può salvare».
Vizi «Le dispiace se fumo?».
Curiosità Gioca a tennis. «Mentre nel mio circolo è pieno di vecchietti che giocano il doppio, io faccio ancora il singolo. Amo la fatica» (Bandettini, 2019) • Gli piace leggere. «Due giornali al mattino (la Repubblica e il manifesto), più Le Monde il giovedì, e il Sunday Time; di pomeriggio scorre testi teatrali o saggistica (“filosofia e fisica, soprattutto”); e alla sera si butta sulla narrativa (“leggo sempre un’ora, a qualsiasi ora vada a letto, anche alle cinque della mattina, anche dopo aver fatto l’amore”)» (Di Giammarco, 2007) • Non è sui social • Se la cava bene ai fornelli, dice di aver imparato dai suoi genitori. «Preparo ottimi primi di pasta e sughi ma sono a mio agio anche con la carne. Soprattutto arrosti. Ho avuto insegnanti sopraffini» • Parla inglese e francese • Avrebbe voluto essere dieci centimetri più alto • Rimpiange di aver rifiutato l’offerta di Giorgio Strehler che lo voleva ne El nost Milan. «Non me la sentivo di recitare in milanese. Lui ci rimase male» • «Cosa non ama del suo mestiere? “La velleità e l’eccesso. Se l’eccesso non è sorretto dalla genialità meglio lasciar perdere”» (Gnoli) • «Con quale personaggio viene identificato? “Karamazov. È l’immagine più forte nel pubblico. Allora c’erano 22 milioni di persone davanti la televisione. Altri tempi, altri numeri. Prodotti belli, studiati e pieni di ottimi attori. Un po’ quello che sta avvenendo ora con le grandi serie”. Cosa segue? “House of cards: ha un andamento shakespeariano, con l’idea del monologo verso la telecamera, come Iago quando parla al pubblico”» (Ferrucci) • «Mi piace Elio Germano, anche Accorsi, Favino, Marchioni, bravi al cinema, ma a teatro non vedo che portano la croce» (alla Bandettini) • «Oggi in teatro c’è molta confusione e, accanto a alcuni che fanno ricerca alta, ci sono troppi altri di scarsa professionalità che vedono un passaggio in palcoscenico solo come un’occasione per farsi notare, un eventuale trampolino verso la tv e il cinema, senza alcuna volontà di sacrificio, di impegnarsi in tournée, nel lavoro serio. Nascono così molte figure che sono meteore che non lasciano traccia» • «Se avessi fatto il notaio, forse sarei molto ricco, avrei figli e nipoti e magari starei seduto in platea, con a fianco una cara moglie ormai anziana, a vedere un attore che recita al posto mio» (alla Costantini) • «“Per me riflettere sul tempo significa pensare alla progettualità del tempo, senza pensare agli anni che ho, e lo so che 83 non sono pochi. Ma posso dire di avere avuto tutto dalla vita”. Neanche un desiderio incompiuto? “Direi di no”» (Ippaso) • «Ogni tanto, prima di partire per una tournée, faccio testamento. Di recente sono andato a ricontrollarlo. Avevo destinato a chi un quadro, a chi un oggetto, a chi del denaro. Almeno cinque di questi amici erano nel frattempo scomparsi. Nessuno di loro mi aveva lasciato niente. Neanche un accendino. Non me la sono presa. Ho rifatto testamento, e ho spostato su altri quello che avevo attribuito ai defunti. Mah, spero di morire prima dei destinatari, così non vedo come va a finire» (Di Giammarco) • «“Nessuno è eterno. Però io, con la morte, ho una certa dimestichezza”. In che senso, perdoni? “In teatro sono andato all’altro mondo una ventina di volte”» (Giani).
Titoli di coda «Giriamola così, se è morto una ventina di volte vuol dire che altrettante è risorto. “Quando cala il sipario resuscito magnificamente. E vado a prendermi gli applausi. È l’affascinante differenza tra finzione e realtà”» (Giani).