Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  aprile 06 Martedì calendario

Biografia di Franco Ferrarotti

Franco Ferrarotti, nato a Palazzolo Vercellese (Vercelli) il 7 aprile 1926 (95 anni). Sociologo. Il primo in Italia a ottenere una cattedra universitaria in Sociologia, nel 1961 alla Sapienza di Roma, dove oggi è professore emerito. Ha insegnato alla New York University e alla Sorbona, ma ha anche in America Latina, Russia e Giappone. A Parigi ha diretto la Maison des Sciences de l’Homme. Dal 1958 al 1963 è stato deputato, per il Movimento Comunità di Adriano Olivetti, del quale rilevò il seggio quando, dopo appena un anno di mandato, lui decise di dimettersi.
Vita Famiglia di agricoltori. «Sono nato a La Fornace, in un cascinale portato via dal Po» • «Quando nacqui mi diedero per spacciato. La mia salute era fragilissima, la mamma malata non poteva allattarmi. Fui spedito a sei mesi a Robella dai bisnonni che mi sfamarono con il latte di vacca. Ero troppo debole e per le dure leggi del mondo contadino venivo considerato uno scarto. Un peso da cui liberarsi. Ho cominciato a parlare a cinque anni. Pensavano fossi un ritardato mentale. Paradossalmente fu un vantaggio, perché il silenzio sviluppò in me le capacità di osservazione, che arricchii leggendo. Alla biblioteca comunale passavo le giornate. Mio padre cominciò a odiarmi. Diceva con disprezzo: diventerai un uomo di carta. Non ha avuto tutti i torti» (ad Antonio Gnoli) • «Di mio padre mi affascinavano il silenzio, la tenacia, la decisione nell’azione. Ma in lui non c’era nulla di amichevole: era il padre, non un amico. Questo conferiva al nostro rapporto una solidità data per scontata, un fatto naturale, non da inventarsi e dichiararsi tutte le mattine. Si comunicava semplicemente sedendo alla stessa tavola, guardando gli stessi paesaggi, i campi ondeggianti come oceani nella tarda primavera; lo stormire dei pioppi, in tutto simili a una selva di canne d’organo. I nostri contrasti scavavano più a fondo, intaccavano la psiche» (da L’uomo di carta. Archeologia di un padre, Marietti 1820, 2019) • «Le malattie infantili fecero di lui un lettore precocissimo. Occupava il tempo leggendo libri trovati in un cassettone: Tolstoj e Dostoevskij. Sui dieci anni, I dialoghi di Platone sono stati il suo Salgari: “Li divoravo come libri d’avventura”. La passione per la sociologia ha avuto la stessa origine, un po’ carbonara. I genitori mandavano il giovane Ferrarotti al mare a Sanremo, per curare l’asma. Invece di stare in spiaggia al sole, lui si rifugiava nella biblioteca civica, fornita di tomi della sociologia positivista: “Mi trovai fra le mani Cesare Lombroso o Alfredo Niceforo, salvandomi dal vaniloquio ‘io/non io’ di Gentile e Croce”. Quando si iscrive a Filosofia a Torino, persegue questo interesse disciplinare» (Alberto Papuzzi) • «A Torino, ferita dai bombardamenti e dalla fame, Ferrarotti arriva, molto giovane, “povero di soldi, ricco di energia”, nel 1943, dopo aver tagliato i ponti con la famiglia. L’obiettivo è conquistarla. Studia dieci ore al giorno. Conosce la città “camminando da pensione a pensione, da alloggio a alloggio”. Si dà molto da fare per tradurre, il suo modo per sopravvivere. Si imbatte in alcuni “amici straordinari”, per puro caso e persino per errore: Felice Balbo; Cesare Pavese, che gli dà da fare delle traduzioni, attorno alle quali si costruisce il loro rapporto e con il quale si intende “a occhiate”; Nicola Abbagnano, dalla cui collaborazione nascono I Quaderni di Sociologia (il primo numero esce nell’estate del 1951). “Abbagnano riconobbe nella sociologia lo strumento che gli dava la possibilità di uscire dalla filosofia tradizionale e di dare alla sua coscienza problematica un fondamento scientifico”» (Luigi Vaccari) • «È un fatalista? “No, sono una persona che crede negli incontri. Tutto è avvenuto grazie alla casualità, nella mia vita”. Lei non ha nessun merito? “Non ho nessun merito se, dopo l’8 settembre del ’43, nel pieno della guerra civile italiana, incontrai, a Casale Monferrato, Cesare Pavese. Che ci faceva lì? “Stava sotto falso nome in un collegio tenuto dai padri somaschi. Fu lui a farmi tradurre i primi tre libri per la casa editrice Einaudi, allora una casa editrice piuttosto modesta. Eravamo diventati amici facendo lunghe camminate. Parlavamo di letteratura, poesia, politica, filosofia”» (a Nicola Mirenzi) • «Sono anni meravigliosi. E deve ringraziarli: gli fanno capire che “la ricerca sociale, empirica, di fatto consentiva, per prima cosa, la partecipazione dell’umano all’umano... E poi significava anche lotta contro l’ufficialità”. Che è il pane per uno studente universitario che si considera un “anarco-sindacalista”, interessato alla sociologia critica americana. A dispetto di Benedetto Croce che aveva stroncato sul Corriere della Sera la sua traduzione del saggio di Thorstein Veblen La teoria della classe agiata. Ivrea suggella l’incontro, politico, ideologico, spirituale e ideale, con Adriano Olivetti, e i primi collaboratori delle Edizioni di Comunità, sulla strada dell’utopia. “L’ingegnere è “la possibilità di avere una sintesi della ricerca sociale, sociologica, e dell’impeto trasformatore e riformatore che era in fondo ciò che volevo”. A Ivrea non esisteva la parola licenziamento; c’era un grande rispetto per l’ambiente in cui la fabbrica era nata e si sarebbe sviluppata. Ed è “nel Canavese”, punto di partenza, che “avevamo la possibilità di praticare le nostre idee”, di affiancare l’attività pratica allo studio teorico» (Vaccari) • «Come conobbe Olivetti? “A una cena. Vidi quel testone calvo, inghirlandato da una coroncina di riccioli biondi, discettare di nazionalizzazioni. Mi avvicinai e gli dissi che in questo modo gli operai non avrebbero più avuto un padrone contro cui lottare. Mi guardò stupito. Ero molto sfrontato. E scoprii che aveva un grande rispetto per le idee altrui. Mi venga a trovare, disse”. E lei andò? “Andai, certo. Anche perché non è che a Torino in quel momento facessi chissà che. Traducevo dall’inglese e dal tedesco e mi ero fidanzato con Anna Maria Levi, la sorella di Primo levi, il quale allora stava cercando un’occupazione da chimico e nessuno sapeva tutto quello che poi avrebbe raccontato nei suoi libri. Insomma, rividi Olivetti e mi propose di lavorare per lui. Con Geno Pampaloni e Renzo Zorzi diventammo i suoi collaboratori più intimi. Si stabilì un clima culturale fantastico. Ma ero un inquieto”. Ivrea le stava stretta? “L’Italia semmai. Mi sentivo in gabbia. Poi accadde che Olivetti ebbe un infarto. Andai a trovarlo in clinica e gli dissi che il mio progetto era di trasferirmi per un periodo negli Stati Uniti. Mi guardò con stupore e rammarico. Dal letto si sollevò lentamente e con una smorfia mi rispose che non se ne parlava punto. Gli dissi che quell’esperienza la facevo anche per lui e alla fine, un po’ a malincuore, si convinse. E così partii”. Che anno era? “Feci la traversata in nave nel settembre del 1951. Giunto a New York mi trasferii all’Università di Chicago”. La roccaforte del neoliberismo. “C’era Von Hayek, ma all’inizio non era molto amato dagli altri economisti. Il vero punto di riferimento, l’autorevolezza culturale, proveniva da Leo Strauss”. Lo ha conosciuto? “Dopo che gli feci la traduzione letterale del Principe di Machiavelli diventammo molto amici. Alcune volte sono stato a cena a casa sua. Un giorno mi chiese se fossi ebreo. Rimasi sorpreso, ma poi seppi che era il più grande complimento che potesse farmi. […] Stavo benissimo: insegnavo, mi ero sposato, avevo comprato una macchina, guadagnavo bene. Olivetti mi chiamava tutti i sabati. Quando torni? Mi chiedeva”. E non resistette. “Rimisi piede in Italia nel 1953. Mi rituffai nella comunità di Ivrea. Poi nel 1958 Olivetti fu messo da parte nell’azienda. Lo estromisero dalla carica di amministratore. La lunga contesa con la famiglia finì con la sua sconfitta. A lui non rimase che leggere il futuro nei fondi del caffè”. Vuole dire che ci fu un conflitto interno? “Voglio dire che parte della famiglia non amava quel modello di impresa e non amava me reputandomi una specie di anima nera. Di fatto mi ritrovai disoccupato. Adriano morì di infarto un paio d’anni dopo nel corridoio di un treno. Meglio che nel suo letto. Io partii per Parigi e mi rifeci una verginità. Fu un colpo di fortuna. Mi venne offerto il ruolo di diplomatico speciale come membro osservatore dell’Oece. Una pacchia. Poi divenni professore universitario. E inventai la cattedra di sociologia che è diventata la scienza allegra dove tutti dicono la loro”» (a Gnoli) • Negli anni Sessanta fece parte dell’associazione Italia-Urss guidata dallo storico Paolo Alatri, al fianco di figure come Giuseppe Pisanu, Riccardo Lombardi, Giulio Einaudi, Vito Laterza, Walter Pedullà e Claudio Abbado • Tra i suoi molteplici interessi, i problemi del mondo del lavoro e della società industriale e postindustriale, i temi del potere e della sua gestione, i giovani, la marginalità urbana e sociale, le credenze religiose, le migrazioni. Frase manifesto: «Più che “la conoscenza” contano “le conoscenze”». Una particolare attenzione ha dedicato alla città di Roma. «Le periferie sono un mosaico culturale ed etnico, e se si fermassero non andrebbe avanti il centro. Il futuro è della metropoli policentrica, com’è stato giustamente intuito dall’attuale amministrazione capitolina (Giunta Veltroni - ndr). Oggi non c’è più un centro e una periferia, c’è una comunità umana» (a Simona De Santis) • Tra gli ultimi libri: La concreta utopia di Adriano Olivetti (Dehoniane, 2013), I miei anni con Adriano Olivetti a Ivrea e dintorni, da New York a Matsuyama (Solfanelli, 2016), Dialogare o perire (Edizioni di Comunità, 2017), Dalla società irretita al nuovo umanesimo (Armando, 2020) • Nel 2020 la casa editrice Marietti 1820 ha completato la pubblicazione delle sue Opere, in sei volumi: due di scritti autobiografici, due di scritti teorici, due di ricerche • Da ex parlamentare prende una pensione di 3.108 euro • Nominato Cavaliere di Gran Croce da Ciampi • È presidente onorario dell’Associazione Nazionale Sociologi • Dorme al massimo cinque ore: «Funzioniamo h24, senza distinzione tra giorno e notte. E il lavoro vero lo si fa solo rubando ore al sonno» (ad Alessandra Mangiarotti) • Nella casa di Roma ha trentamila libri • Sposato, tre figli.
Critica «È un mostro sacro della cultura italiana. Nessuno, che abbia una certa età, può dimenticare che è stato lui a sfondare la cortina di ferro “crocio-marxista” liberando l’insegnamento della sociologia dalla criminologia, dandole la dignità di disciplina autonoma. Poi Franco Ferrarotti non è stato solo professore in patria, ha insegnato in varie parti del mondo, è stato anche deputato, ha indagato sulle borgate non solo romane, ha scritto un sacco di libri, tutti piuttosto provocatori» (Valentino Parlato) • «Padre della sociologia moderna in Italia, una vita che lo ha visto andare dappertutto e fare quasi tutto: crescere in povertà, studiare con Nicola Abbagnano, litigare con Benedetto Croce, tradurre per Einaudi, fondare riviste e collane editoriali, girare il mondo per conto di Adriano Olivetti, insegnare negli Stati Uniti, farsi eleggere in Parlamento ed essere insignito del titolo di cavaliere di Gran Croce, la più alta onorificenza repubblicana» (Giuseppe Salvaggiulo).
Frasi «La sociologia è morta. Forse non è mai nata. O è nata morta. Una scienza ibrida e dissociata. Auguste Comte, che la fondò, era un noto paranoico. C’è una certa vicinanza tra paranoia e creatività. Lo sapeva?» • «Abbagnano con dolcezza fraterna mi diceva: la sociologia non ci sarà mai. A me è piaciuta perché ibrida, meticcia, sin dal nome metà greco metà latino. In grado di portare il senso comune a livello scientifico» • «Non ho mai avuto niente da insegnare. Io andavo in aula per professare le mie idee. Nient’altro che questo: le mie idee. Nessuno può presumere di avere la conoscenza. Semmai, è la conoscenza che ha te» • «Confesso di essere fin dall’inizio uno sconfitto» • «La longevità non è un dono di Dio come dice la Bibbia, ma è tremenda perché gli amici non ci sono più» • «Scrivere è il modo migliore per rivivere e lottare contro la morte» • «L’ho anche scritto: sono nato in mezzo ai libri. Morirò baciando la loro polvere. Aveva ragione mio padre: sono un uomo di carta».