8 aprile 2021
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Biografia di Carlo Calenda
Carlo Calenda, nato a Roma il 9 aprile 1973 (48 anni). Dirigente d’azienda. Politico. Parlamentare europeo (dal 2019), aderente all’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici. Già ministro dello Sviluppo economico (2016-2018) e viceministro dello Sviluppo economico con delega al commercio estero (2013-2016). Già rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea (2016). Cofondatore (2019) e leader (dal 2019) di Azione. Già membro del Partito democratico (2018-2019) e di Scelta civica (2013-2015). «Non c’è dubbio che io abbia un carattere di merda. Mi conosco. Tendo a essere passionale e impulsivo. E in politica, in alcuni casi, medio molto poco. […] Zingaretti ha detto che talvolta io impugno la clava dove potrei usare il fioretto. È un’immagine in cui mi ritrovo» • «Calenda nasce nella nostalgia onomastica del quartiere Africano, […] che è buona borghesia romana orfana d’impero, ma di urbane maniere a differenza degli arricchiti dei Parioli. Gli scorre il sangue blu della nonna, una Grifeo di Partanna, che è nobiltà siciliana» (Pino Corrias). «Illustri erano già i suoi nonni: Carlo Calenda, ambasciatore tra l’altro in India e in Libia e consigliere diplomatico di Pertini, Luigi Comencini, cineasta pilastro della commedia all’italiana. Illustri i genitori: Cristina, la regista (madre giovanissima, come lui pure è stato padre giovanissimo), Fabio, brillante economista» (Susanna Turco). «Considera la sua Roma il quartiere Africano, “dove sono nato e cresciuto sino ai 14 anni e dove si è formato il mio carattere, segnato dal metodo Montessori. Le elementari alla Santa Maria Goretti, le medie in una sperimentale a Villa Ada”. Non gli dico che la mitica signorina Pini, allieva diretta di Maria Montessori e direttrice per decenni alla Santa Maria Goretti, dopo avere tessuto le lodi di Paolo Gentiloni fece una smorfia al nome di Calenda» (Francesco Merlo). «Calenda ha fama di essere un pariolino, cioè un abitante dei Parioli, ma ha spiegato più volte di non aver mai vissuto nel ricco quartiere romano. Ammetterà almeno un’infanzia dorata: suo nonno materno era il regista Luigi Comencini, quello paterno era un celebre ambasciatore. “Il contesto era privilegiato, certo, ma mio padre e mia madre erano ex sessantottini. Non volevano una lira dai loro genitori. Era una famiglia tirata”. Tirata? “Attenta alle spese. D’estate si faceva campeggio. Poi i miei si separarono, mia madre si sposò con Riccardo Tozzi…”. … il produttore di Gomorra… “… e ci trasferimmo nel quartiere Prati”» (Vittorio Zincone). «Il nonno materno, Luigi Comencini, […] lo fece recitare nello sceneggiato tv del libro Cuore. Faceva Enrico Bottini, l’insopportabile io narrante. Precisino, ben pettinato. […] Il personaggio – interpretato a 10 anni, nel 1983 – gli è rimasto appiccicato» (Giancarlo Perna). «Una delle foto a cui tengo di più è stata scattata sul set insieme a Eduardo De Filippo nella sua ultima apparizione. Ero un cane a recitare, non mi interessava fare l’attore, nessuno della mia famiglia ha insistito. Anzi, le dirò, mio nonno era molto felice che non avessi scelto di fare il cinema» (a Tommaso Labate). «“Mio nonno sosteneva che il cinema è fatto dai registi e dagli sceneggiatori, e che quello dell’attore era un mestiere che non si poteva fare”. Perché? “Troppo frou frou. Nonno era di cultura valdese: etica protestante e austerità”» (Zincone). «Tutta la serietà mi sembrava incarnata nel mio ramo paterno. Era una genia di grand commis de l’État, un ambiente in cui si parlava solo di storia e di politica. Ogni sabato e domenica, mio padre mi portava al Foro Romano e mi raccontava le storie dell’antica Roma. Non potevo che arrivare alla politica» (a Stefania Rossini). «“Un’educazione decisamente inquadrata mi aveva portato a essere un bravissimo bambino e un perfetto pre-adolescente. Tanti libri, molta cultura, bene a scuola, cose così. Ma le troppe aspettative mi hanno fatto sprofondare in una specie di baratro, dal quale poi sono uscito”. Raccontiamo il baratro. “Fino alle medie va tutto benissimo. Arrivato al liceo, il Mamiani di Roma, inizia il disastro. Rimandato in due materie in quarta ginnasio, in quattro materie l’anno dopo, bocciato direttamente l’anno dopo ancora”» (Labate). «Ero molto scapestrato, a scuola e fuori. Non rispettavo nessuna autorità, facevo sega continuamente, giocavo tutto il giorno a biliardo. E mi sono anche fatto bocciare. Quando mio padre andò a parlare con un insegnante, si sentì dire: “Non abbiamo avuto ancora il piacere di conoscere suo figlio”». «Quando lei da ragazzo si è iscritto alla Federazione giovanile comunista di Roma, il suo segretario era Zingaretti. (Ride). “Destino cinico e baro. […] Le racconto una cosa divertentissima per capire quanto ero ideologico: quella era la Fgci delle campagne contro il nucleare”. E lei? “Ero scatenato. Avevo letto un pamphlet sul rischio sindrome cinese e litigavo a casa. Ma mio zio era Felice Ippolito!” Ovvero il più importante intellettuale nuclearista del Pci. E che accadde? “Io ripetevo a macchinetta i miei slogan, e lui, grande signore napoletano, fratello di mia nonna, a un certo punto non disse nulla, tirò fuori il portafoglio e lo spalancò. […] ‘Tieni: queste sono 50 mila lire. Vai da Feltrinelli a comprarti un paio di saggi: leggili, e poi torna a discutere’”. Grande lezione laica. E funzionò? “Macché: c’era stata Chernobyl, ero convintissimo. Adesso so che abbiamo perso una grande occasione”. Aneddoto meraviglioso. Un altro? “Festa nazionale dell’Unità, a Ravenna. Lavoravo in cucina: a cena, c’era il segretario della Fgci, Pietro Folena”. E cosa fate? “Il partito aveva avuto una brutta flessione e, pensando di scherzarci su, preparammo una pizza con ‘-3%’ scritto con la mozzarella”. E Folena? “Non la prese affatto bene: si arrabbiò e se ne andò. La pizza ‘-3%’ divenne un caso politico, fummo processati. Erano partiti quadrati”. Lei poi diventa padre. “L’evento di formazione più importante della vita: la nascita di mia figlia Tay”. Addirittura? “Avevo 16 anni, non avevo regole. Mi ha dato il senso del dovere e un’idea della responsabilità che non avevo”. Una figlia concepita con una donna che aveva dieci anni più di lei. “Ehhh… Era la segreteria del marito di mia madre. Bellissima ragazza, con i capelli rossi”. Ma come le accadde di corteggiarla, quando aveva 14 anni? “Un errore drammatico. Ero cresciuto con tutti che mi ripetevano: ‘Sei più grande della tua età’. Ho pensato di dimostrarlo. […] Suggerisco a tutti genitori di evitarlo”. E come successe? “Andavo a trovare il produttore Riccardo Tozzi, che era un mio genitore acquisito, e le facevo il filo”. Siete stati insieme un anno e la ragazza è rimasta incinta quando lei aveva 15 anni! “Vero. Quando Tay nacque ne avevo 16. Sono diventato papà e sono stato bocciato nello stesso anno. Ma fu la svolta, e non c’è stata una sola volta in cui il biberon non glielo abbia dato io”. Lei andò via di casa. “Cambiarono le serrature e mi misero di fronte alle mie responsabilità. Andai a casa dei genitori della madre”» (Luca Telese). «Due anni dopo “mi innamorai di mia moglie e tornai da mia madre, ma ogni sera andavo a dare la buona notte a Tay”. […] E il liceo? “Ho recuperato l’anno perduto in una scuola-esamificio che si chiamava Centro Studi Flaminio e poi ho completato al Manieri Copernico. Quindi mi sono iscritto a Giurisprudenza alla Sapienza e mi sono laureato con una tesi di Diritto internazionale. Il relatore era Andrea Giardina. E il voto non ricordo se fosse 105 o 107. Ricordo che non era 110”» (Merlo). «Quando ho avuto 18 anni, i miei genitori mi hanno detto: “Ti diamo una mano a mantenerla, però tu devi lavorare”. Così ho fatto l’università mentre guadagnavo anche parecchi soldi come consulente finanziario». «“Facevo il consulente finanziario per la Sanpaolo Invest. Vendevo fondi di investimento e polizze: facevo bei soldi, battendo le case porta a porta”. Quanti soldi? “Anche 7 milioni di vecchie lire al mese!”» (Telese). «“Usavo […] la tecnica delle telefonate a freddo. Aprivo il vecchio elenco del telefono, sceglievo un abbonato, telefonavo”. Su cento telefonate, quanti appuntamenti riusciva a fissare? “Su cento, diciamo, novantanove finivano subito con un bel vaffanculo, e una era l’appuntamento fissato”. Una palestra di vita. Soprattutto i novantanove vaffa. “Anche l’appuntamento preso. Perché poi non tutti gli appuntamenti finivano con un contratto siglato. Chi sottoscriveva, con soddisfazione sia sua che mia, mi segnalava poi altri cinque contatti. E da lì si creava una rete”. […] Era bravo? “Guadagnai bene. E, sì, ero abbastanza bravo. Ma non il migliore. C’era gente che riusciva sempre a vendere al primo appuntamento, magari senza conoscere ciò che vendeva. Un istinto animale per la vendita, di cui ero sprovvisto”» (Labate). «Allora pensava effettivamente di fare la carriera diplomatica, seguire le orme del nonno Carlo. […] Ma non fa il concorso, e se ne va a Londra. Lavora in una società che fa trading di diritti televisivi. Poi approda alla Ferrari» (Roberto Mania). «Calenda entra a far parte della squadra del Cavallino rampante nel 1998. […] Per la casa di Maranello si occupa delle relazioni con i clienti, e più in generale delle relazioni esterne. Sin da subito con Montezemolo c’è intesa» (Fiorina Capozzi). «Dopo circa quattro anni cede alla sirena di Rupert Murdoch: quando nasce Sky Italia trasloca alla pay tv, insieme ad Andrea Zappia. […] Due anni dopo cambia di nuovo» (Gianni Dragoni). «Quando, nel 2004, il presidente dell’Alitalia è ai vertici di Confindustria, vuole Calenda come suo assistente personale. Leggenda vuole che la scelta sia dovuta alla sua precisione maniacale, molto apprezzata da Montezemolo, che lo promuove successivamente a direttore dell’area strategica e affari internazionali di viale dell’Astronomia. Il grande salto arriva però nel 2008» (Capozzi). «Nel maggio 2008 Montezemolo termina il mandato in Confindustria. E anche Calenda fa le valigie. Nel frattempo Montezemolo ha fondato Ntv, la società del treno Italo, con i soci Diego Della Valle e il napoletano Gianni Punzo, un ex commerciante di biancheria (per questo soprannominato “pannazzaro”) che si è arricchito e ha fondato un grande mercato all’ingrosso, il Cis di Nola, in un’area controllata dal boss della camorra Carmine Alfieri. A Nola Punzo crea anche una struttura per il trasporto merci, l’Interporto Campano. Indovinate dove va Calenda? Viene assunto da Punzo come dirigente, direttore generale dell’Interporto. Entra anche nel consiglio di amministrazione di Italo (cioè Ntv), dove rimane solo tre mesi, dall’11 luglio al 16 ottobre 2008. In quegli anni Calenda diventa anche presidente di Interporto Servizi Cargo (da luglio 2009 a maggio 2011), un’altra società di Punzo, che trasporta merci in treno. Inoltre è consigliere di amministrazione della Gesac, la società che gestisce l’aeroporto di Napoli Capodichino, da ottobre 2009 a gennaio 2011. […] Per quasi cinque anni Calenda rimane uno stipendiato di Punzo, fino a maggio 2013. […] Già iscritto alla Fgci quando era un ragazzo, Calenda comincia a occuparsi direttamente di politica nel 2012: è il coordinatore politico di Italia Futura, l’associazione con la quale Montezemolo pensa di entrare in politica. Insieme all’economista Nicola Rossi e allo storico Andrea Romano, Calenda è il promotore di “Cantiere Italia 2013”: in un articolo pubblicato il 17 marzo 2012 le tre teste pensanti di Italia futura sostengono che, in vista delle elezioni del 2013, è indispensabile “aprire un cantiere per la costruzione di un fronte liberale e democratico intorno a pochi e chiari obiettivi che abbiano la finalità fondamentale di rimettere a posto il nostro Paese su un percorso di crescita e di benessere”. Dopo aver oscillato tra tanti “vado” e “non vado”, Montezemolo si tira indietro. Non si candida alle politiche. Italia Futura confluisce nella formazione Scelta civica di Mario Monti, ed è con questa formazione che Calenda si candida alle elezioni» (Dragoni). «Non viene eletto. E farà un’autocritica severa quanto sincera in una lettera pubblicata sul Messaggero: “Poche iniziative nella storia politica italiana hanno avuto una parabola così bruscamente discendente come quella di Scelta civica. Personalmente sento di avere molte responsabilità in proposito, a partire dalla retorica sulla superiorità della società civile che per anni ho coltivato, già a partire dal mio impegno in Italia futura. Oggi penso che questa sia stata una delle cause principali del nostro fallimento”. È Enrico Letta che lo chiama al governo, viceministro allo Sviluppo economico con la delega al commercio estero. Renzi lo conferma e comincia a conoscerlo. Gli piace perché è un negoziatore che non molla mai. Gli affida una delicata mediazione in Mozambico, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, tra gli esponenti del Renamo e il governo di Armando Guebuza» (Mania). «Al Mise si mostra particolarmente sensibile ai temi del mondo confindustriale in nome del buon funzionamento dell’economia di mercato. Così, mentre Romano Prodi invita alla riflessione sul Ttip, il discusso accordo commerciale da tempo in negoziazione con gli Stati Uniti, Calenda ne diventa strenuo sostenitore, evidenziando i vantaggi per il tessuto produttivo. Esulta quando la tedesca HeidelbergCement compra Italcementi – “È una scelta che farà crescere l’azienda, un’operazione win-win” –, sorvolando sul rischio di una ristrutturazione dell’impero italiano dei Pesenti. A Renzi però piace. Così, con una mossa a sorpresa, nel gennaio 2016 lo nomina nuovo rappresentante dell’Italia al posto dell’ambasciatore Stefano Sannino. La notizia è mal digerita alla Farnesina: 230 diplomatici scrivono a Renzi perché disorientati per la scelta di Calenda, che, per la prima volta, non è un ambasciatore, ma un politico. Ma il premier spiega che nell’Unione c’è bisogno di un uomo di polso e non di diplomazia. “Ho mandato a Bruxelles uno più rissoso di me”, precisa Renzi» (Capozzi). «Calenda non si trasferisce in pianta stabile a Bruxelles. Fa il pendolare con Roma, dove si ferma anche qualche giorno durante la settimana. […] L’esperienza da ambasciatore dura poco. Il 10 maggio 2016 Calenda viene promosso ministro dello Sviluppo economico nel governo Renzi, dopo le dimissioni di Federica Guidi, indebolita dall’inchiesta giudiziaria (ma non è indagata) sul filone siciliano del petrolio lucano, nella quale è coinvolto il suo compagno Gianluca Gemelli» (Dragoni). «Appena salito sulla tolda di comando, però, Calenda si riposiziona. Torna a strizzare l’occhio ai suoi amici imprenditori, spiattellando un piano di investimenti da 13 miliardi (“Industria 4.0”), e inizia a flirtare con l’opposizione interna del Pd, portandosi al ministero un piccolo drappello di bersaniani. Un avvicinamento, questo, che ha fatto addirittura circolare il suo nome prima come antagonista di Renzi per la guida del partito e poi come possibile premier. A Palazzo Chigi alla fine è andato Paolo Gentiloni, ma Calenda è rimasto saldamente in sella. Talmente saldo da sentirsi autorizzato ad alzare la voce» (Sandro Iacometti). «Sembra non guardi in faccia nessuno, al punto da apparire ingrato. Ha sbeffeggiato Matteo Renzi, al quale deve la carica, dichiarando – unico del governo – il suo ‘no’ a elezioni anticipate. “I bisogni del Paese sono altri”, ha detto, e la cerchia fiorentina se l’è legata al dito. Che dire poi del ceffone rifilato a Luca Cordero di Montezemolo, di cui è stato pupillo fin dai tempi della laurea? Costui, presidente dell’Alitalia arabizzata, gli aveva presentato un piano imperniato sui licenziamenti per salvare la disastrata compagnia aviatoria. Il ministro gli ha però risposto picche. “Prima”, ha ingiunto, “un programma industriale di rilancio, poi discutiamo di esuberi”, e lo ha liquidato» (Perna). «Quando Renzi proclamava Calenda “più rissoso di me” non parlava a caso. Anche i rapporti del ministro coi parlamentari, raccontano, sono un po’ ostici: tanto che Maria Elena Boschi s’è in passato premurata di accompagnarlo pei corridoi della Camera “per fluidificarli”. Ma non è solo questione di carattere. C’è di più. È rimasto ad esempio impresso, alla platea che l’ascoltava, il debutto di Calenda da ministro, […] davanti all’Assemblea confindustriale. Quando, come piantando la mano nel cemento fresco di una immaginaria walk of fame, si disse “contento non solo di essere qui, ma anche di pronunciare un discorso”, perché “per un certo numero di anni ho scritto discorsi che non ho mai pronunciato”. Li pronunciava in effetti Montezemolo, del quale Calenda è stato assistente personale. Ma dirlo al microfono, più che una rivelazione, è suonato come una liberazione. C’è dunque, oltre al carattere, il senso di una linea d’ombra, che […] Calenda pare desideroso di sorpassare» (Turco). «Calenda ha una passione per la politica. Nel 2015 lascia Scelta civica. Ma non entra nel Pd. Ha raccontato ai giornalisti, durante uno dei tanti viaggi all’estero, che Renzi gli diceva: “È meglio che ti occupi di cose tecniche. Non parlarmi di politica, perché non è roba per te”» (Dragoni). Calenda si risolse invece a iscriversi al Pd il 6 marzo 2018, due giorni dopo le elezioni politiche che avevano segnato il minimo storico del partito allora guidato da Renzi (intorno al 19% dei consensi in entrambe le Camere). Nel gennaio 2019 lanciò però «Siamo europei», da lui definito «una piattaforma, una lista unica delle forze politiche e civiche europeiste»: sfida prontamente raccolta dal Pd, che accettò di candidarlo alle elezioni europee del successivo 26 maggio come capolista della circoscrizione nord-orientale della lista unitaria «Partito unitario-Siamo europei», consentendogli così di essere eletto europarlamentare, forte di 275.161 preferenze (primato nazionale per un candidato del Pd). Il 28 agosto successivo, tuttavia, dopo che, alla caduta del governo Conte I, il Partito democratico ebbe raggiunto un’intesa col Movimento 5 stelle per la costituzione di un nuovo esecutivo, Calenda abbandonò il Pd, inviando all’allora segretario nazionale Nicola Zingaretti e all’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni una lettera, poi resa pubblica, in cui illustrava le ragioni della sua «decisione difficile e sofferta»: «Penso che in democrazia si possa, e talvolta si debba, fare accordi con chi ha idee diverse, ma mai con chi ha valori opposti. Questo è il caso del M5s. […] Stringendo l’alleanza con il M5s, il Pd rinuncia a combattere per le sue idee e i suoi valori. E, questo, non posso accettarlo. Le elezioni arriveranno. Le avete solo spinte più in là di qualche metro. Quando sarete pronti a lottare, ci troveremo di nuovo dalla stessa parte. […] Rafforzerò “Siamo europei” per dare una casa a chi vuole produrre idee concrete per una democrazia liberal-progressista adatta a tempi più duri e non ha paura del confronto con i sovranisti. Cercherò di mobilitare forze nuove». Il 21 novembre 2019, infatti, Calenda, insieme a Matteo Richetti, annunciò la nascita di Azione, evoluzione partitica di «Siamo europei», che nei mesi successivi ha stretto accordi politici con il Partito repubblicano italiano, il Partito liberale italiano e +Europa, nella prospettiva della costituzione di una «lista democratica e riformista» con cui presentarsi alle prossime elezioni politiche. Nel frattempo, il 18 novembre 2020 Calenda ha annunciato la propria candidatura alla carica di sindaco di Roma, in vista delle elezioni comunali in programma nel 2021, esortando il Pd a sostenerlo. «Negli ultimi mesi ha capito che – almeno a breve – non potrà ambire a Palazzo Chigi e neppure alla guida del Pd, e che col suo partitino al massimo potrebbe strappare qualche seggio sicuro ai dem alle prossime politiche. Robetta. Di qui il ritorno a una antica passione per il figlio della buona borghesia romana: […] il Campidoglio. […] È dal 2017 che Calenda, tra i mille altri, coltiva anche questo progetto: già allora – da ministro – sparò su Twitter 50 slide di progetti per la Capitale, con tanto di costi, dettagli, nuovi autobus e “student hotel”. Su Virginia Raggi si è espresso con la consueta brutalità: […] “Ho provato a darle una mano: è una delle persone più ottuse e arroganti mai incontrate, senza uno staff e col terrore di fare qualsiasi cosa”. Con queste premesse la campagna elettorale si annuncia spumeggiante. Nel Pd hanno le mani nei capelli: “Come si fa lavorare con uno che cambia idea ogni tre ore?”. Per ora il pendolo si orienta verso una sua corsa dentro il centrosinistra. Realisticamente, l’unica opzione che potrebbe davvero portarlo a guidare Roma. Anche se al ballottaggio rischia di non prendere i voti dei grillini, che lui chiama abitualmente “scappati di casa”» (Andrea Carugati). «Sembrano la pupa e il secchione, Virginia Raggi e Carlo Calenda. Ma almeno una cosa in comune ce l’hanno. Sono entrambi candidati per “auto-incoronazione”, come Napoleone, che prese la Corona di ferro e se la mise sulla testa. Di sicuro sono entrambi in opposizione al mondo che li esprime: “dentro e contro” il populismo grillino lei, “dentro e contro” il centrosinistra lui. Tutto il resto li divide. La sindaca, la conosciamo: è la maledizione dell’inadeguatezza, bella e onesta come Ofelia. E invece lui, il famoso Calenda, come candidato sindaco non lo conosce ancora nessuno. Sappiamo solo che, dopo gli ultimi tre sindaci che sembrano uno solo, promette la competenza. […] Sarà una campagna elettorale lunghissima. “Lo stipendio di sindaco è meno della metà di quello dell’europarlamentare, e fare il sindaco è un sport estremo, visti i rischi giudiziari che si corrono”. Calenda aspira al voto dei moderati, somiglia all’uomo del fare berlusconiano e non prenderà mai scorciatoie ideologiche: “È ovvio che sono antifascista, ma non sopporto la mania di dare del fascista a chiunque sia di destra. E neppure di dare del razzista a chiunque vorrebbe limitare l’accoglienza agli immigrati. Anche perché, a furia di dir loro ‘fascista!’ e ‘razzista!’, quelli lo diventano”. Infine, Calenda non sopporta lo sciocchezzaio saputo che dà al romano la colpa del degrado di Roma: “È un pericoloso pregiudizio, questo del bruttissimo cittadino della città bellissima. Non esiste l’antropologia del maleducato con pochi pensieri e solo una decina di parole per esprimersi: anvedi, mortacci tua, le piotte, i sacchi, er capoccione…”. E se sindaco diventasse Massimo Giletti? “Io propongo un ritorno al buon governo. Se invece vogliono divertirsi e restare con le metropolitane rotte, facciano pure”» (Merlo). «Non si farà da parte per agevolare la probabile corsa dell’ex ministro Gualtieri? “Ho girato tutta la città, incontrato centinaia di associazioni. E ora che cosa racconto, ‘scusate, mi faccio da parte?’? No, sono e rimango candidato”» (Labate) • Quattro figli: Tay («il suo nome, voluto dalla madre, significa “pace”») dalla sua relazione adolescenziale con la segretaria del patrigno; Giulio, Giacomo e Livia (iscritti al liceo francese Chateabriand) dalla moglie, Violante Guidotti Bentivoglio. «Cosa fa sua figlia Tay, oggi? Vive a Parigi. […] Fa la fotografa, in teoria: ma io direi che, come tanti della sua età, è sfruttata in uno studio in cui allestisce i set”. È vero che il suo figlio minore, Giulio, nato dal matrimonio con Violante, ha sfilato a Milano con una bandiera rossa? “È affascinato dal comunismo italiano, ma guarirà”» (Telese) • «Lei con i suoi figli è severo? La PlayStation, come scrisse su Twitter aprendo un dibattito infinito anche nel Pd, è ancora vietata a casa sua? “Si. […] Videogiochi e smartphone possono entrare in casa dopo che i bambini hanno assimilato la lettura come abitudine. E comunque non prima dei 14 anni. […] Prima ti devi accontentare di un Nokia senza collegamento a internet”» (Labate). «In casa ci sono regole precise. La televisione è contingentata. Nessuno di loro tre [i figli minori – ndr] tocca i videogiochi. […] I videogiochi sono droga, atrofizzano il cervello. […] Prima che con la tecnologia devono avere a che fare con la cultura». Qualche polemica quando, nell’aprile 2019, «Carlo Calenda […] ha sdoganato il ceffone come strumento educativo. […] La sua uscita […] si consuma in un valzer di tweet, in risposta a un cinguettio di Giuliano Ferrara. Ferrara, dopo avere visto il figlio di Calenda in corteo con Greta Thunberg, auspica una cura di schiaffi. E Calenda invece di difendere il pargolo rivendica di avere già provveduto per tempo, “almeno due volte al giorno”. […] Variazione sul tema: “Ogni tanto anche un bel calcio nel sedere funziona, ma dà meno soddisfazione”. Apriti cielo, ovviamente. Sui social l’ira dei montessoriani si abbatte su Calenda, trattato alla stregua di un sadico pervertito. Tanto che lui deve cavarsela in corner, cioè scherzando: “E ora, scusate, ma devo andare a picchiare i figli, distruggere videogiochi e rubare uova di Pasqua”» (Luca Fazzo) • Nel 2018 Calenda e la moglie hanno rivelato la lotta che la donna sta conducendo da alcuni anni contro un tumore al seno e contro la leucemia, a causa della quale si è peraltro dovuta sottoporre a trapianto di midollo osseo. «“Ho scoperto che spesso il tumore crea anche grandissime fratture nelle coppie, nelle famiglie – ci confida –. Io e Viola ci siamo invece avvicinati ancora di più, e il nostro amore è diventato se possibile ancora più profondo. Abbiamo affrontato apertamente la malattia, parlando con i bambini, spiegando quello che stava succedendo: questo ci aiuta anche a mantenere un clima di normalità in famiglia”. […] Lui e Violante sono insieme da quando avevano 18 anni: hanno condiviso gioie e dolori, sempre rimanendo lontani dai riflettori» (Valentina Santarpia). «La battaglia contro il cancro di sua moglie Violante, di cui avete entrambi parlato pubblicamente, che cosa vi ha lasciato? “La vicinanza di tutti, amici e avversari politici. E anche la consapevolezza politica che il sistema sanitario nazionale italiano è un bene irrinunciabile. Negli Stati Uniti, le cure di mia moglie sarebbero costate un milione di euro, con medici meno preparati”» (Labate) • «Papà e mamma erano molto di sinistra, militanti di Lotta continua, poi iscritti al Pci». «Non mi voterebbe neppure mia madre. Lei è troppo di sinistra». «Ogni volta che dico qualcosa, vengo duramente ripreso da mia madre per il fatto di essere un uomo» • «Il padre di Calenda, […] in pensione, fa lo scrittore e vive nel Salento, anche lui legatissimo al figlio: “Ha perso tutti i soldi, vittima del Madoff dei Parioli, che nel 2016 riuscì a truffare 300 milioni di euro a migliaia di romani”» (Merlo) • «Religione? “Nonno e mamma valdesi, la famiglia di mio padre era invece repubblicana e dunque laica”. […] È stato battezzato? “Sì, perché la moglie di nonno Luigi era cattolica. Feci anche la prima comunione. E ho battezzato i miei figli”. […] Si è sposato in chiesa? “Si. Mia moglie è cattolica. Abbiamo fatto un matrimonio di tradizione, a San Lorenzo in Lucina, con ricevimento al Circolo della caccia”. Testimoni? “I due amici di sempre, Bonifacio Roascio e Andrea Selvaggi, un banchiere e un assicuratore”» (Merlo) • «Non mi interesso molto di calcio. Simpatizzo per la Roma, ma non posso dirmi un tifoso» • «Si è mai drogato? “Droga pesante, mai. Qualche canna quando ero al liceo Mamiani”. Fuma? “Sì. Malboro light”. Beve? “No. Non sono astemio, ma non bevo”» (Merlo) • Un tatuaggio sull’avambraccio destro. «Teoricamente sarebbe uno squalo: siccome sono ingrassato, però, ora pare un tonno… L’ho fatto da ubriaco il giorno prima di sposarmi» • «Influencer scatenato su Twitter (dove scrive una media di 7-8 post al giorno e risponde come un mastino a ogni critica)» (Carugati). «“Sono il solo che risponde direttamente sul Twitter. E, se qualcuno twitta una scemenza, io lo dico”. Perciò litiga con tutti, soprattutto con i suoi amici. E litiga pure con i giornalisti. “Anche ai giornalisti capita di scrivere sul Twitter le scemenze che magari non scrivono sui loro giornali”. Il Twitter “è la finestra sul cortile”» (Merlo) • «Nella sua vita multiforme due sono i punti chiave: le relazioni, tante, tantissime, che gli consentono di cambiare sponsor senza mai cadere per terra, da Montezemolo (il suo vero mentore, grazie all’amicizia col padre di Calenda, il giornalista Fabio) a Monti, Renzi […] e Gentiloni, e l’ambizione smodata di un ragazzo che andava male al liceo e poi si è messo a studiare tanto» (Carugati). «Amicizie che vanno da Fabio Corsico, l’ex capo della segreteria tecnica di Giulio Tremonti quando era ministro dell’Economia, che cura le relazioni istituzionali per il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone (proprietario, tra l’altro, del Messaggero), a Lapo Elkann» (Dragoni). A proposito dei suoi attuali rapporti con Montezemolo: «Non so se “amico” sia la parola giusta. Io gli do ancora del lei. Di sicuro ho lavorato bene con lui. È molto bravo, ma è cattivissimo. Nel senso che si arrabbia molto» • «“Renzi e Zingaretti sono riformisti rammolliti”. A Di Maio “non affiderei un bar”. Conte “è un avvocato di provincia capitato lì per caso”. Gli italiani sono “inconsapevoli”, anzi “ignoranti”. E “la mia soluzione ardimentosa è far loro dei corsi sulla complessità”» (Corrias). «Il Movimento 5 stelle aggredisce la democrazia rappresentativa. Mette in discussione la libertà di mandato della rappresentanza parlamentare». «Lei pensa che Salvini sia razzista? “Salvini è un opportunista politico. Se domani andassero di moda i migranti e le Ong, lui si dipingerebbe la faccia e andrebbe sulle barche”. Quindi non è razzista. “Contribuisce a sdoganare il razzismo, perché agli aspiranti autocrati serve avere nemici. Sempre”» (Telese). «Con Renzi ci siamo intesi su molte cose, per esempio sull’ambizione di cambiare il Paese attraverso riforme importanti come il Piano Industria 4.0, ma su altre proprio no. Io vivo di realismo, lui di messaggi motivazionali. E, in quanto al confronto, se gli dici che sta facendo un errore entri subito nella categoria dei nemici. Per me fare politica è lavorare insieme, sennò faccio il manager: almeno mi arricchisco». «A volte lei sembra il lato A o B di un disco che sull’altra facciata ha Matteo Renzi. “Ho detto più volte che lo considero il miglior presidente del Consiglio degli ultimi decenni. Ma abbiamo uno stile molto diverso”. Chi è più spregiudicato? “Quello tra i due che prima ha detto ‘mai coi Cinquestelle, a costo che governi Salvini’ e poi si è alleato coi Cinquestelle per non far andare al governo Salvini; e che oggi governa in una maggioranza con Salvini. Il tutto nello spazio di due anni e mezzo”. Ma questo è Renzi. E poi, cambiare idea è legittimo, a volte auspicabile. “Ho cambiato idea mille volte anche io. Ma sempre mantenendo una coerenza di fondo e spiegando le ragioni del cambiamento”. Farebbe le conferenze a pagamento che Renzi fa in giro per il mondo? “Se sei pagato dagli italiani per fare il senatore non puoi prendere soldi da uno Stato straniero. Punto”» (Labate) • «Cosa la distingue da Matteo Renzi, politicamente, oggi? “Molte cose. In primo luogo la lettura dei processi di globalizzazione: il progresso è andato molto più veloce della società, e la sinistra deve essere all’altezza di questa sfida, tornare a difendere i ceti più esposti e spaventati. […] Noi dobbiamo dare diritto di cittadinanza alla paura, e dobbiamo intervenire contro le disuguaglianze. Lui ha in mente un versione della terza via “blairiana” riveduta e corretta, io un riformismo nuovo. Tutto da costruire”. […] Sta diventando dirigista? “Se il mercato produce valori che sono sotto la soglia di sussistenza, sì!”. E allora sul salario minimo segue Nicola Fratoianni e Maurizio Landini? “Non seguo nessuno: io sono a favore del salario minimo”» (Telese). «Per 30 anni ho scritto e sostenuto le cazzate del liberismo». «La narrazione diceva: il commercio libero aumenterà le esportazioni e difenderà il lavoro. Risultato: record delle esportazioni… ma anche record di poveri. È fallito il principio per cui, tolte alcune garanzie, sarebbero arrivate più opportunità: i governi non hanno dato ai cittadini gli strumenti per cogliere quelle opportunità». «Abbiamo sostenuto per anni che bisogna difendere il lavoro e non il posto di lavoro, ma così un operaio del tornio prende il fucile e spara. È quello che è successo nelle urne nel 2018» • «Piccolo esame di sinistra: favorevole o contrario ai matrimoni tra gay? “Favorevole”. L’eutanasia? “Favorevolissimo”. La fecondazione eterologa e l’utero in affitto? “Contrario”. Una patrimoniale sui redditi più alti? “Contrario. Ma sono favorevole all’aumento delle tasse sulle case di lusso, al rifacimento del catasto e allo spostamento delle imposte verso le rendite”» (Zincone). «Sono per la legalizzazione della droghe leggere perché sottrarrebbe 7 miliardi al crimine organizzato. Ma non sono per lo sballo» • «Irrequieto anche nella cangiante estetica: magro, grasso, con barba, senza barba, con cravatta, in Lacoste, ma anche in costume da bagno con l’ombelico all’aria e il cigno sullo sfondo» (Corrias). «Perché ha messo una foto di lei in mutande da bagno su un lago? “Nasceva da un gioco goliardico nella chat con i miei due migliori amici. La prova che non invecchiamo. Si chiama ‘A, B, C’, e C sono io”. Ma perché renderla nota? “Per combattere l’idea che devi avere il fisico da tronista per fare politica”» (Telese) • «Le elenco alcuni aggettivi che circolano su di lei: preciso, caparbio, ordinato, sicuro. Ne scelga uno per lasciare un’impronta. “Sono tutti orrendi. Preferisco […] ‘appassionato’. Ecco, innanzi tutto penso di essere una persona che sa cos’è la passione”» (Stefania Rossini). «Cosa deve al metodo Montessori? “La fiducia in me stesso”. Il difetto? “La mancanza di disciplina”. Anche l’instabilità? “Ma io non sono instabile. Come può essere instabile un monogamo […] che vive da trent’anni con la stessa donna? Al contrario, io sono testardo, un vero capoccione”» (Merlo) • «Uno Zelig capace di interpretare tante (forse troppe) parti in commedia» (Carugati). «Simpaticissimo o antipaticissimo a seconda dei punti di vista, che non prevedono la via intermedia: o l’una o l’altra, ma forse più la seconda» (Labate). «Spermatozoo d’oro della Roma borghese dalle insegne artistico-intellettuali, l’Urbe dei quartieri con prenotazione obbligatoria, tra Villa Balestra ai Monti Parioli e piazza Caprera nel cuore di gnomo del quartiere Trieste» (Fulvio Abbate). «Il romanzo di formazione di Calenda, di cui ancora non sappiamo l’esito, sembra “l’infanzia di un capo” ma in versione democratica, la nascita non del dittatore ma del leader, nella borghesia romana delle professioni intellettuali: niente palazzinari e niente marchesi di baldacchino, salotti eclettici di confronto e disincanto che riflettono su se stessi. Se non ci fosse il cinema, sembrerebbe un pezzo di Milano. […] Maestro nell’arte della conversazione, napoleonico ma in versione Rascel, che “diventato” romano scrisse Arrivederci Roma, ma non fu mai romanesco, imperioso ma garbato. E Calenda è risolto con se stesso, non fa il giovanilista, è in pace con il corpo rotondo, non ha l’ossessione della pancia che tormenta Renzi» (Merlo). «Carlo è sempre il più pronto. Gli altri neanche hanno fatto mente locale, che lui ha già esternato. O, se non parlano per prudenza, travagliati da dubbi, Calenda taglia corto e dice la sua. Indice di sicurezza o sicumera? È il grande dilemma» (Perna). «Carlo è incompatibile con tutti quelli che non sono lui» (Goffredo Bettini) • «Insomma, si muove, propone, agisce, ma trova continue resistenze. Come lo spiega? “Con il rifiuto della modernità. È un atteggiamento diffuso, ed è anche colpa nostra, della classe dirigente, perché mentre il mondo cambiava a velocità siderale non abbiamo dato ai cittadini gli strumenti culturali per comprendere quanto stava accadendo”. […] Ha una ricetta anche per questo? “Sì, tanti investimenti, nei beni materiali e immateriali, nella cultura e nell’industria. Gli investimenti sono lo strumento più forte di inclusione sociale. È mai possibile che non si dica che l’industria ha reso grande questo Paese? Anche la pubblicità televisiva è un continuo elogio della campagna e dell’agricoltura. Nessuno ricorda che quando eravamo un Paese agricolo si viveva in condizioni terrificanti dal punto di vista economico, umano e culturale”. Ad ascoltarla, sembra che si senta investito di una missione politica. “Infatti è così”» (Rossini).