20 aprile 2021
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Biografia di Ilaria Capua
Ilaria Capua, nata a Roma il 21 aprile 1966 (55 anni). Virologa. Docente alla University of Florida, a Orlando, dove dal 2016 dirige The One Healt Center presso la facoltà di Medicina veterinaria. Dal 2013 al 2016 deputata, eletta con Scelta civica per l’Italia. «Quando dico “zooprofilattico”, mi chiedono se facciamo preservativi per gli elefanti».
Vita «Nata a Roma, la piccola Ilaria entrò subito in confidenza con gli animali, perché il padre Carlo, avvocato, teneva sempre per casa cinque o sei cani da caccia e almeno due gatti. Nella capitale ha frequentato la St.George’s british international school, dov’era in classe con Alessandro Gassman, futuro attore; Andrea Guerra, futuro amministratore delegato di Luxottica; e Natalia Augias, futura giornalista del Tg1: “La terza era la più secchiona. Io studiavo, ma senza ammazzarmi. Mi sono riscattata all’università. Una fatica da morire” (Stefano Lorenzetto) • «Mio padre mi voleva avvocato, ma desideravo fare una facoltà scientifica e andar via da casa. Così mi inventai una passione per gli animali perché a Roma Veterinaria non c’era e, con la clausola di salvaguardia di non perdere esami e di prendere tutti 30, potei partire per Perugia, che era scritta nel mio Dna ben prima che io nascessi perché mio nonno Mario, detto anche nonno Banda (si chiamava Mario Bandini, ndr), era stato preside della facoltà di Agraria di Perugia» (a Maria Luisa Colledani) • Dopo la laurea in Veterimaria a Perugia conseguita a 22 anni, la specializzazione in Sanità pubblica veterinaria all’Università di Pisa e il dottorato di ricerca a Padova, fu assunta per concorso all’Istituto zooprofilattico d’Abruzzo e Molise: «Ho fatto la naia per sette anni a Teramo» • «Il suo battesimo di fuoco lo ebbe nel 1996 col virus Ebola. “Ero andata in Sudafrica per un focolaio di Crimean Congo haemorrhagic fever in un allevamento di struzzi. Appena giunta a Pretoria, il professor Robert Swanepoel, veterinario dell’Istituto nazionale di virologia di Johannesburg, mi spiegò che era alle prese con un’emergenza ben peggiore: un medico che assisteva i malati di Ebola nel Gabon s’era sentito male e aveva avuto la brillante idea di salire su un aereo per farsi ricoverare in un ospedale della capitale sudafricana. A nessuno disse che poteva trattarsi del virus Ebola. Quella volta morì solo un’infermiera, mentre il medico spregiudicato se la cavò”» (a Lorenzetto) • Da direttrice del laboratorio di riferimento della Fao e dell’Oie sull’aviaria presso l’Istituto zooprofilattico delle Venezie di Padova, il 16 febbraio 2006 isolò il virus H5N1 del primo focolaio africano, in Nigeria, e decise di rendere pubblici e condivisibili i risultati dei suoi studi. «S’impose isolando coi suoi collaboratori, primo fra tutti Giovanni Cattoli, il primo virus africano H5N1, la nasty beast (brutta bestia, secondo la definizione di Nature) dell’influenza aviaria umana. Quella nuova forma di peste che, se infetta qualcuno, la maggior parte delle volte lo ammazza. Ciò che la rese celeberrima fu tuttavia il passo successivo. Cioè la risposta che diede all’alto funzionario dell’Oms che l’aveva chiamata per chiederle di mettere tutto ciò che sapeva in un database privato del quale avrebbe avuto una delle 15 password d’accesso. Quella scelta di condividere la scoperta in una cerchia ristretta poteva significare fama, finanziamenti, prestigio, soldi. Ma lei, come ricorda nel libro I virus non aspettano (Marsilio) decise di rifiutare quell’occasione di entrare in un cenacolo di eletti: “Ero assolutamente basita. Intimidita e scandalizzata al tempo stesso. Era assolutamente indispensabile che le forze si unissero e quindi dare l’informazione soltanto a quindici laboratori mi sembrava insensato”. E così mise la sua scoperta su GenBank, a disposizione di tutti. Guadagnandosi “lettere di sostegno da tutto il mondo, un servizio su Science, un hip hip urrà da Nature, un’intervista in doppia pagina con ritratto dal Wall Street Journal, un editoriale sul New York Times. Ma anche una valanga di critiche dure e taglienti dai colleghi che appartenevano al gruppo dei quindici laboratori afferenti al database privato”. Li lesse anche Kofi Annan, quegli articoli. E volle capire com’era andata perché gli pareva impossibile che scoperte in grado di salvare la vita alle persone potessero venire egoisticamente tenute nascoste. E si mise in moto un meccanismo che ha portato nel tempo a una maggiore trasparenza e condivisione delle informazioni utili a tutti» (Gian Antonio Stella) • «Il Wall Street Journal la definì la “strong lady” della ricerca scientifica, molti si interrogarono sul senso di avere delle banche dati chiuse su temi come la salute e conclusero: non c’è alcun senso. In breve, la Capua diventa una star, almeno all’estero dove i suoi cicli di conferenze sembrano il tour di un cantante. Per Scientific American è “uno dei 50 scienziati più importanti del mondo”, il magazine Seed la incorona “mente rivoluzionaria”. Lei minimizza: “Ho fatto solo una cosa logica, di buon senso. Io sono un dipendente pubblico e sono pagata per tutelare la salute degli animali e delle persone, che non sono due cose slegate come si pensa, anzi... Sono convinta che solo attraverso la collaborazione fra scienziati si possano risolvere problemi complessi e per collaborare serve la trasparenza dei dati. Non è più tempo di chiudere i virus nei cassetti e dire: questo me lo guardo io. Certi dogmi vanno superati”» (Riccardo Luna) • Nel 2009 fu protagonista dell’identificazione del virus che in Messico e Stati Uniti aveva causato l’epidemia di influenza suina • Nel 2011 è stata la prima donna e la prima persona sotto i sessant’anni a vincere il Penn Vet World Leadership Award, il più prestigioso premio nel settore della medicina veterinaria • «Quella volta che, nel bel mezzo di un vertice con funzionari ministeriali e insigni cattedratici, un alto papavero le sibilò all’orecchio, a voce neanche troppo bassa: “Non mi ricordavo che avessi questo bel paio di tette”, e lei replicò: “Non ti do una gomitata in bocca perché sono una persona educata”. Più imbarazzante dell’infortunio occorsole a Bamako, nel Mali, quando da un computer degli organizzatori africani partì, anziché la sua presentazione sulla diagnostica di laboratorio, un film porno: “Con audio sparato a palla. Su maxischermo”» (Lorenzetto) • Candidata come capolista di Scelta Civica per l’Italia nella circoscrizione Veneto 1 alle politiche del 2013, fu eletta deputata della XVII Legislatura. Fino al luglio 2015 è stata vicepresidente della commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera. In seguito alla vicenda giudiziaria in cui era stata accusata di traffico di virus e poi prosciolta (vedi sotto), nel maggio 2016 presentò le dimissioni da deputata per tornare a lavorare nella ricerca come direttrice dello One Health Center of Excellence della University of Florida. Il 28 settembre 2016 la Camera accolse le dimissioni con voto segreto (238 voti favorevoli e 179 contrari) • «Non sono il primo ricercatore ad andarsene e non sarò l’ultimo. Penso però che la mia situazione sia particolare perché sono un cervello maturo e ho una serie di caratteristiche che il 25enne non ha. Ho un network internazionale, sono stimata nel mio mondo, tant’è che ho continuato a tenere relazioni come quella al Centro europeo di Malattie infettive a Stoccolma: l’Italia così non perde solo la mente da scienziato, perde anche una persona credibile e rispettabile il cui nome era spendibile nei circuiti internazionali. La mia sintesi è che vendo la pelle ma non vendo lo scalpo: per tutta una serie di motivi ho deciso che il tempo che mi resta da vivere devo investirlo meglio. Voglio restituire ai giovani ricercatori quello che so fare» (a Massimo Sideri nel 2016) • «Tra i primi scienziati italiani a mettere in guardia dagli effetti devastanti del Covid (“arriverà in Italia, farà danni giganteschi in giro del mondo, cerchiamo di implementare subito lo smart working”, dichiarava ancor prima della scoperta dei paziente zero di Codogno)» (Emiliano Fittipaldi) • Dallo scoppio della pandemia di coronavirus richiestissima nei talk televisivi e sui giornali • Secondo l’analisi dello scorso 18 aprile realizzata da Kpi6 per Agi, è il virologo italiano con l’indice di gradimento più alto • «È da qui, dalla sua casa di Gainesville, che Ilaria risponde alle chiamate dall’Italia nel piccolo dehors davanti al quale ha costruito il suo orto immaginario: piante aromatiche da una parte, basilico, salvia, menta, rosmarino, peperoni, zucchine con fiore, limoncini, pomodori mediterranei dall’altra. Le erbe funzionano bene, e difatti la figlia le ha appena preparato una pasta con salsa trapanese (pomodori, aglio, mandorle e appunto basilico), mentre le altre stentano. “Gli ortaggi non mi vengono tanto bene, ma li raccolgo lo stesso e mio marito e mia figlia li buttano di nascosto. Lo curo mezz’ora al giorno, produce poco e non è perfetto. Ecco perché lo chiamo orto immaginario: è un work in progress, un gioco, e rilassa”» (a Maria Luisa Agnese) • Nel maggio 2020 ha pubblicato il saggio Il dopo. Il virus che ci ha costretto a cambiare mappa mentale (Mondadori) e nel febbraio 2021 il libro per bambini Il viaggio segreto dei virus (De Agostini).
Vicenda giudiziaria Il 5 luglio 2016 il tribunale di Verona l’ha prosciolta «perché il fatto non sussiste» dalle accuse di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione abuso d’ufficio e traffico illecito di virus. «La vicenda giudiziaria emerse nel 2014, quando il settimanale L’Espresso pubblicò un’inchiesta giornalistica realizzata da Lirio Abbate con il titolo “Trafficanti di virus” (tutto maiuscolo, in copertina). Il lungo articolo, che aveva un taglio piuttosto colpevolista, diceva che Capua risultava essere indagata da quasi dieci anni nell’ambito di indagini giudiziarie e dei carabinieri del Nas. Era accusata di fare parte, con il marito, di una associazione a delinquere che – con la collaborazione di alcune società farmaceutiche e di funzionari del ministero della Sanità – aveva l’obiettivo di guadagnare grazie alla vendita di vaccini contro l’influenza aviaria. I magistrati avevano sostenuto che il gruppo avesse diffuso il virus in alcuni allevamenti del nord-est per causare un’epidemia e quindi vendere più vaccini. L’iniziativa giudiziaria era nata da un informatore italiano di un’altra inchiesta su virus e vaccini negli Stati Uniti. Dopo quasi dieci anni di indagini, con la sorveglianza telefonica di diverse persone del presunto gruppo, nel 2015 la procura di Roma aveva chiesto il rinvio a giudizio per 41 persone, tra ricercatori, funzionari del ministero della Salute e manager delle case farmaceutiche. L’anno precedente era uscita l’inchiesta di Abbate, che aveva portato a grandi polemiche e attacchi nei confronti di Capua, che intanto era stata eletta, da parte di esponenti di diversi partiti, a partire dal Movimento 5 stelle. Il caso era molto complesso e in seguito si sarebbe scoperto che tra la documentazione prodotta c’erano imprecisioni, errori e carenze di vario tipo. Mentre L’Espresso pubblicava altri articoli con titoli come “La cupola dei vaccini”, l’inchiesta veniva spezzettata e trasferita dalla procura di Roma ad altre procure, a seconda delle competenze territoriali. Il caso specifico di Ilaria Capua era di competenza della procura di Verona, dove il tribunale si è espresso a luglio 2016 prosciogliendo la ricercatrice e gli altri indagati perché “il fatto non sussiste”» (il Post) • Il 28 settembre 2016, il giorno in cui la Camera ha accettato le sue dimissioni da deputata, nell’Aula di Montecitorio ha tenuto un duro discorso in cui ha definito la vicenda dell’inchiesta «un incubo senza confini e una violenza che non solo mi ha segnata per sempre, ma che ha coinvolto e stravolto anche la mia famiglia» e che le accuse nei suoi confronti hanno reso meno efficace il suo lavoro da parlamentare, tanto da sentire l’esigenza di lasciare il Parlamento e tornare alla ricerca: «Nell’affrontare ogni giorno in questa Camera la mia nuova condizione di “persona non credibile”, e oltretutto accusata di crimini gravissimi, ho vissuto sulla mia pelle per oltre due anni, come la mancanza di credibilità non mi stesse permettendo di portare avanti quello per cui mi ero impegnata con i miei elettori» • «Ricominciamo da capo: Ilaria Capua nasce a seconda vita alle 16 del 3 aprile 2014, quando riceve un avviso di garanzia via copertina dell’Espresso. È gialla con un uomo in scafandro che maneggia scatoloni col simbolo del pericolo biologico. Titolo: “Trafficanti di virus. Accordi tra scienziati e aziende per produrre vaccini e arricchirsi. L’inchiesta sul grande affare delle epidemie”. Ilaria sta per compiere 48 anni. È una deputata di Scelta civica. È una scienziata di prestigio internazionale. La prima donna a vincere il Penn Vet World Leadership Award, il più importante al mondo nel campo della veterinaria. È entrata nell’elenco dei cinquanta scienziati più importanti al mondo della Scientific American. Ha trasformato due stanze di Legnaro, provincia di Padova, in una delle capitali mondiali della virologia. La stampa specializzata la definisce “mente rivoluzionaria”. È conosciuta alla platea dei profani perché nel 2006 ha codificato la sequenza genetica del primo ceppo africano di influenza H5N1 (la famigerata aviaria) e, anziché depositarlo in un database limitato, accessibile solo ai centri più autorevoli, lo ha condiviso coi centri di tutto il pianeta, sfidando e ribaltando il sistema. Ha inventato Diva, la prima strategia di vaccinazione contro l’aviaria. Fino alle 15.59 del 3 aprile 2014, Ilaria Capua è un capolavoro, di quelli che l’Italia sa produrre. Poi è il mostro. “Due giorni prima avevo ricevuta una mail da un giornalista dell’Espresso. Progettava un articolo sull’aviaria e aveva bisogno di me. Ci siamo sentiti per telefono. Mi ha detto: “Sto scrivendo un pezzo su un traffico illegale di virus e di vaccini. Sa di essere coinvolta nell’inchiesta?”. Non sapevo nemmeno che ci fosse un’inchiesta. Lui lo sapeva, io no. Lui sapeva tutto, io niente. Quando è uscito l’articolo l’ho letto, una mitragliatrice”. L’Espresso elenca i capi d’accusa. Il più grave è procurata epidemia. Pena prevista: ergastolo. “Sono accusata di avere diffuso virus pericolosissimi per guadagnare sui vaccini in combutta con le case farmaceutiche. Sono accusata di aver attentato alla salute del mio paese e del resto del mondo per arricchirmi. Scoprirò che l’indagine dura dal 2005, da nove anni e i fatti risalgono al ’99, quindici. Sono anni che mi intercettano, sentono le mie conversazioni, le equivocano, le rimettono insieme secondo un ordine arbitrario e delirante. E mi chiedo: perché non mi hanno arrestata allora? Se sono una mente criminale, un’untrice che diffonde malattie, perché non mi hanno fermata quando ero in laboratorio?”. E perché non l’hanno mai interrogata? “L’articolo è il più clamoroso ammasso di errori, inesattezze, fraintendimenti, la più incredibile collezione di falsità scientifiche che mi sia capitato di leggere”. L’articolo sgorga dalle carte della procura. “L’epidemia del 1999, di cui sarei artefice, è causata da un virus H7N1 e non da un virus H7N3, come riportato sull’Espresso. Cambia una cifra, ma sono due virus diversi. Il virus H7N3 non è mai arrivato in Europa, è come essere accusati di omicidio di un uomo che è vivo. Mi accusano di avere provocato un’epidemia fra gli esseri umani, ma il virus H7N3 non infetta le persone, soltanto gli animali. Imparerò che i pm mi accusano di avere creato una società segreta all’estero, la 444, su cui avrei versato le tangenti, ma il 444 è un capitolo contabile dell’Istituto di Legnaro, il fondo da cui attingiamo per tutte le spese. Davvero non lo sanno? Non hanno fatto una telefonata? O credono che incassi le tangenti su un conto dell’Istituto?”. Ilaria non ha in mano nulla, né l’avviso di garanzia né l’atto di chiusura indagini. Niente su cui gli avvocati possano lavorare. Le prime strategie difensive si studiano sull’articolo dell’Espresso. Così funziona la giustizia. Così funziona il giornalismo: escono su tutta la stampa le intercettazioni, con gusto quelle in cui una collega la definisce “zoccolaccia”, in cui qualcuno dice “quest’anno il pacco non è ancora arrivato”, e sarebbe la prova provata. Di che cosa, boh. Il Movimento 5 stelle rende giustizia al mondo dei reietti. Alessandro Di Battista scrive un tweet con l’hashtag #arrestanovoi, anche se non è stato arrestato nessuno. Il web chiede vendetta. “Poi la fanno ministro della Sanità, troia”. “Grandissima zoccola”. “Meriterebbe di iniettarglielo a forza il virus”. “Iniettateglielo a lei!!!!”. “Alla gogna!!!!“. Il Movimento chiede le dimissioni dalla commissione Cultura (che si occupa anche di scienza) e dal Parlamento. “Ti dici: non è possibile. Chiedi come puoi urlare al mondo che non è vero, quella non sono io. Poi quasi ti convinci, pensi che qualcosa forse lo hai fatto, in qualcosa sei rimasta impigliata, e sei sola contro tutti perché quella sbagliata sei tu. Mi vergognavo a camminare per strada. Mi guardavo allo specchio e mi vedevo vecchia, brutta. Ancora oggi dormo poco, mi sveglio di soprassalto. Non se ne esce mai per davvero. Ecco perché ho deciso di ricominciare a raccontare, perché voglio bene a questo Paese, perché penso a chi oggi è nelle mie condizioni di ieri, e ha meno voce di quanta ne avessi io”» (Mattia Feltri sulla Stampa del 25/6/2017) • Sulla vicenda ha scritto il libro Io, trafficante di virus. Una storia di scienza e di amara giustizia (Rizzoli, 2017, con Daniele Mont D’Arpizio) • «C’era chi si aspettava delle scuse per il linciaggio mediatico, la reputazione insozzata e la vita rovinata. Ma per chiedere scusa a Ilaria Capua, definita “trafficante di virus” e ricercatrice “senza scrupoli” pronta “ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie”, bisognava dare la notizia della sua completa innocenza. E invece l’Espresso, che due anni fa aveva sbattuto la scienziata in prima pagina (“Trafficanti di virus”, era la copertina), nel suo ultimo numero non trova spazio in 102 pagine per un rigo sul proscioglimento della Capua. Non è successo nulla. Ma per il settimanale nascondere l’assoluzione non è sufficiente, bisogna continuare a sospettare, infangare, insinuare. L’Espresso sul sito (e solo sul sito), per mano dell’autore dell’inchiesta, Lirio Abbate, scrive che la Capua è stata prosciolta “ma le intercettazioni svelano il grande business”. E addirittura la virologa dice parolacce al telefono (scoop!). Forse indossa anche calzini turchesi. Il quotidiano Repubblica, sempre del gruppo editoriale Espresso, con una firma di punta come Carlo Bonini scrive che la Capua è stata assolta per una caterva di reati, ma c’è un’accusa che risulta prescritta. Oibò. Poi Bonini le dà della bugiarda: non è vero, come lei sostiene nelle sue interviste, che non è mai stata sentita dai magistrati, nel 2007 è stata interrogata dal pm Capaldo. Con una manovra a tenaglia l’Espresso rilancia l’accusa sul sito: “Ilaria Capua sostiene di non essere mai stata ascoltata dai magistrati. Non è vero”. Raramente si era visto tanto accanimento su una persona innocente e prosciolta, pur di non fare autocritica su un’inchiesta flop» (Il Foglio del 9/7/2016) • Nell’aprile 2018 il gip di Velletri Gilberto Muscolo ha archiviato il procedimento che vedeva imputati per diffamazione di Ilaria Capua l’allora direttore dell’Espresso Luigi Vicinanza e l’attuale vicedirettore Lirio Abbate.
Amori Da vent’anni è sposata con lo scozzese Richard John William Currie, ex dirigente della Fort Dodge Animal di Aprilia, azienda attiva nella produzione di vaccini veterinari. Si sono conosciuti in aeroporto a Francoforte. Hanno una figlia, Mia, nata nel 2004 • «Come concilia l’attività di scienziata con quella di madre? “Con grande fatica e senso di inadeguatezza. Terribile il giorno in cui mi telefonò la maestra dell’asilo nido: ‘Signora, volevo dirle che oggi è il 3 giugno e fuori ci sono 30 gradi. Sua figlia ha i piedini lessi. Magari potremmo toglierle le pantofoline di lana e metterle i sandalini, che dice? Me li fa avere?’”» (a Lorenzetto).
Curiosità È cugina di Roberta Capua • Ama indossare orecchini spaiati • Di recente ha scoperto la passione per la macchina da cucire: «Il rumore per me magico della macchina per cucire, ta-ta-ta, il rumore dell’infanzia. Un’amica aveva un esemplare di cui doveva sbarazzarsi, io l’ho accolto volentieri, non sapendoci far niente ho cominciato con la cosa più semplice: le presine da cucina, indispensabili per non bruciarsi. Non sono brutte, anche se dovevano essere tonde e invece mi sono venute quadrate, rosse da una parte, viola dall’altra, gialle, blu» (ad Agnese).