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 2021  aprile 21 Mercoledì calendario

Biografia di Luca Palamara

Luca Palamara, nato a Roma il 22 aprile 1969 (52 anni). Giurista. Ex magistrato (1996-2020). Ex componente del Consiglio superiore della magistratura (2014-2018). Ex sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria (1997-2002) e presso il Tribunale di Roma (2002-2014; 2018-2020). Ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati (2008-2012). «Il potere è innanzitutto controllo» • «Mio padre Rocco era un importante magistrato di origine calabrese molto legato alla sua terra, dove tornava, anche con me e mia sorella bambini, ogni volta che riusciva a ritagliarsi del tempo libero. Il piccolo paese dove nacque e dal quale emigrò a Roma con una valigia di cartone negli anni Cinquanta, Santa Cristina d’Aspromonte, abbarbicato su una montagna impervia che guarda la piana di Gioia Tauro, alla sua morte – avvenuta prematuramente nel 1988, a soli 61 anni – per affetto e riconoscenza gli ha intitolato una strada. Mia madre è un’insegnante di origini abruzzesi che ha passato la vita a combattere una brutta forma di depressione. Il giorno in cui mio padre morì fulminato da un infarto sul lavoro, mentre stava chiudendo un importante trattato di estradizione con gli Stati Uniti d’America, io avevo solo 19 anni. Proprio quella mattina, forse un segno del destino, aprivo per la prima volta, convinto di dover studiare, il libro di Diritto romano, primo esame del primo anno di Giurisprudenza. […] Prima dell’università avevo fatto tutti i cicli di studi – dalle materne alla maturità – alla scuola cattolica Cristo Re di Roma, e c’è mancato poco che mi facessi prete. Fratel Roberto, la mia guida spirituale, mi aveva prescelto come chierichetto della scuola. […] La morte di mio padre rappresentò uno shock violento nella mia vita. Ero visceralmente legato a lui: per me rappresentava una montagna che mi preservava da qualsiasi folata di vento, ma soprattutto un esempio da imitare per la passione che nutriva per il lavoro del magistrato. Il giorno dei suoi funerali, l’allora ministro dell’Interno Amintore Fanfani mi chiama da parte e mi dice che l’amministrazione è pronta ad accogliermi nella Polizia. La tanto vituperata Prima Repubblica era anche questo. Lo ringrazio per il sostegno ma declino l’offerta, perché nella mia testa è scattata una molla: anch’io voglio entrare in magistratura. Per un mese intero però rimango a letto e guardo il soffitto. Una mattina di marzo decido che devo reagire. In tre anni, dal marzo del 1988 al luglio del 1991, mi tolgo tutti e ventuno gli esami con la media del 30. Nel novembre del 1991 mi laureo quindi a pieni voti cum laude, a 22 anni, alla Sapienza di Roma, e nel frattempo tutte le amicizie che contavano si sono improvvisamente dileguate. Mi ritrovo solo, nel 1996 supero il concorso e il 15 dicembre 1997 inizio la mia avventura in magistratura» (ad Alessandro Sallusti). «“Scelgo come prima destinazione la Procura di Reggio Calabria, allora classificata come sede disagiata. Non avevo particolari idee politiche: […] un cattolico moderato, i cui primi voti oscillavano tra i partiti di centro”. Ma quelli sono anche gli anni di Tangentopoli, e del crollo proprio di quel centro politico. “L’azione eroica e spregiudicata di Di Pietro entusiasma la mia generazione di aspiranti magistrati, ci carica di forti idealità, oltre a cambiare per sempre le gerarchie, il ruolo e l’immagine della magistratura. […] Siamo giovani e ambiziosi, ci sentiamo investiti di una missione salvifica. Chi immaginava di fare il giudice si converte alla carriera dell’inquirente, il pm senza macchia che caccia i cattivi, che è ricercato dai giornalisti, che prima o poi finirà sui giornali e in tv. […] Io più che dalle manette sono affascinato da altri aspetti di quella vicenda. Studio e ristudio i meccanismi di Tangentopoli, e non mi riferisco al merito delle inchieste. Mi intriga capire, per esempio, lo scontro di potere tra le procure di Milano e Roma per la gestione dei vari filoni. Vedo il proliferare di iniziative analoghe in tutta Italia, e mi chiedo: puro spirito di emulazione o c’è un disegno? E, se c’è, chi tira i fili? […] So che nulla accade per caso, c’è sempre un meccanismo, un sistema invisibile che si muove all’unisono. E io cerco la porta d’ingresso”. La trova? “Non subito, ovviamente. Ma noto una cosa: la maggior parte dei colleghi che contano sono iscritti a Magistratura democratica, la corrente di sinistra della magistratura. Quando arrivo alla mia prima sede, Reggio Calabria, rimango subito coinvolto in una rissa che diventa guerra. […] Inesperto, per poco ci lascio le penne perché mi schiero contro il vertice. Capisco che ho bisogno di una protezione, e per questo mi iscrivo alla corrente di Magistratura democratica. Ecco, in quel momento, anche se ancora non ne ho piena coscienza, varco la porta ed entro nel ‘Sistema’. […] Capisco l’importanza delle relazioni: quando nel weekend rientro a Roma, ne coltivo il più possibile, soprattutto tra i colleghi della mia generazione, e intuisco che un giorno potrebbero tornarmi utile, e così sarà. Poco dopo ho la prima, piccola conferma che il ‘Sistema’ funziona”. Racconti. “All’inizio del 1998 Armando Spataro, magistrato della Procura di Milano già allora famoso e in prima linea sia nella lotta al terrorismo sia per il suo impegno politico dentro le correnti di sinistra della magistratura, si candida al Csm e viene a Reggio Calabria in campagna elettorale. Io gli garantisco il mio voto e ne procuro altri: già allora ero bravo a fare queste cose. Spataro viene eletto, e nel corso del suo mandato al Csm io chiedo il trasferimento a Roma. La domanda viene respinta: non ci sono posti liberi, se voglio possono dirottarmi sulla Procura di Tivoli. Io ci penso una notte, e rispondo ‘No, grazie’. Ma quando già dispero arriva una telefonata”. Mi lasci indovinare: Spataro? “‘Caro Luca’, mi dice, ‘quel posto a Roma per te si è liberato: auguri e buon lavoro’. C’entrava il merito? Può essere: io la vissi come una cooptazione del leader più potente dei duri e puri della sinistra giudiziaria, al quale sono rimasto sempre affezionato: restituiva un piacere ricevuto e nello stesso tempo mi arruolava in modo ancora più stretto alla causa. In quel momento ebbi la certezza di come funziona un tassello del sistema: io do una cosa a te, tu al momento opportuno la darai a me. Ma avevo chiara anche un’altra cosa”. Quale? “Che io dovevo trovare il modo di farle, le telefonate, non riceverle. E per questo mi serviva essere a Roma e non a Reggio Calabria, non in Magistratura democratica, corrente ideologica e non scalabile da uno con la mia storia, ma in una corrente meno strutturata e più pragmatica”. Tipo Unicost? “Sì, Unità per la Costituzione poteva fare per me, un uomo che nasce al centro politico e che ama stare al centro dei giochi, mediare”» (Sallusti). «All’inizio della mia avventura – siamo nel 2003 –, alla possibilità del cambiamento, ci credevo: avrei davvero voluto contrastare l’egemonia culturale della sinistra giudiziaria. […] A fine 2003 uscii da Magistratura democratica. Accadde dopo un congresso in cui era ospite il segretario della Cgil Cofferati, che tra l’entusiasmo dei magistrati presenti sparò a palle incatenate contro Berlusconi e il suo governo in quel momento in carica. […] Io in quel momento maturo l’idea di mettermi in proprio: il seguito per fondare a Roma un mio gruppo di corrente, ce l’ho. Iniziamo le prime riunioni politiche a casa di un mio collega del concorso, alle quali un po’ alla volta iniziano a intervenire molti altri desiderosi di cambiare il sistema delle correnti. Ma alla fine mi faccio sedurre dalle avances di Unicost. A loro dico chiaramente: io ho i voti, voi la rete, vengo con voi ma a patto di riformare e comandare. Nel 2005 stravinco le elezioni distrettuali di Roma, nel 2007 ci sono le elezioni per la giunta nazionale e Unicost vola al 42 per cento: quasi metà dei magistrati italiani stanno con la mia corrente, la sinistra è battuta”. Ma in quel momento al governo c’è proprio la sinistra, quella di Prodi, Bertinotti e Mastella ministro della Giustizia. […] “Io ne approfitto per tentare l’azzardo: una giunta Anm monocolore Unicost sostenuta all’esterno dalla sinistra di Magistratura democratica e con la destra di Magistratura indipendente fuori dai giochi. Come presidente, ci mettiamo un milanese della mia corrente, Simone Luerti, io faccio il segretario generale. […] Insomma, entro nella stanza dei bottoni. Ma la brace covava sotto la cenere, e di lì a poco scoppierà l’inferno”. Immagino si riferisca all’inchiesta Why Not, dal nome dell’azienda informatica di Lamezia Terme su cui partono le indagini, aperta a metà di quell’anno dal pubblico ministero di Catanzaro, Luigi De Magistris, poi sindaco di Napoli. “Proprio quella. È un’inchiesta che all’inizio coinvolge, tra i tanti, il presidente del Consiglio Romano Prodi, due suoi collaboratori, Angelo Rovati e Sandro Gozi, oltre al ministro della Giustizia Clemente Mastella. De Magistris era all’epoca sconosciuto, non apparteneva a nessuna corrente in modo organico: un cane sciolto che diventa il ‘cigno nero’, l’imprevisto che fa andare in tilt il sistema. […] La decisione è di provare ad arginarlo: il ‘Sistema’ non può permettersi una cosa del genere. […] Il Csm apre un fascicolo che di lì a pochi mesi porterà al trasferimento di De Magistris, io mi consulto sia con i miei sia con il Quirinale. E succede che, per la prima volta nella sua storia, almeno recente, l’Anm prende le distanze dall’operato di un pubblico ministero. Il comunicato, lo feci io insieme a Giuseppe Cascini: fu un atto sofferto ma di coraggio, rompeva il dogma secondo cui un pm va difeso sempre e comunque. E su questo ebbi la spinta di Cascini, cioè dell’ala sinistra della magistratura, una spinta che mi lasciò molto stupito”. […] La cosa non finì lì, anzi il seguito fu più dirompente e portò rapidamente alla caduta del governo Prodi. Poche settimane dopo aver isolato De Magistris, il 16 gennaio 2008, un’altra procura, quella campana di Santa Maria Capua Vetere, arresta la moglie di Mastella, Sandra Lonardo, allora presidente del Consiglio regionale, e indaga il ministro insieme ad altre 21 persone con accuse gravissime: concorso esterno in associazione a delinquere e concussione. […] “Io apprendo dell’intenzione di arrestare la moglie di Mastella quel 16 gennaio 2008, da una fonte riservata, mentre al mattino mi sto per imbarcare su un aereo per Catania, dove ero atteso a un convegno. All’arrivo la situazione è già precipitata. […] Un disastro che culmina con Mastella che annuncia le dimissioni da ministro della Giustizia. Fine dei giochi, fine del governo di sinistra”. Quello è pure il giorno del “faccia da tonno” che lei si sentì dire in diretta tv dal presidente emerito Francesco Cossiga. […] “Da Catania rientro frettolosamente a Roma, e per la prima volta mi ritrovo proiettato sul palcoscenico mediatico nazionale, non da pm – era successo quando avevo condotto l’inchiesta Calciopoli 2 – ma da uomo delle istituzioni. Non ho ancora quarant’anni né grande dimestichezza con le dirette tv, e sono pure stanco. Mi ritrovo nello studio Sky, dove Maria Latella conduce ogni pomeriggio una trasmissione allora molto quotata. So che devo prendere tempo, che le mie parole, dopo il caso De Magistris, verranno pesate una per una dai colleghi e dai politici, e per questo mando a memoria quattro frasi poco più che di circostanza. Ma, non annunciato, chiama Francesco Cossiga. Noto subito che la sua voce è alterata, affannata, come se – diciamo così – non stesse bene. Si scaglia con violenza contro di me: ‘Lei ha una faccia da tonno, tonno Palamara…’, eccetera eccetera. Non capisco, rimango basito. Penso a uno scherzo, ma non è così. Ho tre possibilità: gli replico e lo insulto, mi alzo e me ne vado, incasso con stile. Penso agli insegnamenti di mio padre, a cosa avrebbe fatto lui al mio posto e scelgo la terza possibilità: le persone anziane, per di più alterate e per di più ex presidenti della Repubblica, vanno rispettate. Ma quella, mi giuro, sarà l’ultima volta che mi farò prendere a schiaffi in pubblico. […] Immagino che Cossiga, che di Mastella era stato socio politico, mi prese come capro espiatorio per quello che era successo. Ma come – credo fosse il suo ragionamento –, tu sei lì in quel posto e ti fai sfuggire di mano la situazione contro i nostri interessi? Quello che accadde in quella trasmissione paradossalmente mi rafforzò molto. I colleghi si strinsero in mia difesa, e da quel giorno entrai con convinzione nella parte di paladino del sistema. Se vogliamo appiccicare una data di nascita al ‘metodo Palamara’, direi proprio quella: 16 gennaio 2008. E da allora – avevo imparato la lezione – la situazione raramente mi sfuggì di mano”» (Sallusti). «L’8 maggio 2008 si insedia il quarto governo Berlusconi. La svolta vi trova pronti? “A febbraio non lo eravamo. La giunta Anm centrista monocolore di cui in quel momento ero segretario era troppo debole per affrontare la guerra che ci aspettava. Ne ero pienamente consapevole, e, siccome l’esito elettorale – la vittoria del centrodestra – era nell’aria, le trattative per rafforzarla iniziarono ben prima del voto. […] L’Anm andava blindata, aprire a sinistra il governo della magistratura era inevitabile. La parola d’ordine di quelle settimane era: ‘Se torna Berlusconi, dobbiamo tornare tutti’. Io mi adeguo, rimetto nel cassetto i miei bei sogni di riforme e di difesa non a priori dei magistrati e, tra lusinghe e promesse di una carriera fulminante, mi faccio da parte. Al mio posto arriva Giuseppe Cascini, mio collega di procura a Roma, leader di Magistratura democratica. Nella poltrona di presidente resta Simone Luerti, mentre la corrente di destra, Magistratura indipendente, viene esclusa, e starà all’opposizione”. […] Insomma, si schiera l’esercito giudiziario. Per lei, però, non ci sarà una lunga sosta nelle retrovie: se non ricordo male, l’esilio dura davvero poco. “Qualche mese: Simone Luerti rilascia una lunga intervista a Luigi Ferrarella del Corriere della Sera e commette due errori che si riveleranno fatali. Fa una sorta di apertura a Berlusconi sulla possibilità di riformare il Csm e, in particolare, teorizza la possibilità che i provvedimenti disciplinari per i magistrati possano essere affidati a qualcuno al di fuori dell’organo di autodisciplina. Non erano questi i patti, non poteva essere lui il condottiero del nuovo corso. […] Luerti finisce nel tritacarne mediatico, soprattutto in tv per mano di Michele Santoro, e, indignato per l’intrusione nella sua sfera più intima, si dimette. […] Via Luerti, mi convoca Marcello Matera, lo stratega di Unicost: ‘Non apriamo nessuna crisi, al suo posto entri tu e l’incidente lo chiudiamo qui’. Mi mette in guardia dai rischi di fare la stessa fine del mio predecessore. […] L’8 maggio 2008 si insedia il governo Berlusconi, Luerti si dimette il 14, il 18 io divento presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Ho trentanove anni, il più giovane di sempre in quel ruolo”. […] Quindi trovate la quadra per affrontare il nuovo corso. D’accordo, ma qual era l’obiettivo, e quale la strategia? “L’obiettivo è sempre quello: impedire che un governo di centrodestra vari delle riforme della giustizia per noi inaccettabili”. Di fatto, da lì in poi inizia una pressione giudiziaria su Silvio Berlusconi? “Da quel momento veniamo accusati di entrare in una zona grigia dove formalmente è tutto regolare: l’obbligatorietà dell’azione penale, l’indipendenza della magistratura eccetera eccetera. Non c’è un capello fuori posto, ma sta di fatto che non esisteva più, e dubito che oggi esista, un confine netto tra la legittima difesa degli interessi della giustizia e l’uso strumentale della giustizia stessa per i fini politici di una parte della magistratura, parte che trova nella sua corrente di riferimento copertura e protezione, e nel partito politico di riferimento, il Pd, un socio interessato. Con Cascini ci intendiamo sul fatto che Magistratura democratica abbia mano libera nel fare opposizione feroce a Berlusconi e che il mio ruolo debba essere quello di equilibratore con le altre correnti e di pontiere con la politica. Di più, ammesso di volerlo, non avrei potuto fare. […] Sia chiaro, non rinnego ciò che ho fatto: se sono durato così a lungo è proprio per le posizioni che ho assunto, senza le quali non sarei stato dove sono stato neppure un giorno in più. Mi hanno accusato di essere uno schierato a sinistra. Non è così. Io non ero il protettore di questo o di quello, di una parte politica o dell’altra. Io ero il protettore del sistema correntizio, che a maggioranza era ed è su posizioni politiche e ideologiche di sinistra, in conflitto con la destra di Silvio Berlusconi. Il mio compito non era di cambiare quella posizione, ma semplicemente di difendere il sistema. L’ho fatto per convenienza? Perché ci credevo? Per calcolo? L’ho fatto, e l’ho fatto con successo. Punto”» (Sallusti). Nel frattempo, in quanto alla sua attività di pubblico ministero a Roma, «tra le inchieste che portano alla ribalta il nome di Palamara c’è la cosiddetta Calciopoli: in particolare il filone legato al ruolo della Gea, la società di cui erano titolari l’ex dg della Juve Luciano Moggi e suo figlio Alessandro. La Gea era accusata di aver assunto un ruolo predominante nel mondo del calcio, così che Moggi padre e figlio riuscivano a piazzare loro calciatori nelle maggiori società di Serie A. Al processo Palamara chiede per “big Luciano” una condanna a sei anni, ma il tribunale la riduce a un anno e sei mesi. Un altro fascicolo processuale importante passato sul tavolo di Palamara riguarda il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro; non uno dei principali filoni, per la verità. Il pm nel 2010 viene chiamato a far luce su alcune dichiarazioni rilasciate da Steve Pieczenik, l’uomo nel 1978 spedito dal governo americano a Roma a seguire da vicino gli sviluppi del caso Moro e la trattativa con le Br. Pieczenik dichiarò in pratica che Moro venne volutamente abbandonato al suo destino per timore di quanto avrebbe potuto rivelare durante il sequestro. “Ho messo in atto – disse al giornalista francese Emmanuel Amara – la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Moro al fine di stabilizzare la situazione dell’Italia. Mai l’espressione ‘ragion di Stato’ ha avuto più senso come durante il rapimento di Aldo Moro in Italia”. Ma quelle dichiarazioni non furono ribadite in sede giudiziaria» (Claudio Del Frate). Quando, nel novembre 2011, Mario Monti subentrò a Silvio Berlusconi alla presidenza del Consiglio, Palamara vide frustrata la sua ambizione di diventare ministro della Giustizia, ma – a suo dire – fu esortato dall’allora principale consigliere giuridico del presidente della Repubblica, Loris D’Ambrosio (1947-2012), a supportare il neoministro Paola Severino: «“‘La Severino’, mi dice, ‘è un grande avvocato, ma non conosce il nostro mondo, non conosce gli equilibri della magistratura e tantomeno quelli della politica. Tu la devi aiutare, devi avere un feeling con lei: è importante anche per noi’”. Cosa significa quel “per noi”? “Non so con certezza a cosa e a chi si riferisse, ma mi dice: ‘A questo punto tu devi essere chiaro con lei’. Nel senso che dovevo mettere i miei uomini al ministero, cosa che per il ‘Sistema’ è importantissima. È il preludio alla mia seconda vita, quella della gestione del potere interno alla magistratura”. Ancora più potere? Non capisco: fin qui lei non ne aveva abbastanza, tra nomine, contatti ai massimi livelli, posizioni a difesa di inchieste che oggi ammette discutibili? “Era una cosa diversa. Avevo vissuto una fase che definirei politica: ero parte della squadra che aveva contrastato il governo Berlusconi, e nel farlo avevo acquisito rapporti e visibilità, sia interna sia esterna. Ora D’Ambrosio mi sollecita a costruire, mettere le pietre, partecipare alla spartizione del potere, quello vero, quello dei ministeri e delle poltrone. Profondo conoscitore del nostro mondo, lui sa che tutto si basa sul manuale Cencelli, e quindi vuole dirmi: non lasciare tutto agli altri, dopo quello che hai fatto piazza i tuoi uomini di Unicost nei posti chiave, e vedrai che andrà tutto bene. […] La mia esperienza all’Anm, dopo quattro anni di presidenza, si stava per concludere, ma per tre mesi accompagnai la ministra nei suoi primi passi”. […] Dopo quattro anni, nel marzo 2012 finisce la sua esperienza all’Anm. […] “Mi rendo conto che negli ultimi anni non ho fatto il magistrato: io ho fatto politica. Non dentro un partito politico, ma inserito in un sistema politico. […] In qualche modo, per uscire dallo sdoppiamento di ruoli, in quei giorni sto pensando alla politica? Direi di sì, al punto che inizio a parlarne: le elezioni saranno nel 2013, mi confronto sia con Franco Marini sia con Maurizio Migliavacca, l’uomo delle liste nel Pd di Bersani, seguendo l’esempio di miei illustri predecessori dell’Anm. […] Sui temi della giustizia mi sentivo di poter essere in qualche modo considerato, ma venni a sapere che Bersani aveva individuato per quel ruolo Pietro Grasso, il decano dei magistrati palermitani, noto per tante cose, ma non certo, almeno nel nostro ambiente, per essere di sinistra. […] In quel periodo ho contatti anche con Luca di Montezemolo, che si diceva stesse valutando una discesa in campo diretta o indiretta, che poi però non avverrà. […] In quei giorni prendo coscienza di una cosa: in fondo non ero messo male nel mio mondo naturale, quello della magistratura: rapporto con il ministro della Giustizia, rapporto con il vicepresidente del Csm, rapporto con il Quirinale… Avevo creato un blocco dove sapevo con chi andare a parlare. […] Vede, le elezioni potranno cambiare alcuni nomi, ma il ‘Sistema’ non cambia mai: basta aggiornare l’agenda. Quindi ci ragiono, e decido: invece di mettermi in fila per un posto in politica che potrebbe anche non arrivare, mi do come obiettivo quello di entrare al Csm, il cuore della magistratura, la cassaforte che custodisce mille segreti”» (Sallusti). Palamara riuscì effettivamente a entrare a far parte del Consiglio superiore della magistratura il 24 settembre 2014, mantenendo la carica per i successivi quattro anni: in quel periodo la sua posizione strategica attirò su di lui, tra le altre, le attenzioni di Luca Lotti, braccio destro dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi (2014-2016), che organizzò una serie di incontri conviviali con Palamara e con l’allora sottosegretario al ministero della Giustizia Cosimo Ferri, leader di Magistratura indipendente, la corrente conservatrice dell’Anm, fino ad allora di fatto tenuta ai margini dall’alleanza di centro-sinistra tra Unità per la Costituzione (Unicost) di Palamara e Magistratura democratica. «Parla oggi, parla domani, mi convinco che è giunta l’ora di ribaltare il tavolo e liberarsi del giogo della sinistra giudiziaria, o, più correttamente, del massimalismo giustizialista: un sogno che inseguivo da sempre, ma che non avevo mai avuto l’occasione di realizzare. Il battesimo del fuoco è la scelta del presidente del Tribunale di Firenze, corre l’anno 2015. […] Il 3 novembre 2015, al plenum del Csm, per la prima volta noi di Unicost e Magistratura indipendente votiamo insieme contro la candidata della sinistra: Marilena Rizzo viene nominata presidente. […] Da quel momento cambia la musica: capisco che c’è un nuovo blocco in grado di tagliare fuori all’interno della magistratura la sinistra giudiziaria legata al vecchio Pd, quella, per intenderci, che nel campo delle inchieste stava alle calcagna di Renzi. È un accordo veramente politico, per ora su una nomina marginale, ma reggerà per più di quattro anni». A quel punto, «“provo il colpo della vita: applicare il modello Firenze per conquistare il vertice della magistratura italiana. Siamo nel 2017, ci sono da eleggere i nuovi procuratore generale e primo presidente della Cassazione, fondamentali non solo per il destino delle vicende processuali ma anche perché siedono di diritto nel plenum del Csm, dove si decide tutto, dalle nomine alle sanzioni. […] Un azzardo, perché nel frattempo è iniziata la parabola discendente di Renzi, che dopo la sconfitta nel referendum costituzionale del dicembre 2016 non è più presidente del Consiglio. Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm, area Magistratura democratica, ha un nome in testa ma non ha i voti necessari. Il nome è quello di Giovanni Salvi, fratello di Cesare, già senatore e ministro, leader del variegato mondo dei reduci del Pci nei primi anni Duemila. Per blandirmi, Legnini mi propone di presiedere la commissione, la quinta, che dovrà decidere su quella nomina. Io sto al gioco, accetto e in giugno – ce n’è traccia sul mio cellulare – vedo Giovanni Salvi, che mi invita su una splendida terrazza di un lussuoso albergo romano nei pressi di corso Vittorio Emanuele. […] Mi trovo tra due fuochi, perché conosco Salvi e sono consapevole che è una persona interessante e preparata, forse più del mio candidato Riccardo Fuzio, al quale sono legato da un’antica amicizia e che appartiene alla mia stessa corrente. Privilegiare il merito o l’appartenenza? Ho sempre cercato, nelle mie scelte, di non andare mai al ribasso, ma in quest’occasione supero i dubbi e decido di puntare su Fuzio. […] Per di più c’è contemporaneamente in gioco la nomina del primo presidente della Cassazione, e anche lì, per rafforzare la candidatura di Fuzio, decido di puntare su Giovanni Mammone di Magistratura indipendente. Non è mai accaduto, mi dicono, che alla corrente di Area (come si chiama dal 2012 il raggruppamento di sinistra di cui è parte integrante Magistratura democratica) non venga assegnata almeno una delle due cariche. […] È il 14 dicembre 2017: finisce con quattro voti a Fuzio, uno a Salvi e un astenuto. Fuzio è il nuovo procuratore generale della Cassazione, Mammone il primo presidente”. Pensa di aver firmato quel giorno la sua condanna a morte? “Penso di sì, e la sentenza mi arriva la sera stessa. […] Dopo la votazione al Csm che incorona Fuzio, raggiungo il vicepresidente Legnini a Chieti per partecipare a un convegno. Mi insulta, si sfoga: ‘Tu mi hai umiliato agli occhi del Quirinale, penseranno che io non conti nulla, non finirà qui’. Incasso, e al rientro a Roma vado a trovare il procuratore capo Giuseppe Pignatone. […] Parliamo per oltre un’ora, e, al momento del congedo, fa due cose che non aveva mai fatto in tanti anni di frequentazione assidua: mi guarda diritto negli occhi come solo un siciliano sa fare e mi abbraccia. Io esco sul pianerottolo per chiamare l’ascensore, lui sulla porta mi dice: ‘Scusa, Luca, dimenticavo, ti devo dire una cosa: con la Guardia di finanza abbiamo fatto degli accertamenti su un albergo, e risulta che una notte tu hai dormito lì con una donna che non è tua moglie’. Io resto impietrito qualche secondo, poi mi viene un: ‘Scusa? Grazie che me lo dici, ma arriviamo a questo, a con chi dormo?’. E lui […] mi risponde così: ‘No, è che stiamo indagando sul tuo amico Fabrizio Centofanti, e c’è il sospetto che lui abbia sostenuto le tue spese’. E io: ‘Ma che dici, pensi che abbia bisogno di qualcuno che mi paghi una stanza d’albergo? Sono in grado di giustificare ogni mia spesa, lui mi ha garantito solo riservatezza’. Lo vedo imbarazzato: ‘No, certo che no. Ma è una situazione delicata, vedremo, vedremo… Ne parleremo con calma’. Entro in ascensore, le porte si chiudono. Il primo pensiero – io amo la sintesi – è semplice: ‘Sono finito’. Ci sono tutti gli elementi dell’imboscata fatale: il magistrato, l’amante, l’imprenditore famoso che finisce nei guai. Nel giorno del mio massimo successo, il ‘Sistema’, con la faccia gentile di Pignatone, mi annuncia che sono arrivato al capolinea”. E lei cosa fa? “Non ci crederà, ma in quel momento mi preoccupo solo di una cosa. Io ho moglie e figli, mi chiedo come e quando questa vicenda sarà pubblica e che impatto avrà sulla mia famiglia. Il giorno dopo chiamo la donna che era con me quella sera in hotel e la cui privacy volevo ugualmente tutelare a ogni costo, mangiamo una pizza insieme e le dico: ‘Mi spiace, è finita’. E lei: ‘Ma perché, cosa ho fatto di male?’. La gelo: ‘Non è finita per te o per noi, è finita per me’. […] Era ovvio che da questa storia non si poteva scappare, che il percorso era segnato, che era solo una questione di tempo. Ma io quel tempo, tanto o poco che fosse, me lo volevo giocare tutto e fino in fondo, a prescindere da Centofanti”» (Sallusti). «“Da vero matto, mi gioco le partite finali: quella vinta – far diventare David Ermini vicepresidente del Csm – e quella del successore di Pignatone come procuratore capo di Roma. Per fermarmi, insomma, c’era un solo modo: farmi saltare in aria. Quando ho toccato il cielo, il ‘Sistema’ ha deciso che dovevo andare all’inferno. Ed è quello che è successo”. […] Il 6 febbraio 2018, la Procura di Roma arresta per corruzione Fabrizio Centofanti, imprenditore lobbista molto vicino al Pd. “È chiaro che dal quel momento il mio passato sarà setacciato e il mio presente attenzionato, ma di questo non ho paura. Io so benissimo quello che ho fatto e perché l’ho fatto, tutto ha una spiegazione e di ogni cosa sarò in grado di fornire una giustificazione. […] Io so tutto in tempo reale. […] Non solo nessuno mi prende per un orecchio e mi dice ‘Luca, è finita, spòstati’, ma tutti, proprio tutti i vertici dell’Anm e del Csm continuano a frequentarmi e consultarmi come se nulla fosse, e io continuo a essere il punto di riferimento per qualsiasi nomina, come ben risulta dalle chat”. Nessuno osa toccarla forse perché di lì a poco, se non sbaglio in ottobre, scade il suo mandato al Csm: meglio evitare scandali. […] Quali sono i primi segnali che le fanno capire il mutare dei venti? “Il 24 settembre 2018, giorno in cui finisce la mia consiliatura al Csm, il procuratore di Roma Pignatone viene a trovare me e la collega Balducci, come segno di attenzione e di ringraziamento per il lavoro fatto. Mentre lo accompagno alla macchina mi chiede se ho deciso di entrare in politica, come lui mi aveva suggerito in un messaggino del 22 dicembre 2017, a pochi mesi dalle elezioni politiche. In quel parcheggio mi dice che forse non è il caso che io rientri in procura a Roma, perché le notizie che riguardano il mio fascicolo giudiziario prima o poi usciranno e ‘non possiamo sapere come finirà la tua storia’. Io risposi che, no, non temevo gravi conseguenze, e che se anche fossero usciti i fatti della mia vita privata avrei saputo come affrontarli. Nella mia testa quella era l’unica vera preoccupazione”» (Sallusti). «Sapendo di essere indagato, comincio a usare un minimo di precauzioni soprattutto nelle comunicazioni. […] La mattina del 3 maggio 2019, alle 10.20, però, casco nella trappola. Sul mio telefonino ricevo il seguente messaggio da Vodafone, la compagnia che gestisce la mia scheda: “Gentile cliente, stiamo riscontrando problemi di linea che potrebbero impedire il corretto funzionamento del tuo dispositivo. Esegui subito l’aggiornamento su questo link: a breve ti contatterà il nostro servizio tecnico per configurare il tuo dispositivo”. Mi fido, clicco sul link ed è la mia fine. Dentro quel messaggio la Procura di Perugia [cui, a norma di legge, è riconosciuta la competenza in materia di indagini riguardanti magistrati del distretto di Roma – ndr], in accordo con la compagnia telefonica, ha incorporato il virus trojan che da quel momento, le 10.24 del 3 maggio, alle 11.10 del 31 maggio – mentre ero impegnato nelle trattative per scegliere il nuovo procuratore di Roma che dovrà sostituire l’uscente Giuseppe Pignatone – spierà la mia vita giorno e notte». «Palamara quindi diventa trasparente, e con lui tutti i suoi interlocutori. Cosa che puntualmente accade anche la notte tra l’8 e il 9 maggio del 2019, poi nota come “notte dell’Hotel Champagne”. Siamo a Roma, in una saletta riservata di un albergo di via Principe Amedeo, alle spalle della stazione Termini, usato come base d’appoggio da alcuni magistrati che arrivano da fuori città. Pochi minuti prima di mezzanotte, Palamara si incontra con cinque magistrati del Consiglio superiore della magistratura e Cosimo Ferri, già onorevole del Partito democratico e ora di Italia viva, ma soprattutto leader storico della corrente di destra della magistratura, Magistratura indipendente. […] Poco dopo si aggiunge Luca Lotti, deputato del Pd, già braccio destro e sottosegretario di Matteo Renzi prima e ministro dello Sport di Paolo Gentiloni poi, ma anche tra gli indagati eccellenti nell’inchiesta Consip (tangenti su appalti pubblici) partita da Napoli nel 2016 e poi approdata alla Procura di Roma. E proprio la Procura di Roma è il tema caldo di quella riunione notturna. I convitati devono infatti verificare per l’ultima volta se nel plenum del Csm avranno i voti necessari per pilotare il loro candidato, Marcello Viola, procuratore generale di Firenze, su una delle poltrone più importanti delle istituzioni italiane. La poltrona, ambita e contesa, di procuratore capo di Roma, appena liberata da Giuseppe Pignatone, costretto a lasciare per raggiunti limiti di età dopo sette anni di potere incontrastato. […] A un certo punto il trojan capta la voce di Luca Lotti dire: “Si va su Viola, sì, ragazzi”, secondo una frettolosa trascrizione fatta dagli uomini della Guardia di finanza; “Si arriverà su Viola, sì, ragazzi”, stando alla perizia fonica disposta poi dal Csm. Che Lotti, cioè un politico indagato, abbia dettato la linea ai magistrati presenti o più semplicemente, come parrebbe dalla seconda versione, abbia preso atto dell’esito della loro conta, sta di fatto che pochi giorni dopo, il 23 maggio 2019, la Commissione per gli incarichi direttivi del Csm, con quattro voti su sei, propone al suo plenum, che si dovrà riunire di lì a poco, di nominare Marcello Viola procuratore di Roma. Ma questa volta, ed è la prima volta in carriera, Luca Palamara non farà in tempo a godere del frutto del suo lavoro dietro le quinte, e quella di Viola sarà una nomina abortita in pancia (procuratore capo a Roma diventerà Michele Prestipino). Tre settimane dopo la “notte dell’Hotel Champagne”, giusto il tempo di sbobinare i materiali ricavati dal trojan e di avere tutti i via libera a una decisione non priva di rischi, la Procura di Perugia […] rompe infatti gli indugi. […] All’alba di giovedì 30 maggio un gruppo di uomini della Guardia di finanza, lo stesso corpo che per anni lo aveva scortato garantendogli la sicurezza, suona alla porta di casa Palamara, all’ultimo piano di un palazzo nell’elegante quartiere Parioli dove il magistrato vive con la moglie e i due figli, esibendo un decreto di perquisizione e un avviso di garanzia per corruzione. […] Quella mattina finisce di esistere il “metodo Palamara”» (Sallusti). «Gli si contesta l’accusa di corruzione per aver ricevuto 40 mila euro per una nomina (accusa poi caduta) e aver avuto rapporti con l’imprenditore Fabrizio Centofanti, mettendo a disposizione la sua funzione giudiziaria. Nonché con gli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore, già coinvolti in indagini a Messina e Roma. […] Il terremoto dell’inchiesta coinvolge anche il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, anche lui finito nelle registrazioni di Palamara, che è costretto a lasciare l’incarico con l’accusa di aver rivelato a Palamara fatti dell’indagine. Il Csm deve procedere alla sostituzione di ben 5 componenti. Palamara, come tutti gli altri del Csm, finisce anche sotto inchiesta disciplinare. Un anno dopo, a maggio, la procura di Perugia chiude l’inchiesta e deposita gli atti. Diventano pubbliche non solo tutte le intercettazioni, ma anche le chat di Palamara con i colleghi. Non solo quelle del 2019, ma anche quelle degli anni precedenti, il 2017 e il 2018. Centinaia di brevi conversazioni che avevano sempre ad oggetto richieste di incarichi al Csm, per le quali i vari candidati, di tutte le correnti, si rivolgevano a Palamara per avere un appoggio. Uno scandalo nello scandalo che sconvolge la magistratura. E che produce altre azioni disciplinari» (Liana Milella). «Una babele di voci e una girandola di nomi, famosi e non, che terremota il Csm, procure e tribunali di tutta Italia, e che il 17 giugno farà parlare il presidente Mattarella di “modestia etica” e di “dilagante malcostume”, aspetti emersi e che tuttavia “è impossibile attribuire alla magistratura nel suo complesso”» (Sallusti). «Si apre presso i probiviri del sindacato dei giudici la procedura per l’espulsione di Palamara dall’Anm. Che viene decisa a luglio. Palamara contesta l’espulsione perché il Comitato direttivo centrale dell’Anm non ha accolto la sua richiesta di essere sentito. Fa ricorso. Inutilmente, perché l’espulsione viene confermata definitivamente il 19 settembre. Nonostante Palamara parli davanti ai suoi colleghi, in un’atmosfera freddissima, il verdetto non cambia. Gli altri componenti del Csm decidono invece di dimettersi. Tranne Paolo Criscuoli, che ha avuto un ruolo marginale nella vicenda. Al Csm riparte il processo disciplinare, che a ritmi frenetici manda avanti il giudizio. E lo conclude» (Milella). Il 9 ottobre 2020 la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura decretò nei confronti di Palamara il provvedimento più severo. «Luca Palamara è stato radiato dall’ordine giudiziario. […] L’incolpazione per cui a Palamara è stata strappata la toga di dosso si riferisce al tentativo di condizionare l’attività istituzionale del Csm, attraverso “una indebita manipolazione dei meccanismi decisionali istituzionali, in maniera occulta” (così s’è espressa la Procura generale al momento di chiedere la condanna) per pilotare le nomine dei procuratori di Roma e Perugia e quelle dei procuratori aggiunti della capitale (posto al quale aspirava lo stesso Palamara) nella primavera del 2019. […] Inoltre a Palamara sono stati addebitate anche manovre denigratorie nei confronti di alcuni colleghi come il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, l’aggiunto di Roma Paolo Ielo e l’ex procuratore della capitale Giuseppe Pignatone» (Giovanni Bianconi). «Ma Palamara ha annunciato subito le future mosse della sua battaglia. Tant’è che, due ore dopo, eccolo nella storica sede dei Radicali, pronto a sposare le battaglie di quel partito – dalla separazione delle carriere alla fine dell’obbligatorietà dell’azione penale –, che pure lo hanno visto per anni su un fronte del tutto opposto. […] La sua intenzione è ricorrere a Strasburgo, alla Corte dei diritti umani, contestando l’uso delle intercettazioni (il microfono doveva essere spento in presenza di due parlamentari) e il niet ai suoi 133 testimoni, ridotti, secondo lui ingiustamente, solo a sei» (Milella). Il 25 marzo 2021 Palamara è stato ascoltato in qualità di testimone dalla Prima commissione del Consiglio superiore della magistratura, presso la quale sono avviate le procedure per incompatibilità relative a numerosi magistrati in vario grado coinvolti nello scandalo. «All’uscita di Palazzo dei Marescialli, Palamara ha confermato: “Mi sono state rivolte domande sulle chat e non solo, ma ho la consegna di non parlare. Mi attengo quindi a questo impegno”. […] Un centinaio i nomi emersi, ma sono poco più di venti i magistrati che sono sotto procedimento disciplinare e rischiano, all’esito dei lavori della Prima commissione, il trasferimento. […] Il procuratore di Perugia, con i pm Gemma Miliani e Mario Formisano, ha chiesto il rinvio a giudizio per Palamara, aggravando l’impianto accusatorio con l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari, muovendo gli stessi addebiti anche per l’imprenditore Fabrizio Centofanti e per Adele Attisani. L’ex pm ed ex consigliere del Csm è accusato di aver incassato da Centofanti soggiorni, viaggi, e anche lavori eseguiti da alcune imprese presso la dimora di Attisani, amica di Palamara e considerata “ispiratrice” delle presunte condotte illecite» (Conchita Sannino). «Palamara anticipa […] quale sarà la sua linea a Perugia, nel processo per corruzione che lo vede imputato davanti al capo della procura Raffaele Cantone: “Io non voglio tirare dentro persone tanto per farlo, ma dirò come ho parlato di nomine anche con persone diverse da Lotti e dal Pd”. Ripete un’affermazione già smentita: “Al Csm c’era la prassi che entrassero i segretari delle correnti che davano indicazioni sui propri associati da promuovere”. Descrive il suo comportamento come normale: “Mi hanno registrato in una cena, ma, di cene, negli ultimi 12 anni ne ho fatte tantissime: quando parlerò, potrò indicare come e perché, e quando ho parlato di altre nomine e di altre situazioni”. Si stringe nelle spalle: “Si può discutere dell’opportunità degli incontri, ma fotografano i fatti”. […] A chi gli chiede se intenda fare il pentito, replica: “Faccio fatica a metabolizzare la parola ‘pentimento’: certo quella sera all’Hotel Champagne sarebbe stato meglio che Lotti non ci fosse, ma non ha alterato la nomina del procuratore di Roma”» (Milella) • Nel gennaio 2021 è uscito, per i tipi di Rizzoli, Il sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana, articolato come una lunga intervista concessa da Palamara al direttore responsabile de il Giornale Alessandro Sallusti [volume da cui sono tratte molte delle citazioni qui riportate – ndr]. «Palamara, […] il suo memoir vende, e spacca la magistratura. Perché? “Ho scritto questo libro, oltre che per i cittadini, anche e soprattutto per venire incontro alle richieste di molti magistrati – 24 di loro mi hanno scritto un lettera aperta (la più nota è Clementina Forleo, ndr) – che mi chiedevano di mettere a nudo il meccanismo della giustizia italiana, di raccontare come davvero stavano le cose”. […] Dove vuole arrivare con le denunce del suo libro? Vuole vendicarsi di avversari come il vicepresidente del Csm Ermini, che la giudica “una scoria”, di chi – come dice lei – ora la attacca e prima le chiedeva favori? “Non capisco chi mi imputa di voler scardinare la magistratura. Questo è un libro a favore della magistratura. Ma, se lei mi chiede se ora la magistratura è credibile, bè, è un altro paio di maniche. La magistratura è fatta di posizionamenti, collateralismo, gerarchie”. Il “sistema”, appunto. Quindi ammette che esisteva un “sistema Palamara” con cui si gestivano le carriere in nome di un consociativismo con la politica? “Certo, ma non era il ‘sistema Palamara’. E ‘sistema’, da vocabolario, non è un’organizzazione criminale, ma una relazione fra più soggetti. L’idea che una sola persona potesse decidere – io, nella fattispecie – stride con la realtà. Il sistema è quello delle correnti, e i meccanismi di potere sono regolati da un’oligarchia di cui io facevo parte. Chi era fuori dalle correnti non contava. Ma non c’ero solo io, ripeto. […] Sono diventato il capro espiatorio. Ma non è che ‘se esce Luca, risolviamo i problemi’: così non funziona”» (Francesco Specchia). «Mettete tutto al condizionale (e con la condizionale). L’inizio è da John le Carré de noantri. Una notte all’hotel Champagne politici e magistrati brindano, come nella canzone di Peppino di Capri, al nuovo organigramma del potere giudiziario. Il Sistema (che è anche il titolo del libro) si regge sulla legge-quadro di ogni sistema: io do una cosa a te, tu dai una cosa me. Nel Sistema vige la regola del tre: una Procura indaga, un giornale amico pubblica, un partito politico gode. Funziona sempre, da Berlusconi a Renzi. Nei tribunali gira la battuta: “La vera separazione delle carriere non dovrebbe essere quella tra giudici e pm, ma tra magistrati e giornalisti”. […] Anche Palamara, come tutti ormai, ha la sua narrazione. Gli avrebbero fatto pagare il tentativo di far alleare i magistrati di centro e di destra contro quelli di sinistra, alfieri del massimalismo giustizialista. Quanto ai suoi maneggi, Palamara parla in terza persona: “Solo uno stupido può pensare che Palamara abbia fatto tutto da solo”. Muoia Sansone con tutti i Filistei: “Perché io non solo ero in prima fila. Avevo il potere, insieme ad altri, di decidere chi doveva stare in prima fila”. Come Jep Gambardella della Grande bellezza, Palamara non voleva solo partecipare alle feste: voleva avere il potere di farle fallire. La storia di un crac, quello di un sistema politico-giudiziario, […] merita tanto successo? Sì, è una ottima spy story con un protagonista all’Alberto Sordi. E fa paura» (Antonio D’Orrico) • Sposato dal 1999 con Giovanna Remigi (tra i testimoni di nozze, l’allora collega e futuro ministro della Giustizia del Berlusconi IV Nitto Francesco Palma), dirigente pubblico, da cui ha avuto due figli, Lavinia e Rocco • Romanista • «Lei è accusato di aver “tramato” con i politici. Cosa dice? “Ci sono tanti magistrati che hanno parenti politici e sono sempre rimasti al proprio posto”. La politica condiziona le nomine? “Si riferisce a Luca Lotti? Trovate una nomina che è stata fatta su indicazione di Lotti. Al Csm i componenti togati sono il doppio dei laici. Sulle nomine il peso di quest’ultimi è relativo. Per certi incarichi, poi, tipo magistrato segretario o ufficio studi del Csm, sono solo le correnti, in base ai rapporti di forza, a decidere”. Comunque lei è indagato per corruzione. Ed è fra le prime “vittime” del trojan. “Che cosa ha scoperto il trojan? Nulla. Chiediamoci invece come ha funzionato”. Si riferisce alla registrazioni ad intermittenza? “Sì”. Perché? “Dovranno spiegarlo”» (Paolo Comi). «Come fanno i cittadini a fidarsi di questa giustizia? “I cittadini devono sapere che l’assegnamento degli incarichi direttivi non ha nulla a che fare con l’esercizio imparziale della giurisdizione”. Facile a dirsi. “È la stessa differenza che passa tra un leader sindacale, con funzione di rappresentanza, e il lavoratore che manda avanti la macchina”» (Annalisa Chirico) • «Palamara, scusi, ma lei perché è entrato in magistratura? “Grazie all’esempio di mio padre, magistrato prematuramente scomparso. E l’ho fatto, chiaramente, sulla scorta dei suoi insegnamenti, basati sul rispetto della giustizia e della legge, della tenuta delle regole, della necessità di comprendere le cose fino in fondo e non solo al primo sguardo per comprenderne la verità”. Giustappunto, l’etica. Gliela metto giù secca: considerando tutto, non si sente, come magistrato, di aver fatto qualcosa di eticamente sbagliato? “Io mi sono comportato esattamente secondo i meccanismi – noti a tutti, ripeto – che il sistema imponeva. Ma non ho ottenuto vantaggi di carriera o politici, non ho avuto incarichi altisonanti; certo, sono diventato un personaggio pubblico, ma le assicuro che ne avrei fatto volentieri a meno. Credo che il mio spostamento a destra e la rottura con la componente di sinistra dei colleghi abbia creato la frattura che ha portato a questo”. […] Ma rifarebbe quel che ha fatto? “Io pensavo di poter cambiare il sistema da dentro: non ci sono riuscito. Mi assumo la mia quota di responsabilità, ma pensavo di agire per il bene di tutti”» (Specchia). «Ritengo convintamente di dover chiedere scusa ai tanti colleghi che nulla hanno da spartire con questa storia, che sono fuori dal sistema delle correnti, che ogni giorno evadono numerosi fascicoli dietro ai quali si annidano vicende personali complesse e che inevitabilmente saranno rimasti scioccati dalla “ondata di piena” che è montata […] e che rischia, ingiustamente, di travolgere quella magistratura operosa e aliena dalle ribalte mediatiche che rappresenta la parte migliore di noi» • «Ingenuo chi non comprende che la vicenda Palamara trascende le aule dei palazzi di giustizia, trascende perfino la demagogia, l’antigiustizialismo, lo stesso sentimento kafkiano, così come ogni riflessione degna di Leonardo Sciascia tra Todo modo e Il contesto, e la corruzione del potere giudiziario: al contrario, racconta Roma nella sua sostanza eterna. Se […] La grande bellezza era un plastico in scala della irredimibilità dell’Urbe, una semplice maquette, il racconto di Palamara proietta la città a grandezza naturale» (Fulvio Abbate).