2 marzo 2021
Tags : Bruno Bozzetto
Biografia di Bruno Bozzetto
Bruno Bozzetto, nato a Milano il 3 marzo 1938 (83 anni). Animatore. Disegnatore. Regista • «Straordinario artigiano della creatività» (Brunella Schisa) • «Il nostro più celebrato cartoonist» (Massimo Iondini, Avvenire, 17/4/2020) • «Il maestro dell’animazione italiana» (Valeria Arnaldi, il Messaggero, 12/6/2018) • Sessant’anni di carriera, più di trecento pellicole, cinque Nastri d’Argento, una laurea ad honorem, quindici premi alla carriera, una candidatura all’Oscar per il cortometraggio Cavallette (1990). Creatore del Signor Rossi, personaggio icona dell’italiano medio. Tra i suoi lungometraggi: West and Soda (1965), parodia dei western all’italiana; VIP – Mio fratello superuomo (1968), satira di Superman; Allegro non troppo (1976), omaggio al Fantasia di Walt Disney; un solo film con attori in carne e ossa, Sotto il ristorante cinese (1986), con Amanda Sandrelli, Nancy Brilli e Giuseppe Cederna • Collaboratore di Piero Angela, per anni è stato ospite di Quark e SuperQuark • «I film di Bruno Bozzetto sono stati una delle più grandi ispirazioni per me come animatore e sceneggiatore. Bozzetto ha realizzato alcuni dei film più divertenti che abbia mai visto ed è uno degli sceneggiatori più intelligenti al mondo. I disegni di Bruno sono assolutamente accattivanti e il suo umorismo insuperabile» (John Lasseter, fondatore della Pixar e presidente dei Walt Disney Animation Studios) • «A ottant’anni suonati, porta la sua età e il suo passato con leggerezza e con occhi chiari da ragazzo» (Paolo Di Stefano, Corriere della Sera, 30/9/2018) • Ha detto: «Mi è sempre piaciuto raccontare l’uomo ridendoci su. Deve essere per via di mio padre, gran spirito critico. Se guardi il mondo con occhio critico, lo vedi più in profondità e dunque puoi anche scherzarci. Ecco da dove sono nati i miei film».
Titoli di testa «Da ragazzo ero andato da Toni Pagot, l’autore dei Fratelli dinamite e di Calimero, gli ho chiesto se valeva la pena fare animazione: no, mi ha risposto, fallo solo come hobby...» (Di Stefano).
Vita «Dice di aver preso l’istinto del disegno e della prospettiva dal nonno materno, un pittore bergamasco dell’Ottocento, Girolamo Poloni, che dipingeva Madonne, angeli e Gesù Cristi» (Di Stefano) • «Un grande artista che passava un mese in una chiesa sdraiato a dipingere come faceva Michelangelo» (a Luca Raffaelli, la Repubblica, 18/8/2016) • Da ragazzo, Bruno legge solo Topolino. «Non c’era altro. Poi, tra la fine degli anni 40 e l’inizio dei 50 vidi i primi film animati, Biancaneve, Bambi, Fantasia... una cosa fuori dal mondo per quei tempi!» • «“Ero figlio unico e mio padre voleva che entrassi nella ditta di famiglia, un’industria bergamasca di prodotti chimici per il tessile. Poi quando da liceale sono andato a Londra per l’inglese, invece di entrare al British Museum, nel tempo libero mi fiondavo a vedere cartoni animati, non ne perdevo uno. Non Disney, l’unico che passava anche in Italia, ma Tex Avery e altri... A casa raccontai a mio padre questo mondo meraviglioso ma non capiva”. Le sue prime prove? “A 15-16 anni cominciavo a fare i primi esperimenti di animazione su un bloc notes consultando il solo libro disponibile in italiano, un manuale di John Halas. Una sera mio padre, che era un patito per la tecnica, torna a casa con una piccola macchina 8 mm, convinto di usarla lui: non l’ha mai vista, ho cominciato a fare film di ogni tipo, documentari, gialli, storielle sul portinaio... montavo con una moviolina piccola così fino all’una di notte”. In famiglia finalmente capirono? “Sentivo che mio padre diceva a mia madre: fa centinaia di disegni, ma a cosa servono? La primissima macchina da ripresa però me l’ha costruita lui con un asse da stiro e una manovella che faceva avvicinare tutto il ripiano al disegno. Funzionava benissimo”» (Di Stefano) • «Non vorrei azzardare troppo con il paragone: ma se Walt Disney ha avuto l’aiuto del fratello, io ho avuto quello di mio padre. Se non ci fosse stato lui, la mia vita sarebbe stata tutta un’altra storia» (a Raffaelli) • «Il grande esempio da seguire era Disney? “No. Disney terrorizzava, era irraggiungibile. Non puoi dipingere pensando a Michelangelo… Quando ho scoperto che c’erano film fatti in Jugoslavia o in Cecoslovacchia con quattro righe, più modesti nel disegno, ma davvero geniali, ho preso coraggio e ho capito che quelle cose le potevo fare anch’io”» (Di Stefano) • «Com’è stato che nel 1958 con Tapùm, il primo film “vero”, è finito a Cannes? “Al liceo classico, studiando storia, ho capito che l’uomo non fa altro che costruire armi, e allora ho fatto il mio primo film su quello. Walter Alberti, direttore della cineteca di Milano, m’ha detto: c’è un festival di cartoni animati a Cannes, parallelo a quello grande, prova a mandarlo. Ho provato e l’hanno accettato”. Poi è arrivato un colpo di fortuna... “La fortuna è la base della vita. Pietro Bianchi, il critico del Giorno, guardando un film con Sophia Loren si stufa, uscendo sente una musichetta, si incuriosisce, entra nella saletta laterale e trova il mio film. Il giorno dopo esce il titolo: Bozzetto meglio di Sophia Loren”. E la scuola? “Volevo fare biologia, ma dicevano che era una facoltà per donne. Allora mi sono iscritto a geologia, mi affascinava la natura ma il problema era che ci portavano in giro a vedere le rocce e perdevo un sacco di tempo. Avevo già cominciato a fare i primi Caroselli…”. Com’è arrivato a Carosello? “Grazie a un ex compagno di scuola che lavorava all’Innocenti... E così il primo corto per Carosello è quello della A40, una spider che chiamavamo la bistecchina. Carosello voleva dire soldi. Bastava inventare una storiella, con un banale gioco di parole. Inventai un gatto maltrattato da due gattini, a un certo punto lui li prende per il collo e gli altri dicono: noi siamo innocenti. E lui risponde: eh no, Innocenti è la A40. Ma si può! Una vera idiozia… Eppure funzionava. Quando ho vinto il premio Trieste, mio padre mi fa: perché continui a studiare? Poi mi hanno chiamato per le caldaie Riello, ho inventato l’Unca Dunca e le cose hanno cominciato a girare”» (Di Stefano) • «“Il primo studio fu il salotto di casa, in San Babila. Quando cominciai con i Caroselli c’erano centinaia di disegni da far asciugare, erano dovunque, per terra, in corridoio. Poi, una volta sposato, andai ad abitare a Bergamo e lo studio si trasferì in via Melchiorre Gioia”. Di lì sono passati devoti allievi come Manuli, Nichetti, Alvise Avati, il figlio di Pupi» (Anna Bandettini, la Repubblica, 2/3/2008) • «Com’è nato West and Soda? “Ho sempre amato il cinema western non tanto per le storie ma perché vado matto per certi paesaggi e colori. Una mattina, era il ‘62 o il ’63, in spiaggia il mio amico Attilio Giovannini mi fa: Bruno, perché non fai un lungometraggio? Sei matto, gli dico. Ma ho cominciato a rifletterci. Non volendo fare favole classiche alla Disney, mi sono detto: il western è la favola moderna, è già scritto, tracciato, con i buoni e i cattivi. Dunque potevo sbizzarrirmi senza pensare troppo alla storia: così ci siamo divertiti a lavorare sulle variazioni del tema. Non c’era sceneggiatura, abbiamo fatto lo storyboard disegnando tutto come un fumetto, attaccando alla parete i quadratini in sequenza”» (Di Stefano) • «Fu quel suo cartoon a inaugurare gli “spaghetti western”... “Io ero partito prima ma sono arrivato dopo Sergio Leone, perché disegnare migliaia di scene richiede più tempo che girarle dal vivo. Comunque nessuno dei due sapeva dell’altro”» (Iondini) • Il successo arriva quando i suoi primi film sono trasmessi dalla Rai. «Bozzetto, tra i protagonisti di quel nuovo corso Rai ci fu anche lei... “Sì, ricordo che con Gianni Rondolino si discuteva spesso sul perché il disegno animato in Italia fosse sempre stato considerato un prodotto da destinare e relegare soltanto ai bambini. Io questo pregiudizio l’ho vissuto in modo particolare perché non ho mai realizzato cartoni animati pensati propriamente per i piccoli. Facevo già negli anni Sessanta quello che ha poi fatto la Pixar: cartoon che piacciono ai bambini, ma i cui contenuti sono più comprensibili agli adulti. Ero sulla strada giusta, ma troppo in anticipo sui tempi”» (Iondini).
Amori Sposato con Valeria Ongaro, detta Wally. «Le devo tantissimo. È una compagna meravigliosa. Wally è il moto perpetuo. Sono riuscito a farla sedere davanti alla televisione una volta sola, per seguire la serie Downton Abbey. Le piacevano i costumi» • Quattro figli: Andrea, Fabio, e due gemelle, Anita e Irene.
Animali «Lei a casa ha una pecora. “Sì, si chiama Beeella. Adesso la chiamano Beeelen. Ma per ragioni di copyright tornerà a chiamarsi Beeella. E poi ho i cani, i gatti. Vorrei un asinello”» (Prima Bergamo, 13/5/2017) • Beelen è un esemplare di Ovis aries, pesa 100 chili. «È un elefante» • «Noi viviamo vicino a Bergamo, alle pendici della Maresana, quindi siamo praticamente in campagna e abbiamo un terreno molto grande. In uno dei terreni adiacenti al nostro, ogni anno alcuni pecorai portano le greggi a pascolare per uno o due giorni. Una mattina, un gregge è ripartito presto, saranno state le 4, e, non si sa come, sul prato è rimasto un agnellino. Non abbiamo mai capito se è stato dimenticato per errore, o se, come ci è stato spiegato da un’esperta di ovini, la madre, magari a seguito di un parto gemellare, abbia deliberatamente scelto di abbandonarlo. L’agnellino era piccolo, aveva ancora il cordone ombelicale attaccato, e piangeva disperatamente. Se ne accorsero i nostri vicini di casa, che però non potevano tenerlo, e così lo abbiamo adottato noi» • Nei primi tempi la ospitavano nel salotto di casa, in uno scatolone, e la prendevano spesso in braccio. Quando è cresciuta, è stata spostata in giardino, in un recinto sempre aperto. I nipoti di Bozzetto, ormai cresciuti, le hanno lasciato la loro casetta giocattolo, ora adibita a stalla. «Ad ogni modo, ogni tanto viene a trovarci, e noi le permettiamo di entrare. Fondamentalmente, viene a farsi un giro: va in cucina, viene in studio, poi torna nel suo recinto». Altri animali posseduti in passato dai Bozzetto: oche, uccellini, furetti.
Politica «L’attualità che cosa le ispira? “Certi personaggi pubblici sono già cartoni animati nella realtà. Sono le cose serie a darti lo spunto per deformare, ma se sono già deformate, comiche, grottesche e surreali, che cavolo puoi inventarti? Trump è già un cartoon”» (Di Stefano).
Religione «Guardare il cielo vale più che andare in chiesa, osservare le stelle ci fa capire chi siamo».
Ambiente «Ritengo l’inquinamento una delle cose più deleterie nate con lo sviluppo della società. Ho passato la vita tra Milano e Bergamo in autostrada, di tempo per riflettere sull’auto e sull’uso che ne facciamo ne ho avuto».
Premi Nel 2007 l’Università di Bergamo gli conferisce la laurea honoris causa in Teoria, Tecniche e Gestione delle Arti e dello Spettacolo. Un anno dopo riceve il Premio De Sica alla carriera «E il premio internazionale “Poesia Civile”? “Mi spiazzò. Io un cineasta fra i poeti… Eccessivo”» (Gian Marco Walch, Il Giorno, 5/3/2020).
Curiosità Abita a Bergamo, dove gira in motorino • Il suo studio oggi si chiama FunForMedia, ha sede a Milano, Roma e Firenze • Ha una casa nel borgo storico di Riva di Solto, sul Lago d’Iseo • Fino a che ha potuto ha praticato parapendio e windsuf • Vegetariano dal 2017 • «Avevo, anzi ho ancora, un registratore. Quando mi viene una frase indovinata, un pensiero, registro» • «Nei rari momenti in cui non lavoro, disegno ma soprattutto scrivo. Raccontini, nulla di più, che poi rimetto prontamente nel cassetto. Meglio che faccia cinema» • Cartoni preferiti: Bambi e Alla ricerca di Nemo • Non gli piacciono i festeggiamenti • «Le piace la letteratura? “Leggo tantissimo. Ho iniziato con Hemingway che mi piaceva per la stilizzazione, Salinger mi ha fatto impazzire, Herzog di Saul Bellow anche, e poi Malamud... Il deserto dei Tartari l’ho letto dodici volte”. Ha conosciuto Buzzati? “Magari! Passava tutti i giorni davanti al mio studio per andare al Corriere. Quando sono andato a vedere al cinema il Deserto dei Tartari, sono arrivato in sala per primo ma sono uscito dopo un quarto d’ora. Conoscevo talmente bene il libro che mi dava fastidio tutto: la fortezza era di qua e non di là, era di un altro colore... Io ho il vizio di vedere ciò che leggo”» (Di Stefano) • «Fellini l’ha conosciuto? “Un giorno, nei primi anni 80, mi ha chiamato, voleva vedermi. L’ho raggiunto in albergo qua a Milano e mi ha detto: Bruno, io avrei un filmetto... Un filmetto, figurarsi, era Ginger e Fred... Dovevo inventare la sigla e i titoli, ma lo stimavo troppo e avevo paura, non me la sentivo. Gli dicevo: guarda che tu con gli attori fai molto di più di quel che posso fare io, tu prendi un personaggio, grasso, magro, e lo fai diventare una caricatura, cosa vuoi di più... Poi mi ha chiamato per dirmi che aveva perso il produttore. Per un anno si è dovuto fermare, pur essendo Fellini, e la cosa si è chiusa lì”. Un gran disegnatore anche lui. “Se il giorno in cui prese il treno per andare da Rimini a Roma, fosse salito per sbaglio sul treno per Milano, sarebbe diventato il Miyazaki italiano, perché con la mano e con la testa che aveva avrebbe fatto cartoni straordinari”» (Di Stefano) • «Oggi l’animazione è un’arte tutta diversa o è rimasta qualche cosa di quei tempi eroici? “La tecnica è tutta diversa. L’anima no. Ora si lavora con il computer. Ma il punto di partenza è il disegno, il foglio. Anzi, la mente, il cervello”» (Walch) • Da poco ha scoperto l’iPad • Oggi una storia del Signor Rossi partirebbe «dall’alienazione da telefonino». «L’altro giorno ho visto cinque ragazzi seduti insieme in un bar, stavano uno di fronte all’altro e chattavano senza guardarsi in faccia... Ho dei nipotini che, per cambiare pagina, fanno scivolare il dito sul libro e si stupiscono perché non succede niente. Telefoni, tablet e il resto sono giocattoli nuovi, come era a suo tempo la tv, non abbiamo ancora capito come usarli» • «Il disegno animato oggi è in una situazione di concorrenza spaventosa con l’America. Quando dico che un film di animazione è caro, parlo di 3/4/5 milioni di euro. In Usa si spendono 80/120 milioni, C’è un divario tecnologico spaventoso. E la distribuzione non è migliorata negli anni» (Valeria Arnaldi, il Messaggero, 12/6/2018) • «Bozzetto, lei una volta ha detto: “Da noi il furbo è ritenuto un piccolo eroe da imitare. Io sono italiano ma non la penso così”. Lo ripeterebbe anche ora? “Assolutamente. A maggior ragione. I furbi… No, i ‘furbetti’, con un ammiccamento vezzoso. Per favore, chiamiamoli delinquenti!”» (Walch) • Nel 2014 gli hanno dedicato una mostra al Disney Family Museum di San Francisco. «Essere lì con i miei lavori è un piacere immenso. La mia passione è nata proprio con Walt Disney, è un cerchio che si chiude».
Titoli di coda «Maestro, ancora auguri. “Guardi che chiudo la telefonata… Maestro, mai”. Come devo chiamarla? “Bruno Bozzetto. Semplice, no?”» (Walch).