3 marzo 2021
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Biografia di Bebe Vio
Bebe Vio, (Beatrice Maria Vio), nata il 4 marzo 1997 (24 anni). Schermitrice. Specializzata nel fioretto, ha iniziato a tirare di scherma a cinque anni e, dopo che nel 2008 una meningite fulminante l’ha colpita, e la necrosi agli arti ne ha reso necessaria l’amputazione, ha continuato a gareggiare nella scherma paralimpica nella categoria B. Campionessa italiana Under 20 nel 2011, nei due anni successivi è stata campionessa italiana assoluta. Campionessa europea nel 2014, 2016 e 2018, e mondiale nel 2015, ai Giochi paralimpici di Rio de Janeiro 2016 ha vinto l’oro individuale e il bronzo a squadre. Nel 2017 ha presentato su Rai Due il programma Diversamente amore, ed è dello stesso anno la conduzione su Rai Uno di La vita è una figata. Nel 2017 ha pubblicato il libro Se sembra impossibile allora si può fare ed è tornata a vincere l’oro ai Mondiali, sia individuale che a squadre. Nel 2018 ha conquistato per la quarta volta la Coppa del mondo individuale, e anche quella a squadre, mentre è del 2019 il suo terzo oro, vinto ai Campionati del mondo di scherma paralimpica di Cheongju.
Titoli di testa «Sono stata in televisione e mi hanno messo così tanto fondotinta in faccia che non si vedevano più le cicatrici. Le mie fanno parte di me. Io il fondotinta lo uso per coprire i brufoli, mica le cicatrici. Non riesco a immaginarmi senza e nemmeno a fare scherma con le gambe» (a Claudio Arrigoni)
Vita «Da piccola Bebe faceva ginnastica artistica. “Alla fine del primo anno mi dissero che c’era il saggio. Chiesi: cosa si vince? Mi risposero che non si vinceva niente; bisognava solo far vedere a mamma e papà quanto si era brave. Capii che non era lo sport per me. Provai con la pallavolo, ma mi fermai alla prima lezione: c’erano ragazze che palleggiavano contro un muro. Mi annoiai e presi l’uscita. Per fortuna non portava fuori ma in un’altra palestra. Dove si tirava di scherma”» (Aldo Cazzullo) • «Il mio primo tempo è cominciato il 4 marzo 1997, il giorno in cui sono nata, e si è concluso il 20 novembre 2008, il giorno in cui mi sono ammalata di meningite» • «Nel 2008 frequentava le scuole medie di Mogliano Veneto, città in provincia di Treviso in cui è cresciuta e vive tuttora. Verso la fine di novembre fu ricoverata a Treviso dopo che la febbre e la cefalea di cui soffriva da alcuni giorni si acutizzarono. I medici, dopo aver sospettato un caso di sepsi da meningite, la fecero ricoverare già in gravi condizioni nel reparto di terapia intensiva pediatrica dell’ospedale di Padova. Il suo caso fu riconducibile al più grave episodio epidemico di meningite da meningococco di gruppo C avvenuto in Italia negli ultimi decenni, che si verificò tra il 2007 e il 2008 in provincia di Treviso. Vio, come i suoi coetanei, non era stata compresa nella campagna di vaccinazione contro la meningite dell’anno precedente, riservata ai bambini più piccoli. Dopo il caso di Vio quasi 700 suoi coetanei residenti a Mogliano Veneto vennero vaccinati contro la meningite, anche se fra di loro non si presentò alcun nuovo caso. Nei primi giorni di ricovero ebbe una crisi settica che le causò delle emorragie interne. Per tentare di salvarla i medici dovettero amputarle entrambi gli avambracci e le gambe da sotto le ginocchia. Verso la fine di novembre le condizioni si stabilizzarono, rimanendo comunque serie. Restò in ospedale 104 giorni, passati in terapia intensiva e nel reparto di chirurgia plastica. Oltre alle amputazioni, la meningite causò a Vio anche le cicatrici che ha ancora su varie parti del corpo, viso compreso» (Pietro Cabrio) • «Penso che ho avuto un gran culo! Nelle prime due settimane in cui ero in ospedale a Padova sono morti 5 ragazzini nella stanza accanto alla mia. La mia malattia ammazza il 97% delle persone subito e gli altri, se sopravvivono, o contraggono infezioni dopo o sono depressi tutta la vita. Quindi se sei in quel 3% dei fortunati svegliati e goditela per tutti gli altri che non ce l’hanno fatta. Io ho avuto la fortuna di aver trovato un infermiere che ha beccato immediatamente la mia malattia, un medico che se non avesse fatto subito le amputazioni sarei morta, una fisioterapista, che era la nostra vicina di casa al mare, che ha visto muoversi un pochino le gambe, altrimenti me le avrebbero amputate alte e adesso non camminerei così bene… io adesso devo solo ringraziare un miliardo di persone, proprio a partire da quelle che ho incontrato in ospedale» • «Poco dopo essere stata dimessa dall’ospedale di Padova, ritornò a scuola e iniziò la riabilitazione presso il Centro Protesi dell’Inail a Budrio. Vio cominciò a praticare la scherma già a 5 anni e continuò fino a prima di ammalarsi. Una volta ristabilita non tornò ad allenarsi e per un periodo fece equitazione. Poi però, con l’aiuto della famiglia, delle sue insegnanti e con i tecnici delle protesi, ritornò alla scherma. Nel 2010 i suoi genitori crearono l’Art4sport, una Onlus che aiuta i bambini portatori di protesi di arto a integrarsi nella società attraverso lo sport. In quel periodo Vio si muoveva in sedia a rotelle, in attesa dello sviluppo delle protesi che le avrebbero permesso di muoversi più liberamente. Le protesi per praticare la scherma furono invece sviluppate dal Centro Protesi di Budrio, con la consulenza del Comitato Italiano Paralimpico. Nei primi mesi del 2010 Vio fece le prime prove di scherma in sedia, ancora senza protesi adatte e con il fioretto fissato al braccio con il nastro adesivo. Si allenò a Bologna, Roma e Padova con due dei più noti allenatori di scherma, il polacco Ryszard Zub e l’italiano Fabio Giovannini. Anche le due maestre della Scherma Mogliano che allenavano Vio da prima della malattia, Federica Berton e Alice Esposito, continuarono a seguirla e aiutarono l’adattamento della palestra di Mogliano Veneto. Quando le nuove protesi per la disciplina furono realizzate, Vio divenne la prima atleta in Europa ad avere il braccio armato protesizzato» (Pietro Cabrio) • «“Non chiamatemi poverina: la compassione può essere peggiore dell’indifferenza. Noi amputati non siamo inutili. Anzi, possiamo esservi d’aiuto. Se vi svegliate che fa freddo, piove e c’è traffico, non pensate: che giornata del cavolo. Una giornata del cavolo è svegliarsi con le gambe gonfie, non poter mettere le gambe artificiali e dover uscire in carrozzina”. Una mattina con Bebe Vio è in effetti di grande aiuto. Da lei abbiamo molto da imparare. Ad esempio a vaccinare i nostri figli. “Quando vado in tv o parlo al telegiornale dico sempre che sono contenta così, che la malattia non mi ha sconfitta, eccetera. Però, quando accade un trauma del genere, non accade solo a te. Accade ai tuoi genitori, alla tua famiglia. E hai il dovere di evitare che accada. Se a casa non avessimo dato retta all’Asl, che ci diceva “tanto c’è tempo”, e se dopo la vaccinazione contro la meningite A avessi fatto anche quella contro la C, non mi sarei ammalata”» (a Cazzullo) • «Ho sempre saputo che avrei potuto ricominciare a fare scherma. Quando l’ho chiesto ai medici mi hanno, diciamo, sputato in un occhio. Quando l’ho chiesto a quelli delle protesi, si sono messi a ridere. Però io fin da subito ho capito che sarei riuscita a ritornare» • «Se ho iniziato a fare sport, è stato grazie a loro: a Pistorius e a Zanardi. Pistorius è stato il primo che mi ha detto di provarci, di divertirmi, di lasciarmi andare. Zanardi, invece, è stato un po’ come un padre per me. E mi ha ripetuto la stessa cosa: l’importanza della testa, della giusta mentalità. Le persone si innamorano dello sport perché si innamorano delle storie di chi fa sport. E ora abbiamo bisogno proprio di questo: di persone capaci di evocare lo spirito dello sport, lo spirito delle Paralimpiadi» (a Giammaria Tammaro) • Alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro ha vinto l’oro nel fioretto battendo in finale per 15-7 la cinese Jingjing Zhou. Nel corso della fase eliminatoria, Vio aveva ottenuto una serie di risultati impressionanti vincendo 5-0 tutti e cinque i match del girone A, cosa che nessun’altra atleta è riuscita a fare. Nei quarti di finale ha battuto 15-6 la polacca Marta Makowska e in semifinale ha sconfitto nettamente per 15 -1 una delle favorite, la cinese Yao Fang • «Ci sono notti che non si dimenticano. Ci sono urla che resteranno nella storia dello sport mondiale. Come quello di Bebe la sera del 16 settembre 2016. Quando lancia al cielo la maschera e con la faccia accaldata urla la sua gioia. La fiorettista di Hong Kong, Yu, è attonita, conduceva la finale per la medaglia di bronzo a squadre 43-39, due stoccate dal podio. E poi ancora 44-42, ma non aveva fatto i conti con la forza travolgente di Beatrice Vio che rimonta e la tramortisce 45-44 facendo esplodere tutta la gioia azzurra, mentre la Carioca Arena intona il sottofondo “Italia, Italia”. Bebe Vio così entra nella leggenda dello sport paralimpico» (Gian Luca Pasini) • Dopo i successi alle Olimpiadi di Rio 2016 ha posato per la fotografa Anne Geddes per una campagna a favore della vaccinazione contro la meningite • Il 19 ottobre 2016 ha fatto parte della delegazione italiana ricevuta da Barack Obama alla Casa Bianca • Frequenta ka John Cabot University a Roma. «È una specie di scienze della comunicazione, in realtà è un’università americana dove puoi scegliere molti indirizzi. Io vorrei fare il major in comunicazione e i due minor uno in marketing e uno in relazioni internazionali • Prima della pandemia viveva a Roma. «È molto figo. Vivo con due ragazze, una boliviana, Isabela, e una bulgara, Nadine. Ci sono continuamente feste negli appartamenti studenteschi. In realtà all’università nessuno sa chi sono, gli italiani sono pochissimi. Mi sono presentata come Beatrice, non come Bebe e mi chiamano “B”. È strano, ma è anche bello tornare a presentarsi, perché nessuno ha pregiudizi su di me» (a Marina Speich nel 2019). Ora è tornata Mogliano Veneto con la mamma Teresa, il papà Ruggero, la sorella Sole, il fratello Nico e i due cani Taxi e Cracker • Appassionata di Burraco • Scaramantica. « Ho mille riti, mille cose che devo fare prima di ogni allenamento e prima di ogni gara. Sembro una matta, in realtà è una forma di autodifesa per non pensare alla gara. Il problema è che pretendo che questi rituali li facciano anche i miei compagni di squadra e il mio allenatore. Ho delle playlist diverse durante le gare e durante i ritiri. Prima di uscire di casa stacco la musica e c’è sempre una canzone che è appena iniziata o è a metà. Questa è la canzone che devo cantare tra me e me, perché faccio schifo a cantare, per tutto il giorno. Se siamo in gara a squadre devono cantarla tutte le persone della squadra e anche il fisioterapista. Prima di tirare sembra che io stia parlando da sola, in realtà sto cantando» (a Vanessa Perilli).
Titoli di coda «Ce una storia divertente che Bebe racconta in Mi hanno regalato un sogno, il suo libro uscito per Rizzoli. Era stata invitata a parlare alla nazionale di calcio under 21 per motivarli prima dell’Europeo 2013. C’era Arrigo Sacchi, all’epoca coordinatore delle nazionali giovanili. Bebe conclude dicendo: “Voi dovete spaccare, perché la cosa più importante di quando si fa una gara è vincere”. Si alza Sacchi che dice: “L’importante è partecipare, non vincere”. “Ma loro devono partecipare per vincere”. E una tipica storia Bebe Vio, che a volte sembra arrivata da un altro pianeta a fare a pezzi tutti i nostri luoghi comuni”» (Ferdinando Cotugno).