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 2021  marzo 16 Martedì calendario

Biografia di Ebe Giorgini

Ebe Giorgini, (Gigliola) nata a Bologna 17 marzo 1933 (88 anni). Santona. Nota come Mamma Ebe. Fondatrice della presunta congregazione religiosa Pia Unione di Gesù Misericordioso, mai riconosciuta dalla Chiesa. Arrestata più volte dal 1984 in poi. Nell’aprile 2008 condannata a sette anni dal tribunale di Forlì per truffa ed esercizio abusivo della professione medica con l’aggravante dell’associazione a delinquere. Tornata in carcere nel 2010, insieme al marito e a un collaboratore, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo della professione medica e alla truffa aggravata. Il 16 marzo 2016, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza definitiva alla pena di sei anni di reclusione.
Vita «Nata a Pian del Voglio, appennino bolognese, famiglia poverissima (“non ricordo di aver mai visto un paio di scarpe”), Gigliola Giorgini cominciò a farsi notare molto presto. Tra i suoi ricordi d’infanzia – raccontò con il consueto understatement – c’era l’incontro con Gesù all’età di cinque anni. Segue un’apparizione di Padre Pio» (Massimo Lugli) • «Cominciò a far parlare di sé a dodici anni, quando abitava nella campagna pratese, ed era una bambina tutta casa e chiesa che sognava di prendere il velo. Lo sognava tanto bene che cominciò a raccontare in giro di essere in contatto diretto con la Madonna, di operare guarigioni, e persino di aver ricevuto le stigmate: peccato che fossero stigmate un po’ strane, invisibili agli occhi degli estranei. L’idea di farsi suora le passò rapidamente e, nel 1953, Ebe sposò un contadino trasferendosi a vivere al podere “Consuma” di Loretino, in una vecchia casa colonica dove però si ammalò ben presto. Era una strana malattia di cui i medici non capivano nulla. La poverina languiva nel letto e riprese ad avere visioni soprannaturali: la Madonna le apparve annunciandole che, per guarire, doveva andare da Padre Pio. Ebe ubbidì e ottenne la guarigione, poi tornata in Toscana prese a curare la gente in nome del frate di Pietrelcina, finché una lettera del padre provinciale di Foggia la diffidò dall’usare il nome del sacerdote. Nel frattempo le stigmate erano spuntate di nuovo: si trattava di escoriazioni alle mani, ai piedi, al costato, alla fronte. Ebe, a suo dire, divenne cieca. “Mi si seccò il nervo ottico”, diceva, “anche ora sono cieca. Ma ho sempre l’angelo custode al mio fianco per guidarmi”. L’attività di Ebe continuava, e le sue “guarigioni” fecero scalpore e le donarono una fama quale nessun “guaritore” aveva mai conquistato nel Pistoiese. Si disse che un indemoniato, benedetto e unto da lei con olio santo, aveva sputato un enorme rospo. E l’aia di Loretino divenne meta di pellegrinaggi religioso-terapeutici. I devoti cominciavano ad arrivare all’alba e c’erano persone sull’aia fino a notte alta» (Paola Dassori) • «Nel 1958 a San Baronto, Gigliola, ormai Mamma Ebe, fonda la Pia Unione che diventa subito una calamita per migliaia di persone. Prega, guarisce, impone le mani, consacra, distribuisce medicinali a cucchiaiate. Chi le sta vicino, uomo o donna, la adora. Molti vendono tutto e consegnano, spontaneamente, i beni. I carabinieri cominciano a interessarsi a quella donna dai capelli corvini e dagli occhi lampeggianti sotto gli occhiali grandi come televisori e sono guai» (Lugli) • «Per stupire i fedeli, cambiava il colore degli occhi a seconda del giorno: verdi se aveva parlato con Dio, azzurri se aveva parlato con la Madonna» (Jenner Meletti) • «A Scandicci e a Empoli visitava i “pazienti” in salotto, in appartamenti prestati (o affittati) che diventavano in alcuni giorni della settimana degli pseudo-ambulatori, con un continuo viavai di malati, di mamme con bambini» (Laura Montanari) • «Negli anni d’oro della sua attività, era a capo di un vero e proprio impero finanziario. Aveva quindici sedi, quattro ville, alcune società, auto di lusso, un panfilo e una collezione di trentatré pellicce, oltre a gioielli con cui amava agghindarsi. L’attività di santona e guaritrice le faceva guadagnare fino a cinque milioni di vecchie lire al giorno, somministrando ai pazienti e fedeli mix di erbe e psicofarmaci» (Simona Pletto) • «Era il 1980 quando venne denunciata da un padre che la accusò di sequestro di persona nei confronti della figlia, un’adepta dell’Ordine. Allora Mamma Ebe operava a san Baronto, in provincia di Pistoia. Si spostò poi vicino a Vercelli: il 9 aprile del 1984 i carabinieri l’arrestarono per quel che aveva combinato in una casa di riposo nel loro territorio, a Borgo D’Ale. Quando entrarono nella sede dell’Ordine la trovarono a letto che si divertiva con un suo seminarista. Accanto, una bottiglia di Dom Perignon: i fedeli dissero che mamma Ebe non poteva bere altro, che non digeriva l’acqua. La polizia scoprì che l’organizzazione aveva preso in mano una quindicina di ospizi dove tante ragazze “suorine” lavoravano gratis anche venti ore al giorno. Le punizioni per chi non faceva bene il lavoro andavano dalle frustate all’essere cosparse di pomate urticanti fino al leccare il pavimento. C’era sempre il sesso di sfondo nelle regole imposte da Mamma Ebe. Le trovarono un sacco di soldi in contanti, nell’armadio 33 pellicce, e poi auto di lusso, gioielli. Era diventata ricca promettendo di sconfiggere qualsiasi cosa, anche la morte» (Stefano Nazzi) • «In seguito all’arresto nell’aprile dell’84, con l’accusa di associazione per delinquere, truffa, sequestro di persona, abbandono dei malati ed esercizio abusivo della professione medica, fu condannata a 10 anni di reclusione. In appello la pena viene ridotta a sei anni, con la concessione degli arresti domiciliari. Nell’87 un’altra condanna a otto mesi. Poi, nell’88, un nuovo arresto, con l’accusa aggiuntiva di somministrazione di stupefacenti» (Daniele Della Strada) Nel 1985, dopo la prima condanna «il vescovo, monsignor Simone Scatizzi, è sceso in campo contro mamma Ebe e ha proibito ai sacerdoti della Chiesa cattolica di dare i sacramenti a Ebe Gigliola Giorgini e ai suoi seguaci, “perdurante la volontà di continuare l’opera iniziata”. Non solo. La Curia ha preso al volo l’occasione per riaffermare che la “Pia unione del Gesù Misericordioso” non è una pia unione, non è mai stata approvata dalla Curia e non può esser dichiarata “appartenente alla Chiesa cattolica”. I credenti sono diffidati dal prendervi parte, Ebe Giorgini è diffidata dall’usare termini come seminarista, suora, congregazione, pia unione, abitualmente utilizzati per designare “precise istituzioni religiose”. Ai sacerdoti infine è proibito tenere celebrazioni a carattere religiose nelle case di mamma Ebe “pena la sospensione a divinis”» (Paolo Vagheggi) • Nel 2010 «dopo trent’anni di denunce, arresti, processi e condanne passate in giudicato, la santona di San Baronto, una località sulle colline di Pistoia dove la Giorgini si è insediata da anni acquistando una villa lussuosa, è stata nuovamente accusata di truffa aggravata, associazione per delinquere finalizzata all’esercizio abusivo della professione medica. I carabinieri avrebbe scoperto che la donna, insieme al marito e ad altri 15 adepti, avrebbe continuato a svolgere la sua opera di guaritrice non arrendendosi neppure davanti a malati di cancro. “Davanti alla sua villa c’era sempre una lunga coda di pazienti”, ha raccontato un testimone ai magistrati. Insomma, nonostante denunce e condanne, Mamma Ebe continuava a ricevere i clienti e gli adepti e operava “miracolose guarigioni” anche via telefono. Ci sono testimoni che dicono di essere stati visitati ricevendo, in cambio di offerte dalle 50 alle 100 euro esentasse, massaggi, trattamenti di agopuntura, esorcismi, pomate e unguenti per curare decine di malattie tra le quali anche i tumori. Durante il blitz scattato ieri, i carabinieri hanno sequestrato beni per oltre dieci milioni. Tra questi la villa, venti stanze, ricca di addobbi, mobili rari, dipinti» (Marco Gasperetti) • Nel 2017 è stata sottoposta a un intervento chirurgico allo stomaco e all’intestino • Oggi sta scontando i domiciliari a Sant’Ermete a Santarcangelo di Romagna, nel Riminese • «La casa costeggia un fiume, ha un grande giardino davanti all’ingresso che si affaccia sulla strada, mentre nella parte retrostante, immersa nel silenzio della campagna, ci sono cantine e garage ostruiti da pezzi di vita ammucchiati alla rinfusa. Vasi, mobili, ferro vecchio e altro materiale abbandonato. In questa casa indipendente mamma Ebe ha comunque continuato nonostante le limitazioni alla sua libertà ad aprire la porta a chi le chiedeva aiuto e guarigioni. L’ultimo caso in ordine di tempo, finito con una denuncia, risale al luglio 2017. Il reato contestato è sempre lo stesso: l’anziana santona è stata accusata di nuovo di aver esercitato abusivamente la professione medica. La paziente è una giovane donna forlivese impiegata in uno studio legale riminese che, costretta dal marito, si è sottoposta ad applicazioni sul proprio ventre di una pomata definita miracolosa perché in grado di renderla più fertile. In realtà le aveva procurato una perdurante irritazione cutanea e lesioni al basso ventre. La donna, 37enne, italiana, aveva interrotto le terapie mediche tradizionali finalizzate a risolvere il problema legato alla chiusura di una tuba. L’uomo, professionista italiano di 35 anni, le riteneva inutili e dannose e minacciava la moglie di lasciarla se non si fosse sottoposta alle cure della veggente della quale era un fedele sostenitore. La donna ha raccontato agli inquirenti che tutto era iniziato alla fine del 2014, quando mamma Ebe, che voleva farsi chiamare Gigliola, era stata scarcerata e dunque, secondo il marito, poteva curarla e risolvere la loro volontà di diventare finalmente genitori. Il marito aveva poi convinto la moglie che la santona era stata incompresa dalla giustizia italiana e dall’opinione pubblica e che solo alla sua morte si sarebbero riconosciuti i suoi miracoli. Non solo: secondo la donna che l’ha denunciata, mamma Ebe continuava nella sua residenza a Sant’Ermete di Sant’Arcangelo ad accogliere adepti che la ricompensavano con offerte in denaro o con lavori di manutenzione nella sua villetta» (Pletto).
Amori Tre matrimoni, l’ultimo con Gabriele Casotto, di 22 anni più giovane, un tempo suo segretario. I due stanno insieme ancora oggi • «Quando nell’89 si è sposata per la terza volta, nel carcere di Rebibbia, non ha rinunciato all’abito bianco. E per zittire i maligni, col candore di una cresimanda: “Sono vergine: il mio primo marito era impotente, col secondo avevamo un matrimonio “giuseppino” autorizzato dalla Chiesa: vivevamo in castità come Giuseppe e Maria”. I due ex coniugi (risposati e con prole) smentiscono; la Curia anche» (Lugli) • «Lei giurava che era stato il Papa a consigliarle Casotto come segretario particolare. A volte, si indignavano le ragazze che Ebe Giorgini aveva portato a un totalizzante misticismo. Capitò a Milena Tofanelli. Era andata in missione a Bologna, accompagnando Mamma Ebe e il segretario. Si accorse che i due dividevano lo stesso letto. La ritenne un’offesa a “Gesù misericordioso”. Ma Ebe in aula ha sostenuto: “Una mamma non può forse dormire con il proprio figlio?”» (Guido Vergani).
Cinema Nel 1985, quando il primo processo a Ebe Giorgini era da poco concluso, Carlo Lizzani presentò al Festival di Venezia il film Mamma Ebe. «Berta Dominguez o meglio Cassandra Domenica (la signora ha due nomi, a seconda dei suoi stati d’ animo) è la mamma Ebe dell’omonimo film di Carlo Lizzani in concorso al Festival. Siccome confessa di essere una veggente, una sensitiva, una maga buona, predice che il film farà scandalo: il che sarebbe appunto una buona cosa, tanto per rompere il silenzio, con un po’ di sano baccano, di questa Mostra cinicamente senza macchia. Perché scandalo? “Ma perché, contro tutti i facili giudizi della gente, io credo che mamma Ebe sia una benefattrice, bella e incantatrice, e io ne ho fatto quasi una santa”» (Natalia Aspesi).
Frasi «Le prigioni esistono perché le vogliamo noi» • «Una donna ha diritto a un po’ di frivolezza» (a proposito delle pellicce e della biancheria intima sexy) • «Donna fatale? Ma se sono vecchia, scomoda e bisbetica» • «Sono pentita solo di aver pianto: un vero cristiano non deve mai piangere sulle proprie disgrazie».