17 marzo 2021
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Biografia di Bobby Solo
Bobby Solo, (Roberto Satti), nato a Roma il 18 marzo 1945 (76 anni). Cantante. Ha vinto due volte il Festival di Sanremo, nel 1965 con Se piangi se ridi e nel 1969 con Zingara. Maggiore successo: Una lacrima sul viso, esclusa dal Festival nel 1964 perché eseguita in playback a causa di un’improvvisa afonia.
Vita «La leggenda narra che per sei mesi sia stato nutrito con acqua e zucchero. Poi suo padre vendette due medaglie d’argento guadagnate in guerra come pilota mitragliere e comprò il latte in polvere. Suo padre era molto severo e spesso la mandava a letto senza cena. Cosa combinava? “Beh, facevo delle marachelle... Ma mia sorella Fiorenza veniva in camera e mi portava un panino con formaggino Tigre e prosciutto”. Non mi ha detto quali marachelle. “Amavo i fiammiferi... Una sera in terrazza mescolai polvere da sparo con zinco e magnesio. Da una scintilla partì una botta che illuminò i quattro piani del palazzo di fronte. E io mi ritrovai con le ossa della mano, senza più polpa: ho una mano più giovane dell’altra”. Non sono marachelle: lei era un teppista! “A 13-14 anni con Renzo, figlio di un detenuto per quattro omicidi, andavamo a Villa Glori a rubare le moto degli innamorati, le smontavamo e le rivendevamo a Porta Portese. Durante le Olimpiadi di Roma ci infilammo negli spogliatoi e rubammo i portafogli alle nuotatrici. Scampai il carcere. Poi mio padre si fece trasferire a Milano. Appena raggranellai i soldi per pagare il treno a Renzo lo feci salire, avevo 16 anni, e ci scolammo una bottiglia di gin: mi risvegliai all’ospedale in una camicia di forza, pare avessimo tentato di spruzzare gli sconosciuti con la benzina. Ricordo che mio padre venne a prenderci con il loden verde...”» (a Elvira Serra) • Inizi come imitatore di Elvis Presley: «Ero innamorato di una ragazzina con una coda di cavallo stupenda, una giovane americana – figlia di un giornalista del New York Herald Tribune – che mi parlò per la prima volta di Elvis. Io ero abituato a Johnny Dorelli e Fausto Cigliano ma rimasi colpito e chiesi a mia sorella Fiorenza, che abitava negli Stati Uniti, di mandarmi i dischi di Elvis. Mi arrivarono quindi Shake Rattle & Roll, Love Me tender e due LP di Elvis. Poi andai al cinema a vedere Jailhouse Rock, ovvero Il delinquente del r’n’r e uscii gasatissimo, me ne tornai a casa che sembravo Alberto Sordi quando faceva l’americano e dissi a mia madre a’ ma, fammi ’na pasta» (ad Antonio Lodetti) • La prima chitarra la ottenne da «un artigiano che lavorava vicino a casa mia a insegnarmi quattro accordi in croce, poi feci tutto da solo. Suonavo in una band rockabilly e da solo a casa cantavo sopra ai dischi di Elvis. Quando mio padre fu trasferito a Milano cominciai a fare sul serio in una band dove c’era anche Franz Di Cioccio che aveva già una bella batteria Meazzi, suonavamo nei localini e tampinavamo continuamente le ragazze» (cit.) • «Come è arrivato alla Ricordi? “Andavo al Classico e non studiavo, sotto il banco tenevo i testi di Elvis e li cantavo…”. Quindi? “Prendevo ripetizioni da un professore e lì un giorno incontro un ragazzo, poi diventato giornalista, e fratello di un autore della Rai: ‘Ti posso aiutare’. Così ho ottenuto un appuntamento alla Ricordi, ma inizialmente non mi hanno fatto salire, sono rimasto nell’androne a giocare a battimuro con il portiere”. Fino a quando… “Accedo agli uffici e trovo Stelvia Ciani, una bella biondina che aveva tentato, senza successo, la carriera di cantante, ed era rimasta come segretaria; poco dopo vedo una chitarra, e per sedurla inizio a imitare Elvis: passano un paio di minuti e si apre una porta ed esce un signore: ‘Chi canta?’. ‘Mi scusi, smetto subito’. ‘No, entra’. Era Micocci”. E il nome d’arte? “Un’incomprensione: mio padre, colonnello dell’Aeronautica e due medaglie d’argento, era severo, detestava la musica leggera. Si vergognava di me. Tanto da chiamare la Ricordi per diffidarli: ‘Se utilizzate il nome Satti, vi rovino’. Allora Micocci decide: ‘Americanizziamo Roberto in Bobby’. ‘Bobby, e poi?’ chiesero dall’etichetta. ‘Solo Bobby’. E la segretaria capì Bobby Solo”» (ad Alessandro Ferrucci) • Debutto a Sanremo nel 1964 con Una lacrima sul viso. «“Il primo giorno, ascoltando alle prove gli artisti americani, mostri come Paul Anka e Frankie Avalon, mi sentii una nullità e persi completamente la voce. Un fatto psicologico, non un mal di gola come si disse. Mi salvò Vincenzo Micocci, discografico della Ricordi, un papà per me. Impose il playback agli organizzatori e mi garantì almeno l’esibizione. Fu un successo, in un giorno la Ricordi ricevette ordini per 300 mila copie: in albergo dormivo in un sottoscala ma il giorno dopo mi trasferirono nella suite, dalle stalle alle stelle. La voce a quel punto era tornata, però Micocci mi disse: ‘Fai finta di essere ancora afono, in playback il suono è perfetto’”. Si dice che lei si scusò con il suo manager, Gianni Ravera. “Sì, ma Ravera non se l’era presa, soprattutto perché non immaginava che in tre mesi avrei venduto 2 milioni di copie e poi 12 milioni nel mondo. Dopo il festival mi vendeva a cifre molto alte, il corrispettivo di 30 o 40 mila euro di oggi a serata. Ravera alzava continuamente il prezzo, ricordo un impresario di Modena, Onelio Barbati, era del Pci, che mi doveva far fare 40 serate e mi disse: ‘Se quando arrivi al locale di Riccione non firmi al prezzo basso che abbiamo concordato, ho tre uomini che mentre sei sul palco ti riempiono di cacca di vacca’. E lo avrebbero fatto. Firmai”. Erano gli anni del Cantagiro. “A Catania capii il potere e il carisma di Celentano. Lo spettacolo era in ritardo e l’organizzatore Ezio Radaelli non riusciva a tenere a bada la folla, tiravano sacchi di terra sui musicisti dell’orchestra: sul palco salì Adriano con la maglietta tre bottoni, i pantaloni bicolore e le scarpe tartarugate: fece un cenno come un profeta, “Sedetevi”, e tutti i 30 mila si sedettero. Era magnetico. Siamo stati molto amici, soffriva di insonnia, quando abitava a Roma veniva a notte fonda a casa mia con la Ford Mustang rosa di sua moglie Claudia, ci davamo appuntamento alle 2 di notte di fronte a una farmacia all’Eur. Una sera entrammo e lui, come fosse un bar, mi guardò e mi chiese: Uè, cosa prendi, un Cebion o un Agrovit?”» (a Carlo Moretti) • Rivalità di facciata con Little Tony. «In realtà eravamo amici, erano i manager che si contendevano le nostre serate. Quando ho conosciuto Little Tony lui aveva una Jaguar E verde metallizzata e io diecimila lire che mi aveva dato mia madre. Siamo diventati subito amici anche se eravamo come il diavolo e l’acquasanta. Io gli rubavo spesso il chitarrista, suo fratello Enrico Ciacci, per divertirci con qualche serata rockabilly» (a Lodetti) • Nel ’67 tornò al Festival con Canta ragazzina, in coppia con Connie Francis, nel ’68 con Zingara in coppia con Iva Zanicchi: «Era una ragazza bellissima nel ’68, ricordo che facemmo un servizio fotografico per Oggi all’Idroscalo di Milano e lei aveva un golfino rosa che ne esaltava la bellezza. Al Festival fummo una coppia di ferro e la canzone divenne un successo mondiale. Nicola Di Bari ne vendette 9 milioni di copie nei paesi sudamericani e la cantò anche Connie Francis. Nella sua versione c’è una curiosità: quando attacca, con accento americano, dice prendi questo in mano, zingara» • Negli anni 70 altre due volte al Festival, poi il silenzio per quasi dieci anni. «Era cambiata l’aria, andavano di moda i gruppi inglesi, noi venivamo percepiti come il passato. Successe anche a Gianni Morandi, che studiò contrabbasso, e a Gino Paoli che si era messo a fare il night. Io aprii una sala di registrazione. In quel periodo il manager Willy David di me disse: “Un’aquila con l’ala spezzata vola all’altezza di una gallina, ma una gallina non volerà mai all’altezza di un’aquila”. Lo considero ancora il più bel complimento mai ricevuto» (a Moretti) • «Nel ’76 alla Intersong un usciere mi disse “che fa qui? La sua carriera è finita” e per poco non andai sotto un autobus, camminavo piangendo. Ma solo nelle difficoltà impari: pure la fortuna che hai» (a Andrea Pedrinelli) • Nel 2003 è tornato a Sanremo in duetto con Little Tony con il brano Non si cresce mai (16º posto). Da ultimo, dopo i dischi dedicati a Johnny Cash e a John Lee Hooker, nel 2021 ha pubblicato l’Ep Good Blues Volume 1 con brani di Tony Joe White e Kris Kristofferson.
Curiosità Nato senza il nervo uditivo, è sordo all’orecchio destro • Primo cantante in Italia a truccarsi: «Negli anni Cinquanta e Sessanta anche gli attori americani e lo stesso Elvis erano costretti al rimmel per emergere nelle foto; per questo andai in una profumeria davanti al Casinò di Sanremo, e c’erano due belle ragazze di vent’anni… Proposi uno scambio: “Volete vedere il Festival? Vi faccio entrare, ma voi portate un po’ di rimmel e mi sistemate alla Elvis”. Perfetto, solo che mi truccarono peggio di Claudia Cardinale e sul palco mi colò tutto: il regista s’impietosì nel dedicarmi un primo piano» (a Ferrucci) • Canzone a cui è più affezionato: Non c’è più niente da fare, «un country valzer del ’67. Mogol si era separato dalla moglie Serenella e la casa discografica voleva un disco per fargli fare pace. Io non ero convinto. Così nella facciata A cantai Serenella com’eri buona com’eri bella, ma nella facciata B registrai Non c’è più niente da fare e venne scelta come sigla per una serie tv dedicata a Totò. Vendette 1,8 milioni di copie. Fu una bella soddisfazione» (a Serra) • Nel libro-intervista scritto con Dario Salvatori, Cronache di Una lacrima sul viso (Azzurra Publishing 2020) racconta di Lucio Battisti che veniva a mangiare la frittata con patate e cipolle da sua mamma. «Arrivava con una 500 rossa targata Rieti. Poi hanno cominciato a dargli qualche anticipo e l’aveva cambiata con un’Alfa Romeo Gt».
Soldi Di Una lacrima sul viso per anni non avuto i diritti d’autore: «Approfittando dei miei 19 anni. Non nominerò il direttore artistico che se li attribuì». Grazie a Red Ronnie ne riebbe una parte. «L’avvocato Giorgio Assumma ha bloccato i diritti d’autore dal 1978 in poi. Con Red successe che andai a cantare a Bertinoro dai tossicodipendenti e a cena dissi: “Se qualcuno mi aiuta a recuperare quel che mi spetta gli do il 50%”. Poco dopo si materializzò un foglio protocollo con carta bollata. Lui fece arrivare dall’estero il direttore che mi restituì la canzone» (a Elvira Serra) • «Ha guadagnato tanto nella sua carriera? “Non quanto si è detto. Passai a mia madre i 70 milioni di lire che la Ricordi mi dette nel ’67 per il rinnovo del contratto ma lei li perse in un investimento sbagliato. Diciamo che non me la passavo male: tra il ’64 e il ’68 ho cambiato 47 automobili, allucinante”. Oggi si parla delle truffe da lei subite sui diritti d’autore.
«Sono grato agli avvocati che controllando i miei contratti con varie case discografiche hanno scoperto terribili anomalie, un milione di truffe. E non solo in America”» (a Moretti).
Critica «Non è come Celentano, padre di famiglia, industriale discografico, rumoroso sostenitore dell’amicizia, facile alle crisi mistiche. Non è un minorenne candido come Gianni Morandi con ingenuità che inteneriscono il pubblico, faccia limpida e infantile, buoni sentimenti. Non è un fenomeno controllato come Rita Pavone, cui un manager-marito accorto come Teddy Reno ha costruito una personalità tra patetica e simpatica, dalla vitalità allegra e inoffensiva. Non è neppure un ribelle di tipo intellettuale come Giorgio Gaber. Invece è aggressivo, strafottente, non simpatico. Sicurissimo di sé, niente affatto modesto, con un modo vanitoso e insolente di portare i pochi anni e i grossi guadagni, di ripetere continuamente “ho solo vent’anni, gli altri son tutti più vecchi di me”, “ho i soldi, sì, vi sta bene?”. Un ribelle provocatorio. Quando lo accusano di non avere altra voce che quella dei microfoni, degli amplificatori e delle eco stereofoniche, quando lo chiamano “il cantante muto” non si difende, “lascio dire; tutta invidia, povere zabette”. Quando gli rimproverano di truccarsi, dandogli dell’effeminato non si difende, si fa fotografare per sfregio nell’atto di spalmarsi il rimmel sulle ciglia con lo spazzolino. Le sue idee sulle donne sono chiare: “Sono per la donna-mamma io, mi piacciono tutte piuttosto maggiorate, tipo Pamela Tiffin o Raquel Welch. Ursula Andress no, troppo mascolina”. Le sue idee sulla cultura sono altrettanto precise: “Ma che è questo Brecht, questo strazio dell’anima...”» (Lietta Tornabuoni nel 1966).
Amori Cinque figli. Dalla prima moglie Sophie Teckel, ballerina francese sposata nel dicembre 1967, ha avuto Alain (1968), Chantal (1971) e Muriel (1975). La coppia divorziò nel 1991. Poco dopo riconobbe la figlia Veronica, nata il 16 marzo 1990 da una relazione con Mimma Foti. Ultimo figlio, Ryan, avuto a 67 anni, dalla seconda moglie, la coreana Tracy Lee Quade, sposata nel 1995 • A Ryan ha dedicato il brano Una nuova lacrima, una rilettura rap del suo più grande successo: «È uscito il primo rap della mia vita artistica, mi sono commosso nel recitarlo» • «Sua moglie come la chiama: Roberto o Bobby? “Lei Honey, tesoro”. E i suoi amici? “I conoscenti casuali Bobby. Gli amici di lunga data Roberto. La mia mamma mi chiamava Robi”» (a Serra) • «Nell’ambiente musicale ho avuto un flirt con Gabriella Ferri e poi alcune passioni non ricambiate; in Francia mi ero preso una scuffia per Françoise Hardy: non aveva tanto seno, ma due gambe assurde; io sono un gambista. Amo le gambe, i polpacci e lei portava i tacchi a spillo senza calze: una da sballo; sempre in Francia ho vissuto un incontro di fuoco con una ragazzina di 19 anni, bella da morire, e durante il rapporto le dicevo: “Je t’aime”, ti amo, e lei rispondeva: “Menteur”, che vuol dire “mentitore”, ma non conoscevo il francese. A orecchio capivo “montone”, così mi fomentavo e insistevo: “Je t’aime, je t’aime”. E lei: “Menteur, menteur…”» (a Ferrucci).
Vizi Appassionato di automobili. «Tra il ’64 e il ’68 ne ho cambiate 47, allucinante» • Frequentazione con la famiglia mafiosa dei Gambino. «Non ho mai avuto nessuna amicizia con i Gambino, ma sono una persona riconoscente. Nel ’77 feci una tournée in America con Franco Franchi, Lino Banfi, Rosanna Fratello e altri. L’impresario era un po’ tirchio e mi dava 15 dollari al giorno come rimborso pasti. I Gambino venivano spesso alle prove, amavano i cantanti italiani. Così quando dissi al body guard di Gianni Gambino che avevo sempre fame, lui mi fece dare 50 dollari al giorno per tutti i 40 concerti in programma». Negli anni Novanta, cantò al matrimonio della figlia del boss, Rosanna. «Mi chiamò l’impresario di Mike Bongiorno e disse che dal penitenziario di Reno Gambino aveva chiesto che cantassi alla festa a Staten Island e chiedeva quanto volevo. Risposi che andavo gratis, volevo sdebitarmi. Loro poi mi diedero 10 mila dollari scartocciati “per i regali ai bambini”. La sera in albergo stirai le banconote con un posacenere Lucky Strike» (a Serra) • «Qualche acido l’ho preso. Con la marijuana Hho iniziato a fine anni Sessanta, poi ho smesso perché mi causava disturbi intestinali; insieme al mio amico Ricky Shayne, per un anno, ho preso l’anfetamina: una volta anche prima di un concerto a Lamezia Terme, e sceso dal palco ho aggiunto dell’hashish nepalese. Credevo di levitare, poi siccome sono ipocondriaco, mi ha assalito la paranoia, fino a una crisi respiratoria; all’una di notte finisco dal medico, che si accorge della pupilla dilatata e in calabrese mi bacchetta: “Dovrei chiamare la polizia, ma sono tuo fan: prendi 40 gocce di Valium e torna a Roma”» (a Ferrucci).