Anteprima, 15 febbraio 2021
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Biografia di Paolo Isotta
Paolo Isotta (1950-2021). Musicologo. Critico. Scrittore. Figlio di un grande avvocato civilista. Studi di pianoforte col maestro Vincenzo Vitale, corsi di teoria musicale dal maestro De Santis, composizione con Renato Parodi, poi con Renato Dionisi. Nato a Napoli, dopo il liceo Umberto studiò presso la Federico II sia Lettere che Giurisprudenza. Professore straordinario al Conservatorio a 21 anni, poco dopo ordinario, nel 1994 lasciò la cattedra «per progressiva intolleranza verso gli allievi attuali». «Nel ’74, pubblicò un libro meraviglioso, I diamanti della corona. Grammatica del Rossini napoletano, diventando il critico del neonato Giornale. Nell’80 passò al Corriere della sera fra opposizioni e polemiche, dato che non rinnegò mai la sua fede fascista né, soprattutto, mai la nascose. Al Corriere rimase trentacinque anni costruendo accuratamente la sua fama di eccentrico bastian contrario, che tuttavia non era una posa, semmai una costante opposizione al suo tempo, nella musica e in tutto il resto. Era il classico recensore di cui non condividi nemmeno la punteggiatura, ma ammiri come la usa. Scriveva in una prosa forbita, latineggiante, ampollosa, spesso offensiva e sempre irresistibile. Insomma, si adorava detestarlo (e talvolta si detestava doverlo adorare). A un certo punto fu perfino bandito dalla Scala, scatenando un putiferio che dimostrò, se non altro, che perfino nei teatri d’opera c’è vita […] Viveva in un enorme appartamento napoletano con migliaia di libri. L’amore per gli animali era una delle sue caratteristiche più umane. I suoi avevano nomi operistici: il bassotto Ochs e la gatta Isaura (non quella evocata da Desdemona nell’Otello di Rossini ma la protagonista di Jacquerie di Marinuzzi, per il quale aveva un vero culto) […] Guarda caso, è morto il 12 febbraio, il giorno dell’incendio che nel 1816 distrusse il San Carlo, il teatro che amava di più» [Mattioli, Sta]. «Era della più sensuale scuola napoletana, qualunque cosa questo voglia dire, adorava Virgilio e si dilettava a vivere con una generosa passione colta per gli animali, specie i bassotti che sono animali per modo di dire, diceva la sua devozione al sesso estremo, alla cocaina e alle “recchie”. Era la malizia incarnata, e Cesare De Michelis per la sua Marsilio intuì la serena grandezza del suo autobiografismo donandogli e donandoci il successo magistrale de La virtù dell’elefante, libro unico e capolavoro letterario destinato a lunga vita. Paolo Isotta ha inseminato l’esistenza dei suoi difetti, delle sue ire spesso sconclusionate, del suo cattivo carattere, del suo temperamento manesco, e per questo non poteva che essere caro, sebbene indisponente, agli amici ribaldi e insofferenti. Ma quando inviava i suoi testi più esplosivi, per avere un parere, e in genere nella comunicazione elettronica, si firmava Kurwenal, il servitore go between che annunciò baritonalmente a Tristan l’arrivo di Isolde, un mediatore di bellezza e d’amore. Spavaldo teppista dell’arte suprema, quella che per Dante s’ascolta e non si intende, Paolo Isotta era un cristiano di fede e superstizione, un censore brutale di ignoranza e stupidità, un fazioso inveterato inaccessibile a ogni pappa del cuore, un buonuomo di genio curioso degli altri, fino a sconfinare ogni volta nella passione e inevitabilmente nel dolore» [Giuliano Ferrara, Foglio]. «I due ultimi titoli, Verdi a Parigi (2020) e San Totò (in uscita), sembrano un’epigrafe» [Foletto, Rep].