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 2021  febbraio 23 Martedì calendario

Biografia di David Quammen

David Quammen, nato a Cincinnati, Ohio, il 24 febbraio 1948 (73 anni). Saggista. Divulgatore scientifico. Autore di Spillover. L’evoluzione delle epidemie (2012, trad. it. 2014) • «È stato fra i primi a parlare dell’inevitabilità che una nuova grave pandemia investisse il pianeta. Era il 2012 e... be’, sappiamo com’è andata» (Paolo Giordano, Corriere della Sera, 15/5/2020) • «Nel testo - accurata ricostruzione della genesi e dell’andamento di pandemie quali Ebola e SARS, all’origine delle quali vi sarebbe l’impatto devastante delle azioni umane sugli ecosistemi, responsabile del salto di specie (spillover) attraverso cui un agente patogeno si trasferisce da una specie animale all’uomo (zoonosi) - Q. ha ipotizzato la diffusione di una gravissima epidemia (The Next Big One) propagatasi dagli animali, verosimilmente pipistrelli, all’uomo, come effettivamente verificatosi nel 2019 con la pandemia prodotta dal coronavirus» (Treccani) • Unitosi agli scienziati che lui chiama “cacciatori di virus”, Quammen «si era infilato, strisciando pancia a terra, nelle grotte del Guangdong, grotte “non più grandi di un garage”, per catturare esemplari di pipistrelli usando retini da farfalle e raccoglierne la saliva con un cotton-fioc. “In retrospettiva, siamo stati piuttosto imprudenti, ma ci è andata bene”» (Paolo Giordano, 7, 28/12/2020) • «È l’autore del momento» (Eleonora Barbieri, il Giornale, 12/6/2020) • «È fra le persone più intervistate, si capisce: io l’ho visto da Fabio Fazio e letto su Wired e Huffington Post, oltre che su riviste scientifiche» (Adriano Sofri, Il Foglio, 26/3/2020) • «A chi gli chiede come abbia fatto a prevedere tutto questo quasi dieci anni fa, David Quammen risponde sempre allo stesso modo: “Nessuna profezia, ho solo scritto quello che scienziati lungimiranti avevano preannunciato”» (Emilio Cozzi, La Lettura, 22/3/2020).
Titoli di testa «L’idea di questa intervista sarebbe capire come sia possibile che questo signore dall’aria un po’ distante, mitigata da un sorriso aperto e gentile sotto due rassicuranti baffi grigiastri, che porta spesso un gilet di pile e ha scelto di vivere in Montana – dice – per la pesca alla trota, sia passato dall’Ivy League al maneggiare, circa trent’anni più tardi, enormi pipistrelli rinchiusi in federe da cuscino» (Chiara Bardelli Nonino, Studio, 21/10/2014).
Vita «Fa una vita piuttosto ritirata, ci tiene a precisare, e della sua infanzia ricorda più di tante altre un’immagine: quella dei bulldozer che rasero al suolo l’amata foresta di conifere accanto a casa. “Successe appena dopo la seconda guerra mondiale: bisognava fare spazio a strade, case, negozi, a una città in crescita. Per me quella scena fu determinante”» (Cozzi) • «Allievo prediletto di Robert Penn Warren, David Quammen si laurea in letteratura inglese tra Yale e Oxford con una tesi sulla struttura del romanzo in Faulkner. Nel 1973, appena finita l’università, pubblica il suo primo romanzo. È un cosiddetto ragazzo prodigio, ma capisce alla svelta tutta l’ironia nascosta nell’etichetta: vivere di scrittura non è infatti così facile, neppure per un Rhodes Scholar. Dopo l’esperienza formativa del romanzo d’esordio, Quammen decide appunto di andare a vivere in Montana. Guadagna con i soliti lavori occasionali, e nel tempo libero scrive un secondo libro, a suo stesso dire “folle, ambizioso e inesorabilmente destinato al fallimento”. Il romanzo esce nel 1987, quattordici anni dopo il primo: è una spy story che, ricorda, fa perdere le tracce di sé “come una pistola bollente lanciata di fretta nel Potomac”. Intanto però Quammen ha scoperto la wilderness – parola che non trova posto nella lingua italiana, dove peraltro manca anche il concetto. Vuole disperatamente scrivere, e il Montana gli sembra il posto perfetto per farlo: sarà anche “privo di ristoranti, librerie o orchestre sinfoniche decenti”, però promette solitudine quanto basta, e una strana, non del tutto spiacevole prossimità con “cose, bestie, posti, animali, forze della natura capaci di assassinarci con sublime indifferenza”. Qualche tempo dopo diventa una guida di pesca professionista. Una sera, al termine di una lunga giornata sul fiume con John Rasmus, allora editor di Outside Magazine, propone di scrivere qualcosa che darà una svolta alla sua carriera: “Senti, che ne diresti di un pezzo encomiastico sulle zanzare? Sono animali insopportabili, ma prima o poi bisognerà pure che qualcuno ne parli bene!”. Nasce così “Natural Acts”, una rubrica mensile di scienza e natura tenuta da un laureato in lettere con l’ossessione per Faulkner che, qualche anno dopo, si guadagnerà apprezzamenti come quello di Patricia Wall sul New York Times: “uno dei più brillanti scrittori americani di non fiction? No, uno dei più brillanti scrittori americani, punto”» (Bardelli Nonino) • La sua idea: people like to read about people. La gente, anche quando si interessa di scienze, vuole soprattutto leggere storie. La scienza, dice, va raccontata attraverso le fissazioni, le invidie, ma anche gli atti di generosità e di coraggio dei suoi protagonisti • «Quali sono i tuoi autori di riferimento, quelli che ti hanno più influenzato? “Anche se scrivo di scienza, Faulkner. Non importa che i suoi romanzi parlino essenzialmente di dinamiche familiari piuttosto contorte ambientate immancabilmente nel Sud degli Stati Uniti: importa come sono strutturati. Il modo in cui costruisco i miei libri, in cui intreccio voci e storie, l’ho imparato da lui”» (Bardelli Nonino).
Lavoro Tutti i suoi ultimi libri li ha scritti sul retro della casa in Montana. «Una piccola stanza completamente ricoperta da volumi di ogni genere, bacheche con carte geografiche e ritagli di giornale, e pile e pile e ancora pile di taccuini da reporter tagliati con le forbici sul lato corto. Te lo devo chiedere subito: perché tagli i taccuini? “Semplice: è l’unico modo per farli entrare in una Ziploc bag [una marca di buste di plastica sigillabili molto comune negli Usa, nda]. Tendo a lavorare in posti abbastanza remoti. La sera prima di partire prendo un paio di taccuini, un paio di forbici, e li accorcio di circa quattro centimetri. Qualsiasi cosa succeda – e parlo del tipo di imprevisti che possono capitare in una foresta tropicale o nell’Artico russo – so che comunque i miei appunti sono salvi”. Quindi come funziona, come si prendono appunti nel mezzo di una foresta tropicale? “Beh, lo strumento indispensabile, oltre a taccuini e buste di plastica, sono le penne biro. Quando sono sul campo, durante il giorno prendo nota di ogni cosa. La mattina dopo, di solito verso le cinque, racconto la giornata precedente sul mio diario di viaggio, con un taglio molto più narrativo”. Una volta a casa come metti assieme tutto questo materiale? “A dire il vero non ho una regola fissa. Di solito, quando torno a casa, mentre sto facendo sbobinare le interviste che ho registrato, mi metto a leggere decine di libri e articoli prendendo ancora appunti, in un taccuino dedicato che potrei chiamare il ‘taccuino delle letture’. A volte, terminata questa fase, butto finalmente giù qualche idea su come vorrei strutturare il libro. Ma succede anche che, dopo aver passato anni ad ammassare materiale sulla scrivania, inizi a trangugiare litri di caffè e cominci semplicemente a scrivere”» (Bardelli Nonino) • «Seguire gli scienziati sul campo è una delle cose che preferisco. Ritrovarsi in posti fuori dal mondo, foreste, paludi, catene montuose – a volte anche metropoli, condividere le circostanze più dure e i momenti di frustrazione, disagio, a volte anche di pericolo, ti aiuta a capire non solo il loro lato professionale ma anche – e soprattutto – quello umano. Odio intervistarli al telefono, lo faccio solo se non c’è alternativa. Preferisco incontrarli, viaggiare con loro, e cercare di capire come vedono il mondo» (ibidem).
Covid «Come avviene lo “spillover”? “Spillover è il termine che indica quel momento in cui un virus passa dal suo “ospite” non umano (un animale) al primo “ospite” umano. Questo è lo spillover. Il primo ospite umano è il paziente zero. Le malattie infettive che seguono questo processo le chiamiamo zoonosi”» (Stella Levantesi, il manifesto, 25/3/2020) • «Perché il numero delle epidemie è cresciuto? “Tutto ha un’origine: i nuovi virus diffusi nella popolazione umana provengono da animali selvatici. Gli ecosistemi terrestri ospitano numerose specie animali, ognuna delle quali è portatrice di patogeni unici e peculiari. Nel momento in cui si distruggono le foreste per ottenere legname o ricavare metalli, oppure si uccidono centinaia di specie per uso alimentare o per immetterle sul mercato, si espone il genere umano a tutti questi virus: offriamo cioè loro l’opportunità di trasferirsi dagli ospiti animali alla nostra specie. Negli ultimi decenni queste attività sono aumentate in maniera esponenziale; tutto ciò ha rotto l’equilibrio dell’ecosistema e interferito prepotentemente con quello della vita animale. Come se non bastasse, la popolazione umana è aumentata fino agli attuali 7,7 miliardi: è una polveriera se si considera anche la facilità di movimento di un mondo globalizzato. Tutti questi fattori hanno contribuito ad aumentare il rischio di frequenti spillover, ossia invasioni di nuovi virus nelle nostra società”» (Cozzi) • «Gli scienziati sapevano che una pandemia stava arrivando. I funzionari della sanità lo sapevano. Hanno avvertito i leader politici, ma in alcuni Paesi, come il mio, quegli avvertimenti sono stati ignorati e minimizzati. Perché? Perché i politici, in troppi casi, come negli Usa, non si preoccupano di ciò che potrebbe accadere fra tre anni ma, magari, capiterà fra dieci. Si preoccupano solo di quello che succederà fra oggi e la loro prossima elezione» (alla Barbieri) • «Quale sarà la più grande minaccia nei prossimi anni? “Le principali minacce che ci aspettano nei prossimi anni sono: nuovi virus zoonotici; il cambiamento climatico; la tetra possibilità che gli umani continuino a riprodursi e a consumare al tasso attuale”» (ibidem).
Amore Vive a Bozeman, Montana, con la moglie Betsy.
Politica Anti Trump. Lo chiamava «il nostro stupido presidente».
Curiosità Ha ottenuto un paio di dottorati honoris causa alla Montana State University e al Colorado College • Dal 2007 al 2009 è stato professore di Western American Studies alla Montana State University • In casa tiene un gatto, due cani e un pitone • Da giovane praticava hockey su ghiaccio e rafting, ora ha smesso ma continua ad andare in bicicletta e a sciare • Gli piace fare lunghe passeggiate assieme ai suoi cani • I suoi scrittori preferiti: John le Carré, Charles McCarry, William Faulkner • «Be’, dopo aver letto che hai fatto costruire un lettino nel tuo ufficio modellato su quello della casa di Faulkner, non metto in dubbio la devozione. “Ah sì, certo! È un piccolo box bed alla norvegese, dietro una tenda, grande appena per me e il mio gatto. L’idea mi è venuta quando ho visitato la casa di Faulkner nel 1969. A volte ci riposo soltanto, altre, se voglio passare la notte a leggere senza svegliare mia moglie, rimango là. A dire il vero però, se voglio fare una dormita durante il giorno mi metto sul pavimento. Schiena a terra e braccia allargate – così so che non sarò mai abbastanza comodo da dormire più di mezz’ora”» (Bardelli Nonino) • «Che cos’ha di diverso questa pandemia di Sars-Cov-2 rispetto alle precedenti? “Guardiamo all’influenza del 1918 o alla peste bubbonica del XIV secolo. Ecco, questa pandemia è unica per tre motivi: il primo è la dimensione dell’attuale popolazione mondiale. Il secondo è la crescente interconnessione fra gli uomini, che rende possibile una diffusione globale del virus in poco più di 16-18 ore. Il terzo elemento distintivo è che la scienza ha fatto passi da gigante. Mentre i primi due fattori sono pericolosi, il terzo ci dà speranza”» (Cozzi).
Titoli di coda «“Una decina di anni fa, Ron Fouchier stava lavorando su una forma di influenza aviaria molto letale ma non contagiosa da umano a umano. Voleva capire quali mutazioni avrebbero reso il virus trasmissibile per via aerea. In una ricerca simile ci sono dei possibili vantaggi e dei rischi. Chi deve decidere? Io credo che decidere spetti ai cittadini, guidati dagli scienziati, perché quella ricerca è finanziata con fondi pubblici”. Ma hai detto che i cittadini non sanno la differenza tra un virus e un batterio... Come si fa allora? “Continuando a fare quello che stiamo facendo adesso: informando le persone, rendendole più consapevoli, un centimetro per volta. E intrattenendole, nel frattempo. Che è poi il motivo principale per cui scrivo libri sugli scienziati. Oltre al bisogno di guadagnarmi da vivere, ovviamente”» (Giordano).