24 febbraio 2021
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Biografia di Jean Todt
Jean Todt, Pierrefort (Francia) 25 febbraio 1946 (75 anni). Ex pilota di rally. Manager. Dall’ottobre 2009 presidente della Fia (rieletto nel 2013 e nel 2017). Dal 2015 anche inviato speciale dell’Onu per la sicurezza stradale. Già amministratore delegato della Ferrari SpA e direttore generale della Scuderia Ferrari. Già manager del Peugeot-Talbot. Soprannominato per via del suo metro e sessantasette centimetri d’altezza «il piccolo Napoleone» o «little big man».
Titoli di testa «Io vivo di sfide, voglio riuscire dove gli altri nemmeno pensano di poter provare».
Vita Cresciuto dal padre, Emmanuel, un ebreo fuggito dalla Polonia quando aveva 17 anni e che dopo essersi diplomato alla Sorbona divenne medico generalista a Pierrefort. Sua madre Ilda, casalinga di origine algerina, non è mai stata presente nella sua vita. Sin da ragazzino era appassionato di motori. Passava i suoi pomeriggi a trafficare con le macchine • A 15 anni, dopo aver guidato, senza patente e senza permesso, l’automobile del padre, capisce che vuole diventare pilota • Il suo idolo era Jim Clark • Esordisce nel mondo dei motori nel rally prima come pilota con la Mini del padre poi, nel 1966, – dato che non aveva abbastanza soldi – finisce sul sedile del passeggero come navigatore • Il padre gli dava 30 franchi al dì: «che all’epoca non erano male» [a Thierry Ardisson, Tout le monde en parle] • Nel 1968 conquista la Lyon-Charbonnières a fianco di Jean-Claude Andruet e due anni più tardi vince il Tour de France insieme a Jean-Pierre Beltoise e a Patrick Depailler. I risultati più importanti arrivano nel 1981: anno in cui naviga Guy Fréquelin sulla Talbot Sunbeam Lotus vincitrice del Mondiale Rally Costruttori • «Volevo essere a capo di una scuderia prima dei 35 anni. Non so cos’avrei fatto se non avessi avuto successo, forse avrei venduto cravatte, ma non volevo invecchiare co-pilota» [Borromeo, Fatto] • Nel 1982 abbandona le corse e diventa manager della Peugeot. Sue le Peugeot 205 Turbo 16, Peugeot 405 Turbo 16 e Peugeot 905. «Le sue 205 vincono sedici rally tra il 1985-86, conquistando quattro mondiali: due piloti e altrettanti costruttori. L’abolizione del gruppo B spinge Todt a lasciare i rally per i raid: anche qui fioccano le vittorie, quattro edizioni di fila della Dakar prima con la 205 e poi con la 405. Nel 1991 la Peugeot decide di dedicarsi al Mondiale Sport Prototipi e l’anno successivo la 905 conquista il titolo piloti (Dalmas-Warwick), costruttori e la 24 Ore di Le Mans» • Finisce negli annali della storia il giorno in cui gioca a testa o croce la vittoria della Parigi-Dakar 1989 tra i suoi due piloti Ari Vatanen e Jacky Ickx. I due, che avevano due ore di vantaggio sulle altre squadre, se le davano di santa ragione con il rischio di rompere le auto e non arrivare al traguardo. Todt, che voleva assicurare la vittoria alla scuderia, era però incapace di decidere chi dei due doveva salire sul gradino più alto del podio, così lanciò per aria una monetina da 10 franchi. Moneta che, per la gioia di Vatanen, ricadde su croce. Ickx, da vero gentleman, gli concesse la vittoria fermandosi 200 metri prima della linea del traguardo per farlo passare. Jean Todt ha ancora quella moneta: «L’ho fatta montare su un porta chiavi» [ad Ardisson, cit.] • Nel 1992 «Bernie Ecclestone parlò di me a Gianni Agnelli, Montezemolo e Romiti. Incontrai Luca nella sua casa bolognese nell’agosto del 1992, per non essere riconosciuto. Ma passare in Ferrari non fu una scelta facile, avevamo tutti molto da perdere» • Al primo incontro con Montezemolo si presentò al volante di una Mercedes: «Montezemolo glielo ha rinfacciato per anni» [Rep]. • Il 1˚ luglio 1993 Todt diventa responsabile della Gestione Sportiva Ferrari, si trasferisce, solo, a 5 chilometri da Maranello e si mette a studiare l’italiano: «Sul comodino tiene sempre una grammatica piena di foglietti segnapagine, righe sottolineate» [Rep, 1993] • È il primo straniero alla guida della Ferrari. Si insedia nell’ufficio di Enzo Ferrari, cosa che nessuno aveva osato fare dalla sua morte • «Signori, io sono da ventiquattro giorni alla Ferrari e ho già letto tante cose che non vanno bene. Ho letto che la Ferrari compra i motori dalla Honda: zero per cento di verità. Ho letto che Senna l’anno prossimo verrà alla Ferrari: zero per cento di verità. Ho letto che ora la Ferrari compra le sospensioni attive, quelle buone, dalla Benetton: zero per cento di verità. Questo non va bene, dobbiamo lavorare tutti per la ricostruzione della Ferrari. Dobbiamo lavorare insieme avendo rispetto per questo paese, per le forze che lavorano in questo paese. Altrimenti, se ognuno va per conto suo, non si costruisce niente» [Rep, 1993] • «Cominciai il 1° luglio del 1993. La Ferrari è un’icona, un orgoglio nazionale, ma all’epoca era un disastro. E la gente quando mi vide arrivare non poteva crederci. Erano abituati a un italiano che veniva cacciato dopo un annetto con una lauta buona uscita e senza aver combinato nulla. […] Il cavallino sembrava piuttosto un monumento in rovina. Io feci il medico. Io osservo, analizzo, traccio la diagnosi e prescrivo la cura, sempre. All’epoca mancavano sia le strutture sia i mezzi. La parte tecnica era prodotta in Inghilterra, e la mano sinistra non comunicava con la destra. Ripartire non fu facile» [Borromeo, cit.] • «Nel 1993 Maranello era più che altro un centro di assemblaggio. Certo, vi si fabbricava la meccanica, cambio e motore V12, ma progettazione, compositi, sospensioni e altro nascevano in Gran Bretagna, alla FDD. Non c’era la galleria del vento, per qualche ora usavamo quella della British Aerospace. Il primo obiettivo fu riportare tutto in casa» [ibid.] • Grande lavoratore: «Inizio alle 9 del mattino ed esco la sera alle 23. Alcune volte m’impongo di prendermi una mezz’ora libera». In totale, «sono a Maranello 220 giorni l’anno; 110 giorni sono in giro tra gran premi e trasferte; faccio una quindicina di week end a Parigi; e due settimane di vacanza, una a novembre, di solito a Mauritius, e una a Capodanno, sempre da Schumacher in Norvegia, più qualche giorno in Marocco o altrove» (Jean Todt, nel 2004) • Il debutto in F.1 con la Ferrari il 1˚ luglio 1993 e il Mondiale era a Magny-Cours, in Francia: tempi grami per Maranello. La Williams-Renault dominava lasciando le briciole alle rivali. All’epoca, a Maranello era festa se una rossa partiva in seconda fila, un miracolo se Alesi o Berger salivano sul podio. Alla fine di quella stagione la Ferrari chiuse al quarto posto nella classifica costruttori con la miseria di 28 punti contro i 168 della Williams [a Enrico Minazzi, Gazzetta] • «Spesso, la sera tardi, venivo preso dall’angoscia. Era un ambiente difficilissimo da gestire, le cose non andavano come volevo, e tutto procedeva a rilento. Vincere sembrava impossibile. Alain Prost, quando arrivai in Ferrari, mi disse: “Qui non ce la fai, te lo dico subito”. Per fortuna che mi parlò così, mi diede un grande stimolo. Ma tante volte, la sera, mi tormentavo: “Forse ha ragione lui, qua non ce la faccio”. E invece ce l’ho fatto» (Jean Todt e il suo primo anno alla Ferrari, nel 1993) • Con lui al timone il Cavallino torna a vincere: nel 1994, con Berger, riporta la Ferrari alla vittoria dopo quattro anni, nel 1995 la Ferrari, grazie Berger e Alesi, è terza nel mondiale costruttori • Del 1996 l’arrivo di Michael Schumacher – che diventerà il suo amico fraterno: «Ai tempi in Ferrari i motoristi se la prendevano col telaio, i telaisti col motore, i piloti con la macchina. Allora abbiamo deciso di ingaggiare quello che era il pilota di riferimento per toglierci almeno questa variabile. Il primo a contattare il manager di Schumacher fu Niki Lauda, che era consulente del Cavallino. Poi lo vidi io. Quindi incontrai Schumacher assieme all’avvocato della Ferrari, Henry Peter. Il vertice decisivo nella mia stanza all’Hotel de Paris di Montecarlo durò 12 ore, era fine luglio del 1995. Lì venne firmato il pre-accordo. Ogni qualvolta c’era qualche nodo da sciogliere telefonavo al presidente Luca di Montezemolo. Volevo essere sicuro di avere la possibilità di fare ciò che stavo facendo visto che la Ferrari non era di mia proprietà» • «Lei aveva di fianco un dream team con Ross Brawn, Rory Byrne, Paolo Martinelli, il giovane Domenicali e un presidente che da giovane aveva fatto il suo stesso lavoro. “No, no… non avevo. Ho costruito sempre in grande amicizia e d’accordo con il presidente: mi hanno dato le chiavi della Ferrari e quello che ha preso Schumacher sono io, quello che ha preso Ross Brawn sono io, quello che ha preso Rory Byrne sono io. Il pregio di Montezemolo è che mi ha lasciato prendere la gente che volevo. Ma non è lui che li ha presi. Lui ha preso me…» [a Umberto Zapelloni, Foglio]. • Alla fine del 1996, dopo alcuni ritiri, subì pressioni per dimettersi: «Ma Michael ha detto “Se Jean se ne va, me ne vado anche io”. Non volevano che se ne andasse. A loro importava molto meno di me, ma Michael ha chiarito i suoi commenti, quindi sono rimasto» • «I momenti peggiori? I mondiali persi all’ultima gara. L’incidente di Schumacher a Silverstone, Michael a Spa nel 1998 che è in testa, sta per doppiare Coulthard e ritorna al box con l’auto a pezzi. Oppure Monza 95, quando siamo in testa con due auto, vola via la telecamera di Alesi ed elimina Berger, 2˚. Poi un semiasse ferma anche l’altra macchina. Da non credere. O ancora Michael che spegne il motore a Suzuka 1998 nella gara decisiva quando è in pole position. Poi l’incidente con Villeneuve a Jerez nel 97» [a Miniazzi, cit.] E ancora: «Nel 1999 si sono rotti i freni a Silverstone e Irvine divenne leader, Michael che lo avrebbe fatto passare all’ultima gara se fosse servito… Poi nel 2006 Michael ha perso il campionato all’ultima gara e nel 2008 Felipe l’ha perso per Singapore e in Ungheria quando è esploso il motore sulla pista considerata la più facile per i motori» [a Zapelloni, cit.] • «Il 2000 è stato un sogno, sofferto ma bellissimo. Michael aveva 30 punti e più su Hakkinen, poi sono arrivati ritiri in serie e il famoso sorpasso di Mika a Spa. Al briefing dico: ragazzi, mancano quattro gare, dobbiamo vincerne tre altrimenti siamo fregati. Ce l’abbiamo fatta: a Suzuka, andando sul podio con Schumi, quasi mano nella mano, gli ho detto: “Le cose non saranno più le stesse” […] la nostra forza: gli anni di sofferenze e delusioni hanno rafforzato lo spirito, temprato il carattere. Il cuore del nostro gruppo è una delle ricchezze Ferrari […] Sono un duro-tenero, rancoroso ma onesto, fedele, ambizioso, un lavoratore dedicato e appassionato, capace di fare compromessi come di non farli, dipende dal momento. Per me la fabbrica è tutto. Poi sono una persona affidabile, metodica, pignola e pure intollerante. Esigente con me e con gli altri» [a Minazzi, cit.] • «Ho fatto anch’io i miei errori, ad esempio oggi non rifarei quanto fatto nel 2002 in Austria quando chiesi a Barrichello di far vincere Michael» [Zapelloni, cit.] • «Squadra che vince non si cambia e si riparte con lo stesso organigramma anche nella stagione 2003, quella che porterà Schumacher a essere il più grande di sempre, con il suo sesto titolo mondiale. E come giusto premio per i risultati ottenuti, nel 2004, Jean Todt a metà del 2004 viene nominato amministratore delegato del Gruppo Ferrari-Maserati, e tutto questo prima di vincere un altro Mondiale, quello dei record, delle 15 vittorie, delle 15 pole position, dei record di velocità, delle doppiette a ripetizione. Dopo un 2005 con poche soddisfazioni, tra cui spicca solo la vittoria di Indianapolis, il 2006 si apre con l’appiedamento di Barrichello all’insegna della lotta tra Alonso, iridato uscente, e Michael Schumacher […]. Alla fine del 2006 sia Todt che Schumacher si ritirano, con il manager che a fine stagione si dimette per diventare direttore generale del gruppo Ferrari-Maserati, dopo una lotta serrata che ha visto prevalere Alonso e la Renault. Il manager designerà il suo sostituto: il direttore sportivo Stefano Domenicali e gli insegnerà il ruolo di direttore della Gestione Sportiva. Il giovane allievo impara subito e porta la Rossa al trionfo del 2007» [Buttazzoni, F1Sport] • Nel 2009, dopo quattordici titoli, 6 piloti, 106 gran premi, lascia la Ferrari: «In sedici anni abbiamo conquistato più della metà di tutti i successi della Ferrari in 60 anni. Cose uniche nell’automobilismo sportivo» • Il 16 luglio 2009 annuncia ufficialmente la sua candidatura alla presidenza della Federazione Internazionale dell’Automobile. Alla vigilia aveva ricevuto il sostegno del presidente uscente, Max Mosley. È il secondo candidato a dichiararsi: Ari Vatanen, suo avversario anche sulle strade dei rally e suo pilota quando era manager della Peugeot, aveva annunciato la sua candidatura qualche giorno prima • Il 23 ottobre 2009, con 135 voti contro i 49 dell’ex pilota finlandese e deputato europeo Ari Vatanen, viene eletto presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile • «Il trono della Federazione internazionale dell’automobile è una poltrona in pelle marrone su cui siede un uomo nei cui occhi è passato quasi mezzo secolo di corse. Oltre l’ufficio c’è una vista tra le più belle del mondo: place de la Concorde, l’Arco di Trionfo, Parigi […]. Nel suo nuovo ufficio non ci sono quadri alle pareti, e l’unica foto lo ritrae assieme alle persone più care: la bella fidanzata Michelle, il figlio Nicolas e Michael Schumacher» [Cavicchi, Quattroruote] • Todt lancia diverse iniziative, tra cui “FIA Action for Road Safety”, una vera e propria task force della Federazione per sensibilizzare e informare gli utenti della strada sui rischi della circolazione stradale. E poi introduce le nuove regole sui consumi e sui sorpassi, e fa partire la Formula E • Era il 2011 quando, durante una cena a Parigi con Alejandro Agag e Antonio Tajani, ha scarabocchiato sul retro di un tovagliolo l’idea di fare gareggiare le monoposto elettriche su circuiti cittadini nelle più grandi metropoli del mondo • Dal 2015 è anche inviato speciale dell’Onu per la sicurezza stradale. Incarico che prende molto sul serio • «Il Covid-19 è un mostro che sinora ha ucciso quest’anno circa 1,5 milioni di persone. La mancanza di sicurezza sulle strade provoca 1,4 milioni di morti ogni 12 mesi» • «Molte associazioni però protestano: come può lei, che ha sempre promosso la velocità in sport estremi, rappresentare la sicurezza? Sia da copilota sia da capo della Peugeot prima e Ferrari poi ho visto tanti incidenti, sono passato da tanti ospedali. Mi ha colpito. Ora che ho avuto successo, devo fare una scelta: o provo ad averne ancora di più oppure cerco di fare altre cose. Io mi sento in debito e voglio ridare» [a Borromeo, cit.] • Ha scritto diversi libri. Da ultimo: Des millions de vies à sauver... sur les routes du monde con il segretario dell’Onu António Guterres • Nel 2020, grazie a un lavoro di squadra, riesce a fare ripartire la F1 nonostante il Covid, tra tagli dei budget e sviluppo limitato: «Dovevamo essere ambiziosi per raggiungere risultati indispensabili per la F1. Con i costi di prima era insostenibile. Ed era troppo ampio il divario fra grandi team, medi e piccoli. Dovevamo adattare la F1 a questa nuova situazione allucinante, era una questione di sopravvivenza. Bisogna essere creativi anche sul calendario, non solo in F1 ma in tutte le discipline. Dai rally alla Formula E» • Alla fine del 2021 lascerà la presidenza della Fia.
Curiosità A Parigi ha fondato, assieme all’amico Michael Schumacher, la sua compagna Michelle Yeoh, il regista Luc Besson, l’ex presidente Fia Max Mosley e tanti altri, l’istituto parigino del Cervello e del Midollo Spinale: «Il cervello conta più delle ossa. Io mi occupo della parte economica, di trovare i fondi per i nostri 700 ricercatori. Siamo il secondo centro al mondo per le ricerche sul cervello e abbiamo lavorato per capire perché nessuno sa se questo virus [il Covid, ndc] lascia delle tracce sul cervello di chi lo ha contratto» • È un buon giocatore di backgammon, però «c’è gente che conosco che ci vive, col backgammon. Io no» • «Sono un gourmand. Mi piacciono i dolci, la pasta, e non faccio sport. Il mio unico sport è correre negli aeroporti» • Non sopporta i mozziconi di sigaretta in terra • «Pretendo un ambiente di lavoro pulito» • Non ha apprezzato molto la sua imitazione proposta da Alvaro Vitali a Striscia la notizia • «Mi hanno intitolato la strada che passa sotto la vecchia casa di mio padre in un paese della Francia centrale. La casa dove visse mio padre, ebreo polacco scappato in Francia dove studiò, diventò medico e dove sono nato io. Avrei preferito che l’avessero intitolata a mio padre, ma vado bene anch’io. Sono stato il più giovane cavaliere della Legion d’onore. Poi Ufficiale e Commendatore della Legion d’onore» [Rep, 2001] • Non è abituato a ridere «quando lo fa ha la smorfia di uno cui stanno pestando un piede» [Rep] • Ansioso. Non si mangia le unghie ma se le strappa e quando ha la mano troppo rovinata mette dello scotch sulle unghie: «Un preservativo manuale» [a Ardisson, cit.] • Sempre per via dell’ansia soffre di una leggera psoriasi sul cuoio capelluto • Non vuole prendere calmanti • È superstizioso • È ricco: il suo patrimonio è stimato in 18 milioni di dollari • È stato accusato dai media di essersi intascato un milione di dollari per fare l’ambasciatore del turismo della Malesia: «La verità è che non ho preso una lira. In questi casi la mia grande fortuna è di avere amici fantastici, in tutti i campi. Manager, avvocati, editori. Per sapere come reagire, se denunciare, se smentire, mi confronto con loro, e ne seguo i consigli. Gliel’ho detto, no, che mi circondo solo dei migliori?» [a Borromeo, cit.] • Beve tè • Ha un appartamento a Parigi in avenue Foch e una villa fatta costruire nel 2006 su un isolotto della Malesia, patria della sua fidanzata Michelle Yeoh.
Amori Nel corso degli anni è riuscito a mantenere il massimo riserbo sulla sua vita privata • Nel 1977 ha avuto un figlio, Nicolas, oggi agente di diversi piloti, tra cui Charles Leclerc e Felipe Massa • È stato fidanzato con Florence Darty • Dal 2004 vive con l’ex bond girl malesiana Michelle Yeoh. Lui la corteggiò con centinaia di sms prima di farla capitolare. Ammise lei: «Non mi piace molto parlare al telefono. Non c’è niente di meglio che ricevere sms. E poi puoi conservarli e leggerli di nuovo. Un messaggio dice molto sulla persona che lo ha scritto. Fortunatamente, Michael Schumacher aveva insegnato a Jean tutto sull’arte di scrivere messaggi! La nostra storia si è svolta senza intoppi, naturalmente. Non ci siamo visti per due mesi. Abbiamo avuto il tempo di renderci conto che tra noi stava succedendo qualcosa di speciale. Siamo come lo ying e lo yang. Jean mi calma, riesce a tirare fuori il meglio di me. È un uomo adorabile. Un giorno mi ha detto che ero la donna che aveva aspettato per tutta la vita». Per sostenerla Todt ha prodotto alcuni suoi film tra cui The Lady, in cui cui Michelle veste i panni di Aung San Suu Kyi • Todt e Yeoh, il 25 aprile del 2015, erano a Katmandou quando ci fu il terremoto che causo ottomila morti in tutto il Nepal: «Ci hanno fatto sdraiare in un cortile per terra sulla pancia. Saremo rimasti così per qualche minuto. Non ci siamo subito resi conto dell’entità dei danni».
Frasi «L’automobilismo è una combinazione fra uomo, macchina e squadra. L’unica alchimia che può funzionare è quella che unisce tutto per vincere. Puoi avere il talento, ma se non hai mezzo, team, affidabilità, non ce la fai. Bisogna mettere insieme tutto. Come si decide poi chi fa il secondo pilota? Chi sta davanti all’altro dopo 4-5 gare stabilisce le gerarchie. Vale in tutte le squadre» • «Il potere è come una pistola nella tasca» • «I leader non possono stare tranquilli» • «Non critichiamo chi non vince, rispettiamo chi vince e diamoci da fare per batterli» • «Il mio cognome al massimo aiuta a trovare un tavolo al ristorante» • «Con i limiti di velocità sulle autostrade la gente si distrae di più. Molto meglio alzare i limiti e fare in modo che i guidatori restino concentrati» • «Secondo me i piloti non perdono la concentrazione se fanno l’amore prima di una gara. Basta che non lo facciano durante» • «“Quel che mi interessa è stare in pace quando mi guardo nello specchietto la mattina”. Specchietto? “Sì, anche se io guardo più avanti che indietro”» • «Il passato va lasciato alle spalle, sennò ti impedisce di continuare a vincere»
Hanno detto di lui Che tipo è Todt? «Uomo complicato, gran lavoratore, vuole essere famoso. Credo che voglia fare il primo ministro della Francia». Lo aiutò ad andare in Ferrari? «Sì. Andammo con Luca da Romiti a Milano. Romiti era contrario. Diceva che non era italiano… Io tagliai corto: “Le assicuro che se vincerà il mondiale ci metterete un secondo a trovargli un nonno siciliano”». Poi le è stato leale? (Ci pensa un po’) «Sì. Direi di sì» [Bernie Ecclestone a Marco Mensurati Rep].
Titoli di coda: «Lo sa che di Michael non parlo. Come sa che non credo in Dio, ma per Michael ho cominciato a pregare. Ma non dico altro» [a Zapelloni, cit.].