4 febbraio 2021
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Biografia di Charlotte Rampling (Tessa Charlotte Rampling)
Charlotte Rampling (Tessa Charlotte Rampling), nata a Sturmer (Inghilterra) il 5 febbraio 1946 (75 anni). Attrice. «Icona di un cinema intellettuale e trasgressivo, simbolo di una femminilità assolutamente libera e moderna» (Fulvia Caprara). «La trasgressione fa parte della sua personalità o è un gioco di attrice? “Tutte e due le cose. Provocare qualcosa in nome dell’arte piace a noi artisti. O almeno piace a me”» (Stefano Montefiori) • «Sua madre e suo padre […] vissero con leggerezza e grandiosa bellezza e forza gli anni folli, i Venti, per poi schiantarsi nella tragedia. “Mia madre amava ridere, ballare, giocare, era adorabile. Credo si lasciasse trasportare dalla vita. Era una farfalla di giorno e una principessa di notte”. La madre di Charlotte teneva diari con l’elenco dei corteggiatori e dei vestiti per i balli, e un pomeriggio conobbe un amico del fratello, un ragazzo di vent’anni, un atleta tenebroso che già si allenava per le Olimpiadi. Lei aveva dodici anni e si innamorò: scrisse di lui su un quaderno a fiori» (Annalena Benini). Dal matrimonio tra Godfrey Lionel Rampling (1909-2009), campione olimpico nella staffetta 4x400 metri (medaglia d’oro a Berlino nel 1936, già medaglia d’argento a Los Angeles nel 1932) e colonnello dell’esercito britannico, e Isabel Anne Gurteen (1918-2001), pittrice, nacquero due figlie, Sarah (1943-1967) e Charlotte (1946). «Sarah […] era una bambina bionda, stupenda, di porcellana: a tre anni venne operata di un male che la lasciò fragile per sempre, e la madre per occuparsene continuamente affidò Charlotte appena nata a una balia. “Ho da sempre in effetti la sensazione di essere stata tenuta a distanza”» (Benini). «Il colonnello dell’esercito britannico Godfrey Rampling ogni anno cambiava reparto e città. “Abbiamo traslocato sette volte in 13 anni. In queste condizioni Sarah era la mia unica grande amica”» (Montefiori). «Mio padre era un militare inglese: lo assegnarono alla Nato, a Parigi. Ho frequentato lì le scuole cattoliche: poi, mentre ero in Spagna a studiare la lingua, mi misi a fare la cantante con mia sorella. Mio padre ci rispedì a Londra, iscrivendomi a una scuola da segretaria. Però non riuscì a proibirmi la minigonna, e quando iniziai a fare la modella e l’attrice era troppo tardi per fermarmi». «La mia è stata una famiglia “segreta”. Non c’era molto dialogo, né si faceva conversazione. Io sono stata una brava ragazza perché ho deciso di esserlo, di rispettare le regole, perché era più facile e per sentirmi riconosciuta. La mia ribellione è venuta tardi, forse anche perché non mi piace mettermi in mostra. Non voglio che la gente mi noti. Io ho l’anima della spia, preferisco lavorare sotto copertura. Sono sempre stata così» (ad Anna Bandettini). «Nell’euforica Swinging London degli anni Sessanta, nessuna – si racconta – è bellissima, selvaggia, pericolosa come Charlotte Rampling. […] È una fotomodella, si diverte, fa scandalo. […] “Mai stata una dolly bird”. Non aveva niente a che vedere con quelle ragazze attraenti, ma giudicate non molto intelligenti. […] È Richard Lester ad affidarle una piccola parte nel 1965 in Non tutti ce l’hanno, che vince a Cannes. Aveva suonato la chitarra in una band canadese, pensava alla meditazione orientale, per caso è diventata attrice» (Paolo Cervone). «Non sono io che ho cercato il cinema: è il cinema che ha scelto me. Io ero giovane, non sapevo bene che fare. Il cinema mi ha aperto le porte, senza fare casting, niente… Ho fatto subito alcuni film importanti in Inghilterra. E, siccome a caval donato non si guarda in bocca, mi sono presa questo bel regalo. Dopo però sono andata a scuola, a studiare recitazione. E ho deciso che sarebbe stata la mia carriera”». «Nel febbraio 1967, la tragedia. Sarah si uccide. Viveva in Argentina con Carlos, un ricco allevatore che aveva sposato tre anni prima, una settimana dopo averlo conosciuto. “Arrivando a casa dei miei genitori, mio padre apre la porta del giardino e mi dice a voce alta: ‘Tua sorella è morta’. L’ho saputo così”» (Montefiori). «Mia madre è seduta alla macchina da cucire. All’improvviso il corpo cede. Senza più forze, crolla sul suo lavoro. Qualche ora dopo a casa squilla il telefono: nel momento in cui mia madre è crollata, Sarah è morta in Argentina». La giovane donna si era tolta la vita con un colpo di pistola dopo aver dato alla luce un bambino prematuro. «Fine della Swinging London. Ingresso nell’età adulta. Avevo vent’anni. Sarah era stata già seppellita: per noi non ci furono né corpo né funerali. Sono diventata quella che sono in seguito a quel dolore». «Mio padre mi fece promettere che non avrei mai svelato la verità a mia madre: le dicemmo che aveva avuto un’emorragia cerebrale. Il peso di questo segreto è stato tra i responsabili della depressione. Quando mia madre morì, potei finalmente parlarne: a me stessa, prima di tutto. È drammatico dirlo, ma fu liberatorio». «Suo padre […] alla morte di Sarah le dice di lasciare la casa di famiglia. “Ma fu un atto di amore, per il mio bene. Sapeva che mia madre non si sarebbe mai ripresa, e voleva che io vivessi la mia vita. […] C’è un lato molto inglese: non mi chiede di andare via, me lo permette. È stato un gesto di generosità: mi ha detto ‘mi occuperò io di tua madre’”» (Montefiori). «Un giorno il padre silenzioso e disperato di Charlotte Rampling raccolse tutti i diari e le fotografie di famiglia e le parole scritte dalla moglie da quando aveva dodici anni, li mise in grosse buste di plastica e li abbandonò per strada. Decenni dopo un rigattiere bussò alla porta di Charlotte, ormai attrice molto più che famosa, e le rivendette tutto» (Benini). «“Esistono due modi di stare al mondo: o vai verso la vita o ti tiri indietro, come ha fatto mia sorella suicidandosi. Io, quando lei morì, ho scelto di vivere”. E ha avuto successo: l’ha cercato o le è caduto addosso? “Mi è caduto addosso. All’inizio è stato il cinema a cercarmi, poi ha continuato a volermi. E io mi sono impegnata da subito a girare dei film che somigliassero alla vita. Difficili, l’opposto dell’intrattenimento”» (Gloria Satta). «La bella attrice inglese arriva in Italia appena ventiduenne, con alle spalle alcuni film interpretati in Gran Bretagna, in ruoli di non grande rilievo e in film di scarsa distribuzione estera. Nel cinema italiano entra subito dalla porta principale, quale protagonista del film di Gianfranco Mingozzi Sequestro di persona (1968), in cui è, incredibilmente, una coraggiosa ragazza che rompe il muro di omertà di un paese sardo, denunciando il rapimento del fidanzato alle forze dell’ordine. Un anno dopo Luchino Visconti la dirige ne La caduta degli dèi (1969), nel quale è Elisabeth Thallman, moglie di Herbert, del ramo inglese della famiglia Essenbeck, oppositore politico del nazismo. Un ruolo secondario in un grande film, in un cast ricco di presenze straniere, da Ingrid Thulin a Helmut Berger, da Dirk Bogarde a Helmut Griem, da Reinhard Kolldehoff a Renaud Verley» (Enrico Lancia e Fabio Melelli). «L’incontro con Luchino Visconti […] segna la sua maturazione di interprete. Nell’audizione – in minigonna, i capelli cotonati – sta per rifiutare il ruolo di Elisabeth Thallman, che deve misurarsi con la gelida Ingrid Thulin, ma il grande regista riesce a stabilire subito con lei quel rapporto di fiducia assoluta necessario alla giovane attrice per trovare la sicurezza in se stessa che non l’avrebbe più abbandonata nel corso della carriera» (Orio Caldiron). Per quel film «Luchino Visconti la volle […] nella parte di una madre trentenne, quando lei aveva solo vent’anni: “Ero spaventata, ma lui mi disse una cosa bellissima: ‘Tu hai il tempo in fondo agli occhi’”» (Caprara). «È di nuovo protagonista, questa volta assoluta, nel morboso Addio fratello crudele (1971) di Giuseppe Patroni Griffi, tratto dalla tragedia Peccato che sia una sgualdrina di John Ford. Qui è l’incestuosa Annabella, sorellastra del perverso Giovanni (Oliver Tobias), data in sposa all’ignaro Soranzo (Fabio Testi). Finirà uccisa da Giovanni, folle di gelosia, dopo che Soranzo ha scoperto di essere stato ingannato, ovvero di non essere lui il padre del figlio di Annabella» (Lancia e Melelli). «Helmut Newton nel ’73 ad Arles, mentre lei stava girando Zardoz, con Sean Connery, le scattò qualche rullino a colori su commissione di Playboy e uno in bianco e nero solo per sé, da cui è tratta una foto diventata famosa con l’attrice inglese desnuda sopra un tavolo, i piedi appoggiati su una poltrona intarsiata, il profilo delicato del seno, il muscolo teso della coscia» (Daniela Monti). «Una foto […] entrata […] nella storia: lei nuda seduta su un tavolo, lo sguardo fiero. “Quella ero io a quel tempo: in quella foto c’è tutta la libertà, aggressività, nudità, sensualità di quel momento. E farla è stata la cosa più naturale del mondo. Non ci è voluto più di mezz’ora. ‘Siediti sul tavolo, girati verso di me, togliti i vestiti’. Quella ero io, senza nessun artificio. C’è una tale forza nell’autenticità. Se sei fotogenico, e io lo sono, la tua verità esce, forte e dura”» (Paola Piacenza). Nello steso periodo «è Fosca in Giordano Bruno (1973) di Giuliano Montaldo e, soprattutto, l’americana Lucia Atherton ne Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani, un ruolo estremo di morboso erotismo, accanto a un Dirk Bogarde in stato di grazia, nel ruolo dell’ex aguzzino nazista Max, celato sotto le mentite spoglie di dipendente di un albergo. Lucia, ebrea deportata in un lager, riconosce in Max il suo antico torturatore, intrecciando con lui un perverso rapporto sadomasochista, in cui da vittima si trasforma in carnefice. La Rampling rifulge nei costumi succinti previsti dal ruolo, spogliandosi a volontà e imponendosi quale raffinato e intellettuale sex symbol» (Lancia e Melelli). «La laconica Rampling parla volentieri di quella straordinaria esperienza e rievoca la sua amicizia con Dirk Bogarde, il protagonista maschile. "Lo conobbi sul set de La caduta degli dèi di Luchino Visconti. È stato lui a dire a Liliana Cavani: ‘Ho trovato la ragazza’. Ho accettato in nome della mia amicizia con lui, anche perché quando ho letto la sceneggiatura ho pensato: ‘Oh, mio Dio!’. In fondo avevo appena avuto un bambino, che aveva 3 mesi all’epoca. Eppure sapevo di doverlo fare: mi capita sempre così ancora adesso con i ruoli che scelgo. Sapevo che con Dirk sarei stata al sicuro, e abbiamo portato la relazione tra i nostri personaggi a un altro livello, facendola diventare una storia d’amore", ha raccontato l’attrice» (Cristiana Paternò). «Le foto della sottoscritta in berretto e bretelle che le coprono i capezzoli furono un “extra”. Il budget era finito, e Liliana non aveva ancora terminato. Mi chiese se ero disposta a farmi fotografare: accettai, vendemmo gli scatti e finimmo il film». «Il portiere di notte […] da una parte fu salutato come un capolavoro, ma dall’altra scatenò feroci polemiche: che ricordo ha di quel momento? “Fu un’esperienza violentissima. Non potevo, non volevo difendere il film, che, per me, era una storia d’amore. Non ero ingenua e capivo che il tema era controverso: anche il set è stato duro, nessuno prendeva le cose alla leggera. Ma non mi aspettavo un impatto così forte, devastante”. E come l’ha affrontato? “Nell’unico modo possibile: ho fatto un passo indietro. Avevo un figlio di pochi mesi, altri film da girare”» (Satta). «La polemica mi distrusse. Tanto che Liliana mi chiamò per la pellicola successiva, Al di là del bene e del male, e io rifiutai, ancora troppo scossa dalle reazioni per Il portiere. Fu così ferita dal mio rifiuto che non mi parlò per anni, ma adesso siamo amiche, ci sentiamo ancora». «In Yuppi Du (1974), di Adriano Celentano, è Silvia, la moglie del protagonista, prima suicida e poi rediviva in un raro tentativo di musical all’italiana» (Lancia e Melelli). «Celentano è uno dei talenti più originali che abbia mai incontrato. Lui non parlava l’inglese, io non capivo l’italiano: ci intendevamo lo stesso. Girare Yuppi Du, un film ancora fresco, è stato come entrare in una favola»». «Nei film successivi sarà la diabolica “dark lady” di Marlowe, il poliziotto privato (1975) di Dick Richards, in cui lavora con il grande Robert Mitchum, […] la coraggiosa etologa che tenta invano di tenere a freno Richard Harris ne L’orca assassina (1977) di Michael Anderson, la tormentata compagna di un regista in crisi d’ispirazione in Stardust Memories (1980) di (e con) Woody, l’affascinante e ambigua Laura Fisher ne Il verdetto (1982) di Sidney Lumet, tratto dall’omonimo libro di Barry Reed e in cui lavora con Paul Newman, James Mason e Jack Warden, presunta omicida del suo amante in Shocking Love (1985) di Jacques Deray» (Alessandro Poggiani). «Il suo ruolo più importante degli anni Ottanta resta quello di Dorrie, l’amante del regista in crisi di Stardust Memories (1980) di Woody Allen, che dice di lei: “È divina! Una magnifica attrice. È così bella, così sexy, così interessante, così nevrotica”. Nel prefinale, quando è in preda all’esaurimento nervoso, l’obiettivo di Gordon Willis, che gira in un raffinato bianco e nero color seppia, ne riprende il volto, i grandi occhi verdi giada, le confessioni, i pensieri, le emozioni in brevi spezzoni, in immagini scomposte e frammentarie, quasi un omaggio al cubismo» (Caldiron). «Con Woody Allen, sul set di Stardust Memories, come andò? “Con lui ho vissuto una bellissima storia d’amore platonica. Woody era solo, aveva appena lasciato Diane Keaton e non si era ancora messo con Mia Farrow. Nel film mi aveva affidato la parte della donna perfetta, ideale. Gli piaceva pensare che lo fossi anche nella vita”» (Satta). «Tra gli altri ruoli, […] in Max, Mon Amour interpreta una donna innamoratasi di uno scimpanzé, per la Bbc si cala nel ruolo tragico e triste della Miss Havisham di Grandi Speranze. […] Il ritorno in grande stile sulla scena internazionale avviene grazie al regista François Ozon, con cui lavora a 3 film: Sotto la sabbia nel 2000, Swimming Pool nel 2003 e Angel nel 2007» (Serena Tibaldi). «Il suo maggior successo, l’ottiene con Sotto la sabbia (2000), […] in cui dà vita con straordinaria capacità d’immedesimazione all’angoscia di Marie, sopraffatta dalla misteriosa scomparsa del marito mentre sono sulla spiaggia. Sospesa tra l’incapacità di elaborare il lutto e la riscoperta di sé dopo anni di routine matrimoniale, vive il trauma della solitudine fino all’allucinazione, tra dolorosi soprassalti di crudeltà e di tenerezza, mentre l’estate lascia il posto all’inverno» (Caldiron). «Un lungo esaurimento nervoso, l’infelicità, il silenzio smarrito e punitivo. Poi, eccola risuscitare, guarita, nel giugno del 2001, a 56 anni, sulle pagine di Vanity Fair: fotografata da Helmut Newton, seduta su un tavolo, sandali con tacco a spillo, un bicchiere in mano, una sigaretta tra le labbra, occhiali con la grossa montatura sul naso: e completamente nuda. Nella stessa posa in cui lo stesso fotografo l’aveva ripresa, nuda, 28 anni prima, nel 1973, nella luce piena della sua enigmatica bellezza» (Natalia Aspesi). «Incorreggibile, […] nel ruolo di scrittrice di successo, si offrì a seno nudo a un vecchio contadino perplesso in Swimming Pool di François Ozon. Redenta ed espiante, è stata […] la mater dolorosa di una figlia gravemente disabile in Le chiavi di casa di Gianni Amelio» (Aspesi). Tuttora attiva, negli ultimi anni ha collezionato importanti riconoscimenti, tra cui l’Orso d’argento come miglior attrice per 45 anni di Andrew Haigh (2015) – che le è valso anche la sua prima candidatura all’Oscar come migliore attrice (2016) –, la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile in Hannah di Andrea Pallaoro (2017) e, da ultimo, l’Orso d’oro alla carriera (2019). «Che cosa rappresentano per lei i premi? “Naturalmente mi rendono felice. Ma c’è dell’altro. Ritrovarmi giudicata ed eventualmente premiata alla mia età mi fa sentire come se tornassi bambina”» (Caprara). Prossimamente dovrebbe prendere parte a Dune, «nuovo adattamento del romanzo scritto da Frank Herbert diretto da Denis Villeneuve, dove sarà la Reverenda Madre Mohiam, la veggente al servizio dell’imperatore in grado di prevedere le intenzioni delle persone, individuare le menzogne e manipolare gli stati emotivi degli altri. Nel cast ci saranno anche Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Dave Bautista e Stellan Skarsgård» (Paternò) • «Quando il tempo passa, bisogna accettare anche i ruoli piccoli. Non si può essere sempre in primo piano». «Per fortuna faccio un mestiere che non ti obbliga ad andare in pensione. E perché dovrei? Il cinema mi cerca ancora, anche perché più o meno sono sempre la stessa, non ho cambiato la mia faccia, non ho cambiato il mio modo di essere». «Il tempo è dalla sua parte. A differenza di molte altre attrici coetanee, Charlotte Rampling continua a recitare, incarnando personaggi creati da registi spesso giovani e raccogliendo premi ovunque. […] Non ha timori nel mostrarsi per come è adesso, nuda o vestita, nei primi piani inclementi, senza trucco, spettinata. […] Al fascino provocatorio, alla cifra ambigua del suo sex-appeal, Rampling ha aggiunto rigore e severità, caratteristiche con cui, forse, è difficile convivere, ma che su di lei stanno benissimo. […] Che cosa la guida nella scelta dei suoi ruoli? “Quello che amo di più è fare film che mi diano la possibilità di esprimere me stessa. […] Non mi interessa l’intrattenimento”. […] È apparsa in oltre 120 pellicole. Ha mai sentito il desiderio di passare dietro alla macchina da presa? “Non so, è un’ipotesi che non escludo. Anzi, forse ci ho pensato, ma il momento non è ancora arrivato”» (Caprara) • Coautrice, con lo scrittore Christophe Bataille, dell’autobiografico Io, Charlotte Rampling (66thand2nd, 2016), in cui «lo scrittore ha raccolto la testimonianza della celebre attrice, descrivendone stati d’animo e ricordi con una prosa che assomiglia a una poesia. Nessun didascalismo, dunque. Nessuna organicità. Solo emozioni in una sorta di chiacchierata che va disfacendosi pagina dopo pagina, lasciando il microfono aperto all’attrice settantenne in vena di confessioni» (Stefano Giani). «Non volevo raccontare la mia vita: volevo evocarla. Ho sempre rifiutato scrittori, editori, contratti… Christophe mi ha cercata, ha accettato di incontrarmi per anni senza sapere se ne sarebbe uscito qualcosa. Con il suo aiuto ho voluto scrivere una specie di poema sulla mia vita» • Due figli da altrettanti mariti: Barnaby (1972) dall’attore e agente pubblicitario Bryan Southcombe, David (1978) dal musicista Jean-Michel Jarre, già padre di Émilie (1976), avuta dalla prima moglie e da lui cresciuta insieme alla Rampling. «Alla fine degli anni Sessanta scandalizza con il suo ménage a trois: ama senza mezze misure il fotografo Randall Lawrence e il suo migliore amico, l’agente pubblicitario Bryan Southcombe. Finita la liaison nel 1972, la Rampling sposa Bryan Southcombe, con cui avrà il piccolo Barnaby. Ma tornerà presto a destare l’attenzione della stampa scandalistica per la relazione con il musicista Jean-Michel Jarre: travolti dalla passione, i due abbandonano i rispettivi coniugi e convolano rapidamente a nuove nozze. E il matrimonio dura per oltre vent’anni, ma arriverà al capolinea per i tradimenti di Jarre, “pizzicato” dai paparazzi in atteggiamenti intimi con un’altra donna. Charlotte, anticonformista fino in fondo, commenterà: “Un uomo e una donna sono liberi di tradire, ma scoprirlo dai giornali è sempre ingiusto”» (Leda Balzarotti e Barbara Miccolupi). «Lui tornò, ma dopo qualche giorno scomparve per sempre. E io, che non riesco a mettere la parola fine agli amori, continuai a considerarlo mio marito. Anche dopo il divorzio, intendo: finché non ho incontrato Jean-Noël Tassez». La relazione col giornalista Jean-Noël Tassez, di dieci anni più giovane di lei, iniziata nel 1998, durò fino alla morte di lui, deceduto a causa di un cancro nel 2015, a cinquantanove anni • Da molti anni risiede a Parigi. «Si sente inglese o francese? “Sono un miscuglio: è questa la mia forza. Un incrocio tra Inghilterra e Francia, due Paesi complementari. È una grande fortuna e ricchezza”» (Montefiori) • «“La depressione arriva e ti cambia, per alcuni in modo molto duro. Come a me. Quando è così, vuol dire che non sei più vivo. Sì, tu ci sei, ma non senti più nulla, tutto quello che ti attraversa è solo il dolore, tutto quello che provi è solo tristezza, paura. Sei una persona che non funziona. […] Quando sei in quello stato l’importante è trovare subito una via d’uscita. Io ho trovato persone giuste con cui è stato possibile parlare e medicine giuste, perché deve essere chiaro che con la depressione hai bisogno di farmaci, se vuoi andare avanti”». «La depressione? Ne sono uscita, però so che potrebbe tornare. Mi considero una sopravvissuta. Oggi non ho più pesi sulle spalle» • «“La preghiera è molto importante: chiedere con sincerità un sostegno a quei poteri lassù, quei poteri misteriosi assai più grandi di noi. Andrebbe praticata come esercizio quotidiano al pari della meditazione, dello yoga, del movimento. Ogni giorno dobbiamo sentire che apparteniamo all’universo, che non siamo qui solo come uno stupido puntino che non significa nulla! Non sta a noi conoscere il senso, cercarlo. Sta a noi affidarsi”. La sua “routine spirituale” quotidiana qual è? “Per prima cosa, la mattina, venti minuti di meditazione trascendentale (basata sulla ripetizione di un mantra, ndr). Dopo leggo, senza forzare la scelta: ho tanti saggi e romanzi in giro, sono loro a ‘chiamarmi’. È come farsi accompagnare per mano da qualcuno del calibro di Nietzsche o Thomas Mann o Hermann Hesse… Mi limito giusto a un passaggio, a qualche pagina, e ci rifletto: che stimolo è dividere il tempo con una mente illuminata! Faccio yoga (lo pratico da sempre), stretching, gli esercizi per la schiena. Amo soprattutto distendermi sul pavimento per cinque minuti e rilassare tutto: mi energizza”» (Maria Laura Giovagnini). «Si considera credente? “No, non lo sono: la religione mi interessa solo da un punto di vista sociale, storico e politico”» (Alessandra De Tommasi) • «Nei ruggenti Settanta è stata un simbolo di libertà, anticonformismo, trasgressione: ne era consapevole? “No, assolutamente. Ma avevo ben chiara la voglia di vivere con coraggio e autenticità. A causa del suicidio di Sarah, non avevo più nulla da perdere e andavo famelica incontro alla vita per afferrarla, divorarla senza risparmio”. Anche a costo di venire considerata “scandalosa”? “Sono stati gli altri a etichettarmi. Io forse non sapevo dove andare, ma il mio percorso era sincero”» (Satta). «Il nudo e il sesso non hanno nulla di scandaloso. Non ho mai provato falsi imbarazzi: anzi, mi sentivo libera». «Provocare può essere un atto sano certe volte, per chi provoca e per chi è provocato. Perché lascia un segno. E perché è molto sexy. E io ho capito abbastanza presto che avevo questo talento in me, che mi riusciva molto naturale. Il cinema, poi, quando è ben fatto, ha un proprio erotismo. Associare cinema e provocazione è molto interessante, divertente e totalmente coerente. Ha il potere di risvegliare le persone» (Piacenza) • «Il viso chiuso e puntuto dell’attrice inglese, i suoi occhi allungati e malinconici, il suo corpo scarno fanno parte della storia del cinema» (Aspesi). «Dirk Bogarde […] la definirà “The Look”, per gli occhi verdi, magnetici, tristi» (Cervone). «Il critico Barry Norman creò in suo onore il verbo “to rample”, ovvero ipnotizzare un uomo con sguardo magnetico, ambiguo, erotico» (Balzarotti e Miccolupi). «Ha la grazia di un fantasma» (David Cronenberg). «Charlotte è la bellezza, la severità, la spregiudicatezza delle donne e delle ragazze del suo tempo. La guardi e sei perduto» (Piero Tosi). «La sua faccia mi ricorda quella di Buster Keaton. La faccia di Keaton aveva un pallore estremo ma era bellissima. E anche quella di Charlotte è bellissima. Bella e triste come il blues: “fa così male, ma è un male bello”. Sì, proprio così, una cosa che ti fa star male ma che allo stesso tempo è bellissima. Una bellezza dolorosa. Charlotte è per me l’equivalente femminile di Buster Keaton» (Steve McQueen, regista e videoartista). «C’è un’immagine che la rappresenta più delle altre? “È la foto che mi scattò nel 1973 Helmut Newton nell’hotel Nord-Pinus II di Arles”. Si può sapere perché? “No. È la mia preferita: basti questo”» (Satta) • «La più bella (perché non taroccata) delle settantenni» (Aspesi). «Com’è cambiato negli anni il rapporto con il suo corpo? “In realtà è un rapporto che non dovrebbe cambiare mai. Invecchiando devi sempre restare in contatto con la tua voce interiore, malgrado il frastuono intorno. Le rughe avanzano, sai che non sei più come quando avevi vent’anni, eppure devi avere una relazione sana con te stessa e non spingerti in situazioni in cui non puoi stare: non voglio cambiare la mia faccia con la chirurgia, voglio rimanere come sono”» (Arianna Finos) • «“Il cinema mi offre gli strumenti per sopravvivere, mi permette di esplorare il lato oscuro dentro di me, quell’umanità ambigua che ho bisogno di tirare a galla”. […] Come mai preferisce i ruoli trasgressivi? “Perché una parte di me è attratta dal lato oscuro, che so essere da qualche parte dentro di me e lascio emergere sul set e non nella vita di tutti i giorni. Il mio è dormiente per la maggior parte del tempo, ma deve venire a galla di tanto in tanto. Ho un’unica regola: non rifare esperienze già fatte”» (De Tommasi). «È la mia natura sprofondare nell’isolamento, abbandonarmi al non-desiderio di avere rapporti, disconnettermi dal mondo. Per questo il cinema è perfetto per me. Perché mi obbliga, attraverso i personaggi, a uscire. […] Io non voglio limitarmi a recitare. Voglio usare ogni ruolo, ogni film per rispondere a una chiamata». «Nella recitazione sono istintiva, non ho un metodo specifico per prepararmi. Cerco di essere il personaggio, di contattare i suoi sentimenti». «Scelgo donne che mi interessino, che abbiano qualcosa da dire. Una ricchezza interiore. Non voglio intrattenere, voglio… No, non educare: portare gli spettatori in viaggio con me, ecco» • «A quali registi si sente riconoscente? “Agli italiani, soprattutto, da Luchino Visconti a Liliana Cavani. Io lo chiamo ‘il mio quadrilatero’ della carriera, che parte dall’Italia, passa dalla Francia, fa scalo a Londra e si conclude a New York”» (De Tommasi). «Con Visconti sul set sono rimasta a bocca aperta: non potevo credere a quel che vedevo. Mi sembrava tutto straordinario. Gli dissi che avrei voluto far parte di questo mondo, e Luchino mi mise in guardia: "Puoi fare tutto, finire sui rotocalchi, andare a Hollywood. Ma, se cerchi autentiche soddisfazioni, se vorrai essere una vera attrice, allora dovrai fare solo certi tipi di film. Ma ricordati: sarai molto ricca dentro e meno in banca. Puoi scegliere". Io l’ho fatto». «Sono un collaboratore riluttante. Non ho mai chiamato un regista, né gli ho fatto sapere che avrei voluto lavorare con lui. Sono troppo orgogliosa. Devo essere sedotta, devono invitarmi a ballare. Sono una ragazza vecchio stile» • «Cosa succede quando si invecchia? “Si conquista un’indipendenza mai avuta. C’è meno stress: non devi interrogarti sulla maternità, sul lavoro, sul matrimonio. I miei due figli hanno i loro figli e la loro vita a Londra (lei vive a Parigi dal 1978, ndr): devo soltanto preoccuparmi di essere me stessa. Se non ti abbandoni ai rimpianti, è bello essere vecchi!”» (Giovagnini). «Non mi sono mai soffermata su cosa sarebbe potuto accadere se avessi preso una decisione piuttosto che un’altra. Ho fatto quello che ho fatto, e va bene così: i rimpianti sono inutili». «Mi guardo, vedo la donna che sono oggi e mi dico: ok, hai fatto un lungo cammino e qualcosa di buono lo hai fatto. I brutti momenti ci sono stati solo per quello che succedeva dentro di me. Ma sono una che non rinuncia, una coraggiosa. Sono certa che troverò il modo di vivere la mia vita anche se non dovesse essere più una grande vita».