5 febbraio 2021
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Biografia di Giuseppe Mastini
Giuseppe Mastini, meglio noto come «Johnny lo Zingaro», nato a Ponte San Pietro (Bergamo) il 6 febbraio 1960 (61 anni). Criminale. Ergastolano. «La mascella squadrata, il naso a rostro, i piccoli occhi gelidi, la bocca come un taglio, il fisico massiccio da lottatore. Se c’è uno che ha il suo destino scritto in faccia, quello è Giuseppe Mastini, alias Johnny lo Zingaro, classe 1960, il Dillinger romano, protagonista di una serie di fughe, sparatorie, omicidi, sequestri, catture ed evasioni che fanno impallidire le imprese di Igor il Russo» (Massimo Lugli) • «Figlio di una coppia di giostrai lombardi di etnia sinti, si trasferì a Roma all’età di dieci anni. Abitava in una roulotte, si occupava delle giostre del padre e si distinse subito per essere pronto a tutto. A soli undici anni ebbe un conflitto a fuoco con la polizia che lo lasciò leggermente claudicante» (Luca Lippera) • «La sua passione sono sempre state le macchine, i motori, la corsa. "Se non fossi finito così, avrei potuto essere un buon pilota, mi creda. Ci so fare, alla guida, da quando avevo 8 anni"» (Lugli) • «Vive in una roulotte nel quartiere Pietralata, lo stesso di Una vita violenta, il romanzo di Pier Paolo Pasolini. […] Già noto alle forze dell’ordine per rapine e furti d’auto, la prima volta in carcere per lo Zingaro risale al 1976. La sera del 31 dicembre del 1975 l’autista dell’Atac Vittorio Bigi scompare. Il suo corpo viene ritrovato cinque giorni dopo in un prato poco distante da via di Pietralata. Mastini e Giorgio Mauro, entrambi quindicenni, avevano rapinato un tassista e avevano fatto fermare Bigi, che stava tornando a casa dopo il turno di lavoro. Lo avevano costretto a dargli portafogli e orologio e, secondo la deposizione di Mauro, era stato Mastini a sparargli con una calibro 38 due colpi alla schiena, mentre Bigi credeva di essere libero, dopo aver pagato il prezzo della rapina. Grazie alla testimonianza del tassista, i due vengono presi. Lo Zingaro entra per la prima volta nel carcere di Casal del Marmo, e ancora non ci muoviamo dal quadrante nord di Roma. Il minorile di Casal del Marmo è un istituto piuttosto tranquillo, già negli anni Settanta, immerso nel verde a poche centinaia di metri dal manicomio di Santa Maria della Pietà. Qui con Giuseppe Mastini c’è anche Pino Pelosi, l’assassino di Pasolini. […] I due hanno la stessa età, fanno praticamente la stessa vita. E a unirli è il famoso anello che la notte del 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia fu ritrovato accanto al corpo dello scrittore, l’anello con la pietra rossa e la scritta “United States Army” che Pelosi cercava inizialmente nell’auto di Pasolini. Perché Pelosi prima dice che, quell’anello, lo aveva comprato da un assistente di volo, poi dice che è un regalo di un certo Johnny, probabilmente Johnny lo Zingaro. Nel 1986, subito dopo il secondo arresto per omicidio di Mastini, è il legale della famiglia Pasolini, Nino Marazzita, a coinvolgere formalmente Mastini nelle indagini per l’omicidio. L’ultimo filone del processo si è chiuso a Roma nel 2015 con una archiviazione. […] Due settimane dopo l’arresto, lo Zingaro riesce a evadere dal carcere di Casal del Marmo. “Il 2 febbraio, assieme ad altri quattro giovanissimi detenuti, tra cui il suo complice nel delitto, organizza un agguato alle guardie carcerarie. Il gruppo le assale, le stordisce con i sostegni metallici delle brande e si dà alla fuga”. A scrivere è Antonio Del Greco, ex dirigente della Omicidi romana, che insieme al cronista di nera Massimo Lugli ha pubblicato […] Città a mano armata (Newton Compton), una ricostruzione dettagliata dei più mediatici casi di cronaca nera degli ultimi anni. […] Dopo ventiquattro ore dalla prima fuga – e siamo ancora nel 1976 –, lo Zingaro si riconsegna. Viene rinchiuso nel più sicuro carcere dell’Aquila. L’anno successivo organizza un’altra fuga, con quattro compagni. Scappa a Roma, la polizia lo prende in tempo per il processo (non solo per omicidio: ora anche per evasione). A Mastini vengono dati undici anni di carcere. Mauro se la cava con tre, e non di carcere, ma di riformatorio. Lo Zingaro viene trasferito al carcere di Pianosa. Ma riesce a evadere anche da lì, e per due anni resta a Roma, dove “si mette in combutta con la mala romana perché ha bisogno di soldi”, scrive Muzio Pignalosa sul Messaggero» (Giulia Pompili). «Nell’83 lo acchiappano dopo un inseguimento sul Gra: in macchina ha un fucile a canne mozze, passamontagna, rotoli di nastro adesivo» (Lugli). «Quando lo arrestano di nuovo, lo mettono nel carcere di Rebibbia, sorvegliatissimo. “Dopo un po’ di tempo si rende conto che da quel carcere non si evade, e allora gioca la carta della buona condotta. Se la gioca così bene che convince il magistrato a concedergli un permesso di otto giorni”, scrive Pignalosa. Il 3 febbraio del 1987 Giuseppe Mastini esce dal carcere di Rebibbia. E non vi fa più ritorno» (Pompili). «È l’inizio della sarabanda di colpi a catena che daranno a Johnny lo Zingaro il nomignolo di “bandito del terzo turno” perché entra in azione durante il terzo turno di servizio delle volanti. Distributori di benzina, passanti, negozi, bar: a volte è solo, a volte assieme a una ragazza bruna e scarna, Zaira Pochetti, la sua fidanzata» (Lugli). «È la notte fra l’8 e il 9 marzo del 1987. Siamo a via Monte Caminetto, una campagna isolata che fa parte del comune di Sacrofano ma si trova a pochi minuti d’auto dalla via Salaria, poco più a nord del cimitero di Prima Porta. Sono le undici di sera e Paolo Buratti, architetto trentasettenne e console italiano in Belgio, dorme nella sua villa insieme con la moglie Marie Véronique Michelle. Si sentono dei rumori. Un uomo entra nella villa a volto scoperto. Prima fruga nei cassetti, prende gli oggetti di valore che trova, poi si avvicina al letto dove si trovano ancora i due coniugi, e spara a entrambi. Paolo Buratti muore subito, il malvivente spara alla testa anche alla moglie, ma per un miracolo il proiettile della pistola semiautomatica le sfiora la testa. Arrivano i carabinieri, che fanno i primi rilievi – il resto dell’indagine sarà di competenza della polizia. Alle 3 e 35 del mattino la signora Buratti fornisce la prima identificazione: i carabinieri le mostrano sei fotografie di sei diversi pregiudicati. La Buratti indica la fotografia di Giuseppe Mastini, evaso da più di un mese dal carcere di Rebibbia. “Perché i carabinieri le fanno vedere sei fotografie tra cui quella del Mastini?”, si domanda l’avvocato Ugolini. Fino ad allora, lo Zingaro aveva lasciato altre tracce. Una serie di rapine a distributori di benzina e furti d’auto, avvenuti tutti nel quadrante nord-est di Roma. Per l’avvocato, però, non si hanno precedenti di Mastini nella zona di Sacrofano. […] Lo Zingaro si è sempre dichiarato innocente per quel che riguarda l’omicidio di Buratti. Lo ha ripetuto anche a Massimo Lugli, durante un’intervista su Repubblica del 1998: “Con l’assassinio di Sacrofano non c’entro: non avrei mai fatto una cosa del genere. Tant’è vero che in primo grado sono stato assolto”, dice Mastini a Lugli. Però poi la Corte d’assise d’appello lo condanna, e la Cassazione conferma il secondo grado. […] Il 25 marzo del 1987 Il Messaggero titola in prima pagina: “Rapisce una donna e uccide un agente. Inseguimento, sparatorie. Gigantesca ‘caccia all’uomo’, preso”. La sera del giorno prima era iniziata con una frase: “Dimentica le nostre facce e stai tranquilla. Tanto non ci prenderanno mai”, dice il ventisettenne Giuseppe Mastini a Silvia Leonardi, ventiquattro anni, che era ferma sotto casa a fumare una sigaretta in macchina con un amico. Fanno scendere l’uomo puntandogli la pistola, nell’auto con Silvia ancora al posto del passeggero salgono lo Zingaro e Zaira. Iniziano venti ore di follia, almeno cinque auto rubate per far perdere le proprie tracce. Alle due del mattino, Antonio Del Greco viene svegliato dall’ispettore di turno: riconoscono nella descrizione dell’amico di Silvia Leonardi il profilo di Mastini. Inizia a seguire la fuga dello Zingaro prima a bordo di una Lancia, e racconta in Città a mano armata: “Due agenti del X Tuscolano stanno terminando il turno di servizio, in divisa ma su un’auto civile, una vecchia Fiat 128. […] Uno degli agenti nota la Lancia e, con l’istinto del poliziotto di razza, capisce che c’è qualcosa di strano e prende il microfono per segnalare la targa alla sala operativa, Doppia Vela 21, come la chiamiamo da sempre. Un gesto che gli costerà la vita. Dallo specchietto retrovisore, Giuseppe Mastini lo vede. Senza un attimo di esitazione inchioda, scende dalla Lancia, si avvicina alla 128 e apre il fuoco. Michele Giraldi resta ferito a morte. Il suo collega, Mauro Petrangeli, rimarrà menomato. Giuseppe Mastini apre lo sportello e s’impossessa delle armi in dotazione alla pattuglia: una Beretta 92 e una mitraglietta M12. Poi salta al volante della Lancia, e via”. Johnny lo Zingaro spara ancora, nelle ore successive. Di nuovo pure a un carabiniere, ferendolo. Dopo la notte di fuga, cerca rifugio da una parente di Silvia Leonardi, che però non apre la porta. Arrivano alla Bufalotta, Mastini decide di lasciare libera Silva: “Vattene. Nasconditi per tutto il giorno nella macchia. Se ne vieni fuori prima, poi torniamo e ti ammazziamo”, le dice, come riportato dal Messaggero. Zaira viene abbandonata poco dopo, verso Monterotondo, sempre più a nord-est. Mastini prosegue a piedi, ma nel frattempo ci sono centinaia di uomini e cani che lo cercano, nella macchia tra Mentana e Palombara Sabina, in un raggio di quindici chilometri. Mastini è braccato, ha paura che la polizia lo uccida. Alla fine si arrende, e si consegna» (Pompili). «Le ultime battute […] sono al cardiopalma. Circondato da un esercito di divise, tra elicotteri a volo radente, cani, cavalli, uomini dei corpi speciali, Johnny si arrende dopo una convulsa trattativa con il vicequestore Antonio Del Greco: “Te lo prometto, se vieni fuori non ti spariamo”. Ma, quando finisce in manette, tra polizia e carabinieri che si contendono il merito dell’arresto, scoppia una rissa selvaggia: pugni, calci, armi spianate e uno strascico di polemiche che andrà avanti per mesi. Arrivato in questura, Johnny lo Zingaro se la vede brutta: il cortile è gremito di poliziotti decisi a farsi giustizia sommaria. Per proteggerlo, Del Greco e Nicolò D’Angelo, allora capo della mobile, […] prendono un sacco di botte» (Lugli). «Zaira aveva solo vent’anni. Veniva da una famiglia di pescatori di Passoscuro, poco più a nord di Fregene. Era la donna di Mastini, forse era perfino incinta. Le cronache dell’epoca, subito prima dell’arresto, la descrivevano sicura di sé, violenta, lo stereotipo della donna del gangster. Ma Zaira era tutt’altro, e gli investigatori se ne accorsero troppo tardi. È morta di anoressia e di stenti, un anno dopo essere stata arrestata in quel tragico giorno del 1987» (Pompili). «Il processo inizia il 16 febbraio del 1989: il 10 aprile è condannato al carcere a vita per l’omicidio dell’agente Giraldi, il tentato omicidio del carabiniere Bruno Nolfi, il sequestro di Silvia Leonardi e una lunghissima sequenza di rapine» (Flaminia Savelli). «Il Mastino, come lo chiamavano gli agenti nella Roma anni ’80 messa a ferro e fuoco dallo zingaro spietato, […] nel 2014 era […] venuto a Roma: grazie a un permesso ottenuto con un progetto dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” aveva partecipato al concerto del gruppo inglese The Prodigy (dopo aver frequentato un corso di giornalismo musicale). Tornato ad Alba, qualcosa deve essere andato storto: la sua presenza all’evento ha scatenato polemiche per via di alcuni comportamenti non corretti; inoltre una strana coincidenza ha voluto che quando è esplosa l’inchiesta di Mafia capitale (coinvolti personaggi della Banda della Magliana e il compagno di merende Pino Pelosi, che lavorava nella cooperativa di Buzzi) gli sia stato revocato il lavoro esterno, forse solo per prevenire polemiche, pure perché Johnny avrebbe “solo assistito”, sostiene l’avvocato, a episodi spiacevoli in carcere» (Giacomo Nicola e Raffaella Troili). Il 30 giugno 2017 Mastini, all’epoca recluso nel carcere di Fossano (Cuneo), evase di nuovo, almeno apparentemente per amore. «"Giuro che prima o poi ti vengo a riprendere". Era il 1973 e, nella periferia di Roma, un ragazzino sinti di 14 anni – si chiamava Giuseppe Mastini – si innamorò di una ragazzina un anno più grande di lui: Giovanna Truzzi, anche lei di una famiglia nomade. Tornarono a casa dopo qualche giorno, i genitori dissero loro che non avrebbero mai più dovuto vedersi. Così è stato, fino al 30 giugno [2017 – ndr], […] quando Giuseppe Mastini, che nel frattempo era diventato Johnny lo Zingaro, un bandito, un omicida condannato all’ergastolo, un’icona del crimine degli anni ’80, ha deciso di fuggire dal carcere. Era l’ennesima volta, […] ma erano trent’anni che non provava più a scappare. Questa volta infatti era diverso: Johnny non era fuggito per la libertà, ma per l’amore. In uno dei suoi permessi lavorativi, concessi dall’istituto penitenziario di Fossano per svolgere attività nella scuola di polizia penitenziaria di Cairo Montenotte, ha incontrato alcuni vecchi amici sinti romani. Gente che non vedeva da quando era ragazzino. Non hanno ricordato i tempi delle rapine, dei colpi nelle ville, di quegli omicidi che gli sono costati l’ergastolo. Ha fatto loro soltanto un nome: "Giovanna: ve la ricordate, Giovanna?". Se la ricordavano. Di più: avevano il suo numero di telefono. Viveva in Toscana da anni, aveva tre figli grandi. Johnny il bandito non ha resistito. L’ha chiamata: "Ti ricordi?", le ha detto. "Non ti ho mai dimenticato", gli ha risposto. Così hanno organizzato la fuga, lui da Fossano lei da Pietrasanta, dove era agli arresti domiciliari. Il 30 giugno Johnny lo Zingaro è salito su un taxi che lo ha portato alla stazione di Genova. Ha preso un treno che lo ha portato a Viareggio, dove ha trovato lei che lo aspettava. A casa Giovanna aveva lasciato una lettera per i suoi figli: "Scusate, ma scappo con l’amore della mia vita". Johnny non rientra in carcere. La polizia comincia a cercarlo» (Giuliano Foschini). La fuga si concluse il 25 luglio successivo a Taverne d’Arbia (Siena). «La polizia ha impiegato meno di un mese per trovarli, dopo aver intercettato i parenti di lei, e dopo aver ricostruito le fasi della fuga di Mastini, in taxi fino a Genova. A insospettire gli investigatori l’ordine da parte dei familiari della donna di un materasso, che doveva servire per i nuovi ospiti da nascondere in casa. Qualche giorno più tardi Johnny lo Zingaro ha chiesto la grazia, spiegando che quell’evasione di tutti e due era per amore» (Rinaldo Frignani). «Portati in questura, Johnny e Giovanna hanno raccontato la loro storia. […] Hanno raccontato che, dopo tanto tempo lontani, volevano stare soltanto insieme. Che nella vita avevano fatto tanti errori gravissimi. Uno era stato lasciarsi andare, un giorno, 44 anni fa. Un errore, si sono detti, soli in una stanza della questura, prima di essere portati nelle loro carceri, che non avrebbero commesso mai più» (Foschini). Puntualmente, il 5 settembre 2020, allo scadere dell’ennesimo permesso premio, Mastini non si ripresentò al carcere d’alta sicurezza di Bancali (Sassari). «A concedere il permesso a Mastini è stata una giudice monocratica, Luisa Diez: era il tredicesimo permesso premio dal febbraio 2019. Ciascuno dei permessi premio è sempre stato di dieci giorni, lo “Zingaro” non ne ha avuti solo durante il lockdown. Questa volta ha fatto perdere le tracce dopo essere stato nella casa famiglia Don Giovanni Muntoni dei salesiani di San Giorgio, una borgata di Sassari» (Antonella Mascali). L’evasione si concluse appena dieci giorni dopo, quando Mastini fu individuato in un casolare del sassarese, e una volta catturato proclamò: «Si fugge sempre per amore». L’11 novembre successivo, «con l’accusa di procurata evasione, gli agenti della squadra Mobile di Sassari e della polizia penitenziaria hanno arrestato anche la moglie e tre ex detenuti. Secondo quanto ricostruito, la moglie Giovanna Truzzi, di 61 anni – subito ascoltata, e che si era detta estranea alla fuga – per i primi due giorni della latitanza non si era mai separata dallo Zingaro. Erano insieme nell’appartamento nel centro di Sassari messo a disposizione da Cristian Loi, 34enne pregiudicato di Sassari. Che Mastini aveva conosciuto in carcere. A inchiodarli sono state le telecamere di videosorveglianza. Ma il piano era ben organizzato, e lo Zingaro, una volta arrivato nel covo dove poi è stato arrestato la mattina del 15 settembre, ha avuto bisogno di altri appoggi. La cascina era infatti isolata: incaricato del trasferimento dall’appartamento e poi di procurargli le scorte di cibo era Gabriele Grabesu, anche lui 34enne di Sassari con diversi precedenti. E che con Mastini aveva diviso la cella per alcuni mesi. Un quarto complice era stato infine incaricato di fornire telefonini e schede: Roberto Fois, un sassarese di 42 anni conosciuto pure lui al Bancali» (Savelli). Attualmente Mastini è recluso nell’istituto penitenziario di massima sicurezza di Badu ’e Carros, a Nuoro • La versione di Giovanna Truzzi, all’indomani dell’ultima cattura di Mastini: «“Johnny non è più l’uomo spietato di un tempo: ha passato 46 anni in galera ed è cambiato. Ha sbagliato ancora, non doveva evadere, ma l’ha fatto per amore. […] Era felice. Mi ha detto che voleva passare tutta la vita con me e che prima o poi, in accordo con i suoi avvocati, avrebbe chiesto la grazia”. Dove siete andati? “Dovevamo rimanere nel comune di Sassari. Eravamo ospiti della comunità di don Gaetano, un bravo prete. Ci ha dato una stanza solo per noi. Lui mi chiedeva di cucinargli spaghetti allo scoglio e la frittura. Poi, rispettando gli orari, andavamo sempre fuori, in spiaggia o a passeggiare tra i boschi. Mi diceva che dopo tanti anni dietro le sbarre aveva bisogno di guardare la natura. Allora si fermava a osservare un albero, non si stancava mai di guardare un fiore, era incantato dagli animali. Lo ripeto, un uomo diverso da quello che avevo conosciuto per la prima volta nel 1973”» (Marco Gasperetti) • Soggetto, tra l’altro, di alcune canzoni, tra cui Johnny lo Zingaro, scritta da Massimo Bubola e portata al successo dai Gang («Venderà cara la pelle,/ Johnny non si arrenderà:/ né finestre né mura né celle/ mai potranno fermare/ la sua libertà») • «Su Johnny lo Zingaro sono stati scritti sceneggiature, film, romanzi, migliaia di pagine di profili criminali. Forse nessuno ha mai capito davvero chi sia» (Pompili). «È un pezzo di merda. Recita male, non ha neanche la dignità, non faceva compassione. È un cattivo» (Lugli).