8 febbraio 2021
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Biografia di John M. Coetzee
John M. Coetzee, nato a Città del Capo, in Sudafrica, il 9 febbraio 1940 (81 anni). Scrittore. Saggista. Linguista. Premio Nobel per la letteratura nel 2003 • «Il più grande narratore sudafricano vivente, celebre per i suoi silenzi nella vita pubblica quanto fluviale nella scrittura» (Michele Smargiassi, il venerdì, 7/2/2012) • «Una specie di Philip Roth scarnificato e australe» (Michele Masneri, Il Foglio, 16/2/2020) • «La sua espressione austera, i lineamenti antichi del viso, lo sguardo intenso sarebbero adattissimi a essere incorniciati dalle enormi e rigide gorgiere plissettate dei ritratti fiamminghi» (Donata Righetti, Corriere della Sera, 7/9/2004) • Tra i suoi romanzi: Terre al crepuscolo (1974), Nel cuore del paese (1976), Aspettando i barbari (1980), La vita e il tempo di Michael K. (1983), Foe (1986), Età di fero (1990), Vergogna (1999), Elizabeth Costello (2003), Tempo d’estate (2009), L’infanzia di Gesù (2013), I giorni di scuola di Gesù (2016), La morte di Gesù (2019) • «Creatore di personaggi tormentati da un’irredimibile solitudine, che vivono in luoghi indeterminati del mondo ma anche della mente, mentre subiscono la cultura della loro terra cui sono, nonostante la tacita o dichiarata opposizione, profondamente legati, C. si dimostra scrittore scettico ma inflessibile nella critica del falso moralismo di cui è permeata la civiltà occidentale» (Giovanna Ferrara, Enciclopedia Italiana, VII Appendice, 2006) • «Un uomo di disciplina e dedizione quasi monacale. Non beve, non fuma, non mangia carne. Percorre in bicicletta grandi distanze per restare in forma e scrive almeno per un’ora ogni mattina, sette giorni alla settimana. Un collega che ha lavorato con lui per più di dieci anni dice di averlo visto ridere una volta. Una nostra comune conoscenza è stata a molte cene in cui Coetzee non ha mai pronunciato una sola parola» (lo scrittore Rian Malan) • Famoso per avere una laurea in matematica, aver lavorato come informatico e concedere pochissime interviste • Ha detto: «È ingenuo pensare che la scrittura sia un semplice processo in due tempi: prima decidi cosa vuoi dire e poi lo dici. Al contrario, come tutti sanno, scrivi perché non sai cosa vuoi dire».
Titoli di testa «Il suo scrittore preferito è sempre il sudafricano J. M. Coetzee? “Sempre lui. Romanzi come Vergogna, Elizabeth Costello e La Vita e il Tempo di Michael K. sono bellissimi, superiori a tutti gli altri contemporanei”» (Javier Cercas, a Giordano Teoldi, Libero, 17/11/2011).
Vita Famiglia di stirpe afrikaans, discendente da coloni olandesi arrivati in Sudafrica nel diciassettesimo secolo. Ha un bisnonno di origini polacche • «Figlio di un’insegnante e di un avvocato che lavorava per il governo - e che nel 1948, quando John Maxwell aveva solo otto anni, per una differenza di vedute con il governo dell’apartheid, fu costretto a lasciare il suo lavoro e a diventare allevatore di pecore nella provincia di Worcester» (Irene Bignardi, la Repubblica, 3/10/2003) • John è un ragazzino irrequieto, ribelle, «maleducato, per niente socievole, eccentrico». La sua prima passione non è la scrittura, ma la fotografia. «È un’attività maschile, a differenza di quelle effeminate tipo scrivere poesie» • «Comprai la mia prima macchina fotografica per posta. Era una novità, presentata come il tipo di macchina che usavano le spie. Produceva immagini di circa 15 mm x 15 mm che andavano ingrandite. A Città del Capo c’era un solo negozio che vendeva quelle pellicole speciali» • «John vedeva su Life le immagini dei grandi fotografi americani: “Negli anni Cinquanta la fotografia seria godeva di un notevole prestigio culturale”. Fece la sua scelta delle armi. Difensive. Nella “benevola prigione” di una scuola cattolica, il St. Joseph, fotografare fu la sua risposta alla noia, allo stanco bullismo dei compagni, all’aria misteriosa dei padri maristi, alla nostalgia di un’infanzia vissuta in campagna. Si comprò una spy camera: una macchinetta che si poteva nascondere fra i bottoni della giacca, scattava alla cieca e faceva negativi grandi meno di un pollice. Li sviluppava in una camera oscura arrangiata in casa, vivendo la magia dell’apparizione delle immagini nelle vaschette con un “brivido di estasi, come trovarsi davanti al primo giorno della creazione”» (Smargiassi) • «Gli scatti sono un po’ belli, un po’ no, e sembrano il frutto soprattutto di una forte curiosità giovanile per il mondo esterno. C’è la madre Vera, con la sua faccia da contadina russa, “Vera con la sua gelida V maiuscola, una freccia che affonda”; c’è il padre Jack Coetzee (“Inaffidabile, vagabondo, strano: le parole che la famiglia di mia madre usava per definirlo”). C’è la fattoria avita a Karoo, con la vasta famiglia bianca, “Letti, materassi e reti vengono preparati in ogni stanza e anche sulla lunga veranda: a Natale una volta lui ne conta 26. Tutto il giorno sua zia e le due cameriere si danno da fare nella cucina satura di vapore, cucinano, infornano, producono un pasto dopo l’altro, un giro di tè o caffè con torte dopo l’altro, mentre gli uomini, seduti in veranda, guardano pigramente il Karoo che luccica, raccontandosi le storie dei vecchi tempi” […] Ci sono i vicini neri con Jan, che “a cinquant’anni aveva preso in sposa una ragazza di quindici”, e che sembrano introdurre il tema, centrale nell’opera coetziana delle vicinanze pericolose, di una specie di angoscia, un male della frontiera, sempre incombente sul Sudafrica dell’apartheid. C’è la micidiale scuola cristiana, coi frustini degli insegnanti (“Ogni frustino ha un suo carattere, una sua personalità. I ragazzi lo sanno e ne parlano di continuo. Col tono da conoscitori, valutano il diverso carattere e il dolore prodotto da ciascuno, confrontano la tecnica del braccio e del polso dei vari insegnanti che li manovrano”. Ci sono i campi sportivi per l’amato cricket (“Sullo sfondo è visibile la bandiera britannica. Durante gli anni Cinquanta nelle occasioni ufficiali veniva ancora issata accanto a quella della nazionale sudafricana”)» (Masneri) • Con quaranta sterline John cambia macchina, compra una Waga, imitazione della Leica, vince premi, dirige il circolo fotoamatoriale della scuola. Poi, però, perde la vocazione. «Non avevo l’occhio dell’artista-fotografo». «Non ero aperto al mondo, ero troppo chiuso in me stesso» • Coetzee non ha tempo per la fotografia: studia all’Università di Città del Capo, si laurea in lettere nel 1960 e in matematica nel 1961. Per tre anni lavora come informatico a Londra, poi si sposta a Austin, Texas, dove prende un dottorato in lettere. Tesi: un’analisi stilistica della prosa di Samuel Beckett fatta con il computer. «Ho lasciato il Sudafrica a 21 anni e ho passato il decennio successivo in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. In quel periodo non avevo la possibilità di usare la camera oscura e perciò non ho fatto foto perché per me saper stampare era indispensabile se volevi essere fotografo. Quando sono tornato in Sudafrica avevo già imboccato la carriera dello scrittore» (a Cole) • «Che cosa l’attraeva di più, nella matematica? “Agli inizi la teoria dei numeri. In seguito, la probabilità”. Continua a interessarsene anche ora? “No, non mi sono più aggiornato sugli sviluppi contemporanei”.
Lei è stato addirittura un programmatore informatico, per tre o quattro anni. “Sì, in Inghilterra, prima di iniziare il dottorato in letteratura negli Stati Uniti”. Cosa faceva?
“Dapprima ho lavorato in una ditta che accettava lavori di programmazione su commissione. Poi con un gruppo che faceva programmazione di sistemi”. E le piaceva? “Non posso dire che fosse un lavoro creativo, ma era coinvolgente: allo stesso modo in cui possono esserlo gli scacchi. C’erano periodi in cui lavoravo con intensa concentrazione, fino a sedici ore al giorno. Ora penso a quegli anni come persi: avrei potuto spendere quelle infuocate energie mentali su qualcosa di più importante che la programmazione. Tra l’altro, si trattava di programmi che comunque diventavano obsoleti in un paio d’anni, superati dai nuovi sviluppi dell’informatica”. Che cosa le ha comunque lasciato questo suo background, nel suo lavoro di scrittore? “Mi ha insegnato a concentrarmi. E mi ha abituato a completare per bene una costruzione in ogni dettaglio, non solo qui e là”» (Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica, 11/09/04) • «Autore di saggi di linguistica e critica letteraria, traduttore dall’afrikaans e dal nederlandese, nel 1974 ha esordito come narratore con Dusklands (trad. it. Terre al crepuscolo, 2003), composto da due racconti: protagonisti del primo sono il conflitto vietnamita e i condizionamenti ideologici sull’informazione cui esso diede luogo, mentre il secondo racconto, sullo sfondo di un vagheggiato ambiente boero settecentesco, narra la storia di un uomo di frontiera che aspira a una violenta quanto liberatoria vendetta contro gli ottentotti, colpevoli di non averlo rispettato in quanto “uomo bianco”. Comune ai protagonisti dei due racconti è l’ossessione della colonizzazione. Già con questa prima prova C. si è segnalato come uno degli scrittori più originali della sua generazione» (Ferrara) • «Quanto le ha cambiato la vita il Nobel? “Molto. Da una parte ha reso più facili alcune situazioni pratiche. Dall’altra mi ha messo sotto i riflettori in un modo che trovo davvero sgradevole”. Se fosse un membro dell’Accademia svedese a chi assegnerebbe quest’anno il premio? Puntigliosamente, irrimediabilmente serio Coetzee replica: “La domanda non è realistica. L’Accademia svedese opera seguendo regole non scritte che tengono conto della nazionalità, della lingua e di altro ancora. Regole che non vengono rese note”. Laurea in matematica, anni da programmatore di computer. Cosa l’ha spinta ad abbandonare la scienza per la letteratura? Fedele a se stesso, lo scrittore non arretra, e severo come se indossasse una gorgiera plissettata si congeda con un “L’ho già spiegato nel mio libro Gioventù”. Poi, con un lampo quasi pietoso, aggiunge: “In realtà come matematico non avevo alcun talento”» (Righetti).
Amori «Nel 1963 si è sposato, nel 1980 ha divorziato (e pare che il divorzio, visto la chiusura di carattere del nostro, fosse atteso da tutti). Dal suo primo matrimonio ha avuto un figlio - perito in un incidente all´età di ventitré anni - e una figlia» (Bignardi).
Politica Da sempre contrario all’apartheid. «In tempi lontani, quando da noi era ancora poco noto, qualcuno, per come parlava e scriveva, pensò addirittura che fosse uno scrittore nero» (Paolo Mauri, la Repubblica, 3/10/2003) • «Dopo la fine dell’apartheid lei ha continuato a scrivere sul clima sociale aspro e spesso violento del suo Paese. Però di politica sembra non aver voglia di parlare. Qualcuno sostiene che lei abbia definito la politica una faccenda etica privata. “Mai detto una simile sciocchezza”. E la risposta si ferma qui» (Righetti).
Religione Pensa che Dio non sia intelligibile. «Lei è credente? “Siamo tutti credenti. Anche coloro che si definiscono ‘non credenti’ credono nell’evidenza dei propri sensi, e rifiutano tutti gli argomenti (alcuni dei quali sono molto cogenti) che i sensi ci possono ingannare. Dubitare di tutto, e mettere in pratica le conseguenze del dubbio universale, porta a uno stato di paralisi. Ma se lei mi chiede se credo in Dio, cioè se credo che Dio esista, la mia risposta è che non so cosa significhi “esista” in questo contesto. Credere che Dio esista, senza sapere cosa significhi “Dio esiste”, significa credere sulla base della fede”» (Piergiorgio Odifreddi, Domani, 8/10/2020).
Curiosità Dal 2002 si è trasferito ad Adelaide, in Australia meridionale • «Conduce un’esistenza con un’autodisciplina rigorosa e solitaria: non beve, non fuma, è vegetariano» (la Repubblica, 2/10/2003) • «È uno sportivo, un salutista, sveglia all’alba, molta ginnastica» (Masneri) • Appassionato di Bach • Difensore dei diritti degli animali. In La vita degli animali traccia una connessione fra il genocidio degli ebrei e la strage di animali che finiscono sulle nostre tavole. «Cosa risponderebbe, a chi le obiettasse che Hitler era vegetariano? “Che il fatto che una particolare persona sia o sia stata vegetariana, non ha nessuna importanza”» (Odifreddi) • Rilascia poche interviste: dice che i giornalisti gli fanno domande troppo stupide • Si rifiuta di commentare i propri libri. «Mi sono imposto di non fare mai l’interprete dei miei libri. Anzitutto, perché se potessi essere più chiaro ora di quando ho scritto un libro, quel libro sarebbe difettoso. E poi, perché l’esperienza mi ha insegnato a non dar credito a ciò che gli artisti dicono del loro lavoro» • «In un’esilarante testimonianza sul Guardian, qualche giorno fa, un membro della giuria del prestigioso Booker britannico ha raccontato come avessero escluso dalla lista dei finalisti J.M. Coetzee, bollato da uno dei giudici come ”deplorabile e disonesto”, pochi giorni prima che altri giudici a Stoccolma gli conferissero il Nobel» (Siegmund Ginzberg, Il Foglio, 16/10/2003) • «Molti scrittori di fama hanno avuto una formazione scientifica: ad esempio, Fëdor Dostoevskij, Robert Musil e Carlo Emilio Gadda erano ingegneri, Elias Canetti chimico, e Bertrand Russell e Aleksandr Solženicyn matematici» (Odifreddi) • «Thomas Hardy ha cominciato come poeta e poi, dopo una lunga carriera di romanziere, è ritornato alla poesia. Pensi che potresti tornare a fotografare? Senti nei polpastrelli la smania dello scatto? “No. Sulpiano estetico io non vedo a colori. Il mio cuore è rimasto al biancoenero, nel cinema come nella fotografia”» (Cole).
Titoli di coda «Tra cento anni quale autore si leggerà di più: Coetzee, Gordimer o Wilbur Smith? “Coetzee e Gordimer sono bravi scrittori. Non mi considero in competizione con loro. E comunque tra cento anni non mi importerà molto di chi sarà il più letto”» (Wilbur Smith a Michele Farina, Corriere della Sera, 1/7/2010).