Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  febbraio 10 Mercoledì calendario

Biografia di Franco Freda

Franco Freda, nato a Padova, l’11 febbraio 1941 (80 anni). Neofascista. Terrorista. Editore. Fondatore nel 1963 della casa editrice Edizioni di Ar. Condannato definitivamente a quindici anni di carcere per associazione sovversiva (bombe del 25 aprile 1969 e attentati ai treni dell’estate 1969, questi ultimi che causarono 12 feriti) e a sei anni per istigazione all’odio razziale in relazione alla vicenda del Fronte Nazionale, sciolto dal Consiglio dei ministri nel 2000 sulla base della legge Scelba e della legge Mancino. Accusato di aver organizzato la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969, l’esplosione di una bomba nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano causò 17 morti), è stato definitivamente assolto per mancanza di prove, con «formula dubitativa», dalla Corte d’assise d’appello di Bari e da quella di Catanzaro, sentenza confermata in Cassazione nel 1987. Nel 2005 la Cassazione ha affermato che la strage fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», dichiarandoli però non più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari». Freda si è sempre dichiarato innocente.
Vita Padre irpino e madre veneta, maturità classica, laurea in Giurisprudenza all’università di Padova, è a capo della sezione padovana del Fronte universitario d’azione nazionale di Padova, il movimento universitario del Movimento Sociale Italiano. «Nei primi anni ’60 Freda, milita nel Msi ma ci resta per poco: appena un anno che ricorderà come sgradevole. Il fascismo gli appare robetta “troppo decmoratico per i miei gusti, troppo populista”. Mussolini poi gli sembra “un tribuno filantropo”. Come buona parte del neofascismo postbellico Freda guarda al nazismo, a Hitler “il più grande statista, uomo politico rivoluzionario e condottiero militare della storia”. Il maestro è Julius Evola e già nel 1963 il giovane Freda dà vita alle edizioni Ar, che si qualificano fin dal primo titolo ripubblicando il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane di De Gobineau ma pubblicherà anche numerosissimi testi di Evola» (Paolo Delgado, Il Dubbio 1/12/2018) • «Oggi non c’è più nulla. Il civico 34 di via Patriarcato a Padova è stato cancellato, si passa direttamente dal 32 al 36. Una via lunga, in parte con porticati, a poco più di duecento metri da piazza dei Signori, in pieno centro. Eppure lì, al 34, un tempo c’era una libreria, aperta solo al giovedì dalle 22 alle 24, con al posto della vetrina una saracinesca sempre abbassata. Sul campanello la scritta “Ar”. Ad avviarla, il 9 dicembre 1963, Franco Freda, che prese in affitto i locali di un’ex rimessa. Assunse il nome di Libreria Ezzelino, in onore del signore e condottiero ghibellino del 1200, di origini germaniche, feroce e terribile. Dante Alighieri lo collocò, non a caso, all’Inferno, immerso in un fiume di sangue. Il termine “Ar”, da cui le edizioni omonime fondate dallo stesso Freda, non era altro che la radice di “ariano”, Ares o aristocrazia, a indicare guerra e razza superiore. Alle vicende che ruotarono attorno a questa libreria e alla figura di Franco Freda, lo scrittore padovano Ferdinando Camon, nel 1975, dedicò uno dei suoi romanzi, Occidente. Quando parliamo della strategia della tensione, dell’escalation degli attentati che si susseguirono in Italia dalla primavera del 1969 fino alla strage di piazza Fontana, è da qui che dobbiamo partire. Era in questi locali, infatti, che si riuniva la cellula di Ordine nuovo capitanata da Franco Freda e Giovanni Ventura. A raccontarlo con dovizia di particolari furono più d’uno. Martino Siciliano di Ordine nuovo di Mestre parlò della riunione in cui “Freda annunciò il programma degli attentati ai treni”, poi compiuti nell’agosto successivo, una decina di bombe, di cui otto scoppiate, dodici i feriti (…) Tra il 15 aprile e il 9 agosto del 1969 vengono attribuiti a Freda otto attentati, coronati dalle bombe su 10 treni del 9 agosto. Poi arriva Piazza Fontana, la strage che da molti punti di vista comporta una cesura nella storia della Repubblica. Freda viene inquisito solo in un secondo momento, nonostante gli elementi che indicano lui e Ventura come responsabili dell’attentato emergano immediatamente. Il processo è eterno, scandito dalle trame del Sid, che cerca goffamente di coprire la vicinanza alle operazioni dei nazisti tramite l’agente Guido Giannettini, figura di raccordo, più infiltrato nazista nei servizi che non il contrario. Per Freda i termini della carcerazione preventiva vengono raddoppiati ma non bastano neanche così. Esce, viene spedito a Catanzaro in soggiorno obbligato. “Sono un soldato politico e non scappo”, dichiara. Poi, quando nel ’79 gli viene affibbiato l’ergastolo, scappa. Arriva in Costarica con l’aiuto della ’ndrangheta. Viene arrestato di nuovo meno di un anno dopo. Tra annullamenti della Cassazione la vicenda si trascinerà ancora a lungo e si conclude con l’assoluzione definitiva, contro la quale nulla potrà in un nuovo processo. Nei processi stessi dà spettacolo: “Aspettate che mi metta i guanti: il ferro democratico non deve toccare le mie mani”, dice una volta a una guardia carceraria. Libero, continua a darsi da fare. Nel 1990 il Fronte nazionale, che verrà sciolto ai sensi della legge Mancino e gli costerà una nuova condanna» (Saverio Ferrari, Left 11//2019) • «La sua casa editrice, le Edizioni di Ar, ha pubblicato un libro che si intitola “Piazza Fontana: una vendetta ideologica”. Qual è la tesi? “Nell’intenzione della sua autrice il testo mira ad applicare le categorie della morale nietzscheana al processo politico per piazza Fontana, riconnettendo il fatto cruento, e la sua proiezione nella polemica processuale, alla dinamica di quella guerra civile e politica cominciata con l’8 settembre ’43”. Lei ritiene verosimile la tesi oggi più accreditata, e cioè che nel corso della Guerra Fredda gli Stati Uniti si siano serviti della collaborazione di uomini dei servizi segreti italiani per creare una strategia della tensione che evitasse il pericolo di uno spostamento a sinistra dell’asse politico italiano? “Suvvia! Questa Italia coloniale che si prende tanto sul serio da ritenere di essere campo di battaglia a stelle e strisce!”. […] Secondo molti magistrati la sua militanza politica non si è limitata a diffondere idee e opinioni, ma anche a compiere atti eversivi. “Ossia questi minustrati mi rimproverano di aver “predicato bene e razzolato bene”? Entro i limiti umani di un miliziano, la mia milizia politica ha cercato di attuare ciò che il sentimento del mondo in cui mi riconosco suggeriva”. […] Secondo lei chi ha messo la bomba in piazza Fontana? “Il ‘secondo me’ è un vezzo essenzialmente democratico. È il lievito di quel chiacchiericcio retorico, ipocrita e superficiale con cui ci si stordisce per non interrogare il mistero, per non farsi interrogare da esso». Lei non ha mai fatto mistero delle sue idee, vicine al fascismo e al nazionalsocialismo. È ancora di quelle opinioni, o ritiene che appartengano a una fase storica superata? “È insano cercare nei rivoli ciò che si può attingere dalla fonte”: così ammonisce Boccaccio. La fonte cui ho inteso volgermi è altra dai fascismi, intemporale. Ma confermo la mia personale venerazione nei confronti del Fuehrer e del Duce”» (a Michele Brambilla, Sta 13/2/2009) • Dopo alcuni anni a Salerno, ha spostato la sede delle Edizio­ni di Ar ad Avellino, dove vive tutt’ora e dove ha aperto l’omonima libreria che ven­de per corrispondenza tutti i libri del radicalismo di destra, dagli scritti di Adolf Hitler alle opere di Nietzsche • Su Liberio, durante la direzione di Maurizio Belpietro, ha curato la rubrica L’inattuale • Nel maggio 2012, scrisse a Libero lamentandosi del fatto che, nel corso delle indagini sulla bomba alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi, che costò la vita a Melissa Bassi e ferì altre cinque studentesse, fosse stata perquisita una casa dove lui soggiornò un tempo. Gli inquirenti smentirono. «Qualche imbarazzo poi lo provocò poche settimane prima, in aprile, a Gianni Alemanno, costretto ad annullare una presentazione in Campidoglio di un libro della Ar, autorizzata precedentemente dagli uffici comunali “ignorando la matrice ideologica di questa casa editrice, contraria ai principi sanciti dalla Costituzione”, spiegò il sindaco di Roma, genero di Pino Rauti, con cui Freda ebbe una lunga frequentazione in passato» (Alberto Alfredo Tristano, Linkiesta 29/7/2012)
Critica «Per capire di che pasta è fatto il libraio Franco Freda. Interrogato in aula a Catanzaro, durante il processo per Piazza Fontana, Freda si rivolge così all’interrogante: “Mi scusi. Lei chi è?”. L’interrogante risponde: “Sono il pubblico ministero”. Allora Freda replica, secco: “La riverisco”. E non appena il Pm domanda a Freda se ha mai conosciuto la tal persona, Freda comincia a filosofeggiare, se non a prousteggiare: “Credo di averlo conosciuto. Il verbo credere dipende da una percezione sensoriale che a distanza di quarant’anni, ella comprende, si è affievolita”. In questo scambio c’è parecchio del carattere di Freda: il vizio d’interrompere, che è una tecnica da karateka utile a slogare il discorso dell’interlocutore, per quanto di fronte a un giudice possa risultare non efficace e perfino controproducente; l’atteggiamento altero; le fumisterie e i diversivi (“il verbo credere dipende da […]”) e infine il vocabolario cerimonioso, antiquato, espresso nell’inciso “ella comprende” e in quel “la riverisco”, con il quale Freda intende sottolineare un sentimento che non viene mai meno, cioè il suo rispetto incondizionato per la gerarchia. Questo tratto culturale, e psicologico, probabilmente si forma, in Freda e in altri di Ordine Nuovo, grazie alla lettura delle opere del barone Julius Evola, filosofo venerato, maestro spirituale, il quale appunto predicava, tra l’altro, l’insostituibile valore sociale e spirituale della gerarchia» (Ivan Carozzi, Il Tascabile 13/1/2020).
Amori Nel 2012 ha sposato con rito civile la scrittrice Anna K. Valeri, classe 1979, 38 anni meno di lui, a lungo sua assistente. I due hanno tre figli. «Volevo un uomo forte, e Freda lo è. Ma è anche la persona più generosa che abbia mai conosciuto in questo mondo dove infuriano l’egoismo e la superficialità. È capace di magnifici slanci verso chi ne è meritevole. [...] Sapevo poco della sua vicenda giudiziaria. Nel 2001, avevo 22 anni, lessi un libro che riportava alcune sue frasi e rimasi folgorata dallo stile, dalla sua capacità di dare il giusto peso a ogni singola parola. Così decisi di conoscerlo» (ad Andrea Pirante, Corriere Veneto 22/7/2012). La moglie dirige la collana erotica delle Edizioni di Ar intitolata “Le librette di controra”. «La signora Freda, originaria di Gemona del Friuli, in provincia di Udine, potrebbe sembrare fuori contesto: il suo bisnonno, anarchico più che comunista, fu il primo sindaco rosso del suo paese, mentre il nonno fu partigiano nella Brigata Garibaldi. Lei sostiene di aver avuto una “predestinazione al contrario”, perché “in famiglia erano tutti vincitori, brutalmente, efferatamente antifascisti”. E l’incontro con Freda dice fu un colpo di fulmine: “Ecco un guerriero, un vero nichilista”» (Tristano, cit.)
Titoli di coda «Due corti di assise hanno sentenziato la mia innocenza per la strage di Piazza Fontana. È assurdo che dopo cinque o sei processi venga surrettiziamente indicato come colpevole. Le vere stragi sono quelle che hanno cominciato a fare gli islamici, quelle che faranno, fra qualche anno, i nigeriani» (a Estreme Conseguenze 29/11/2019).