12 febbraio 2021
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Biografia di Pierluigi Collina
Pierluigi Collina, nato a Bologna il 13 febbraio 1960 (61 anni). Presidente della Commissione arbitrale della Fifa (dal 2017). Già presidente della Commissione arbitri della Uefa (2010-2018) e della Commissione arbitri nazionale di Serie A e Serie B (2007-2010). Ex arbitro (1977-2005). «Dal 1991, […] anno del suo esordio in Serie A, Collina ha arbitrato 466 partite, fino al ritiro del 2005. 240 in A, 49 in Champions League, tra cui la finale del ’99 con l’incredibile 2-1 nel recupero tra Manchester United e Bayern Monaco. È stato presente in 2 Mondiali – 1998 e 2002, nel quale ha anche diretto la finale – e negli Europei del 2000 e del 2004. Ha arbitrato la finale olimpica del ’96 e quella di Coppa Uefa del 2004. L’Iffhs lo ha premiato per sei anni di fila, dal 1998 al 2003, come miglior arbitro del mondo. Numeri incredibili per una figura altrettanto incredibile, che ha fatto la storia della propria categoria» (Stefano Renzi). «La mia dote? Decido» • Figlio unico di un impiegato statale e di una maestra elementare. «Come andava a scuola? “Sono stato rimandato una sola volta, in italiano. La professoressa di italiano era di ultrasinistra. Io di destra. Dette un tema su come bisognava risolvere il problema della sicurezza. Presi 4. Il commento fu: ‘Si sente puzza di olio di ricino e di manganello’”» (Claudio Sabelli Fioretti). Appassionato di calcio sin da piccolo: «Nato con la giacca, fuori, e i pantaloncini, dentro, perché l’esordio fu da libero, calciatore della parrocchia Don Orione prima e della Pallavicini poi. Persino espulso, si narra. Finché, sui banchi del liceo scientifico, il compagno Fausto Capuano […] gli dice: “Vieni a fare il corso da arbitro?”. Certo che sì: peccato che il giovane Fausto abbia le lenti a contatto, che all’epoca costano l’esclusione. Mentre Pierluigi, il trascinato, s’appassiona. “Bella corsa, sempre vicino all’azione: sembra fatto per diventare un grande arbitro, questo”: è la prima pagella che gli compilano, a marzo del 1978, ed è conservata negli archivi bolognesi. Non la verga ancora un giornalista, ma il commissario, nonché presidente della sezione di allora, Piero Piani, studioso di conchiglie, appassionato di libri antichi, definito adesso “il maestro dei maestri” nel sito internet dell’arbitro» (Valentina Desalvo). «Da quel momento ha iniziato a calcare i primi campi col fischietto, senza avere la minima idea che quell’attività avrebbe costituito una parte così importante nella sua vita. “Per me era un divertimento. Ricordo che ai miei amici pareva strano vedermi andare via i fine settimana ad arbitrare partire improbabili in località sperdute. Col tempo i dirigenti sono stati bravi a motivarmi – riconoscevano in me un talento particolare –, e io mi sono appassionato. Rammento diversi di loro con affetto”» (Silvia Cecchi). «Sin da ragazzo (ancora capellone) tutti dicevano che era un fenomeno del fischietto: anche nelle partite tra bambini – raccontano agli arbitri della sezione di Bologna, come una favola – imparava a memoria ogni domenica il nome di tutti i 30 giocatori. "Signor Caburazzi, non perda tempo": e anche quei mocciosetti con la maglia alle ginocchia si sentivano un po’ Baggio e ubbidivano. Il carisma, lo si costruisce anche così» (Emilio Marrese). «Nel frattempo portava avanti gli studi, dando prova di essere molto preparato anche in quello. Si è laureato col massimo dei voti in Economia e commercio. Parallelamente all’attività di arbitro, i primi anni ha lavorato nel settore marketing di un grosso gruppo editoriale e dal ’91 al 2002 ha esercitato la professione di promotore finanziario. “Come libero professionista avevo la possibilità di organizzarmi e gestire il mio tempo, portando avanti appunto i miei impegni da direttore di gara”» (Cecchi). «“Per molto tempo ho fatto contemporaneamente il promotore finanziario e l’arbitro. Sono stato anche nel marketing del gruppo Riffeser. A 24 anni c’è stata una svolta: quando in dieci giorni ho perso peli e capelli…”. È vero che per colpa dell’alopecia l’Associazione arbitri la sospese? “Sì. Mi dissero che era meglio aspettare la ricrescita. Dopo due mesi che non era ricresciuto nulla, mi affidarono una partita di quarta serie a Latina, con 5.000 persone sugli spalti”» (Zincone). «Come reagirebbe il pubblico calcistico alla vista di un arbitro senza capelli? Se lo chiedono alcuni dirigenti dell’Aia alla metà degli anni ’80, nell’epoca in cui la rasatura non si è ancora consegnata alle mode. Un esperimento sociale in piena regola. La partita scelta per il test è Latina-Spes del Campionato interregionale (attuale Serie D). Dirige un arbitro calvo, per la prima volta: Pierluigi Collina, della sezione di Bologna. […] “Non ricordo le partite di Champions, ma questa la ricordo perfettamente”, dirà Collina in una […] intervista a Sky. L’alopecia ha rischiato di compromettere una carriera arbitrale destinata a calcare vette olimpiche. “Pensare che il mio futuro potesse dipendere da un aspetto tricotico e non da una qualità in campo per me era un’assurdità”, ricorda. La partita va come deve andare: i tifosi del Latina sorvolano sull’aspetto fisico del direttore di gara. […] “Erano interessati più ai miei fischi che ad altro: li ringrazierò per sempre”. […] Da lì spicca il volo. Dai campi dilettantistici arriva il grande salto nel professionismo. La rincorsa alla Serie A termina il 15 dicembre 1991: Hellas Verona-Ascoli 1-0. Subito un cartellino rosso sventolato in faccia a Massimo Piscedda dell’Ascoli. Negli spogliatoi il designatore Paolo Casarin definisce “incoraggiante” il debutto di Collina, sottolineando la “disinvoltura tecnica” con la quale il fischietto bolognese ha diretto la sua prima partita in A. Collina aggiunge (all’epoca gli arbitri potevano rilasciare interviste dopo le partite): “Dispiaciuto per l’espulsione all’esordio? Beh, Piscedda ha capito subito il gesto che ha fatto. Ha accettato di buon grado”. Altro che disinvoltura: personalità da vendere. […] La sua immagine si trasforma ben presto in un’icona: Collina è più di arbitro. Non è solamente il ventitreesimo uomo a calcare l’erba del campo, ma molto di più: rappresenta una parte integrante del gioco, è uno degli attori protagonisti della partita. […] Nessun estremismo da sceriffo o giustiziere. Collina è freddo, inflessibile, glaciale come il colore dei suoi occhi» (Luca Pulsoni). «La consapevolezza che Pierluigi Collina avesse ormai oltrepassato lo status di grande arbitro per diventare qualcosa di più, qualcosa che non s’era mai visto prima, arriva una sera del giugno 2000 ad Amsterdam, prima giornata dell’Europeo. Collina dirige la gara fra l’Olanda e la Repubblica Ceca. Match duro, equilibrato, finché all’89’, quando lo 0-0 pare ormai per entrambe un danno accettabile, un ruzzolone in area ceca di Ronald de Boer viene sanzionato da Collina con un calcio di rigore. L’altro De Boer, Frank, trasforma l’1-0 olandese, e divampa la polemica perché nei primi tre replay non si vede alcun contatto. L’italiano è già un arbitro famoso. […] Questo fischio di Amsterdam rischia di macchiarne l’immacolato curriculum… Macché. In fondo alle moviole arriva un quarto replay, quello che da un’angolazione impossibile evidenzia la trattenuta della maglietta di De Boer da parte di Nemec. Una chiamata irreale, in tutto lo stadio lui solo è riuscito a scorgere il fallo. Ovazioni planetarie, e la conferma che per Collina arbitrare sia un gesto zen, qualcosa di metafisico» (Paolo Condò). Quel medesimo incontro contribuì a edificare il mito di Collina anche per un altro episodio: «A metà campo, contrasto tra Davids e Řepka. Collina ammonisce il giocatore ceco, che si fionda a brutto muso sul collega olandese. Collina subentra nella zuffa spintonando per due volte Řepka prima di urlargli contro “vai via!” con gli occhi e la bocca spalancati in un’espressione che ad alcuni tabloid britannici ha ricordato il celebre Urlo di Edvard Munch» (Pulsoni). «Mai nessuno come lui, nemmeno nell’interpretare il regolamento adattandolo al contesto: memorabile quando a Foggia fece ricambiare campo pochi minuti dopo il riposo per evitare che la squadra ospite – l’odiato Bari – venisse bersagliato dalla curva di casa. Carisma. I dirigenti ne hanno sempre approvato le scelte, ma raccomandando ai suoi colleghi di attenersi al regolamento» (Condò). Assai singolare pure quanto accadde durante «un Inter-Juventus del 1997. I nerazzurri vanno in vantaggio con Ganz, ma il fischietto annulla tutto dopo un conciliabolo con il guardalinee. Nessuno sa per quale motivo abbia fischiato. Dalla panchina dell’Inter piovono le proteste: Collina si porta davanti a Roy Hodgson e Giacinto Facchetti e, con naturalezza e freddezza disarmante, spiega le proprie ragioni. Il dialogo si conclude con una elegante stretta di mano tra Collina e Hodgson. A fine partita la moviola sentenzia: fuorigioco di Ganz di oltre due metri. L’aveva visto soltanto Collina. […] L’errore più grande che gli viene rimproverato è soltanto presunto. 14 maggio 2000, ultima giornata di campionato. Collina dirige Perugia-Juventus, con i bianconeri in lizza per lo scudetto insieme alla Lazio, contemporaneamente impegnata all’Olimpico contro la Reggina. A Perugia viene giù un vero e proprio diluvio. Il campo del Renato Curi è un acquitrino. Dopo il primo tempo Collina sospende la partita per 71 interminabili minuti. Per qualche minuto viene interrotta anche la partita della Lazio, poi si gioca: i biancocelesti di Eriksson regolano i calabresi con un secco 3-0. Dopo un lungo tira e molla Collina fischia l’inizio del secondo tempo. Su un terreno torrenziale un gol di Calori regala il titolo alla Lazio e condanna i bianconeri. Le polemiche non si placano: quella partita, a detta di molti, non avrebbe dovuto giocarsi. Le malelingue su quel finale thrilling di campionato vengono alimentate dalla futura confessione di Collina riguardo a una sua simpatia giovanile per la Lazio tricolore del 1974» (Pulsoni). «La sudditanza psicologica su di lui non ha mai fatto presa: non per niente in passato stava cordialmente antipatico alla Juve (soprattutto per il diluvio di Perugia, nel quale i bianconeri persero lo scudetto del 2000) e […] ha fatto lamentare anche Berlusconi (“C’era un rigore per noi”) dopo la sfida coi bianconeri a San Siro, quella decisiva per il titolo. Lui fischia quello che vede: poco gli importa il colore delle maglie. Per questo, forse, è stato amato più dai club medio-piccoli, che da lui si sono sentiti sempre tutelati. […] In campo internazionale è sempre stato considerato un guru» (Fulvio Bianchi). «Come si quantifica il palmares di un arbitro? Dalle partite dirette, naturalmente. Collina non si è fatto mancare proprio nulla: finale olimpica ad Atlanta ’96, finale di Champions League ’99 e, dulcis in fundo, la finalissima della Coppa del Mondo 2002 a Yokohama, in un Brasile-Germania deciso da un’altra pelata celebre del calcio a cavallo tra i due secoli: quella di Ronaldo. Sotto il cielo nipponico due i fenomeni in campo: Luís Nazário de Lima con la maglia verdeoro, Collina col fischietto in bocca. Trionferanno entrambi: Ronaldo solleverà al cielo la quinta coppa brasiliana, Collina certificherà lo status di migliore al mondo al termine di una direzione esemplare. Se mai ce ne fosse stato bisogno» (Pulsoni). «Ogni tanto mi chiedo se davvero l’ho fatta o no, quella finale. Uno la sogna per una vita e poi quei 90’ sono talmente brevi che sembrano un attimo. Quando mi viene il dubbio se siano successi davvero, mi vado a rivedere la cassetta». «“Pallone, maglietta di Ronaldo e Hamann, il piacere di aver svolto il mio compito nel migliore dei modi e la felicità di ritornare a casa dopo 6 lunghissime settimane”. Ecco quello che resta di una finale mondiale: […] Pierluigi Collina l’ha diretta il 30 giugno 2002 (ed è stato nominato Commendatore per meriti sportivi dall’allora presidente Ciampi), certificando con il triplice fischio l’ultima vittoria del Brasile, doppietta del Fenomeno, e l’ennesima delusione della Germania. […] Prima di un Mondiale c’è sempre una nazionale favorita, la cosa inusuale è che nel 2002 c’era anche un arbitro con questo status: lei. (Sorride). “Pronti, via, mi è toccata una sfida complicata come Argentina-Inghilterra, che tutti volevano evitare. Troppo rischiosa. Puoi prepararti al meglio, ma basta un errore a vanificare tutto. La seconda gara fu un ottavo particolare: Turchia-Giappone. C’era molto entusiasmo tra i padroni di casa, pensavano di andare avanti. E invece furono eliminati. Senza polemiche”. […] E poi la designazione per la finale… “Un po’ me l’aspettavo: dopo gli ottavi mi avevano tenuto a riposo, ma è stato lo stesso un bel momento. Ho chiamato mia moglie, nonostante fosse notte in Italia: ha avuto il merito di tenermi tranquillo per 6 settimane. Con due bambine piccole non è stato facile per lei”. […] Cosa ricorda di quella serata? “Due momenti. Il concerto di Anastacia prima della sfida, ovviamente solo sentito dagli spogliatoi, e la medaglia ricevuta al termine della partita. Trovai bello questo modo di premiare la squadra arbitrale, esattamente come i giocatori. Quando sono arrivato alla Uefa ho suggerito a Platini di introdurre lo stesso protocollo”. […] Gli ultimi momenti, se li ricorda? “Sì, avevo deciso di portare a casa il pallone come ricordo. Ho fischiato quando ero sicuro di prenderlo e non l’ho più mollato, neanche durante la premiazione. Poi è stato molto carino Ronaldo: mi ha fatto avere la sua maglia negli spogliatoi”» (Francesco Ceniti). «Appena sono rientrato a Viareggio, ho passato l’ansia vera. Avevo la borsa con il pallone della finale. Saluto la gente in strada, la appoggio, mi volto, e non c’è più. Poi mi accorgo che mia figlia Francesca è già in giardino che ci gioca, con addosso, persino, la maglia di Beckham». «In seguito alle sue dimissioni, presentate nel 2005, ha intrapreso la carriera da dirigente. Dal 2007 al 2010 è stato designatore degli arbitri delle competizioni italiane di serie A e B. Dal 2010 al 2018 designatore degli arbitri europei. La nomina in Fifa risale a gennaio 2017. Per un anno e mezzo ha portato avanti questi ultimi due incarichi, poi ha scelto di dedicarsi completamente alla presidenza della Commissione arbitri internazionale. “Poter essere padrone del mio futuro, decidendo in prima persona fino a quando esercitare un’attività, per me è fondamentale”, commenta il dirigente. “Sono stato sempre io a scegliere di lasciare un incarico, con contratto ancora in essere, per assumere un altro impegno. Ritengo che questa indipendenza, come arbitro e come dirigente, sia testimonianza della qualità del lavoro svolto nel tempo”» (Cecchi). L’ultima, grande soddisfazione data al dicembre 2020: «Ora può essere davvero definito il Re. Il Migliore, con la emme maiuscola, della storia del calcio, vista dalla parte arbitrale. A incoronare Pierluigi Collina per la sua straordinaria carriera è stato France Football, che non sarà la Bibbia, ma poco ci manca in fatto di riconoscimenti calcistici, perché dalla redazione del periodico francese sono arrivati tutti i Palloni d’oro, premio poi fatto proprio dalla Fifa, prima di una nuova divisione delle strade. Ora che il premio è stato messo da parte dalla pandemia, France Football ha deciso di incoronare chi ha fatto la storia del calcio. E, se tra i calciatori solo Paolo Maldini è entrato nell’undici di tutti i tempi, nella squadra arbitrale il trionfatore è lui, Pierluigi Collina. L’ex arbitro bolognese […] è stato considerato migliore persino di Ken Aston, un’icona dell’arbitraggio per i miglioramenti apportati nell’arbitraggio negli anni ’30 (nella classifica c’è anche la Frappart, prima donna a dirigere in Champions League). […] L’unico a non voler commentare la nomina è stato proprio Collina: “Grazie dell’attenzione, ma preferisco non commentare”. Riservato e schivo fino in fondo» (Roberto Avantaggiato) • «Mai avuto problemi di insonnia o stati d’ansia, nemmeno prima della finale dei Mondiali 2002». «Ho sempre usato la stessa monetina per il sorteggio iniziale: un mezzo dollaro, testa o aquila». «Finisce la partita: cosa resta di un arbitro? “Io, una volta tornato nello spogliatoio, cominciavo a tremare. Specie d’inverno. Un po’ per il calo di tensione e un po’ per il freddo, che ho sempre patito molto. Non ho mai capito da cosa dipendesse di più. Il momento del down, del crollo della tensione, comporta buffe reazioni. A me succedeva così. Poi la doccia, il referto, l’analisi della partita insieme all’osservatore della Can. Ho sempre avuto recuperi molto flemmatici”» (Marrese) • Sposato, due figlie. Dal 1991 vive in Versilia: dopo una lunga permanenza a Viareggio, dove nel 1988 aveva conosciuto la futura moglie, dal 2014 risiede a Forte dei Marmi. «In famiglia c’è stato un problema di salute legato alla celiachia [ne è affetta la figlia Francesca – ndr], in passato non così diffusa e facilmente individuabile come oggi. Per questo il dirigente ha messo a disposizione dell’Associazione italiana celiachia la propria notorietà per campagne di sensibilizzazione verso questa forma di intolleranza. Oltre a questo, si è reso disponibile per iniziative di solidarietà in favore di enti e organizzazioni, quali la Croce rossa internazionale e Save the Children. Lui stesso, a soli ventiquattro anni, è stato colpito da alopecia ed è riuscito a reagire alla malattia, divenendo un esempio positivo per coloro che hanno lo stesso problema. “Nell’84 mi sono trovato privo di ogni forma pilifera – racconta –. A quel tempo radersi non era così di moda. Sono molto solidale con chi ha il mio stesso problema, e sono determinato a spiegare a un ragazzino, e ancor più alle bambine, che mettersi il cappellino in testa per difendersi dagli occhi degli altri non è il modo giusto di reagire. C’è una cattiveria naturale nei bambini nel sottolineare le differenze. Mi rendo conto che è difficile, ma occorre diventare forti e consapevoli che anche senza capelli si può avere successo ed essere felci”» (Cecchi) • Da sempre dichiaratamente di destra, con un’unica «sbandata» per Matteo Renzi («Per lui potrei fare un’eccezione alla mia storia elettorale», disse nel marzo 2011 a Vittorio Zincone). Da ultimo ha espresso il proprio apprezzamento per Giorgia Meloni: «Sì, mi piace, la ritengo un’ottima politica e leader di partito. Se farebbe meglio di Conte? Non spetta a me valutarla, credo però sia molto preparata, come confermano i numeri che ha raggiunto» • Grande appassionato di pallacanestro, è un accanito tifoso della Fortitudo Bologna. «Cos’è il basket, per lei? "Divertimento puro. Il calcio è lavoro, piacevole perché è anche la mia passione. Il basket è godersi lo spettacolo. Anche se, da tifoso, quando guardo la Fortitudo devo ammettere che un po’ di stress non manca". Mai arbitrato una gara di pallacanestro? "A Bologna, ai tempi del liceo Righi. Qualche torneo"» (Alessandro Gallo). «Se me la prendo con gli arbitri per la Fortitudo? Mia moglie è deputata al contenimento delle mie reazioni. Riesco a dissimulare molto bene…» • «Lei ha confessato di essere stato tifoso della Lazio. “Io ho solo detto che a 14 anni avevo una simpatia per la Lazio”. Perché lo ha raccontato? “Sono andato a tenere una lezione all’Università di Parma. Uno degli studenti mi ha chiesto: ‘Lei da ragazzino faceva il tifo?’. Dopo aver parlato per un’ora dei valori dello sport potevo dare una risposta reticente? Da ragazzo giocavo da libero, e uno dei più bravi era Wilson. Da qui la simpatia per la Lazio. E, invece, il giorno dopo uscì sui giornali che io avevo addirittura confessato di fare il tifo per la Lazio”. E molti, a Torino, ricordarono Juventus-Perugia, da lei arbitrata, che consegnò lo scudetto alla Lazio, all’ultima giornata. “C’è sempre qualcuno pronto a strumentalizzare, dimenticando che, nelle prime dieci partite in Serie A in cui ho arbitrato la Lazio, la Lazio non ha mai vinto. Vogliamo arbitri che non abbiano fatto il tifo da bambini? Importiamoli da Marte”. […] Ai Mondiali un arbitro fa il tifo? “Il destino di un arbitro in termini di permanenza in un torneo mondiale dipende dai risultati della sua nazionale. Se va avanti, l’arbitro torna a casa”. Se l’Italia vinceva, lei era contento perché l’Italia vinceva. Se l’Italia perdeva, lei era contento perché poteva arbitrare la finale. A lei andava sempre bene… “Un po’ come sui mercati finanziari: coprirsi dal rischio. Alle Olimpiadi nel 1996 l’Italia ebbe un cattivo risultato, e io arbitrai la finale. Nel 2000, agli Europei, l’Italia andò bene, e io a casa. Nel 2002 l’Italia andò a casa, e io in finale. Ci alternavamo”» (Sabelli Fioretti). «Quando è in campo, un arbitro "tifa" solo per la sua squadra. Cioè per se stesso e i suoi assistenti» • «Meticoloso, professionale, estremamente preparato: queste caratteristiche sono da sempre il tratto distintivo di Pierluigi Collina, che in qualunque attività svolga si muove senza lasciare niente al caso. Non per nulla è chiamato in Italia e all’estero a tenere conferenze per il personale di importanti aziende su decision-making e leadership. […] Questa impostazione lo ha contraddistinto anche quando svolgeva l’attività di arbitro. È stato il primo a tenere in estrema considerazione la preparazione tattica delle squadre che si preparava a dirigere. Conosceva tutti i giocatori, le loro caratteristiche e il tipo di gioco che caratterizzava i vari team, facendosi trovare pronto rispetto a ciò che sarebbe potuto accadere in campo. “Oggi la tecnologia è di grande aiuto, ma allora occorreva molto tempo per approfondire le tattiche”, racconta. “Registravo con le videocassette le partite e passavo ore a rivederle e a studiare le varie strategie messe in atto dalle squadre. Se ci si aspetta cosa succederà, si è avvantaggiati”. […] “Il compito dell’arbitro è quello di produrre sempre il risultato migliore possibile. È sua responsabilità riuscire a far sì che le decisioni vengano accettate, e il renderle accettate è frutto, prima di tutto, della stima che hanno le persone nei suoi confronti. La fiducia nell’operato del direttore di gara matura col tempo e si basa sulla sua professionalità, che accresce con l’esperienza. Proprio in virtù della stima acquisita può essere concesso anche un eventuale errore”» (Cecchi) • «Più di un arbitro, più di un semplice uomo con il fischietto in mano. Collina ha rappresentato – e rappresenta tuttora – una vera e propria icona pop. Oltre ad aver diretto finali mondiali ed europee, infatti, Pierluigi è anche l’unico arbitro mai apparso sulle copertine di diversi videogiochi. Lo hanno celebrato in alcuni cartoni animati, ha posato come testimonial per vari marchi pubblicitari e qualche cantante lo ha pure voluto nel proprio video musicale. Da questo punto di vista, nessuno è stato come Collina» (Renzi). «Essere famoso però è bello. Soprattutto, è un riconoscimento a tutti quegli arbitri del calcio dilettante che lo fanno solo per passione: la nostra figura non è più odiata da tutti come una volta. Il fatto che c’è anche chi paga per usare a fini pubblicitari la nostra immagine ne è un segno». «"Protagonista io? No, non è così: lo sa bene chi mi conosce. Intendiamoci, però: io sono uno che si prende le sue responsabilità. Non mi tiro certo indietro, e credo di averlo dimostrato nella mia carriera. È un luogo comune sostenere che l’arbitro migliore è quello che non si fa mai vedere. Dipende dalla partite: se devi dare tre rigori ti fai vedere, eccome". Ma a lei piace la popolarità: ha aperto (unico arbitro) un sito internet, ha fatto spot pubblicitari, è famoso in tutto il mondo… "Mi fa piacere quando un ragazzino mi chiede l’autografo, e non glielo nego mai. Mi sembra una cosa giusta: il calcio esiste anche e soprattutto perché ci sono i tifosi, e noi dobbiamo dedicare loro del tempo"». «Il riconoscimento più bello in questa orgia di popolarità, tra lauree ad honorem e premi? “Il titolo di commendatore da parte di Ciampi. Si sa quanto sia alto in me il concetto di patria e nazione”» (Marrese) • «Collina è stato il primo, vero arbitro professionista. Penso che questa sia stata una figura introdotta da lui» (Nicola Rizzoli). «Di Collina, ce n’è uno: gelido, infallibile e con un ego extralarge» (Condò). «Collina è lo Zidane dei fischietti» (Marrese). «Oramai essere Collina è un marchio, il caviale degli arbitri, il migliore di tutti, quello di un’impeccabile Brasile-Germania. Collina è quello citato in Parlamento per la specchiata virtù contro l’abietto Moreno, quello chiamato alle sfilate di moda, indicato come il più sexy, definito dal Sun l’unica superstar del calcio» (Desalvo). «Collina è […] il prodotto esemplare del nuovo calcio transgenico, che mescola fuori gioco a gioco in Borsa, cartellini a cartelli finanziari e non può tollerare che gli arbitri siano ex calciatori falliti, come pure lui, mediocre difensore sovente espulso per gioco pesante, era. Vogliono stelle, perché tutto è ormai "star system"» (Vittorio Zucconi) • «L’arbitro deve essere saggio? “Saggio è chi pensa. L’arbitro non può essere saggio. Deve essere impulsivo. Deve decidere in tre decimi di secondo”» (Sabelli Fioretti). «Un grande arbitro è anche quello che ammette gli errori: Lo Bello lo faceva, e Collina? "Certo, è capitato anche a me di riconoscere uno sbaglio, ci mancherebbe. Ma credo che il punto importante sia soprattutto un altro: bisogna capire perché hai sbagliato, in modo da cercare i rimedi perché non si ripeta. Questo a me interessa. Ammettere l’errore non è così determinante, se poi si continua a sbagliare"» (Bianchi). «Il calcio non è un gioco perfetto. Non capisco perché la gente voglia quindi che l’arbitro sia perfetto» • «Un giudizio sul Var? "Un aiuto tecnologico importante e necessario. Un mezzo che aiuta a sbagliare meno. Sembra esista da sempre, ma abbiamo iniziato a parlarne per la prima volta a fine 2014. Oggi viene utilizzato in tutte le competizioni più importanti, ma può e deve migliorare"» (Gallo). «Il processo è ancora in fase miglioramento e anche di comprensione, da parte di chi è cresciuto con il modus operandi di prendere la decisione finale e difenderla» (a Guido De Carolis). «Non si può pensare di stare fermi. Il calcio cambia di continuo: anche gli arbitri devono farlo» • «È cresciuto con qualche modello? "Ho cercato di ‘rubare’ quello che in altri mi aveva colpito, come la ìpresenza scenica’ di Agnolin. Lo svedese Fredriksson mi piaceva per la chiarezza della sua gestualità. Si diceva che un arbitro non dovesse fare come un vigile quando dirige il traffico. La gestualità serve a far capire meglio e subito il perché di determinate decisioni". […] C’è un erede di Collina come arbitro? "Due figlie femmine e una nipotina. Non credo ci sia nulla all’orizzonte". Ma arbitri che le assomiglino? "L’errore più grande, ora che sono passato ad allenare gli arbitri, sarebbe cercare qualcuno che mi assomigli. Quello che chiedo è che ci sia la stessa attenzione ai dettagli che avevo io. Quando mi sono trovato a guidare gli arbitri di Serie A e B, ho voluto che la sera prima della partita cenassero in albergo. Perché la preparazione inizia a tavola, con un piatto di pasta al pomodoro e un petto di tacchino. Come fanno i giocatori"» (Gallo). «Qual è la prima cosa che consiglia ai suoi colleghi? “Stabilire un rapporto paritario con i giocatori: non un centimetro sopra, non un centimetro sotto. Un’altra cosa che suggerisco sempre è di essere aperti ai cambiamenti”. […] Avere buoni rapporti con allenatori e giocatori… “È il presupposto ideale per lavorare bene. L’amicizia non influenza le decisioni. L’ex attaccante Casiraghi mi ha regalato una foto: ci siamo io e lui che ci affrontiamo a muso duro. La dedica suona così: ‘Con stima e amicizia, oltre l’apparenza’. E guardi che le facce sono proprio feroci”. […] Chi è il giocatore più forte che abbia mai visto giocare? “Maradona. Purtroppo l’ho arbitrato solo durante una partita di beneficenza a Manchester. Era un po’ acciaccato”. Qual è il gesto di fair play più clamoroso a cui ha assistito? “Di Canio fermò la palla con le mani per ridarla agli avversari che avevano il portiere a terra infortunato. Notevole”. Il gol più bello per cui ha fischiato il “palla al centro”? “Un tiro di punta da fuori area di Ronaldinho, in Chelsea-Barcellona”» (Zincone) • «Quando guardo le partite, sono portato a guardare l’arbitro. A tutt’oggi mi immedesimo in chi è in campo e sogno di riavvolgere il nastro e tornare indietro. Purtroppo è solo un sogno e resterà tale». «Se arbitro ancora? Sono riuscito a dare un contributo in qualche partita di beneficenza finché la schiena ha tenuto, ora anche questi appuntamenti sono diventati impegnativi». «Non le piacerebbe arbitrare ancora una finale mondiale come nel 2002? "Se mi dotassero di uno di quei monopattini elettrici, ci potrei provare. A parte le battute, il calcio oggi richiede grandi doti atletiche. Non reggerei 10 minuti". Sicuro? "E non solo per lo sforzo in sé. Quanto per la reazione del fisico, dopo una prova del genere. Ogni tanto mi capita di vedermi ancora in campo, è solo un sogno… Quello che ho fatto per tanti anni mi è rimasto dentro"» (Gallo). «Quale sfida vorrebbe arbitrare di nuovo? La finale mondiale del 2002? “No, rifarei l’ultima: Pavia-Bari di Coppa Italia”» (Ceniti). «Ancora oggi il “campo” mi manca moltissimo. Restano i ricordi: la finale mondiale ha un sapore particolare, ma l’ultima, per motivi diversi, non si può scordare. […] Ha chiuso un percorso importante della mia vita, durato quasi 30 anni» • «Se dovesse guardarsi alle spalle, quali rimpianti? "Forse non aver goduto a pieno certi momenti. Come le finali. Ho sempre preparato le partite seguendo una certa routine. Con grande attenzione e concentrazione. Senza fare differenze. Solo dopo, magari, ti rendi conto di aver diretto una gara seguita da milioni di persone". Cosa le ha dato l’arbitraggio? "Tanto, come uomo. Ho iniziato a 17 anni nella mia Bologna. Ho cominciato presto a decidere e ad assumermi responsabilità. Cosa inusuale per un ragazzo"» (Gallo). «Il Times l’ha inserita tra i 50 giocatori più cattivi della storia, per France Football è al 31° posto tra i 50 personaggi più influenti del calcio. Il futuro di Collina prevede? “Ho smesso di giocare a calcio quando ero ragazzino, non so come abbiano fatto a inserirmi tra i più cattivi (ride, ndr). Nel calcio unisco passione e lavoro. Lavorare alla Fifa mi dà grande soddisfazione, ci sto bene e i Mondiali sono la prossima sfida”. Per il fischio finale c’è tempo» (De Carolis). «Sono contento di tutto quel che ho fatto. Errori compresi».