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 2021  febbraio 15 Lunedì calendario

Biografia di John McEnroe

John McEnroe, nato a Wiesbaden (Germania) il 16 febbraio 1959. Ex tennista. Commentatore tv. «Il più creativo dei contemporanei, in grado di prescindere dalla muscolarità dilagante dei nostri tempi. Mancino, capace di scoraggiare Lendl, di sfruttare al meglio l’erba di Wimbledon e l’atmosfera di New York. Mostro di talento, di egocentrismo» (Gianni Clerici) • Centocinquantacinque tornei vinti in carriera, più di qualunque altro tennista professionista, 77 di singolo e 78 di doppio. Diciassette titoli dello Slam, sette di singolare: tre Wimbledon (in cinque finali consecutive) e quattro Us Open. Cinque Coppa Davis (nel 1978, 1979, 1981, 1982 e 1992) con la squadra statunitense, di cui è stato anche capitano una volta che s’è ritirato. Numero 1 del mondo per quattro anni consecutivi dal 1981 al 1984. Per molti il miglior giocatore di doppio della storia, nella prima parte della carriera in coppia con Peter Fleming (famosa la sua frase “La miglior coppia possibile? McEnroe e un altro”) e poi con il fratello Patrick. Si ritirò dall’agonismo alla fine della stagione 1992, quand’era al ventesimo posto in classifica. Tornò una prima volta nel 1994, il tempo di un torneo a Rotterdam, prima di appendere di nuovo la racchetta al chiodo. Nel 2006, a 47 anni, si ripresentò in coppia con Bjorkman e vinse il torneo Atp di San José.
Titoli di testa « Mi chiedono perché mi arrabbio tanto: la solitudine del campo è una delle ragioni principali. Sono solo, allo sbaraglio e lotto fino alla morte davanti a spettatori che mangiano panini al formaggio, controllano l’orologio e chiacchierano sull’andamento della Borsa con l’amico seduto accanto».
Vita «Come dice il suo cognome, ha origini irlandesi: il nonno paterno era della contea di Cavan, quello materno di Westmeath. Ma lui è nato in Germania, a Wiesbaden, dove il padre, che porta il tuo stesso nome, era stazionato per l’esercito americano. È cresciuto nel quartiere di Queens, a New York, dove ha iniziato a giocare a tennis sin da bambino insieme al fratello Patrick il quale è diventato a sua volta un discreto giocatore» (Antonio Monda) • «Nonostante provenisse da un ambiente umile, mio padre era molto determinato e riuscì ad andare al college. Ha sudato alle lezioni serali alla Fordham Law School di Manhattan, i suoi sacrifici sono stati premiati ed è diventato associato in uno degli studi legali più prestigiosi di New York. Però non ha mai dimenticato le sue radici: è intriso di musica e umorismo irlandese […] Mia madre Kay, figlia di un vicesceriffo di Long Island, aveva una visione molto più severa del mondo rispetto a mio padre, non ha mai dato confidenza agli estranei […] purtroppo sono come lei. In famiglia si racconta un aneddoto che la dice lunga sul carattere di mia madre: quando concluse il primo anno di studi, suo marito le annunciò con orgoglio di essere il secondo della classe. “Bè, se ti fossi impegnato di più saresti stato il primo”, ribattè lei. L’anno dopo lo fu. […] Noi ragazzi McEnroe eravamo fanatici dello sport e ci facevamo sempre notare, sia come tifosi che in campo. Eravamo decisamente una famiglia di urlatori. Mio padre era il più rumoroso, sia quando si arrabbiava sia quando era contento. A casa eravamo, come dire, molto espansivi, soprattutto a livello verbale» (Non puoi dire sul serio, John McEnroe, e James Kaplan, Piemme 2012) • «Prima di bivaccare un paio di anni a Stanford ha frequentato la Trinity High School, la più antica di New York, fondata nel 1709: era quarterback della squadra di football, playmaker di quella di basket, ala di quello di calcio. Segnava molto, distribuiva intelligenza, era un mostro in quasi tutto, calcoli matematici compresi. Si costruiva una psicosi. “Il nostro sogno era quello di crescere un piccolo Arthur Ashe – ha ammesso una volta mamma Kay – Ma in fondo siamo molto contenti anche così”» (Stefano Semeraro) • «“Se volete venire domani, a dare un’occhiata a mio figlio, gioca gli juniores, al Moody Coliseum”. Chi si rivolgeva, quasi umilmente, a Tommasi e a me, era appena stato nostro avversario al Grande Slam dei giornalisti e simili, un’istituzione che Rino aveva creato, per rendere meno immobili le nostre giornate, durante i tornei. Il gentleman che avevamo appena incontrato e battuto, assieme a un coach indegno di tale qualifica, altri non era che il papà di un tennista junior, l’avvocato John Patrick McEnroe sr. Come si fa in Usa ci aveva immancabilmente consegnato il suo biglietto da visita, e da informazione presto assunta, ci era stato garantito che fosse uno dei migliori avvocati di New York. Andammo quindi allo stadio un po’ prima del solito, per renderci conto, un quarto d’ora dopo, che stavamo vedendo un ragazzo dal grande futuro. John jr. stava sì perdendo contro un avversario di un anno più grande, l’ecuadoriano Ricardo Ycaza, ma il giorno in cui il suo inimitabile servizio – qualcosa di insolito anche per noi – il diritto, le volée anticipatissime, non fossero più usciti di un palmo dalle righe, sarebbe diventato chissà chi […] Prima che John jr. si avviasse su un Caravelle, a partecipare al suo primo Roland Garros (1977), papà ebbe ancora tempo di pregarmi “keep en eye on my boy” e cioè “tieni d’occhio il mio ragazzo”. Lo feci, e accadde che, al Roland Garros, Mac, come avevamo preso a chiamarlo, insieme a una bella ragazza americana cresciuta a Milano, Mary Carillo, uscisse vincitore da le Court Central nel doppio misto, segnalandosi anche in singolo, sino al 2° turno. Simile affermazione tuttavia non lo fu quanto la successiva, a Wimbledon, dove pochi lo conoscevano. Partito dalla giungla delle qualificazioni, non solo non ci rimase impantanato, ma superò l’esame di ammissione tra i grandi, vincendo 8 partite di fila, tre di “quali” e 5 di tabellone, fino a battere l’australiano Dent che l’aveva appena eliminato dal Roland Garros. Da lì, quel giovanotto che ancora era matricola dell’università, ancora dilettante, iniziò a divenire un tennista famoso, e non solo per il suo talento. Pareva che un curioso complesso lo spingesse all’aggressività, contro gli avversari, ma soprattutto nei confronti di arbitri e giudici di linea, che si permettevano spesso di avere giudizi diversi dai suoi» (Gianni Clerici) • A eliminarlo in semifinale, in quel suo primo Wimbledon del 1977, fu Jimmy Connors, inaugurando una rivalità che si protrasse per 35 incontri, nei quali McEnroe ha prevalso 24 volte • «Nel 1978 Mac riuscì a vincere 4 tornei, il Masters e a contribuire alla vittoria in Davis contro la Gran Bretagna, perdendo soltanto 10 games nelle sue 2 partite, contro Mottram e Lloyd, il marito della Evert. L’anno seguente quel ragazzo ventenne riuscì a essere il più giovane vincitore dello Us Open dopo Pancho Gonzales (1948) e prima di Sampras (a 19 anni e 28 giorni nel 1990), e ci ridicolizzò nella finale di Davis a San Francisco. Ma era solo l’inizio. L’anno seguente, il 1980, fu quello del famosissimo tie-break vinto a Wimbledon contro Borg, e probabilmente, a essere uno psichiatra professionista, l’inizio della malattia che condusse lo svedese al ritiro, al divorzio, alla cocaina. Il complesso Mac si consolidò in Borg con le due sconfitte, in 4 sets, a Wimbledon e allo Us Open 1981» (Clerici, cit.) • Sulla finale di Wimbledon del 5 luglio 1980 Borg-McEnroe terminata 1-6, 7–5, 6–3, 6–7 (16-18), 8–6: «L’Inghilterra, verificò un sondaggio di un giornale, sperava in McEnroe. Borg con la sua riservatezza e determinazione ricordava quello che il paese desiderava essere, McEnroe con la sua inquietudine e paranoia lo teneva fermo a quello che era. Tutti ricordano l’eccitazione: non era solo tennis, era qualcosa di più profondo. Nelson Mandela riuscì a convincere le sue guardie a Robben Island a procurargli una radio in modo da poter ascoltare la cronaca, Andy Warhol si alzò presto nella casa di sua madre, sulla 66esima, per non perdersi la diretta. Il tie-break fu memorabile, durò 22 minuti. Sul 18-16 Borg sprecò 6 match-point e precipitò. Sul punteggio di 2-2 controllò le racchette e tornò in campo come se niente fosse. Vinse il set finale 8-6. Quando chiuse la cerniera della borsa abbozzò un sorriso triste e mormorò una parola in svedese. “Incredibile”» (Emanuela Audisio) • «Wimbledon, martedì 23 giugno 1981, Mac e Tom Gullikson sono in campo per un match di primo turno, 1-1 nel primo set, 15-40 servizio McEnroe. Un colpo di John atterra vicino alla linea alzando – forse - uno sbuffo di gesso. “Out!”. Gullikson si appoggia alla racchetta, Mac scatena l’inferno nel Tempio. Perché ha 22 anni e Borg l’anno prima lo ha battuto in una finale da leggenda. Perché è straconvinto che Wimbledon, che non ha mai vinto, gli appartenga per diritto divino. Perché è insopportabile, irritante, infantile, divino. Il “Supermoccioso” del tennis, secondo la stampa inglese. Così Johnny si avvicina a Edward James, il giudice di sedia, reo di non aver corretto la chiamata del giudice di linea. “Dai, non puoi essere serio! – sbraita – La palla è dentro, si è alzato anche il gesso. Tutto lo stadio l’ha vista, come fai a chiamarla out? Voi giudici siete davvero la feccia del mondo!”. E via una pallata al cielo, colpevole di non essere d’accordo con lui. James rimane impassibile. “Sto per assegnarle un punto di penalità, Mister McEnroe”. E così fa, fra il brusio del pubblico. McEnroe pretende l’intervento del giudice arbitro del torneo, l’occhialuto Fred Hoyles, che si rifiuta di annullare la penalità e si prende dell’“idiota incompetente” dal moccioso furibondo. Quel 23 giugno McEnroe continua lo show spaccando racchette, beccandosi un altro punto di penalizzazione per “insulti all’arbitro” e 750 sterline di multa. Ma non viene squalificato, come invece gli sarebbe accaduto 9 anni più tardi agli Australian Open, quando copre di insulti e dà del “capellone” al (calvo) giudice arbitro Peter Berrenger. Batte Gullikson 7-6 7-6 6-3 e il 4 di luglio finisce per vincere il torneo, il primo dei suoi tre Wimbledon, in finale su Bjorn Borg» (Semeraro) • «Ogni volta che giocava a Wimbledon, la Bbc imbavagliava i microfoni di campo, come i vittoriani coprivano le gambe dei pianoforti» (Audisio) • Protagonista della prima espulsione nella storia del tennis nell’era Open. «Era una domenica pomeriggio umida quel 21 gennaio 1990 a Melbourne Park. Siamo nel quarto turno degli Australian Open ’90 e John McEnroe, opposto allo svedese Mikael Penfors, inizia, come al suo solito, ad andare in escandescenza. Prima, un’intimidazione alla giudice di linea (che gli costa due warning); poi, un sonoro vaffa al giudice di sedia Gerry Armstrong; nel mezzo, specialità di casa McEnroe, la racchetta scagliata violentemente a terra che gli costa un punto di penalità. Basta questo a far infuriare John, già fuori controllo di suo. E questo nonostante lo statunitense conduca l’incontro per due set a uno. Non finisce lì. Dopo aver demolito l’attrezzo, McEnroe chiude il suo personale teatrino imprecando persino contro il supervisor del match, Ken Farrar. Una parolaccia fatale. L’arbitro, inflessibile, a quel punto, non fa altro che applicare il regolamento: Game, set and match in favore di Pernors. “È stato un momento difficile – confesserà l’americano – anche perché la mia ex moglie e i miei figli erano lì ad assistere. Vorrei che quel fatto mi avesse cambiato di più, mi avesse aiutato a cambiare i miei atteggiamenti. Ma non ci fu verso”» (Sergio Arcobelli) • «Per un anno nel 2002 ha condotto The Chair, un quiz televisivo sulla Abc. Ora commenta il tennis in tv. Ma davanti alla cinepresa ci finì per vie naturali. Due volte nei film di Adam Sandler, poi in altre pellicole di minor successo, come Freak Show del 2017. Fu il modello dichiarato di Milos Forman per il suo Amadeus e nel 2008 protagonista di un episodio di Csi New York. Interpretava un folle omicida. “Sembra proprio vero”, fu la recensione di quasi tutti i critici» (Daniele Azzolini).
Critica «Nessuno ha saputo entusiasmare, irritare e turbare come John McEnroe. Il Mozart del tennis sul campo era geniale e folle, arrogante e spiritoso, greve e leggero. Ed era assolutamente inimitabile, a cominciare dal modo in cui giocava le volée basse e le battute, che eseguiva con una torsione impressionante. Alcuni suoi atteggiamenti sono stati imperdonabili, lo so, come quando definì un giornalista sieropositivo “fruit”, uno dei più disgustosi insulti omofobi. Alcune tirate contro gli arbitri erano spettacolo nello spettacolo, e rimarranno nella storia dello sport, come l’urlo “you can’t be serious”, inaudito sul campo di Wimbledon, e poi ribadito con insolenza a voce ancora più alta: “You cannot be serious, man!”. La frase diventò in seguito il titolo della sua autobiografia, in cui confessa di non aver mai superato lo shock della sconfitta a Parigi con Lendl, e poi racconta, con sorprendente autoironia, trionfi e delusioni, pubbliche e private» (Antonio Monda) • Nel 2018 il regista Julien Faraut ha realizzato il documentario McEnroe – L’impero della perfezione, «un omaggio alla straordinaria tecnica del tennista americano, alla facilità con cui realizzava colpi che agli avversari richiedevano maggiore fatica: le scene che esaminano il suo servizio, così “naturale” eppure così complesso (come dimostra la scomposizione dei movimenti fatta da Gil de Kermadec con l’aiuto dell’animazione) sono grandi lezioni tecnico-teoriche, così come le immagini delle sue smorzate, delle sue discese sotto rete, delle sue risposte. Il film tira in ballo anche la psicologia clinica e le sue teorie per spiegare la capacità di controllare i suoi eccessi di furore e di tornare concentratissimo al gioco dopo una sfuriata per una svista arbitrale. Ma il vero obiettivo di quei discorsi applicati a McEnroe è quello di avvicinarsi al segreto della sua genialità, per spiegare la capacità di affrontare le contraddizioni del suo carattere e poi incanalare quell’energia così apparentemente incontrollabile in una capacità di gioco fuori dal normale. Senza essere mai davvero soddisfatto, senza mai un vero sorriso» (Paolo Mereghetti, CdS 6/5/2019).
Frasi «Non mi piace firmare autografi a chiunque superi gli undici o dodici anni d’età» • «C’è stato un periodo, devo ammetterlo, in cui il mio ego era così ingombrante che passava a malapena dalle porte» • «Essere il numero uno del mondo richiede un ego portentoso per arrivarci e uno altrettanto extralarge per rimanere in vetta» • «Il tennis è uno sport che non richiede di essere persone equilibrate e complete, nessuna caratteristica del gioco richiede di esserlo» • «Qualcuno riteneva che i miei accessi d’ira fossero delibera­ti, che dessi in escandescenze ap­posta per sbaragliare gli avversari. Non è vero. Ho sempre pensato che se un avversario non era in gra­do di sopportare i miei eccessi d’ira aveva sbagliato mestiere» • «Molti atleti amano il loro sport con tutto il cuore. Non credo di aver mai provato un sentimento simile nei confronti del tennis».
Amori Dal primo matrimonio con l’attrice Tatum’O Neal, durato dal 1986 al 1992, ha avuto tre figli, Kevin Jack (1986), Sean Timothy (1987) ed Emily Katherine (1991). «Ad un party a Los Angeles a cui fui invitato da Vitas Gerulaitis, in fondo al salone, vidi una ragazza con lineamenti decisi e capelli rossi tinti: il suo sguardo si fissò nel mio. Era Tatum O’ Neal, la più giovane attrice della storia a ricevere l’Oscar, nel 1974, per Paper Moon. Non riuscivamo a staccare gli occhi l’uno dall’altra, c’era una forte attrazione fisica e conoscevamo e apprezzavamo i rispettivi successi. A me piaceva la sua fiducia in sé stessa, la disinvoltura con cui si muoveva in quell’ambiente gremito di star. A un certo punto dopo aver parlato intensamente, baciarla mi sembrò la cosa più naturale del mondo. Lei sorrise. La baciai ancora» (Non puoi dire sul serio, cit.). Seconde nozze con Patty Smith, cantante (con la Y, non la Patti Smith di Because the night), conosciuta nel 1992 e sposata nel 1997: «Per le vacanze di Natale del 1992, andai con i miei figli nella casa di Malibù. Poco dopo venni invitato da un’amica della spiaggia ad una festa, alla quale avrebbe partecipato anche Patty Smith cantante del gruppo musicale degli Scandal […] aveva una voce dura, sexy. Mi piacque subito. Era autentica, bella, sexy, Era una donna, non una ragazzina» (ibid). Dalla Smith, che aveva già una figlia, Ruby, ha avuto altre due figlie, Anna (1995) e Ava (1999). 
Vizi Collezionista di arte contemporanea. Dal 994 e per un lungo periodo ha posseduto una galleria molto alla moda a New York, nel quartiere di Soho • Appassionato di musica. «Ho preso lezioni private di chitarra dai miei amici Carlos Santana, Eddie Van Halen, Stephen Stills, Alex Lifeson e Billy Squier, e lezioni di basso da Bill Wyyman dei Rolling Stones» (Non puoi dire sul serio, cit.).
Titoli di coda «Tutti amano il successo ma allo stesso tempo tutti odiano le persone di successo. Io lascio parlare la racchetta».