29 gennaio 2021
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Biografia di Haruki Murakami
Haruki Murakami, nato a Kyoto il 12 gennaio 1949 (72 anni). Scrittore • L’autore giapponese più letto al mondo. I suoi libri sono tradotti in cinquanta lingue. Da un decennio è citato tra i favoriti al Nobel per la letteratura • Ha scritto quindici romanzi, cinque saggi, una decina di raccolte di racconti. In Italia pubblicato da Einaudi. Il primo libro, nel 1978, fu Ascolta la canzone del vento, con il quale ottenne il premio Gunzo come migliore scrittore esordiente. Conquistò notorietà con Il flipper del 1973 (1980), Sotto il segno della pecora (1982) e La fine del mondo e il paese delle meraviglie (1984). Grande successo commerciale con Norwegian wood (1987, pubblicato all’estero due anni dopo), lungo romanzo che prende il titolo da una canzone dei Beatles, in cui rievoca gli anni della giovinezza. Durante un soggiorno a Roma ha scritto Dance dance dance (1988). Altro successo mondiale nel 2002 con Kafka sulla spiaggia. Più di recente, tra il 2009 e il 2010, ha pubblicato la trilogia 1Q84, edita in Italia in due tomi. Da ultimo il romanzo in due volumi L’assassinio del Commendatore (2018 e 2019) e la raccolta di racconti illustrati Abbandonare un gatto (2020). Ha tradotto in giapponese autori americani come Truman Capote, Raymond Carver, Francis Scott Fitzgerald, J. D. Salinger.
Titoli di testa «Amo la cultura pop: i Rolling Stones, i Doors, David Lynch, questo genere di cose. Non mi piace ciò che è elitario. Amo i film del terrore, Stephen King, Raymond Chandler, e i polizieschi. Ma non è questo ciò che voglio scrivere. Quello che voglio fare è usarne le strutture, non il contenuto. Mi piace mettere i miei contenuti in queste strutture. Questa è la mia via, il mio stile. Perciò non piaccio né agli scrittori di consumo né ai letterati seri. Io sono a metà strada, e cerco di fare qualcosa di nuovo» (The Salon Magazine 16/12/1997).
Vita Figlio di un monaco buddista, ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza a Kobe. Iscritto alla facoltà di Letteratura dell’università Waseda di Tokyo, si laureò nel 1975 • «I miei genitori erano professori di letteratura giapponese. Sono figlio unico e da piccolo parlavo con i gatti che avevamo in casa» • «Quando ero bambino, le cose che contavano di più per me erano i gatti, la musica e i libri. In quest’ordine. Ma non avevo nessun gusto particolare per la scrittura, anche se a scuola avevo bei voti nei temi. Essendo figlio unico, la lettura mi consentiva di tenermi occupato, aveva un posto importante nella mia vita. Ma non importante quanto la musica, che è la prima passione che ho abbracciato quando sono arrivato all’età adulta, aprendo un locale di jazz a Tokyo, il Peter Cat, nel 1974. Sentivo fortemente il desiderio di creare, ma pensavo di non esserne capace, di non avere nessun talento particolare» (a Florence Bouchy, Le Monde 26/9/2019) • «A quell’epoca ero già sposato, sia mia moglie che io lavoravamo, così abbiamo cominciato a mettere da parte dei soldi, abbiamo chiesto prestiti in banca, ai nostri genitori, agli amici, a destra e a manca, tanto da raggranellare una somma sufficiente ad aprire un piccolo locale in una zona periferica di Tokyo. In questo locale ho istallato un pianoforte, e nei fine settimana offrivo performance live di giovani musicisti. Per quasi dieci anni ho condotto questa vita, che a modo suo è stata un’esperienza divertente. Il lavoro quotidiano comportava una grossa parte di fatica fisica, l’obbligo di saldare i debiti mi pesava, ma ero giovane e pieno di energia, e per di più potevo ascoltare dal mattino alla sera la musica che più mi piaceva» (TuttoLibri 5/10/2019) • «Ricorda ancora oggi il momento preciso in cui decise di diventare uno scrittore: era l’una e trenta del pomeriggio, del primo aprile 1978, durante una partita di baseball allo stadio Jingu di Tokyo» (De Palo, Mess 8/8/2018) • «Andai a vedere una partita di baseball vicino a casa mia, e tutto a un tratto mi dissi: “Posso scrivere”. Era la prima partita della stagione e il battitore colpì la palla: quando sentii il rumore della palla che batteva contro la mazza, mi dissi che forse ero in grado di scrivere. Aveva a che fare con tutte queste cose insieme. Eravamo in primavera, faceva bel tempo, l’ambiente generale, all’interno di quel grande stadio, era propizio alla felicità. E poi, dentro a tutto questo, c’è stato il colpo, il rumore. Tra l’altro stavo bevendo una birra. Forse anche questo ha avuto la sua importanza» (a Bounchy, cit.) • «Gli manca perfino la penna stilografica, comprata per mille yen assieme a una risma di carta. In autunno il romanzo è pronto, con il titolo Ascolta la canzone del vento. Al netto della traduzione, non era difficile trovarne uno più allettante: i successivi saranno tutti rubati a canzoni o brani musicali (quanto ai riferimenti culturali, un puntiglioso recensore annota: Lassie, il club di Topolino, Roger Vadim, La gatta sul tetto che scotta, Bob Dylan, Peter Paul & Mary). Il manoscritto viene spedito a un concorso per scrittori esordienti, vince e colleziona ottime recensioni. Per tre anni, Murakami continua a star dietro il banco, preparando stuzzichini e cocktail fino a tarda notte. Scrive dopo l’orario di chiusura. Quando non ce la fa più, molla il locale, chiedendo alla moglie di pazientare per due anni, anche se hanno debiti. I fan aumentano, e sono veri fan, che dopo un libro ne aspettano un altro. Come sostiene John Irving, con cui Haruki Murakami, allora in veste di traduttore, fece jogging a Central Park: “Un bel romanzo entra in vena, e dopo ce ne vuole un altro per non andare in crisi di astinenza”. Vale la regola dell’uno su dieci, adottata da Murakami nel suo locale, il Peter Cat (i gatti, con la pasta e il jazz, sono passioni che condivide con i suoi personaggi, l’unica differenza è che nei romanzi i gatti parlano). Non importa se su dieci clienti nove non torneranno più. Basta che un avventore (o un lettore) su dieci si affezioni» (Mancuso, Il Foglio 1/7/2012) • «Spesso il romanzo più difficile da scrivere non è il primo, gli scrittori dicono che i problemi veri arrivano con il secondo. È quello che è successo a lei con Flipper, 1973? “No, scrivere Flipper, 1973 è stato facile. Le difficoltà sono arrivate con il terzo romanzo. Dovevo inventare una forma molto diversa. È così che è venuto fuori Nel segno della pecora. Inoltre, dopo Flipper, 1973, avevo deciso di vendere il mio locale di jazz e quindi potevo dedicarmi a tempo pieno alla mia attività di scrittore. Fino a quel momento conducevo una vita prevalentemente notturna, con orari sfasati. Dopo aver venduto il Peter Cat, ho cominciato ad alzarmi presto, ho smesso di fumare, ho cominciato a fare jogging… È stata una vera rivoluzione» (a Bounchy, cit.) • Dall’ottobre 1986 ha viaggiato tra la Grecia e l’Italia (in particolare in Sicilia e a Roma). Nel settembre del 1990 il New Yorker pubblicò il primo dei suoi tanti racconti che da allora si sono visti sulle pagine del settimanale e nel 1991 si è trasferito negli Stati Uniti, dove l’anno successivo è stato nominato professore associato all’università di Princeton. Dal 2001 vive a Oiso, prefettura di Kanagawa • «La mia scrivania è ciò che per Clark Kent è la cabina telefonica: qui mi trasformo in Superman. Scrivendo posso fare tutto quello che voglio. Posso creare tutto quello che mi passa per la mente. Quando scrivo posso salvare il mondo, ma appena mi allontano dalla scrivania, ridivento Clark Kent. Mi creda: sono davvero una persona comune. Sono un buon marito, non mi arrabbio, non perdo le staffe. Ma dalla mia vita non mi viene neanche un’idea per la mia narrativa. Quando corro, cucino o sto sulla spiaggia, la mia testa è vuota» (a Ronald Düker, Die Zeit 31/1/2014).
Corsa Ha raccontato la sua passione per la corsa in L’arte di correre (Einaudi 2009). Finora ha corso quasi trenta maratone. «Ha cominciato a correre nell’82. Doveva perdere peso. Aveva fumato sessanta sigarette al giorno, “denti gialli, unghie gialle” rimpiazzati da “rotoli di grasso”. “Finire una storia è come dar vita a un figlio. Un autore fortunato può creare forse una dozzina di romanzi nella sua vita, e non so quanti buoni libri ci siano dentro di me, ancora. Spero quattro o cinque. Correndo invece io questo limite non lo sento”» (a Marco Del Corona, CdS 23/2/2008). «La passione per la corsa torna utile nei momenti brutti: “Quando ricevo una critica immotivata (a mio parere s’intende) o quando vengo biasimato da qualcuno di cui davo per scontata l’approvazione, corro una distanza più lunga del solito. Faccio consumare al mio corpo la delusione”. Interrogato dalla Paris Review nel 2004, la routine quotidiana è così stabilita: “Mi alzo alle quattro di mattina, lavoro per cinque o sei ore, faccio dieci chilometri di corsa o 1.500 metri a nuoto (a volte tutti e due), poi leggo, ascolto musica dalla mia collezione in vinile e alle nove sono a letto”. A 63 anni si è dato al triathlon, corre una maratona l’anno, e ancora ricorda l’ultramaratona di Hokkaido, 100 chilometri di sofferenza portati eroicamente a termine» (Mancuso, cit.).
Musica Collezionista di dischi, si vanta di avere diecimila vinili • «Ascolto un disco, un disco di vinile, mentre scrivo. Dopo 15 minuti non sento più la musica e penso solo a scrivere» (Michele Farina, CdS 14/9/2014). «“Piuttosto che imparare le tecniche narrative, ho utilizzato un approccio musicale alla letteratura, per comprendere concetti base come ritmo, armonia e improvvisazione”, ha detto alla trasmissione Murakami Radio nata da un messaggio inviato dallo stesso scrittore a Tokyo FM. In effetti c’è sempre una colonna sonora prevalente nei suoi romanzi: nel recente L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio la scelta era caduta sul compositore baltico Arvo Pärt, e lo stesso titolo deriva da un brano di Franz Liszt. Norwegian Wood richiama un brano dei Beatles; in Kafka sulla spiaggia si ascolta My Favorite Things di John Coltrane e la Suonata per piano in re maggiore di Franz Schubert» (De Palo, cit.)
Amori Dal 1971 è sposato con Takahashi Yōko, conosciuta al corso universitario di drammaturgia • «Io descrivo il sesso in una maniera molto pragmatica, realistica, ma mai pornografica. Per essere onesto non avrei nessuna voglia di scrivere quei brani. Sono molto timido: mi vergogno molto mentre scrivo quelle scene. Ma devo farlo. Il sesso è la via maestra per passare dall’altra parte. Il rapporto sessuale ha qualcosa di spirituale. Apre una porta simbolica. L’amore però è molto più bello del sesso. Io scrivo favole per adulti. Tutti vogliamo credere nella forza dell’amore. E a quella del dolore. Nella realtà non si prova l’uno senza l’altro» (a Düker, cit.).
Critica «Idolatrato da alcuni come scrittore di culto, al pari di un Vonnegut o un De Lillo ai quali viene spesso paragonato, discusso e liquidato da altri con la generica etichetta di scrittore post-modern (che non si sa bene cosa significhi), forse sconcerta per la sua assoluta mancanza di plausibilità. Le sue storie, tutte, hanno una trama che, a volerla riassumere, risulta priva di senso [...] Agnès Giard ha sottolineato come le sue opere lascino “un gusto di niente in bocca”, quella sensazione di languida disperazione che i giapponesi definiscono “mono no aware”, che si potrebbe tradurre come ”ahimè! le cose...”» (Renata Pisu, Rep 18/6/2002) • «In Giappone è visto come il più occidentale degli scrittori giapponesi, ma non è perché nei suoi libri si citano spesso film e musica occidentali, il colonnello Sanders della catena di fast food Kfc, il baseball e la pizza. Lo scrittore Kazuo Ishiguro dice: “Lo stile di vita dei personaggi di Haruki è molto più simile a quello dei giapponesi di oggi di quanto non possa sembrare ai lettori occidentali, che nei suoi libri tendono a distinguere tra elementi occidentali e giapponesi, dato che questi si presentano come poco familiari ed esotici. Ma bisogna ricordare che per un giapponese cresciuto dopo la Seconda guerra mondiale il jazz, il rock e i film di Hollywood sono familiari tanto quanto cose più tradizionali. Anzi, cose come il teatro kabuki, la cerimonia del tè e i romanzi di Kawabata gli risultano più lontani”. Non sono le cose che cita a rendere Murakami occidentale per i giapponesi, ma il suo stile» (Nicholas Blincoe, The Telegraph 16/1/2005) • «L’ultimo dettaglio che ci rende simpatico Murakami è il suo disinteresse per la bella scrittura. Scrisse l’inizio del primo romanzo in inglese, poi lo tradusse in giapponese per raggiungere la piattezza e il tono dimesso che aveva in mente, con un sospetto di tedio dovuto alle ripetizioni. I traduttori americani garantiscono che il giapponese dei suoi romanzi sembra tradotto dall’inglese.stile Raymond Carver» (Mancuso, cit).
Titoli di coda «In certi casi, metterci del tempo è la via più breve» (L’arte di correre, Einaudi 2009).