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 2021  gennaio 29 Venerdì calendario

Biografia di Nicolas Sarkozy


Nicolas Sarkozy (Nicolas Paul Stéphane Sarközy de Nagy-Bocsa), nato a Parigi il 28 gennaio 1955 (66 anni). Politico. Già presidente della Repubblica Francese (2007-2012). Già ministro francese dell’Interno (2002-2004; 2005-2007), dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria (2004), delle Comunicazioni (1995) e del Bilancio (1993-1995) e portavoce del governo Balladur (1993-1995). Già deputato dell’Assemblea nazionale francese (1988-1993; 1995-2002; 2005) ed europarlamentare (1999). Già sindaco di Neuilly-sur-Seine (1983-2002). Fondatore ed ex presidente di Les Républicains (2015-2016) ed ex presidente dell’Union pour un mouvement populaire (2004-2007; 2014-2015). Avvocato. «Se non fosse stata approvata la legge sulla nazionalità io non sarei francese, e sarebbe un peccato non solo per me, ma per tutti». «Bisogna calpestarlo: dicono che porti bene» (Jacques Chirac) • «Io non ho nostalgia dell’infanzia, perché da bambino non sono stato mai felice». «Il padre, assente e non proprio amatissimo per le manie di grandezza e le gare perverse all’emulazione lanciate fra i figli, era un aristocratico ungherese, molto charmeur. […] Sbarcato a Parigi come un profugo, scampato alla dittatura comunista e per un pelo all’arruolamento nella Legione straniera, Pál Sarközy de Nagy-Bocsa, i primi tempi a Parigi, aveva fatto la fame. La leggenda vuole che, la prima notte, l’abbia passata al gelo, dormendo come un clochard sulle grate del metro alla stazione dell’Étoile. Poi, aiutato da faccia tosta, buone maniere e un discreto talento di disegnatore, impalmata in pochi mesi la figlia giovanissima di un medico stimato, si darà alla pubblicità, diventando persino ricco, ma senza mai mostrare soverchia prodigalità verso i figli della prima moglie, alla quale ne seguiranno altre tre. […] Un padre narcisista e molto assente, che un giorno, esasperato dai mugugni dei figli, gli sbatté in faccia un “Non vi devo nulla”, e scomparve. […] Del borghese in senso classico, dunque, Nicolas Sarkozy aveva poco o niente. Dei tre figli di Pál e Dadu [Andrée Mallah (1925-2017) – ndr] era il secondogenito, il più impertinente, quello che andava peggio a scuola, ma anche l’unico che la sera, quando usciva con gli amici, chiedesse alla madre se non voleva uscire con loro. Era un ragazzo sensibile, beneducato. Quando la madre aveva lasciato il marito, tornandosene a vivere nella casa paterna – […], per mantenere i figli s’era rimessa a studiare, ed era diventata avvocato –, […] era stato il nonno, Bénédict Mallah, a fargli da padre. E il nonno, urologo di professione, collezionista di francobolli per hobby e gollista fervente per passione, era un tipo serio, vecchio stampo. Una figura chiave nel romanzo di formazione di Sarko. Ebreo della comunità sefardita di Salonicco, era cresciuto nel culto dell’universalismo francese, ed era arrivato in Francia adolescente, nel 1904. Dopo la laurea in Medicina, durante la Grande guerra s’era innamorato di una giovane infermiera lionese, rimasta vedova, e prima di sposarla s’era convertito al cattolicesimo. Quando scoppiò l’altra guerra, la seconda, fiutato il vento dell’antisemitismo vichyssois, chiuse lo studio medico di Parigi e andò a rifugiarsi con moglie e due figlie nella Corrèze, in una vecchia casa di campagna, che un giorno fu perlustrata da una pattuglia di SS. “Papy Bénico” era un tipo accorto, temprato dalla vita, attento al soldo e preoccupato di restarne senza. Curava gratis i pazienti in ristrettezze, ma non spendeva un centesimo per rinfrescare il vecchio villino liberty della rue Fortuny, dietro il Parc Monceau, dove aveva casa e studio. Nel Sessantotto, durante gli scioperi e le barricate di maggio, temendo penurie come ai tempi di guerra, fece persino scorte di viveri per un anno. […] Eppure, agli occhi del nipotino, quel nonno austero, di poche parole, patriota sino allo spasimo, gollista della prima ora, amante di uniformi e di sfilate, era un mito vivente. […] Morto il nonno, nel 1973, i Sarkozy lasciano il villino della rue Fortuny dove erano inquilini, e con la buona uscita comprano un appartamento nuovo a […] Neuilly-sur-Seine, […] la periferia chic di Parigi, tra la Porte Maillot e il Bois de Boulogne, una zona residenziale per professionisti abbienti, star del cinema e “nouveaux riches”» (Marina Valensise) • «Sarkozy è cresciuto […] “povero” (di una famiglia borghese, ma in decadenza) fra i ricchi. Studente mediocre (bocciato in prima media), non ha frequentato nessuna delle “grandes écoles” francesi, fucina dell’élite. Ma si è “solo” laureato in Legge all’università di Nanterre, in Francia dalla pessima fama» (Leonardo Martinelli) • «Per raggranellare qualche soldo, e non gravare sul bilancio familiare, Sarko, iscritto in Legge a Nanterre, si mantiene agli studi lavorando come fattorino dal fioraio sotto casa, o come commesso nella gelateria di un ex colono rientrato dal Marocco, amico suo. Il ragazzo, a differenza dei fratelli, che frequentano le feste per signorine bene, ha gusti popolari. È un figlio degli anni Sessanta, cresciuto guardando la tv il sabato sera, ascoltando i dischi di Claude François e di Johnny Hallyday e seguendo le tappe del Tour de France, di cui è patito. Ben presto, ha imparato una verità che un giorno gli tornerà utile: “Se non ti piace quello che piace alla gente, non la puoi capire, la gente”. La cosa singolare è che questi gusti popolari da uomo comune non gli impediscono di coltivare idee fuori dal comune, o comunque non piegate al conformismo. […] Giovanissimo, ha messo piede per la prima volta nella sezione dell’Udr [Union des démocrates pour la République: il partito gollista dell’epoca – ndr] di Neuilly, spinto da una voglia matta di militanza. Era un sabato pomeriggio del marzo 1974, anno nero per i gollisti. L’anno della morte di Georges Pompidou e delle divisioni intestine per la destra. […] Sarko all’epoca ha diciannove anni e le idee chiare. “Sentivo dentro di me una forza interiore che dovevo utilizzare - scriverà anni dopo -. Avevo bisogno di fare qualcosa per me e per la mia vita, e la politica era uno degli ultimi campi di avventura collettiva possibile. Anzi, per me era l’unico aperto”» (Valensise) • Nel giugno 1975, a Nizza, il suo primo intervento pubblico, al congresso dell’Udr. «Chirac gli diede la parola: “Sei tu Sarkozy? Hai cinque minuti”. Lui tenne il microfono per venti, dicendo più o meno: “Essere gollisti significa essere rivoluzionari”. Pochi mesi dopo era alla tribuna del congresso del movimento giovanile a Le Bourget. […] Era il ‘75, e il suo slogan era: i giovani alla conquista del 2000. Guardava lontano, il piccolo Nicolas» (Cesare Martinetti). «Che fosse un ambizioso, audace e sfrontato, Chirac, […] allora primo ministro, […] lo capì al primo sguardo, la prima volta che lo incontrò nel 1975, a Nizza. E ne rimase colpito. […] Lo invitò a Matignon. Il giovane militante ne uscì soggiogato, preso dal suo charme, ma anche caricato a mille. Chirac poi lo forma, lo plasma in una relazione che sarà tormentata e che fin dall’inizio sconfina nella mozione degli affetti. Nel giovane perennemente in movimento, carico come una pila e compresso come una molla, il capo del gollismo rivede se stesso, la sua giovinezza, la sua frenesia: è il figlio maschio che non ha mai avuto. La famiglia lo accoglie: la moglie Bernadette, aristocratica dal portamento altero e dall’approccio non proprio caloroso, lo prende in simpatia. E della figlia Claude diventa ben presto il confidente e l’amico inseparabile. Le foto di allora che li ritraggono tutti insieme sono una panoplia di sorrisi, complici ammiccamenti. Sembra un magico accordo, sarà il preludio del tradimento. Lo capì al volo anche François Mitterrand, che lo incrociò per due anni in Consiglio dei ministri: “Il ragazzo ha abbastanza talento per mordere e per tradire. Ma non ha ancora qualità sufficienti per aspirare ai primi ranghi. Comunque è dotato, e si farà”» (Lanfranco Pace) • «Sa di essere bravo e comincia presto la sua corsa: a 21 anni è consigliere municipale a Neuilly, a 23 è nel comitato centrale dell’Rpr [Rassemblement pour la République: il partito gollista erede dell’Udr – ndr], il partito di Chirac» (Marina Verna). «Nel 1983, a soli 28 anni, è eletto sindaco di Neuilly, dopo che a sorpresa (il contropiede, tattica di tutta una vita) è andato contro la nomenclatura del partito. Ad appena 34 anni verrà eletto deputato, e a 38 nominato per la prima volta ministro. […] Un episodio, che tanti francesi “over 40” non hanno dimenticato: nel 1993 un pazzo tiene in ostaggio 21 bambini in una scuola materna di Neuilly e lui non sente storie, va a negoziare in diretta dinanzi alle telecamere con l’uomo (soprannominato “Human Bomb”), con una buona dose di coraggio e sangue freddo» (Martinelli) • «Nelle stanze del grande potere entra nel 1993, ministro del Bilancio nel governo Balladur. E già si allena a farlo lui, il primo ministro. Gli piacciono le simulazioni. “Ci sono 400 mila dimostranti in piazza. Che cosa faresti tu?”, si diverte a chiedere ai colleghi ministri. Due anni felici, poi il grande sbaglio» (Verna) • «Nel 1994, in previsione delle presidenziali che si devono tenere l’anno dopo, il movimento gollista si spacca: da una parte Chirac, dall’altra il primo ministro Édouard Balladur, […] che peraltro di Chirac era stato fino alla vigilia maestro e consigliere. Sarkozy è ministro del Bilancio e portavoce del governo, […] e si schiera con lui, dato favorito dai sondaggi. Spiegherà un giorno che fu sedotto dai discorsi articolati di Balladur, dalla sua visione strategica in rottura con le frasi fatte, i banali inviti a fare quadrato del politico Chirac. Della campagna di Balladur sarà il principale organizzatore: si concluderà con un’amara sorpresa. E lui sarà bollato con il marchio del traditore. Chirac, che raramente perdona e mai dimentica, si è convinto di avere a che fare con uno che non indietreggia di fronte a nulla: per tre anni e mezzo non gli rivolgerà la parola. […] Sarkozy […] commenta che in politica non sei nessuno fin tanto che non tradisci. Si prepara alla traversata del deserto. Per tre anni e mezzo sarà De Villepin, allora segretario generale dell’Eliseo, a fare da tramite tra i due. I primi segnali vengono nel ‘97, guarda caso quando il presidente è nell’angolo, costretto a coabitare con il governo del socialista Jospin dopo la catastrofica decisione di andare alle elezioni anticipate, vinte dalla gauche plurielle» (Pace) • «L’ostracismo […] cadde il giorno in cui, distrutto il nuovo premier, Alain Juppé, per le riforme infelici, falcidiata la maggioranza in Parlamento dalla dissoluzione del 1997 voluta da Dominique de Villepin, bisognava ricucire il tessuto del partito. “Quando sono arrivato all’Eliseo il presidente non mi è venuto incontro - racconta Sarkozy in Libre, la sua autobiografia - È rimasto seduto dietro la scrivania, lanciandomi un gelido ‘Mi dicono che volevi vedermi’. ‘No’, gli ho risposto, ‘È lei che mi ha fatto chiamare”. E per dieci minuti mi ha insultato. Alla fine l’ho interrotto: ‘Allora è vero quello che mi hanno detto’. ‘Cosa?’. ‘Che non possiamo più parlarci’. ‘Riaccompagnate il ministro’, disse Chirac ai commessi. Il tono era così secco che ho creduto che non l’avrei più rivisto. E invece, un mese dopo, Villepin mi chiamò: ‘Vuole vederla stasera’”» (Valensise) • «Sarkozy ormai corre in proprio. Riesce persino a farsi eleggere segretario generale del partito, è capolista alle europee del ‘99: la lista unitaria del Rpr con la destra liberale prenderà meno voti della lista dissidente di Charles Pasqua e poco più dei Verdi. Una sconfitta netta, di cui Sarkozy porta poche responsabilità. È però l’occasione per vedere che i francesi lo amano poco. Spiegherà al settimanale Le Point di esserne consapevole, ma di sapere anche che è circondato da pigri che “lavorano solo 9 ore al giorno”: lui ne lavora 15» (Pace). «A quel punto, invece di insistere, rinuncia al potere. Abbandona la guida dell’Rpr, lasciando tutti di stucco. Lui, che passa per un narcisista mosso da sfrenata ambizione, prende le distanze e ottiene il plauso di Chirac, che riconosce in lui il politico di razza capace di piegare la forza di carattere alla ragione. “Tu m’as épaté”, mi hai stupito, gli disse il presidente: “Non avrei mai pensato che avresti resistito. Da oggi sei un uomo libero. Forse non te ne rendi conto, ma hai costruito qualcosa d’importante per l’avvenire”. È allora che inizia per Sarkozy la riflessione senza indulgenza con cui ripensa la destra repubblicana e il suo programma» (Valensise) • «Nel 2002 […] aveva già riconquistato la prima linea. Chirac non gli diede, come sarebbe stato giusto, la seggiola di primo ministro, preferendo il grigio Jean-Pierre Raffarin, destinato ad andare presto in pensione. Ma gli affidò il compito più difficile: il ministero dell’Interno. Era il maggio 2002, Jacques Chirac era stato confermato all’Eliseo al termine di “surreali” elezioni nelle quali aveva avuto come sfidante non il socialista Lionel Jospin, eliminato al primo turno, ma Jean-Marie Le Pen, il duce dell’estrema destra, che aveva imprevedibilmente sfondato al primo turno agitando tutte le paure dei francesi: criminalità e stranieri, banditi e immigrati clandestini. Sarko aveva il compito più difficile. E c’è riuscito. Non a battere la criminalità (quando mai la politica risolve i problemi?), ma a dare l’impressione che la situazione fosse cambiata» (Martinetti). «Pare che la sera stessa in cui assume le funzioni di ministro dell’Interno Sarkozy s’incaponisca a voler fare un primo giro dei commissariati nei quartieri a rischio e che sia stato il presidente a dissuaderlo. Ma a partire dall’indomani, dalla place Beauvau, alla testa di 200 mila poliziotti e funzionari, si abbatterà sulla Francia come un ciclone. Non ci sarà più crimine che non lo veda sbarcare sul posto, di preferenza prima dei telegiornali delle 20. Ogni domenica mattina alla 7 telefona a tutti i prefetti» (Pace). «Sarko l’ha presa di petto, e tanto per cominciare ha fatto il giro dei commissariati di periferia portando in regalo agli impauriti flic di frontiera i flash-ball: degli spara-palle di caucciù che non uccidono, ma fanno un bell’effetto. È cominciata così la più grande costruzione mediatica della ricostituzione dell’ordine in Francia: simboli, immagini, colpi di tv, un ministro presente su tutto e ovunque. L’unico flash-ball di cui si è avuta notizia era in mano a un ragazzo immigrato che l’ha usato contro i compagni in classe: un ferito. […] Nicolas Sarkozy […] ha affrontato e demolito tabù e ipocrisie, ha dato forma e sostanza a quel detto secondo cui “il progressista è un conservatore che non ha mai subìto una rapina”, ha rovesciato l’approccio concettuale su sicurezza e ordine pubblico: vittime sono i cittadini derubati, non i “poveri” che rubano per sopravvivere. No ai mendicanti “aggressivi”, no alle prostitute di strada che “adescano”, no ai campi nomadi selvaggi. La sinistra, naturalmente, ha attaccato. Ma […] il ministro della destra ha scavalcato a sinistra i suoi avversari più d’una volta. Per esempio sul tabù della “doppia pena”, vecchia regola francese secondo la quale un cittadino non nato in terra di Francia, dopo aver scontato una pena detentiva, doveva essere espulso verso il Paese d’origine anche se da anni non aveva più alcun legame con esso. I socialisti per anni hanno annunciato l’abolizione di quest’ingiustizia; Sarko l’ha abolita di fatto appena ce n’è stata occasione. […] Ha messo d’accordo i musulmani per costituire una rappresentanza eletta dei cinque milioni di immigrati. Sembra un modello molto istituzionale, ma è qualcosa, e non s’era mai fatto prima» (Martinetti). «Nel suo ruolo di ministro dell’Interno, il personaggio non ha nascosto bruschi balzi d’umore, è esploso in collere non trascurate dalla cronaca nazionale e internazionale, come quando chiamò “teppaglia” [racaille – ndr] i giovani delle periferie parigine, o insultò un suo collega, membro del governo» (Bernardo Valli). «Per i giovani delle banlieue è “monsieur Charter” per la rapidità con cui rispedisce a casa gli immigrati clandestini, ma per la maggioranza dei francesi diventa in pochi mesi l’uomo politico più popolare. […] È questa l’essenza del metodo e, se esiste, del sarkozismo: mettersi sempre dalla parte delle vittime, dei cittadini che tanti governi successivi avrebbero abbandonato, chiamare le cose con il loro nome perché i giovani che assaltano un carro della polizia o fanno la “tournante” passandosi l’un l’altro le ragazze delle cités dopo averle violentate non sono giovani, ma criminali contro i quali usare la massima fermezza. Sarkozy parla il linguaggio di tutti i giorni, al limite del dialetto, meno delle 300 parole consigliate nelle vecchie scuole di giornalismo. […] Là dove la sinistra scommetteva sui tempi lunghi della sociologia, del ripensamento delle città, lui dice che il tempo è scaduto. È proprio questo suo essere naturalmente di destra, liberale senza orpelli né complessi, che irrita e piace nel suo stesso campo. Pare che vedendolo una volta in azione in televisione Bernadette Chirac abbia esclamato: “Però, quel piccolo figlio di puttana, che talento!”. […] Era l’epoca del grande freddo, ma sarà comunque Bernadette a fare il primo passo e a convincere il marito che era venuto il tempo di mettere una pietra sul passato, perché “in politica chi non sa girare pagina non va da nessuna parte”. […] A marzo del 2004, […] dopo la Waterloo delle regionali […], si vede già a Matignon per la forza delle cose. “No, ho bisogno di te alle Finanze, sarai numero 2. Aiutami e ti prometto che non te ne pentirai”, risponde Chirac, che riconferma alla testa del governo un Raffarin sempre più trasparente. Ma questa volta […] è ormai al posto giusto, in imboscata, pronto allo scatto verso l’ultimo obiettivo: prendere possesso della casa del padre: l’Eliseo. […] Glielo hanno chiesto nel corso di una trasmissione radiofonica, se non pensasse all’Eliseo tutte le mattine mentre si faceva la barba. E lui: “Non soltanto quando mi rado”» (Pace). «Un’ossessione martellante, un’ambizione divorante, che però cresceva dentro un progetto politico completo: Nicolas Sarkozy […] è l’uomo dell’aggiornamento del gollismo, liberale in politica, liberista e insieme statalista in economia. Anzi, un “liberal-bonapartista”, come ha detto Alain Minc, finanziere e intellettuale. […] Sarkozy ha tolto la polvere alla destra francese. […] Mai un ministro della République s’era fatto fotografare in pullover nel suo ufficio con moglie, figlio e cane labrador. Mai un ministro aveva sfidato il presidente fin nel dileggio della snobistica passione chiracchiana per la lotta giapponese sumo: “Che cos’è? Uno sport, quello?”. Ma, oltre alla caricatura, ci sono le cose serie. Se Chirac è il campione mondiale dell’antiamericanismo, Sarko va a New York e annuncia di “amare l’America”, di sentirsi talvolta “straniero in Francia”, si mette maglietta, pantaloncini e un paio di occhiali da sole e va a fare jogging in Central Park. Se Chirac vuole la legge contro il velo nelle scuole per difendere la laicità “alla francese”, Sarko è contro, rifiuta la retorica “repubblicana”, dice che va superata la vecchia separazione tra Stato e Chiesa e che bisogna aiutare i musulmani, anche costruendo moschee, perché è meglio che i soldi vengano dallo Stato piuttosto che da Osama bin Laden: “Voglio essere l’avvocato difensore dei musulmani: mi piace la loro gioventù, la loro creatività, la loro voglia di riuscire”. Il mondo di Nicolas è un mondo di gente che ha voglia di fare, che lavora quanto vuole e non solo le 35 ore dei socialisti di Jospin, che guadagna di più se lavora di più» (Martinetti). «Rupture per Sarkozy significa innanzitutto il ripudio del “pensiero unico”, la rinuncia al luogo comune, nella convinzione che “non si può costruire un mondo nuovo con idee vecchie”. La rottura è un passaggio brutale che porta a un modo di pensare nuovo, senza complessi. Sarkozy vuole una destra priva di complessi. Da sempre è convinto che il primo complesso sia nei confronti della sinistra e dell’eredità del Sessantotto, alimentata, in nome dell’utopia e dell’ideologia, da una generazione smidollata, che un bel giorno si è svegliata e ha proclamato di voler “vivere senza doveri e godere senza limiti”. […] Sarko, in effetti, ha capito benissimo che […] per riconquistare la fiducia dei francesi […] bisogna mobilitare i francesi sul piano dei valori, sull’ordine vitale, armarsi di coraggio e parlare dritto al cuore degli elettori. Per lui – che, essendo stato cresciuto da un uomo nato nel 1890, dovrà sentirsi più vicino alla generazione dei padri che a quella dei figli contestatori – rupture vuol dire basta all’inversione dei valori. Basta all’ideologia. Fine della ricreazione. […] Un programma che punta a fare affidamento su se stessi, al senso di responsabilità, al gusto del lavoro, all’amore della proprietà, per rifondare la République e trasformarla in una repubblica “reale”, e non virtuale, che “fa di più per chi si dà fa fare, ma non muove un dito per il fannullone, che vive a spese della collettività”» (Valensise). «Sarkozy si presenta come il figlio di immigrati che deve tutto alla Francia. A Jean Marie Le Pen, che non lo considera “abbastanza francese” per pretendere alla massima carica della Quinta Repubblica, replica: “Sì, sono il figlio di un ungherese e il nipote di un greco nato a Salonicco che ha combattuto per la Francia nella Grande Guerra. Sì, monsieur Le Pen, la mia famiglia è venuta da lontano, ma nella mia famiglia amiamo la Francia perché sappiamo quel che le dobbiamo”. E si dichiara un francese di sangue misto, convinto che si è francesi in proporzione all’amore che si ha per la Francia. […] L’immigrazione, l’Europa senza frontiere, la mondializzazione danno un’impressione di insicurezza. Nicolas Sarkozy cavalca quei due temi, l’identità nazionale e la sicurezza, rivolgendosi a tutte le componenti del suo virtuale elettorato. A quella popolare, un tempo di sinistra, ricorda i grandi nomi del socialismo, da Jean Jaurès a Léon Blum. Sembra che si sia invaghito di loro. Li cita in ogni comizio. Quelli erano veri patrioti. La sinistra d’oggi li ha rinnegati. Ha voltato loro le spalle. Non difende più i lavoratori. E comunque non li rappresenta più. Invece lui, Sarkozy, è al fianco di chi lavora. Ai francesi tentati dal Front national come baluardo all’immigrazione elenca le regole severe a cui gli stranieri devono attenersi se vogliono lavorare in Francia. Anzitutto devono rispettarla e amarla. Parlare e scrivere la lingua. Non essere poligami e non portare il velo. A tutti promette l’ordine, al quale si è dedicato negli anni in cui è stato ministro degli interni. Annuncia uno Stato forte ma non troppo invadente. Un po’ colbertista, accentratore, e un po’ liberista. Parla di una Francia generosa che esige di essere amata. Ai deboli va dato aiuto, ma l’assistenzialismo non è una soluzione. Dice un po’ tutto e un po’ il contrario di tutto. Segue il vento di destra che soffia sulla Francia. Ma è il vento di una destra, come ripete, repubblicana» (Valli). Divenuto il 28 novembre 2004 presidente dell’Union pour un mouvement populaire (Ump), il nuovo partito gollista fondato nel 2002 da Chirac e Juppé, fu da esso candidato alle elezioni presidenziali del 2007: superato agevolmente il primo turno (22 aprile) col 31,18% dei voti, al secondo turno (6 maggio) conquistò la presidenza col 53,06% dei consensi, sconfiggendo la candidata socialista Ségolène Royal. «Per la prima volta in Francia si sono affrontati al secondo turno una candidata donna e un candidato […] figlio di immigrati. Simbolicamente, è il segno di un grande cambiamento per quella che qualcuno ha chiamato “l’anima della Francia eterna”. […] Il personaggio di Sarkozy si attaglia perfettamente a quelli che sono i desideri degli elettori nelle democrazie di quest’inizio del XXI secolo. […] Da candidato, Sarkozy non ha fatto praticamente altro che denunciare, in maniera ripetitiva, violenta e declamatoria, tutto l’operato del governo di Jacques Chirac, del quale era stato il più potente ministro. Ma quest’enormità non ha sconvolto nessuno. E lui stesso non se ne è mai scusato, né ha dato spiegazioni in proposito. Tanto ha fatto per dimenticarsene che ha finito per trasformare la memoria altrui. […] I francesi non ne potevano più, di vedere la Francia contemplare il proprio declino. Hanno eletto il presidente di una “rivoluzione conservatrice” che somiglia molto a quella dell’America di George W. Bush. Di fatto, si tratta soprattutto di una Restaurazione» (Jean Daniel). Nel corso della sua presidenza, Sarkozy riuscì però ad alienarsi gran parte dei vastissimi consensi di cui aveva inizialmente goduto tra i francesi. «Sarkozy aveva promesso “rottura” – scuotere il Paese, disfarsi delle zavorre, contribuire al prosperare delle imprese –, e la Francia, stanca di miserie e immobilismo, ci aveva creduto. Adesso anche i più fedeli parlano amaramente di quanto poco sia stato fatto. Il risultato di maggiore rilievo del presidente è stato l’innalzamento dell’età pensionistica da 60 a 62 anni. […] Sul palcoscenico internazionale – afferma Robin Niblett, direttore dell’Istituto per gli affari esteri Chatham House – Sarkozy è “concentrato sull’interesse nazionale francese, spietato per raggiungerlo, se è necessario, e di sicuro uno stratega”. Anche i risultati in patria – sostiene Niblett – non sono nel complesso così trascurabili come li dipingono i francesi. È vero che dà l’impressione di “cercare di sembrare di più di quello che pensa la gente”. E ciò che ha fatto – riforma di università e pensioni, alleggerimento degli effetti più dannosi della settimana da 35 ore, trattamento fiscale favorevole della ricerca – è lontano dalle sue promesse elettorali e da ciò di cui la Francia ha bisogno. Ma, anche se “nessuna di queste riforme è radicale, è come Obama con la riforma sanitaria. Ha aperto dei varchi nelle questioni in discussione”. […] Sull’Europa molti osservatori e protagonisti britannici pensano che Sarkozy abbia avuto un ruolo di minore forza. […] Al ministero degli Esteri il presidente riceve plausi per aver affossato “i vecchi pregiudizi gaullisti contro gli anglosassoni”. […] Uno dei suoi primi interventi, con il quale ottenne la fine delle ostilità in Georgia nel 2008, mentre la Francia era alla presidenza Ue, fu “quasi churchilliano”, argomenta Niblett. “Non fu tanto una questione di strategia: la situazione stava evolvendo rapidamente. Ma c’era in lui una determinazione a rimanere saldi, a fare qualcosa. Colse l’attimo”» (Jon Henley). «Uno dei primi atti della sua presidenza, Sarkozy lo dedicò all’Unione per il Mediterraneo, che voleva rilanciare per unire i Paesi arabo-musulmani a sud del Vecchio Continente con un programma di ambiziose riforme e il rilancio di un partenariato che avrebbe dovuto fermare le minacce terroristiche e l’irruzione dell’islamismo nelle società occidentali. Un piano di pacificazione. S’infranse quattro anni dopo, per esplodere a fine mandato, sulle coste libiche. Un attacco alla pace, alla comunità mediterranea, alla civile convivenza in un bacino fragile» (Gennaro Malgieri). Nel marzo 2011, infatti, «con gran scorno dell’Italia e del governo suo alleato di Silvio Berlusconi, […] il presidente francese, sino a poco prima amico e alleato del dittatore libico, […] cambiò di punto in bianco strategia. Dando ascolto a Bernard-Henri Lévy, il difensore dei diritti umani sempre a caccia di riflettori, decise di puntare sulla primavera araba, appoggiò gli insorti di Bengasi e, di comune accordo col premier conservatore inglese David Cameron, decretò l’intervento militare in Libia, ben presto ratificato dalla Nato, provocando la capitolazione di Gheddafi: un cambio di regime fatale per tutto il Mediterraneo, con la frammentazione di tribù in lotta tra loro, l’esplosione delle frontiere, gli sbarchi incontrollati di migliaia di migranti, e l’instabilità dell’intera regione» (Valensise). «Fu lui a volere con tutta la forza l’abbattimento del regime di Gheddafi, nella convinzione che la Francia avrebbe recuperato la sua “grandeur” e lui i sondaggi, che lo davano peggior presidente francese degli ultimi 20 anni. […] Fu lui a recarsi nei giorni della fuga di Gheddafi a Tripoli con al fianco Bernard-Henri Lévy: […] ufficialmente per rassicurare i libici sul ruolo della Francia nella costruzione della democrazia e per chiudere qualche accordo sullo sfruttamento delle risorse energetiche del ricco Paese africano, ufficiosamente per far sparire le tracce sui rapporti non proprio eleganti tra lui e Gheddafi» (Giampaolo Rossi). «Ero irritato che Sarkozy e Cameron mi avessero messo alle strette, in parte per risolvere i loro problemi politici interni. […] Mascherarono a stento il sollievo per la mano che stavo porgendo loro per levarsi dal pasticcio in cui si erano cacciati. […] Sarkozy si era assicurato che il primo velivolo ad attraversare lo spazio aereo libico fosse francese» (Barack Obama). «Sarkozy fu […] generatore e trascinatore della infausta guerra di Libia e della caccia personale a Gheddafi, l’uomo che non doveva sfuggire alle grinfie di servizi e soldati della République, e non sfuggì, fu lapidato sul posto appena rintracciato. Delle conseguenze di quel ciclo bellico, stolidamente avallato da Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia, non c’è molto da dire, sono sotto gli occhi di tutti da anni, e ammutoliscono nel grottesco il plauso che anime belle internazionaliste e altri ingenui tributarono a quell’epopea disgustosa» (Giuliano Ferrara). Tanta spregiudicatezza non valse però neppure a garantirgli la rielezione nel 2012, nonostante il suo principale contendente fosse il non irresistibile socialista François Hollande. «La scelta tra Sarkozy e Hollande non è ispirata, come la civiltà delle immagini può suggerire, dalla sola prestanza dei personaggi: il dinamico, scattante, infervorato presidente in carica da un lato, e dall’altro il riservato, non (ancora) carismatico pretendente. Per raccogliere voti il primo accarezza i vizi della società: asseconda, sia pur con un linguaggio cauto, la presa di distanza dai diversi, considerati intrusi, cioè dagli immigrati, portatori del virus islamico; e minaccia di chiudere o socchiudere le frontiere aperte dall’accordo di Schengen. Il secondo è rispettoso dei princìpi definiti in Francia repubblicani, e in Europa considerati irrinunciabili da chi aspira a una società plurinazionale aperta, nel rispetto delle leggi» (Valli). Passato il primo turno (22 aprile) con il 27,18% dei consensi (a fronte del 28,63% conquistato dallo sfidante), fu sconfitto al secondo turno (6 maggio), fermandosi al 48,36% dei voti. «La sera stessa Nicolas Sarkozy annuncia il ritiro dalla politica. “Mi metterò a fare soldi come Bill Clinton: 150 mila euro a conferenza!”, dice a un amico. Ma dura poco: solo due anni e quattro mesi. Il 19 settembre 2014 Sarkozy scrive su Facebook: “Sono candidato alla presidenza della mia famiglia politica”. Sarkozy dice di non potere stare a guardare mentre la destra francese è in preda alla guerra fratricida, a colpi di ricorsi in tribunale, tra il suo ex premier François Fillon e Jean-François Copé. Ma il ritorno in politica è forse anche un modo per difendersi meglio nei guai giudiziari (dalle fatture false della campagna elettorale ai presunti finanziamenti di Gheddafi). Dopo essere diventato presidente dell’Ump e averne cambiato il nome in Les Républicains, il 22 agosto [2016 – ndr] […] ufficializza la scontata candidatura all’Eliseo. I suoi rivali di partito sono Fillon e Copé, il giovane Bruno Le Maire ma soprattutto l’“anziano” Alain Juppé, che è stato suo ministro degli Affari esteri. […] Sarkozy è tornato più nazionalista e duro di prima: le sue proposte sono talvolta indistinguibili da quelle di Marine Le Pen, leader del Front national. Punta tutto sui temi identitari, ovvero sulla difesa della Francia di fronte all’immigrazione, al terrorismo e all’islam. “Qui siamo in Francia!”, esclama durante ogni comizio» (Stefano Montefiori). La sua sfrenata voglia di rivincita uscì però miseramente frustrata dalle primarie del centrodestra francese (20 e 27 novembre 2016), che lo videro addirittura fermarsi al primo turno, in terza posizione col 20,67% dei voti dietro François Fillon (poi uscito vincitore dalle primarie) e Alain Juppé. In vista delle elezioni presidenziali del 2017 (23 aprile e 7 maggio), Sarkozy dichiarò il proprio sostegno al candidato di La République En Marche Emmanuel Macron, il quale, una volta divenuto presidente, si è più volte avvalso della consulenza del suo predecessore. «L’ex presidente della Repubblica […] si è sempre astenuto da commenti negativi verso Macron presidente, a differenza di François Hollande, che è arrivato a prendere le parti dei gilet gialli. […] Macron si avvale dell’esperienza di Sarkozy in qualità di ex ministro dell’Interno quanto alla gestione dell’ordine pubblico, e alla sua capacità di entrare in sintonia con il popolo di destra, che in larga parte costituisce le file dei gilet gialli. […] In cambio l’ex presidente è riuscito a rientrare in scena, tanto da essere inviato da Macron a Tbilisi come rappresentante della Francia alla cerimonia di investitura […] della ex diplomatica francese e nuova presidente georgiana Salomé Zourabichvili» (Montefiori). Nel luglio 2020 è uscito il primo volume delle sue memorie, intitolato Le temps des tempêtes (L’Observatoire). «L’amarcord non trascura nulla: vita privata e vita pubblica, amarezze, delusioni e rivincite. Alla sua casa editrice, L’Observatoire, Sarkozy ha consegnato ottocento pagine dattiloscritte, al termine del lockdown. E non è che il resoconto del suo primo anno e mezzo di mandato. L’ultimo capitolo si chiude sulla crisi finanziaria del 2008 e sul G20 di Washington. La prossima, corposa puntata è attesa per il 2021. Proprio alla vigilia della scadenza del quinquennio di Macron, nel 2022. “Non preparo alcun ritorno in politica, né per oggi né per domani” ha assicurato Sarkozy in una lunga intervista al settimanale Paris Match, mettendo a tacere i dubbi di una strategia letteraria per il recupero del consenso e della visibilità avvicinandosi alle prossime elezioni. “In tutta franchezza, ho la stessa energia, la stessa passione di dieci o vent’anni fa. Ma è passione per la vita”. Si dice “felice”, “molto occupato” e intenzionato a “vivere pienamente, passare del tempo con la mia famiglia”» (Elisabetta Rosaspina) • «Due processi in vista per i reati di corruzione e finanziamento illegale di campagna elettorale. E […] un nuovo capo di imputazione ancora più pesante, associazione a delinquere, in un’inchiesta in corso. […] Nicolas Sarkozy ha già segnato un record: nessun ex presidente della République ha avuto così tanti guai giudiziari. Finora solo Jacques Chirac aveva dovuto salire sul banco degli imputati nel 2011, ormai vecchio e malato, per fatti non collegati alla sua corsa all’Eliseo. […] Sono tre i fronti giudiziari in cui è coinvolto» (Anaïs Ginori). Il primo, e più clamoroso a livello internazionale, è quello relativo ai presunti finanziamenti illeciti ricevuti dalla Libia di Gheddafi. «Da aprile 2013 la giustizia francese indaga su finanziamenti illegali del regime libico di Muammar Gheddafi a sostegno della corsa all’Eliseo di Sarkozy nel 2007. Una clamorosa vicenda politico-giudiziaria fatta scattare dal sito d’informazione indipendente Mediapart, che ha rivelato l’esistenza di un taccuino nel quale erano segnati gli estremi di tre versamenti a suo favore. Un taccuino che era in possesso dell’ex ministro del Petrolio libico, Shukri Ghanem, ritrovato morto annegato a Vienna nell’aprile 2012. Centinaia di documenti e testimonianze, sospetti e prove hanno fatto emergere un vero e proprio "sistema Sarkozy", una rete di personalità francesi e libiche coinvolte direttamente e indirettamente nella vicenda libica, ormai tutte identificate. Un caso complesso che racchiude interessi politici, diplomatici ed economici, con numerose zone d’ombra e incertezze che le indagini hanno chiarito. Dopo essere stato ascoltato dalla polizia giudiziaria finanziaria, il 21 marzo 2018, l’ex presidente è stato incriminato per corruzione passiva, finanziamento illegale di campagna elettorale e occultamento di appropriazione indebita di fondi pubblici libici» (Veronique Viriglio). Il secondo, apertosi il 23 novembre 2020, è invece il cosiddetto processo Bismuth, così chiamato dal «nome di copertura con il quale Sarkozy aveva registrato un’utenza telefonica per comunicare con il suo avvocato, Thierry Herzog. I fatti risalgono al 2014, quando Sarkozy era già indagato per presunte somme ricevute in campagna elettorale da Liliane Bettencourt, esponente della famiglia che ha fondato L’Oréal. Sarkozy è stato prosciolto dall’accusa, ma in quel periodo era sotto intercettazione dei pm che indagavano sul dossier libico. I magistrati hanno scoperto così che l’ex presidente aveva un secondo numero di telefono, intestato a un certo Paul Bismuth, nome di un vecchio compagno di scuola di Herzog. In una conversazione del 29 gennaio scorso, Herzog si rallegra con il suo cliente del "lavoro" svolto dal fedelissimo "amico Gilbert". Si tratta di Gilbert Azibert, magistrato presso la Corte di cassazione. In un altro colloquio, il 5 febbraio, Sarkozy si dice pronto ad aiutare la talpa di alto rango a ottenere un posto da giudice a Monte Carlo. Durante perquisizioni gli investigatori hanno ritrovato diversi stralci dell’inchiesta Bettencourt nel computer di Azibert: Azibert sarebbe stato una talpa preziosa e avrebbe fornito informazioni sull’istruttoria» (Ginori). Il terzo, invece, «aspetta Sarkozy in primavera. Il 17 marzo si aprirà il “processo Bygmalion”, dal nome di una società che nel 2012 aveva lavorato (invano) alla rielezione dell’allora capo dello Stato. L’accusa in questo caso è di finanziamento illegale di campagna elettorale. Bygmalion organizzava i comizi ed è sospettata di false e doppie fatturazioni. Alla fine la campagna è costata 42,8 milioni di euro, il doppio della soglia consentita per legge. È stato già sanzionato dal Consiglio costituzionale nel 2013, che ha condannato il suo partito, allora Ump oggi Les Républicains, a rimborsare le somme, provocando una voragine nelle casse della forza politica, che aveva dovuto lanciare una colletta popolare per salvarsi dalla bancarotta. L’inchiesta è nata dalle confessioni dell’ex dirigente dell’Ump Jérôme Lavrilleux, che ha raccontato come Bygmalion organizzava eventi elettorali attraverso una filiale ma li fatturava anche al partito per evitare di farli apparire nel rendiconto ufficiale. L’ex capo dello Stato ha sempre negato di essere a conoscenza di questo sistema, che gli ha permesso di moltiplicare gli eventi pochi giorni prima delle elezioni nella rincorsa contro il rivale François Hollande. Alcuni sms di suoi collaboratori possono far pensare che invece fosse stato informato» (Ginori) • Quattro figli da tre mogli diverse: Pierre (1985) e Jean (1986) dal primo matrimonio (1982-1996), con Marie-Dominique Culioli; Louis (1997) dal secondo (1996-2007), con Cécilia Ciganer-Albéniz, che fu la sua prima collaboratrice fino all’insediamento alla presidenza della Repubblica, per chiedere il divorzio pochi mesi dopo; una figlia, Giulia (2011), dalla terza e attuale consorte, l’ex modella italiana Carla Bruni, sposata al Palazzo dell’Eliseo il 2 febbraio 2008. «Della famiglia ho un’idea grande e larga, come la Francia» • Per mantenersi in forma pratica regolarmente la corsetta e va in bicicletta • Tifoso del Paris Saint-Germain • «Il suo maestro nell’avvocatura dice di lui: “Se un cliente colpevole restava mezz’ora con lui, si convinceva di essere innocente”» (Francesco Merlo). Tra i suoi antichi clienti anche Silvio Berlusconi, che negli anni Ottanta lo assunse per difendere le sue ragioni nell’ambito del contenzioso relativo a La Cinq • «Il sarkozismo è il matrimonio, sul tavolo anatomico – quando si pratica la dissezione, la ricomposizione dei corpi – fra una macchina da cucire e un ombrello. È, insomma, un surrealismo. C’è del fascino nel dire ogni cosa e il suo contrario» (Dominique de Villepin). «Cronisti ingenui, in buona fede, patiti di storia, tirano in ballo Napoleone. Chi il Primo, chi il Terzo. Qualcuno ha pensato per fortuna a Balzac, del quale Nicolas Sarkozy potrebbe essere un personaggio. La trama del romanzo è la scalata sociale e politica di un francese di prima generazione, figlio di un avventuroso ungherese (di piccola nobiltà) fuggito dal mondo comunista e di una coraggiosa madre discendente da una famiglia greca di Salonicco. Insomma un quasi immigrato, sia pur di lusso» (Valli). «Scuro di capelli, con tratti espressivi e vagamente mediterranei (era per metà ungherese e per un quarto ebreo greco), basso di statura (era alto circa un metro e sessantacinque, ma indossava scarpe con il rialzo), sembrava un personaggio uscito da un dipinto di Toulouse-Lautrec. […] Parlare con Sarkozy era a volte divertente e a volte esasperante, con quelle sue mani sempre in movimento, il petto in fuori come un gallo da combattimento, il traduttore personale (a differenza di quello di Merkel, il suo inglese era limitato) sempre di fianco a imitare ogni suo gesto o intonazione, mentre la conversazione passava dalle lusinghe alla spavalderia a un’intuizione brillante, il tutto senza mai allontanarsi troppo da quello che era il suo interesse primario – e mascherato solo a stento –, ovvero trovarsi sempre al centro dell’azione e prendersi il merito di qualsiasi cosa valesse la pena intestarsi» (Obama). «Essere un parvenu della politica può aiutare, a patto di non abusarne, e la “tragedia di un uomo ridicolo” quale è stato in fondo Sarkozy aiuta a capirlo. […] Dietro di lui non c’era un’ideologia e/o un pensiero, ma i suoi istinti e i suoi impulsi. Era mediocre e aspirava alla grandezza, si riteneva un uomo d’azione che disprezzava lo snobismo delle élites, ma non desiderava altro che da quelle élites essere accettato, “le président bling bling”, ubriacato dal profumo e dal potere dei soldi. […] Sognare di essere Napoleone il grande, ritrovarsi a essere Napoleone il piccolo è stata, fra Ottocento e Novecento, una tentazione tipicamente francese, e Sarkozy non ne è rimasto indenne» (Stenio Solinas). «Iperattivo De Funès di provincia» (Ferrara) • «In politica non bisogna chiedere: bisogna prendere». «Quando si pensa di disporre della quinta, si ha voglia di servirsene» • «La parabola di Sarkozy è stata lenta e crudele. Nel gennaio 2012, presagendo la sconfitta contro Hollande, che disprezzava profondamente, in un momento di confidenza con i giornalisti al seguito nel suo viaggio in Guyana annunciò il ritiro: “La politica è come una droga. L’ago va estratto poco per volta”, disse mimando un’iniezione. Poi tentò di buttarla sul ridere: “Farò conferenze, viaggi, e un sacco di soldi”. Non è stato di parola. Ha tentato ritorni impossibili. Si è ripreso il partito, gli ha cambiato il nome – Les Républicains, come in America –, ma è stato sconfitto alle primarie da Fillon, che poi non ha neppure passato il primo turno delle presidenziali. A quel punto si è ritrovato nudo di fronte alla magistratura, che l’ha accusato pure di aver subornato l’anziana Liliane Bettencourt, l’ereditiera dell’Oréal, sempre per avere denari per la campagna elettorale. In realtà sono altre le cose che Sarkozy non perdona a se stesso: non lasciare un monumento che lo ricordi, come il museo del Quai Branly per Chirac, la piramide del Louvre e la Très Grande Bibliothèque per Mitterrand, o il Centre Pompidou (inaugurato da Giscard); e aver perso il duello televisivo con Hollande (“La sera dopo non ho chiuso occhio. Ho rifatto il dibattito parola per parola. Avrei dovuto parlare dei successi in politica estera. Avrei dovuto rinfacciare a Hollande che il debito della sua regione, la Corrèze, è aumentato del 45%. Avrei dovuto…”). Il disinnamoramento dei francesi è stata per Nicolas una prova durissima, quasi come l’abbandono della donna della sua vita, Cécilia» (Aldo Cazzullo) • «L’idea di esistere nella vita dei francesi senza suscitare repulsione è semplicemente folle».