Anteprima, 14 dicembre 2020
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Biografia di John le Carré
John le Carré (1931-2020). Scrittore inglese. Re indiscusso della narrativa di spionaggio. Ex agente segreto. «Io non sono una spia che scrive romanzi, ma uno scrittore che, per un breve periodo della sua vita, ha fatto la spia» • David John Moore Cornwell, questo il suo vero nome, «era figlio di un truffatore. Suo padre, Ronnie Cornwell, era amico dei famigerati e fotogenici banditi londinesi, i gemelli Kray. Scontò una condanna in carcere per una frode nei confronti di una compagnia di assicurazione e, per dirla con le parole di Le Carré, “non faceva che progettare ed escogitare sistemi illegali per guadagnarsi da vivere”. “All’apice della sua carriera di malfattore possedeva un ippodromo a Maisons-Laffitte, fuori Parigi, e lo si poteva incontrare a Monte Carlo all’Hôtel de Paris in compagnia del sindaco di Londra”, ricorda. “Ebbe una vita molto avventurosa. Certo quando le cose andavano male la polizia veniva a cercarlo a casa, e noi nascondevamo le auto dietro la casa e spegnevamo tutte le luci”. La vita del giovane Le Carré era piena di imprevisti: “Mio fratello e io dovevamo spesso cambiare casa in tutta fretta. Capitava sovente di rimanere senza denaro. Le poche volte che nostro padre era a casa pretendeva di essere il centro dell’attenzione. Chiunque si azzardasse a leggere un libro veniva immediatamente rimproverato”. Quando aveva cinque anni sua madre se ne andò e John fu spedito in collegio, dove rimase fino ai 16 anni» (Dwight Garner) • «David Cornwell aveva iniziato a lavorare per i servizi segreti di sua maestà quasi per gioco […]. Il primo incarico consistette nel trascorrere diverse ore seduto in un parco di Ginevra, con un libro di Goethe aperto sulle ginocchia. Un passante gli chiese se avesse visto il suo cane, e la risposta concordata fu: “Sì, l’ho visto”. L’attività di spionaggio continuò sporadica negli anni dell’università» (Federico Varese). «A Oxford si laureò in lingue con il massimo dei voti e cominciò a lavorare per l’MI5. Poco dopo iniziò a scrivere il suo primo romanzo: Chiamata per il morto. Adorava il Security Service MI5: “Era come lavorare per un grande giornale. Gente divertentissima. Erano tutti molto anticonformisti, aperti, intelligenti e con strani interessi”. Nel 1960 fu trasferito all’MI6 e inviato a Bonn e Amburgo, dove si occupò di intercettazioni, interrogatori e formazione di agenti sul campo. I servizi non gli consentirono di pubblicare il suo primo romanzo con il suo vero nome, David Cornwell, così chiese all’editore di consigliargli uno pseudonimo. “Mi consigliò due monosillabi dal suono anglosassone, del tipo ‘Chunk Smith’ o ‘Hank Brown’”, dice Le Carré. “Io scelsi ‘Le Carré’. Dio solo sa perché o come mi era venuto in mente”» (Dwight Garner). «Scrivere libri era la mia valvola di sfogo. Avevo preso ad alzarmi di buon mattino e a scrivere sul treno che mi portava al lavoro. Fu un atto di protesta contro l’ambiente in cui ero immerso a quel tempo. Ero riuscito addirittura a crearmi il padre che non avevo mai avuto, un padre capace di stemperare e risolvere problemi. Mi riferisco a George Smiley, il protagonista dei miei romanzi» (ad Adam Michnik e Pawel Smolenski). «Il doppiogiochista e traditore Kim Philby, che Le Carré descriverà ne La talpa, aveva nel frattempo passato al Kgb l’identità di tutti i funzionari inglesi sotto copertura, inclusa quella di David. In ogni caso, con la pubblicazione de La spia che venne dal freddo (1963), David decise di dimettersi dal ministero degli Esteri e di dedicarsi interamente alla scrittura» (Varese). «John le Carré pubblicò nel 1974 il suo libro fondamentale, quello che ha cambiato le regole e il linguaggio della spy story, ha messo in forma romanzesca, e romantica, la ferita aperta di un Paese, ha raccontato un potere occulto che si sente tradito, che cerca il traditore e che scopre molto più marcio, in Inghilterra, di quello che immaginasse. Insomma, ecco La talpa. […] A quanto si racconta, La talpa come la conosciamo è la seconda versione del libro scritta da John le Carré. La prima, pare, non gli piaceva, e venne data alle fiamme» (Irene Bignardi). «La spia perfetta del 1986 era già più un intenso dramma famigliare che una spy story, dove il tradimento passa di padre in figlio. Il libro divide i vecchi dai nuovi lettori di Le Carré. I primi smettono di seguirlo, sconcertati dalla trama troppo poco thrilling; i secondi si avvicinano a un autore di enorme popolarità sulla scia dei vecchi successi e delle trasposizioni cinematografiche dei suoi libri. È ovvio che il crollo del Muro di Berlino – il luogo dove finiva La spia che venne dal freddo – abbia un enorme impatto sull’immaginario dello scrittore. Il mondo del quale aveva descritto così bene crudeltà e intrighi, la cristallizzazione Ovest-Est che sembrava destinata a durare per sempre, va in pezzi in una sola notte. Ne sarà la riprova La Casa Russia, che esce proprio nel 1989, l’anno del collasso delle dittature comuniste europee. Un romanzo debole e di sicuro fuori tempo massimo. Un cambio di passo è necessario, cosa che peraltro lo scrittore aveva già probabilmente compreso nel 1983 con la pubblicazione di La tamburina, il romanzo precedente a La spia perfetta e incentrato sul conflitto israelo-palestinese, che non è certo uno dei suoi migliori. […] Dagli anni ‘90 Le Carré si dedica a cercare nuovi fondali sui quali proiettare l’ambiguità dell’essere umano. […] Da questa ricerca scaturisce una serie discontinua di romanzi nei quali l’autore cerca, pur restando fedele al mondo dello spionaggio, di inserire nuove trame e fondali. C’è la guerra in Caucaso in La passione del nostro tempo del 1995, lo Stato di Panama in Il sarto di Panama del 1996, l’Africa corrotta e inguaribile in Il canto della missione del 2006. A questi e altri lavori di secondo piano un ritrovato Le Carré può comunque contrapporre due romanzi d’impatto. Single & Single del 1999 prende di petto la collusione della finanza internazionale e dei grandi studi di avvocati con gli ambienti mafiosi. […] Lo dimostrano anche i tre romanzi pubblicati tra il 2008 e il 2013, Yssa il buono, Il nostro traditore tipo e Una verità delicata» (Silvio Bernelli). «Da quando gli è crollato sotto gli occhi il Muro di Berlino, e l’impero del male comunista non esiste più, John le Carré ha trovato un nuovo nemico negli Stati Uniti. Un triste voltafaccia, che va di pari passo con la debolezza delle trame. Multinazionali e Cia sono i nuovi (e banalissimi) nemici» (Mariarosa Mancuso). Nel 2016 è stata pubblicata la sua autobiografia Tiro al piccione, mentre l’anno successivo, col romanzo Un passato da spia, ha visto il ritorno in scena del suo personaggio più amato, l’ormai ultracentenario George Smiley, a 27 anni dalla sua ottava e ultima apparizione (ne Il visitatore segreto, del 1990). • «Le Carré si diverte anche a fare piccole apparizioni come attore, celandosi in alcune occasioni dietro il suo vero nome nei credits» (Max Borg) • «Le Carré scrive a mano con una biro, corregge (molto), aggiunge dettagli e modifiche su striscioline di carta che vengono incollate o pinzate sul foglio principale. Risulta poi che la paziente ed angelica moglie, Jane, ribatta il tutto in una forma consultabile da editor ed editori» (Bignardi). «Continuerò a scrivere finché potrò, anche senza pubblicare. Fa parte della mia quotidianità. Quando termino un libro, comincio subito quello successivo». «Ho smesso da tempo di leggere i critici. Le recensioni negative ti inducono al suicidio. Le positive ti fanno credere un dio» • «Sì, sono nostalgico della Guerra fredda. Perché a quei tempi avevamo delle speranze per il giorno in cui sarebbe finita e avremmo ricostruito il mondo. Perché i contendenti si muovevano all’interno, grosso modo, dello stesso sistema culturale. Ora il potere si sta spostando verso Est e capiamo sempre meno i nostri interlocutori. No, è difficile vedere vie d’uscita» • «Se guardo all’arco della mia vita, vedo che è stata una continua serie di impegni e di fughe. Che io stessi insegnando o che stessi lavorando per il mondo dello spionaggio, tutto mi è stato offerto in modo che potessi prima abbracciare e poi fuggire le situazioni che avevo scelto. Finché non ho scoperto la scrittura: e la scrittura è un luogo da cui non posso più fuggire» • Tre figli dalla prima moglie Alison Ann Veronica Sharp, uno (Nicholas, a propria volta scrittore con lo pseudonimo di Nick Harkaway) dalla seconda Valerie Jane Eustace, con cui viveva da oltre quarant’anni in una villa-fattoria sulla costa della Cornovaglia. Morto sabato notte per una polmonite non dovuta al Covid.