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 2020  dicembre 30 Mercoledì calendario

Biografia di Pierre Cardin

Pierre Cardin (1922-2020). Stilista. Tra i primi a lanciare il prêt-à-porter e a sdoganare l’unisex. Francese di origini italiane. All’anagrafe Pietro Costante Cardin. «Nasce a San Biagio di Callalta, un paesino nella provincia di Treviso. Ci resta poco però, perché con la famiglia si trasferisce presto nel centro della Francia. È lì che cresce fino al 1939, quando se ne va a Vichy per diventare apprendista di un sarto e impara a cucire. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale presta servizio nella Croce Rossa (la passione per il volontariato non lo abbandonerà mai), e una volta terminati i combattimenti viene assunto da Elsa Schiaparelli. Ma è nel 1947, quando Christian Dior lo mette a capo della sua sartoria (Balenciaga invece lo rifiuta) che la sua carriera inizia davvero. Nel ’50 si mette in proprio fondando la maison che porta il suo nome, nel ’51 si fa conoscere al grande pubblico grazie alla creazione di numerosi e spettacolari costumi per il ballo in maschera organizzato a Venezia da Carlos de Beistegui, e presenta la sua prima collezione couture nel 1953» [Tibaldi, Rep]. «A lui vanno riconosciuti molti primati: fu il primo a creare la collezione moda per l’uomo nel 1960; il primo ad andare in Giappone, in Cina e in Russia aprendo boutique; il primo ad applicare le licenze nella distribuzione di prodotti che non fossero solo abbigliamento; il primo ad allestire mostre; il primo a vestire ogni ambito del vivere, dagli occhiali ai ristoranti, dalle navi agli aerei. Stilista ma anche sarto, abilissimo a cucire, Amato da icone del cinema e del jet set come Elizabeth Taylor, Barbra Streisand, Jeanne Moreau, Lauren Bacall, Jackie Kennedy, Charlotte Rampling, ma anche da gruppi leggendari come i Beatles (per i quali aveva creato l’abito nero con il collo alla coreana) e i Rolling Stones. Omosessuale dichiarato, ha sempre ribadito la sua attrazione per Jeanne Moreau, dalla quale avrebbe desiderato anche un figlio, uno dei suoi più grandi rimpianti: “I figli ti danno prospettiva e offrono l’opportunità di trasmettere loro la tua esperienza”. Per questo ha sempre coltivato con grande dedizione il rapporto con il nipote Rodrigo Basilicati, nominato anche designer della maison e suo erede artistico» [Proietti, CdS]. «Vorremmo poter scrivere cose meravigliose di Pierre Cardin, il couturier della “robe bulle” e di quel sogno che si chiamava Space Age. Vorremmo dire che l’allievo di Elsa Schiaparelli e di Christian Dior fu il primo a immaginare la moda unisex, a vestire i Beatles in tour, ad aprire un negozio in Giappone e non aggiungere altro. Come hanno fatto in molti. Invece ci continua a venire in mente l’epiteto con cui veniva etichettato dopo gli anni Ottanta qualunque stilista esagerasse con le licenze (“vuoi finire come Pierre Cardin a firmare le piastrelle del bagno?”), e ci sovviene una sfilata a cui assistemmo a Firenze nel 2003 grazie a Pitti che, per ragioni sue, aveva deciso di celebrare il cinquantenario di attività del trevigiano che aveva conquistato Parigi e il mondo intero firmando qualunque cosa gli capitasse a tiro. Nel salone di Palazzo Corsini era stata issata una gran passerella, alta come si usava nel Dopoguerra per cui noi, sedute in prima fila, potemmo osservare non solo quegli abiti che sembravano (e in effetti erano) pensati nel loro effetto spaziale, cioè senza tener conto dell’anatomia di chi li indossava e in particolare di quella femminile, ma soprattutto le scarpe, che sfilavano ad altezza del nostro sguardo. Erano tutte modelle degli anni Ottanta, nere col tacco a rocchetto, e quasi tutte avevano i tacchi sbrecciati: lo ricordiamo ancora oggi, quasi diciotto anni dopo, perché alla cena che seguì ci informammo sulle ragioni di quella inaudita sciatteria. Ci venne detto che il maestro aveva voluto usare le scarpe vintage conservate in atelier. Che nulla c’entrassero con gli anni Sessanta della Space Age che aveva contribuito a lanciare, e tanto meno con i vestiti, tant pis» [Giacomotti, Foglio]. «Cardin disse sempre di prendere ispirazione dalle forme ovali e negli anni Ottanta comprò lo stravagante Palais Bulles (Il palazzo delle bolle) in Costa Azzurra, progettato dall’architetto Lovag Antti, dove tutto, dall’esterno all’interno, è disegnato in forme sferiche. Lo mise poi in vendita nel 2015 per 400 milioni di euro. Nel 1981 acquistò il celebre ristorante Maxim’s di Parigi, simbolo della Belle Èpoque» [il Post]. Morto all’American Hospital di Neuilly.