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 2021  gennaio 04 Lunedì calendario

Biografia di Stefano Bollani


Stefano Bollani, nato a Milano il 5 dicembre 1972 (48 anni). Musicista. Uomo di spettacolo • «Curioso, versatile, eclettico» (Roberto Calabrò, L’Espresso 14/2/2014) • «Una sorta di Pico della Mirandola del pianoforte» (Paolo Biamonte) • «Arruffati capelli neri domati in un codino, una folta barba, da anni suona-compone-canta-presenta-racconta fuori dalla rete delle convenzioni e dei generi che ha piegato in un percorso non comune» (Anna Bandettini, la Repubblica 22/7/2014) • Ex enfant prodige del jazz italiano. Ha cominciato a suonare il pianoforte a sei anni, a quindici era già pagato per esibirsi, a ventuno diplomato al conservatorio. In grado di spaziare dal blues alle canzoni napoletane, dal rock al pop, dalla classica alla musica brasiliana. Quarantatré album. Cinque libri. Dieci spettacoli teatrali • «Stefano Bollani? Sì certo, ma quale? L’impressione, vista la proliferazione incontrollata dovuta al suo talento multiforme, è che non ce ne sia uno solo. C’è il pianista jazz, certo. Ma poi c’è l’interprete classico di Ravel e Gershwin scoperto da Riccardo Chailly. C’è lo scrittore di romanzi (La sindrome di Brontolo) e saggi (Parliamo di musica). C’è il funambolo del cazzeggio lanciato dal Dottor Djembé su Radiotre. C’è il divulgatore televisivo di cose di musica nel programma Sostiene Bollani, gran successo su Raitre» (Alberto Dentice, l’Espresso 13/9/2013) • Ha collaborato, tra gli altri, con i più importanti nomi della scena jazz (Paolo Fresu, Gato Barbieri, Enrico Rava, Lee Konitz, Richard Galliano), ma anche, nei suoi vari lavori, con Irene Grandi, Laura Pausini, Lorenzo Jovanotti, Elio, Peppe Servillo, Renzo Arbore e Caterina Guzzanti • Quando gli chiedono cosa faccia nella vita, spiega che in inglese esiste un solo verbo per indicare tre funzioni diverse: suonare, recitare e giocare: to play • «Proprio come le sue dita, che scorrono veloci sui tasti del pianoforte seguendo non uno spartito ma la musica, Stefano Bollani fa con i suoi pensieri. Inizia con un discorso, ma poi arriva un’idea che lo porta altrove. E poi un’altra ancora, sempre più in alto, sempre più su» (Chiara Maffioletti, Corriere della Sera, 24/11/2017) • Ha detto: «Tendo ad allargare il campo. Dico una cosa ma poi potrei dire anche il contrario, se no è noioso».
Titoli di testa «Quando gli dico che vista la mole di spettacoli e concerti annui in cui è impegnato mi sembra decisamente un malato di lavoro, un workaholic, replica che in realtà è un beautyaholic, perché fa solo cose che gli piacciono. Chiosa sorridendo: “È una vita meravigliosa, lo so”» (Vittorio Zincone, Sette 4/11/2016).
Vita Figlio di Roberto e Maddalena Bollani, lui milanese, dirigente in una ditta di inchiostri, lei di Rovigo. Una sorella più piccola, Manuela. Prima casa in via Lanfranco Della Pila, in zona Bicocca, ma Stefano non si ricorda quasi niente di Milano perché il padre viene trasferito spesso e i Bollani cambiano parecchie città. «Nella vita sono stato in tanti posti, dunque la definizione nomade, anche nomade musicale mi sta bene» • «Che ragazzino era? “Alla continua ricerca, di stimoli, di informazioni. Non c’era Yotube, non c’era Internet, andavo a caccia di film, di dischi. Ricordo di avere aspettato a lungo il Rocky Horror Picture Show, che meraviglia”» (Stefania Saltalamacchia, Vanity Fair, 3/4/2020) • «La musica in casa non c’era, nessuno suonava niente. Mio padre però era molto appassionato di canzoni degli anni Cinquanta e Sessanta, personaggi come Little Richard e Fatz Domino, Frank Sinatra, Nat King Cole, ovviamente in cima i Beatles. In generale lui era quello che faceva divertire gli amici alle feste; ecco, a proposito direi che la capacità di fare intrattenimento sicuramente l’ho ereditata da papà» (a Luca Pavanel, Il Giornale, 12/6/2016) • «Mia madre invece era stonata come una campana» (a Emilia Costantini, Corriere della Sera, 7/9/2020) • «Come è entrata la musica nella sua vita? “Posto che da ragazzino mi piaceva giocare molto a calcio e sono stato milanista per anni, la prima cosa che a proposito ho detto in famiglia è che volevo fare il cantante, avevo quattro, cinque anni; volevo essere Celentano. I miei genitori mi hanno domandato: Vuoi prima studiare uno strumento? In quel periodo abitavamo ad Alba, in Piemonte. Le prime lezioni le ho prese nel retro di un negozio di articoli musicali che esiste ancora. Silvana Bartocci è l’insegnante che per anni mi ha preparato in vista dell’esame d’ingresso in Conservatorio. Sono stato molto coccolato, in famiglia. Quando arrivavo a casa e al piano facevo una canzoncina intorno c’era l’aria tipo: ohhh, che miracolo!”» (a Pavanel) • «Perché proprio il pianoforte? “Sembrerà buffo, ma volevo uno strumento che mi lasciasse libera la bocca, per cantare appunto: poteva essere la chitarra, oppure la fisarmonica... mi sentivo più portato per il piano”. E perché l’ammirazione per Celentano? “Bella domanda da psicoanalista. La risposta tuttavia è semplice: lui riassumeva, e riassume in sé, una serie di caratteristiche che mi attiravano. Uomo di spettacolo, showman televisivo, attore di cinema, interprete canoro eccezionale... e inoltre tanto simpatico. Poi, però, mi sono imbattuto in Carosone che era un Celentano con l’aggiunta del pianoforte: sapeva suonare stupendamente, cantare, intrattenere il pubblico, divertire la gente con musica gioiosa. Ero un suo fan sfegatato”» (alla Costantini) • Quando ha dodici anni gli scrive una lettera e Carosone gli risponde: se vuole fare il musicista, gli scrive, deve cominciare dal blues • «“Da bambino facevo le imitazioni: di Mike Bongiorno, di Stanlio e Ollio, dei maestri, facevo spettacolini per i miei compagni”. Apprezzato? “Tranne che dalla maestra, sì”. Con la scuola che rapporto ha avuto? “La prof diceva di leggere Il fu Mattia Pascal per l’estate. Poi tornava e chiedeva: Bollani, hai letto Pirandello? E io dicevo no, però ho letto Kerouac, Bukowski e Stephen King. E lei si innervosiva”» (Paolo Di Stefano, La Lettura, 9/8/2019) • «“Io per sopravvivere dicevo loro quello che volevano sentirsi dire. E così ripeti che quell’anno c’è stata quella battaglia e che avevano ragione quelli”. Si annoiava? “Moltissimo. Ho sempre letto tanto, ma non quello che mi davano a scuola. Parlavano dei Promessi sposi e io leggevo Stephen King. Non credo si appassionino ragazzi di 16 anni alla letteratura così. In questo modo li obblighi a sapere chi sono i nostri scrittori più importanti: si chiama nozionismo”. Lui, già da allora, non stava molto dentro quei codici, uguali per tutti: “A scuola lo chiamano il programma. E poi finiamo con il farli nella vita. Ti vogliono programmare in modo che tu conosca delle cose piuttosto che altre: un concetto pensato per produrre impiegati. Un ragazzo è un genietto in qualcosa? La scuola gli risponde che però ha preso 5 in Storia dell’arte. Forma gente che si abitua a stare seduta davanti a un capo. Non ti prepara alla vita, ma a un lavoro preciso, in cui qualcuno ti dice cosa devi fare”. Uscire da questi schemi non è semplice, “ma la nostra vita la scegliamo noi. Nel nostro cammino, se siamo attenti, incontriamo un sacco di maestri...”» (Chiara Maffioletti, Corriere della Sera, 24/11/2017) • «Poi ha cominciato a suonare nei locali? “A 15 anni a Firenze suonavo in due o tre gruppi, avrei pagato invece venivo pagato anche 40 mila lire, facevo le due di notte anche tre volte la settimana, e il giorno dopo andavo a scuola”. Poveri genitori… “Non si preoccupavano. I compagni, che erano già grandi, venivano a prendermi a casa e a riportarmi: erano rassicuranti con i miei, dicevano: ‘Che bravo ragazzo’, e avevano modi urbani. Salvavano le apparenze…”. E il giorno dopo? “Suonare la notte mi permetteva di sopportare la scuola… Pensa stare a casa da solo a studiare un signore morto duecento anni fa che ti guarda dall’alto e se sbagli una nota ti bacchetta…”. La severità dei monumenti... “Se Mozart o Beethoven, ma anche Charlie Parker o Jimi Hendrix diventano monumenti, non si spostano più, non cambiano più e al massimo ci vanno sopra i piccioni. I musicisti poi sono tutti busti senza braccia e senza gambe, tutti disabili. La realtà è diversa. Mozart a Mantova, dopo aver ballato con la duchessa, le scrive: se voi chiavate come ballate, povero duca!”» (Di Stefano) • «Al conservatorio volevano applicassi le regole del 700. E non lo facevo. Perché dovevo imitare Bach? Trovavo un accordo bello e mi rispondevano: “Ma Bach non lo avrebbe mai fatto”. Però restava bello» (alla Maffioletti) • «Ti percepivi già come un musicista? “Mai pensato di fare altro”. Il primo stipendio vero? “Nel 1993, come turnista per i concerti di Raf. Suonavo le tastiere. Un’esperienza che... se la conosci la eviti”. Non esagerare. “Mica per colpa di Raf. Mi spiego: la rigidità della vita da turnista, che è costretto a ripetere tutte le sere le stesse canzoni con le stesse scalette, assomigliava molto alla routine del conservatorio da cui stavo scappando. Nel 1996 ci fu una svolta”. Racconta. “Stavo per accettare una tournée molto lunga con Jovanotti. Enrico Rava, trombettista e compositore jazz, mi chiamò e mi disse: ‘Hai 22 anni, non hai nessuno da mantenere, quella di Jovanotti non è la tua musica, vieni a suonare con me’. Per me era come se fosse arrivata la chiamata della Madonna. Lo seguii”» (Zincone).
Amore È stato sposato con la cantante Petra Magoni. «Non bisogna sentirsi in colpa nel chiudere una storia che non ti rende felice. L’unica possibilità è fare quello che senti, il bene o il male non esistono a priori, per questo abbiamo inventato Dio» (alla Maffioletti). Ora con l’attrice Valentina Cenni. «La amo molto». Due figli: Leone e Frida. «Se suo figlio o sua figlia fossero rapiti dalla trap? “Non è nell’aria. Frida a 14 anni suona e canta, Leone no, ha 19 anni e studia all’artistico. Forse lui potrebbe diventare trap, per assurdo” (ride) Che padre è Bollani? “Sto a vedere la pianta che cresce, curioso di sapere in che direzione si evolve. Da bambino, se qualcuno mi metteva seduto per dirmi: ‘Adesso ti insegno…’, io nella mia testa ci avevo: ‘Lallaralallalallà… questo vecchio trombone…’”» (Di Stefano, 2019).
Politica «Bollani, è anarchico? “Mi piacerebbe, perché farei parte di un gruppo preciso. Certo, lo Stato è una creatura concepita dall’alto, io sarei per un’organizzazione diversa. Quando qualcosa non funziona, va messa da parte”» (Silvia D’Onghia, Il Fatto Quotidiano 23/11/2016)
Religione «Non è credente? “Non credo nel Dio della religione cattolica, le sue rappresentazioni non mi convincono. Se proprio dobbiamo inventare un Dio, allora è donna, non scherziamo” Perché? “La vita nasce dalla donna. La madre terra. Perché pensare a un signore con la barba, che ha un figlio con la barba, generato da una donna alla quale non è stato chiesto nemmeno il parere. L’altra donna della religione, poi, è Eva: si stava bene ed è arrivata lei a mangiare una mela. Caino ha ammazzato il fratello, ma non è così grave. Viviamo in una società costruita su questa cattiveria verso le donne. Non ci sto. Dio, per me, è donna”» (Maffioletti).
Scuola «La scuola è stata pensata per preparare le persone al mondo del lavoro: sono tutti impiegati, stanno lì seduti davanti alla maestra che dice loro come fare. Li tengono seduti dodici anni, ma nessuno insegna come essere felice. E poi vengono date informazioni opinabili. Per esempio? La storia, solo dal lato dei vincitori. Tre giorni fa ero in Canada, un tassista indiano elogiava gli italiani “bravi a fare gruppo”. Gli ho risposto che non è vero, che siamo un popolo di solisti, “vedi Leonardo o Colombo che ha scoperto l’America”. Mi ha risposto: “È un modo occidentale di vedere la cosa”. Aveva ragione: Colombo l’America l’ha invasa. A scuola ci hanno raccontato una grossa bugia» (alla D’Onghia) • «Ti insegnano a disegnare e non a cantare. Ti insegnano a leggere e a capire le arti figurative, ma non a prestare attenzione alla musica. Ti insegnano a godere del suono della poesia e non del suono di un clarinetto. Ti insegnano la storia della cultura del tuo e di altri Paesi e non ti parlano mai dell’apporto dato dai musicisti alla crescita culturale. Giuro che non capisco il perché» (alla Costantini).
Routine (come raccontato a Maria Laura Giovagnini, iO Donna, 13/4/2020) • Ore 7.45. Sveglia con Beppeanna della Bandabardò. «È un’ora quasi impossibile per me, ma ormai mi sono abituato». A turno, lui e la moglie portano fuori Jobim, il loro barboncino, chiamato così come il compositore brasiliano. Poi colazione: tisana zenzero e limone, una barretta di mirtillo e grano saraceno • Ore 9. Pulizie. «Tenere in ordine le stanze è come tenere in ordine dentro se stessi» • Poi, fitness per una quarantina di minuti: yoga, Qi Gong, ginnastica posturale, craniosacrale, autoshiatsu • Pranzo (vegetariano, lui e la moglie non mangiano carne) • Ore 14.30. Studio. «Nessuna routine, niente tecnica pura, scale e arpeggi… Non ne vado fiero, però è il modo che somiglia di più. A volte mi siedo, prendo una canzone che mi piace (che so, On the Street Where You Live, da My Fair Lady) e per 30-40 minuti la suono in ogni tonalità, continuando a cambiare arrangiamenti in maniera che risulti sempre nuova. Un giorno a settimana, mini-concerto in diretta su Instagram: che gioia scoprire che le persone si collegano da ogni Paese!» • Ore 18. Meditazione, assieme alla moglie. A volte un libro, di sicuro niente tivù, nemmeno il telegiornale. «Mi informo il minimo possibile, non mi interrogo troppo sullo stretto quotidiano, solo sui massimi sistemi» • Ore 20. Ultima passeggiata con Jobim, cena frugale, film (o documentario) • Ora 24. Sipario.
Incidenti Durante un set fotografico per un’intervista a Vanity Fair il fotografo gli fece cadere in testa «una pesantissima asta in ferro (pieno). Bollani è stramazzato al suolo. E quando è tornato nel mondo dei vivi – merito di una riflessologa che, dopo avergli messo una busta di ghiaccio in testa, gli ha massaggiato i piedi – non ha neppure tentato di picchiare l’involontario killer» (Andrea Scarpa, Vanity Fair, 7/12/2011).
Curiosità Vive a Roma • Parla portoghese • Il suo fanclub: «I Bollati» • Apparso su Topolino come Paperefano Bolletta. «L’amico di Paperino mica poteva essere ricco» • Membro onorario di un collegio di patafisica. «Da quando mi hanno nominato, circa 15 anni fa, non ho mai ricevuto nessuna notizia dal collegio, di cui non conosco nemmeno la sede... e direi che questo è l’aspetto più patafisico della questione. D’altronde, la patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie e forse mi sono immaginato tutto» • Legge libri di fantascienza • Il disco Arrivano gli alieni, registrato con il desueto piano elettrico Rhodes. Un po’, agli extraterrestri, ci crede davvero. «Le fonti sono poche e in mano a Usa e Russia. Possiamo andare a intuito e ascoltare coloro che hanno avuto contatti con gli alieni. C’è un mondo da scoprire, ma per arrivare a contattarlo bisogna superare la dicotomia buono/cattivo. Concetto cattolico. Idea che ha permeato tutta la nostra cultura. Anche la legge si basa su ciò che di “cattivo” uno ha fatto. Liberarsene è difficile» (alla D’Onghia) • Gli piacerebbe comporre colonne sonore. «Il mio mito è Ennio Morricone» • «Beatles o Rolling Stones? “Beatles...” Con chi farebbe volentieri coppia, musicalmente parlando? “Louis Armstrong”» (Donatella Miliani, La Nazione, 8/7/2016) • «Con Giovanni Allevi non abbiamo niente in comune. Io amo la spontaneità, lui si è attirato antipatie perché ha puntato su una comunicazione fatta di invenzioni. Non è mica vero, per esempio, che in Giappone riempiva i teatri» (Scarpa) • In casa non ha la tivù. «Fai la tivvù, ma non guardi la tv? “Uso i dvd, la Rete... La tv la si può guardare, diventa un problema quando la accendi. Ahah. Non ho nulla contro l’oggetto in sé, ma molto banalmente in tv non trovo le cose che mi interessano”. Le trasmissioni ideali per Bollani. «Quelle con Lelio Luttazzi degli anni 50, o quelle con Johnny Dorelli degli anni 60...» (Zincone) • «Su venti che hanno fatto X Factor o Amici diciannove sono condannati a pagare per un bel po’ uno psicanalista: sono giovanissimi, arrivano da tutta Italia accompagnati dai genitori, ma non sono attrezzati ad affrontare il successo. Quando le telecamere si spengono e qualche anno dopo il loro exploit televisivo improvvisamente non li ascolta più nessuno, si deprimono» (ibidem) • L’unico personaggio televisivo di oggi che gli piace è Maurizio Crozza, ma lo guarda su YouTube.
Titoli di coda «Stefano Bollani ha cominciato a suonare a sei anni, ma quando smetterà di parlare? Parla e parla nei concerti, ed è un peccato perché nelle pause della logorrea si intravede un pianista niente male» (Camillo Langone, Il Foglio, 24/11/2017).