4 gennaio 2021
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Biografia di Liv Ullmann
Liv Ullmann, nata a Tokyo il 16 dicembre 1938 (82 anni). Attrice. Musa di Ingmar Bergman. Lui la chiamava «il mio Stradivari» in quanto perfetta interprete della sua arte. Lei, nonostante entrambi fossero già sposati, fu sua compagna per cinque anni e gli diede una figlia • «Bionda, snella, ancora bellissima» (Angela Calvini, Avvenire, 17/3/2018) • «Grande bocca, grandi occhi, grande busto reso più femminile da colori pastello: il lilla, il celeste» (Simonetta Robiony, La Stampa, 20/4/2001) • «È luminosa, allegra. E scordate anche i luoghi comuni sui norvegesi. Quando parla è molto espressiva, a tratti enfatica, si aiuta con il corpo, scoppia a ridere...» (Silvia Locatelli, Elle, 21/6/2018) • «Davanti all’obiettivo dei fotografi, non sembra a suo agio. Cerca l’espressione giusta, inclina la testa di lato, accenna un sorriso incerto, come le persone che non sanno fingere. Non si direbbe che questa splendida signora con la maglia rossa, il fisico slanciato da ragazza, abbia alle spalle una quarantina di film, un paio di candidature all’Oscar e un lungo sodalizio con un mito del cinema» (Simonetta Fiori, la Repubblica, 23/3/2018) • Sono dieci i film di Bergman in cui ha recitato: Persona (1966), L’ora del lupo (1968), La vergogna (1968), Passione (1969), Sussurri e grida (1972), Scene da un matrimonio (1973), L’immagine allo specchio (1976), L’uovo del serpente (1977), Sinfonia d’autunno (1978), Sarabanda (2003). Vista anche, tra le altre cose, in: Karl e Kristina (Jan Troell, 1970), Una donna chiamata moglie (Jan Troell, 1974), Speriamo che sia femmina (Mario Monicelli, 1985), Zorn (Gunnar Hellström, 1994) e nella miniserie Gli indifferenti (Mauro Bolognini, 1988). Carriera da regista con: Sofie (1992), Kristin Lavransdatter (1995), Lumière et compagnie (1995), Conversazioni private (1996), L’infedele (2000), Miss Julie (2014) • Ha detto: «Sono stata fagocitata da Ingmar, un vero cannibale, come ogni cineasta. Era d’una violenza estrema: non fisica, ma psicologica. Vicino a lui, però, nell’isola di Farö, non mi sono mai sentita in prigione. Ma è vero che ero una giovane felice e spensierata e che lui m’ha sospinta in ruoli sempre più di nevrotica» • «Giulietta Masina ed io eravamo molto unite: entrambe martiri di un genio».
Titoli di testa Il documentario Liv & Ingmar: A Love Story (Dheeraj Akolkar), proiettato per la prima volta al festival del cinema di Montreal nel settembre 2012. L’amara contestazione: in platea c’erano solo vecchietti, nessuno degli spettatori aveva meno di sessant’anni. Lei disse: «Anche il cinema ha la sua archeologia».
Vita Figlia di Erik e Janna Ullmann. Nata in Giappone, perché il padre, ingegnere aeronautico, è sempre in giro per il mondo: Tokio, New York, Oslo. Viene chiamata Liv, che in norvegese significa «Vita». «Quando sono triste mi dico: “Liv, devi onorare il significato del tuo nome”. Ogni mattina, sono grata alla vita per quello che ho» • Un nonno morto a Dachau, perché cercava di salvare gli ebrei dai rastrellamenti nazisti durante l’occupazione della Norvegia • Gli Ullmann sono in Canada quando Erik muore di tumore al cervello. La madre decide di tornare con la bambina nella città dove è nata: Trondheim. «La mia origine è mio padre, che è morto quando avevo sei anni e che sento sempre intorno a me, ed è mia madre, scomparsa dieci anni fa, alla quale ho domandato scusa per tutto ciò che non ho saputo capire. Ma la mia origine è soprattutto mia nonna, l’odore del suo collo quando da piccola mi prendeva sulle ginocchia per raccontarmi le storie della sua infanzia. Per tutta la vita ho cercato qualcuno che avesse quello stesso odore senza trovarlo né in mia madre né nell’uomo che amo né negli uomini di cui sono stata innamorata» (a Giorgio Vasta, il venerdì, 6/2/2018) • «Devo tutto al cinema italiano. Per me il cinema è il Vittorio De Sica di Umberto D, Miracolo a Milano e Ladri di biciclette. Mia mamma mi portava spesso al cinema quando ero una bambina di 8-10 anni. Quei film mi hanno fatto capire che c’era un altro mondo, oltre alla Norvegia, mi hanno allargato gli orizzonti. E poi c’erano quelle vostre magnifiche attrici, Silvana Mangano, Sophia Loren… Lì ho capito che volevo fare l’attrice, per essere in connessione con gli altri» (alla Calvini) • La mamma di Liv è una libraia. Lei è una bambina timida e cresce con due passioni: i libri e i film. «Leggevo molto, correvo appena possibile al cinema, ma dovevo comprare il biglietto anche alle amiche perché mi accompagnassero. I miei, una famiglia molto religiosa della provincia norvegese, non volevano che uscissi da sola» (a Mario Serenellini, la Repubblica, 21/10/2012) • A diciassette anni abbandona gli studi e inizia a recitare a teatro. «Per la famiglia di mia mamma, che era molto religiosa, è stato uno choc. Si ricredettero quando sono diventata famosa, con le candidature all’Oscar» (a Rosanna Scardi, Corriere della Sera, 16/3/2018). A un certo punto, viene notata da Bergman, che la scrittura per interpretare Elisabeth Vogler in Persona. Set sull’isola di Fårö. Lei passa il tempo libero a leggere, ma quando, di tanto in tanto, alza gli occhi dalle pagine, si accorge che il regista la sta guardando. È allora che si innamorano. «Una scogliera filmata in bianco e nero, le rocce piatte e scabre, sullo sfondo un frammento di mare grigio. Dal limite basso dell’inquadratura compare una donna, indossa un lupetto e una giacca impermeabile: ci guarda, solleva una macchina fotografica, fissa nell’oculare del mirino, scatta, impercettibilmente ci sorride, si volta e si allontana verso la costa caliginosa. È una scena brevissima di Persona, il film con cui nel 1966 Ingmar Bergman ridefinisce la grammatica della narrazione per immagini, eppure, forse proprio per questa sua fugacità, quel lampo di fotogrammi è uno dei modi in cui il volto di Liv Ullmann – il suo sguardo perentorio e disarmato – si è fatto cinematograficamente indimenticabile» (Vasta) • «La U. mostrò doti non comuni nel caratterizzare un personaggio femminile complesso e contraddittorio, rinunciando alla parola e ricorrendo soltanto alla prossemica. Il regista si legò profondamente al volto e alla fisicità dell’attrice, che scelse come protagonista di tutti i suoi film successivi» (Stefano Boni, Enciclopedia del Cinema, Treccani, 2004). Così, Liv interpreta la moglie di un pittore tormentato in L’ora del lupo, una musicista in La vergogna, la sofferente Anna di Passione, la sensuale Maria di Sussurri e grida, la psichiatra di L’immagine allo specchio e la moglie Marianne in Scene di un matrimonio. «I diversi personaggi da lei affrontati, in una continua acrobazia psichica, sono dunque, alla fine, la stessa donna? “Lo stesso uomo: Bergman. Non ho mai portato sullo schermo mogli, madri o figlie, ho sempre rappresentato Ingmar: il suo sorriso ironico, le pieghe ai lati della bocca, il corruccio tra le sopracciglia. L’ho fisicamente tradotto al femminile”» (Mario Serenellini, il manifesto, 3/3/2018) • «Come le ha cambiato la vita? “Per i miei parenti ci volle tempo perché accettassero le mie scelte: ero sposata, ho divorziato, ho avuto una figlia con Ingmar fuori dal matrimonio. Lui mi aveva dato un’enorme fiducia”» (Scardi) • «“Il nostro amore era figlio di una duplice solitudine. Ne soffrivamo entrambi, anche se eravamo già sposati. Non è un caso che a questa condizione esistenziale Ingmar abbia dedicato i primi film da me interpretati, Persona, La vergogna e Passione. Quando ci siamo conosciuti, per la prima volta abbiamo sentito di avere qualcuno che fosse lì a rassicurarci: “ti ascolto”, “ti vedo”. Ci siamo aperti completamente l’uno all’altro”. Eravate molto simili. “Sì. Anche ciò che Ingmar ignorava di sé stesso cominciò a vederlo in me, nonostante fossi una donna e molto più giovane di lui. Ma forse vedeva anche quella parte di sé che magari non gli piaceva. E, come uno specchio, io ero sempre lì a ricordargliela. Questa simbiosi psichica è molto evidente nei film che le ho citato prima”. In che senso? “Io ero lui. Rappresentavo la sua immagine riflessa”» (Fiori) • «“Ero giovane allora: venticinque anni. Forzavo Ingmar, che a quarantasei anni non si spostava mai, ad accompagnarmi. Uno dei nostri primi viaggi è stato a Roma: un bagno di folla... famosa. L’incontro più incredibile è stato con Fellini. Per strada, era magnifico: alto, grosso, cappellaccio nero — e la Ullmann ne imita, ridendo, l’imponenza — tutti noi a trotterellargli intorno. Ingmar, suo ammiratore, era felice di frequentarlo. Lui, imperiale: in giardino, spiccava boccioli e li offriva a me e a Ingmar. Un artista. Un amore anche Giulietta Masina, che una volta, con piena coscienza del suo ruolo di donna, s’era precipitata in cucina per prepararci il pranzo, bloccata subito da un imperioso Federico: ma che fai? […] Abbiamo incontrato Moravia, di cui avrei interpretato nell’88 Gli indifferenti di Bolognini per la tv. È uno dei miei scrittori preferiti: sempre circondato da donne, anche lui. E ho conosciuto Sophia e Carlo Ponti, una coppia unica. Me li ricordo, insieme, al Pantheon, lui con John Huston che parlava in continuazione dei suoi film e lei, regale, impassibile, ad ascoltare. Negli ultimi quarant’anni, non ho mai trovato nessuna città al mondo viva come Roma a quei tempi”. Nemmeno New York? “È stata una città di lavoro per me, l’ho vissuta in modo diverso. Negli anni Settanta, quando vi recitavo Casa di bambola, Woody Allen mi ha invitato a casa sua. Non l’ha fatto per me, ma per Ingmar, il suo idolo, che così avrebbe potuto finalmente incontrare. Ricordo bene la scena. Muta. Non si sono scambiati una parola tutta la sera. ‘È stato magnifico’, mi ha ringraziato Allen congedandomi. E, rientrata, trovo un messaggio di Ingmar sulla segreteria: ‘Che splendida serata’”» (Serenellini, 2012).
Amore Liv e Bergman si lasciarono dopo cinque anni nel 1970. «Una volta divisi, è stato un idillio: ognuno a casa sua, con i propri amici, i propri umori, sapendo di poter sempre contare sull’altro nei momenti difficili. È stato il suo più bel regalo, durato quasi quarant’anni: il periodo più bello trascorso con lui».
Figlia Linn Ulmann. «Io e Ingmar non eravamo sposati, le ho dato il mio cognome... Non ho preso il cognome del mio primo marito, che avevo sposato prima di incontrare Ingmar, e neanche dell’attuale. Non mi piace questa consuetudine» • «È difficile parlare di lei. Ingmar ha scritto Sinfonia d’autunno pensando a noi. Io interpreto una quarantenne che incolpa la madre per come è andata la sua vita. Ingrid Bergman, la madre, è una pianista famosa, spesso assente. Siamo state molto vicine io e Linn, poi abbiamo avuto qualche difficoltà... È vero, il rapporto con la madre è spesso conflittuale ma alcune questioni non si possono risolvere perché forse non riguardano noi madri ma voi figlie. Le mamme non possono essere sempre mamme, sai, a volte sono semplicemente esseri umani. La amo alla follia e farei qualunque cosa per mia figlia. È una scrittrice meravigliosa, un’insegnante meravigliosa, le auguro tutta la felicità possibile».
Marito Nel 1985, a Roma, dove stava lavorando con Monicelli, sposò un Americano, Donald Sanders, titolare di un’impresa immobiliare. Rito civile in Campidoglio. Rito religioso nella chiesa anglicana di San Paolo, in via Napoli. Vivono a Boston, ma svernano a Key Largo, in Florida.
Politica Ha fondato la Women’s Refugee Commission, associazione per proteggere le donne rifugiate e i loro figli nelle aree di crisi. Non le piace Donald Trump.
Religione «Nel silenzio si può comunicare. Dio, secondo me, sta in quell’attimo di assoluto che segue la fine di un concerto, prima dell’applauso» • «Signora Ullmann, Ingmar Bergman era figlio di un pastore luterano, lei ha avuto una forte educazione religiosa. Avete mai discusso della fede e di Dio, argomenti presenti in molti suoi film? “Ingmar ha sempre detto di non credere in Dio. Tanto che fece girare a me nel 1997, era la mia vera prima regia, Conversazioni private, ispirato alla storia dei suoi genitori [Erik Bergman fu vicario della chiesa di Hedvig Eleonora Church a Stoccolma ed anche cappellano reale alla corte di re Gustavo V di Svezia ndr]. Gli chiesi: ma perché non lo fai tu? ‘Tu sei la sola persona che conosco che crede in Dio’ rispose. Io sono molto credente. Ma anche lui credeva, nonostante dicesse di no. Ha avuto talmente tanti dubbi su Dio, che può averli solo uno che nel profondo crede in qualcosa. La fede è fatta di dubbi. Bergman voleva Dio, e sono convinta che Dio lo abbia aiutato nella sua ricerca”» (Calvini).
Curiosità Alta un 1 metro e 70 • Due nipoti: Halfdan e Hanna • Tutti pensano sia svedese • In Norvegia ha una casetta a picco sulla scogliera • Ha raccontato alla tivù norvegese di aver messo il gatto in lavatrice (lo salvò appena in tempo) • Ancora oggi le piace leggere • Grande fan di Sex and the City, le offrirono una parte negli ultimi due episodi, ma disse di no dopo aver letto il copione • Rifiutò il ruolo di Kate Miller in Vestito per uccidere di Brian De Palma perché in quel film c’era troppa violenza • «Trent’anni fa ero sull’isola di Macao. Davanti a me un recinto con un cartello che vietava l’ingresso, oltre il recinto decine di persone con la lebbra. Non intendevo entrare ma un prete cattolico mi si era avvicinato e mi aveva condotto all’interno. Addossata al recinto giaceva una donna molto vecchia: il volto deturpato, i moncherini, un pianto da neonata. Quando mi sono chinata e l’ho abbracciata ho sentito che il suo collo aveva lo stesso odore di quello di mia nonna» • Dice di essere l’unica attrice di Bergman a non essersi mai innamorata di Erland Josephson • Si scorda i nomi • «Più si invecchia, in questa professione, più alto è il numero di persone con cui non si lavorerà più» • «La luce blu è quel tipo di luce nel cielo quando è passato il tramonto e sta diventando buio. Descrive l’ottica che ha la persona anziana della vita. A una certa età arriviamo a non vederci più come prima, ma non è solo il tempo della chiusura, della fine e dell’attesa della morte. È un’età in cui si può mettere a frutto l’esperienza, le cose che si sono imparate, e avere una visione più chiara della vita» (Calvini) • Raccontò che Bergman, arrivato alla fine, teneva di fronte al letto, unico arredo in una stanza spoglia, una riproduzione del fotogramma di Sarabanda con Elrland Josephson e lei. «“Siamo stati dolorosamente legati fino alla fine”. Cosa intende? “Sapevo che Ingmar non stava bene, ma non era così grave. Eppure una mattina di luglio, 11 anni fa, sentii all’improvviso che dovevo correre a Farö. Noleggiai un aereo privato, la prima volta nella mia vita. Entrai nella sua stanza, lui era già assopito. Gli presi la mano e gli dissi alcune cose su di noi, sul nostro rapporto, quanto era stato importante. Non so se abbia sentito, forse la sua anima sì. Sono stata l’ultima persona a vederlo. Ingmar è morto quella notte”» (Fiori, 2018).
Titoli di coda «Ha avuto il coraggio di raccontare gli amori, le passioni, le sconfitte, i percorsi lenti e complessi dell’animo umano. Non riuscirei a immaginare un mondo senza di lui».