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 2021  gennaio 04 Lunedì calendario

Biografia di Alex Ferguson


Alex Ferguson, nato a Glasgow il 31 dicembre 1941 (79 anni) • «Il barista laburista diventato baronetto, statua, mito» (Enrico Sisti, La Repubblica 27/1/2014) • «Probabilmente il più grande allenatore della storia del calcio» (Piero Vietti, Il Foglio, 11/5/2013) • Famoso per avere allenato il Manchester United ininterrottamente per quasi 27 anni, dal 6 novembre 1986 al 19 maggio 2013. La squadra, in un periodo di crisi al momento del suo arrivo, con lui vinse tredici campionati inglesi (1992/93, 1993/94, 1995/96, 1996/97, 1998/99, 1999/2000, 2000/01, 2002/03, 2006/07, 2007/08, 2008/09, 2010/11, 2012/13), cinque Coppe d’Inghilterra (1989/90, 1993/94, 1995/96, 1998/99, 2003/04), quattro coppe di Lega inglesi (1991/92, 2005/06, 2008/09, 2009/10), due Champions League (1998/99, 2007/08), una Coppa delle Coppe (1990/91), una Supercoppa Uefa (1991), una Coppa Intercontinentale (1999) e una coppa del mondo di club (2008) • «Un totem» (Stefano Boldrini, La Gazzetta dello Sport, 3/11/2020) • «Il Winston Churchill del calcio» (The Daily Mail) • «Nessuno ha vinto al massimo livello quanto lui, ricostruendo per tre volte un team imbattibile, guidando tre generazioni di campioni, da Cantona a Beckham a Rooney» (Enrico Franceschini, la Repubblica, 16/5/2011) • Insignito del titolo di sir dalla regina Elisabetta • Soprannominato «il boss», «il capoclan» o «il comunista» (per la sua fede laburista) • «Burbero, stronzo, antipatico, teneva sempre a distanza tutti» (Jack O’ Malley, Il Foglio, 7/5/2018) • Detto anche «L’asciugacapelli», per le sue sfuriate in spogliatoio. Famosissima la volta in cui scagliò uno scarpino in faccia a David Beckham, facendolo sanguinare. «È uno che metterebbe in riga anche don Corleone» hanno raccontato i suoi giocatori, «Non ho mai avuto paura di nessuno come di quel tremendo bastardo» • A diciannove anni, da operaio, indisse uno sciopero che bloccò i cantieri navali di Glasgow. A trentatré, gestore di un pub, prese il diploma di cuoco per controllare che il suo socio in cucina non lo fregasse sulla spesa. Giocò semi pro nel Queen’s Park e nel St. Johnstone. Poi professionista col Dunfermline (’64). Approdò ai Rangers per 65.000 sterline, allora un record nei trasferimenti tra due squadre scozzesi, ma dopo due stagioni fu ceduto. Era un centravanti, segnò oltre 200 gol in carriera, vinse la classifica cannonieri del campionato scozzese con 31 gol nel 1965/66. Iniziò ad allenare nel 1974, East Stirlinghire. Poi guidò il St. Mirren (’74-78), l’Aberdeen (’78-86) e la nazionale scozzese (’85-86). Con l’Aberdeen vinse 3 campionati, 4 Coppe di Scozia, una Coppa di Lega scozzese, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea. «Abituato fin da bambino a lottare per andare avanti; un uomo che considera il bon ton sportivo roba da fighetti, e che interpreta la vittoria come l’unico mezzo per sopravvivere, crescere, prosperare» (Paolo Condò, La storia del calcio in 50 ritratti, Centauria 2019) • «Glory, glory Man United» (coro dei tifosi del Manchester)
• «Ci saranno altri Cantona, Scholes, Giggs, Cristiano Ronaldo. Ma non ci potrà mai essere un altro Sir Alex Ferguson» (Eric Cantona)
• Ha detto: «Ho guadagnato un sacco di soldi con il mio mestiere. Ma ho sempre lavorato duramente, pagato le tasse e dato aiuti alle cause giuste. In ogni caso i miei migliori amici sono quelli di una volta, dei tempi di Glasgow, sono sempre rimasto legato a loro e sempre lo sarò» • «Il mio lavoro è vincere ogni partita che devo disputare, tutto qua».
Titoli di testa «Chissà che cosa penserà domani pomeriggio, quando per l’ultima volta sbucherà dal tunnel che collega gli spogliatoi di Old Trafford al campo di gioco, sugli spalti settantamila persone in lacrime. Chissà quale ricordo gli faranno tornare alla mente quei fili d’erba che corrono lungo la fascia che porta alla sua panchina. Chissà se avrà rimpianti, pensando di non avere più occasioni per prendersi delle rivincite sul campo» (Piero Vietti, Il Foglio, in occasione della sua ultima partita da allenatore, 11/5/2013).
Vita Primo dei due figli di Alexander e Elizabeth Ferguson Nasce nella casa dei nonni a Govan, un sobborgo di Glasgow alle 15.03 dell’ultimo dell’anno. «Sono cresciuto in un quartiere della classe operaia e sono sempre stato molto consapevole dell’importanza del senso di comunità, famiglie e vicini di casa che si sostenevano uno con l´altro. Mio padre era di sinistra e lo era anche la maggior parte della gente del quartiere. Da giovane ho cominciato a credere nel partito laburista come il partito della classe lavoratrice e continuo a crederci. Per tutta la vita ho considerato il Labour come il partito che difende i più deboli, mentre i conservatori difendono i previlegiati». «Alexander Chapman Ferguson impara la disciplina dal padre, operaio socialista nel cantiere navale della città, che andava ad aiutare dopo gli allenamenti e le partite. “Ho avuto un’infanzia dura ma non povera” ha raccontato “Certo, non avevamo la televisione, né un’auto, né un telefono, ma io ho sempre pensato di avere tutto: avevo un pallone!”. Come nelle migliori storie di chi ha sfondato in questo sport, il calcio era il centro della vita di Alex. Anche quando, dopo la scuola, cominciò a fare l’apprendista in una fabbrica di macchine per scrivere. Che fosse un leader lo si capì subito: appena diventato commesso organizzò uno sciopero dei dipendenti per ottenere dai padroni uno stipendio più alto. E lo ottenne. Intanto il calcio era diventato una cosa seria, anche se era chiaro che non era da giocatore che avrebbe lasciato il segno, nonostante la facilità con cui andava in rete» (Vietti) • «All’esordio a 16 anni nel Queen’s Park un bastardo di nome McKnight mi buttò a terra e mi diede un morso. L’allenatore si infuriò con me perché non l’avevo morso a mia volta» • «A 25 anni raggiunge il top del calcio scozzese, firmando per i Rangers di Glasgow. Li lascerà due anni dopo, quando un suo errore in finale di Coppa nazionale consegnerà la vittoria ai rivali del Celtic e costringerà Ferguson a giocare le partite successive, per punizione, con le giovanili. L’episodio segnerà Alex, che – racconta il fratello – butterà nella spazzatura la medaglia d’argento dei secondi classificati. Perché prima di essere un vincente, Alex Ferguson è un bad loser, uno che non sa perdere. Che non vuole perdere» (Vietti) • «Io voglio gente che non sappia accettare la sconfitta, che dalla rabbia non riesca a prendere sonno, che sia furiosa con se stessa per aver perso. Perché è questa la gente che nella partita successiva farà di tutto pur di non riprovare quel dolore» • Primo incarico da allenatore nel 1974, all’East Stirlingshire. Il centravanti Bobby McCulley lo definisce uno «spaventoso bastardo» • «Unico licenziamento in carriera quello patito al St. Mirren, nel ’78, quando intimidisce una segretaria per far avere rimborsi in nero ai giocatori» (Tommaso Lorenzini, Libero, 12/5/2013) • Durante i suoi otto anni all’Aberdeen, la squadra diventa il terzo incomodo del campionato scozzese, pestando i piedi a Rangers e Celtic. Quando vince una Coppa delle Coppe battendo in finale il Real Madrid, lui commenta: «Ho fatto qualcosa di utile nella mia vita». Di quel periodo si dice che abbia dato una multa a John Hewitt soltanto per averlo sorpassato in auto. Lo chiamano «Furious Fergie», Fergie il pazzo • «Ferguson già da giocatore aveva ricevuto offerte dall’Inghilterra, ma le aveva declinate soprattutto per la poca disponibilità della moglie Cathy a lasciare la Scozia. Ma quando il 6 novembre del 1986 una telefonata gli preannunciò l’arrivo di un dirigente dello United che si sarebbe presentato entro un paio d’ore nel suo ufficio per offrirgli la panchina dei Red Devils, neppure Cathy – che pure chiamava il calcio “quello stupido gioco” – ebbe dei dubbi. Allo United non si può dire di no» (Vietti) • «Bisogna dimenticare tutto quello che il nome “Manchester United” ci suscita, per capire la situazione che Ferguson trovò al suo arrivo. Oggi pensiamo a questa squadra come a una delle più forti, ricche e conosciute al mondo. Quella con più campionati inglesi vinti, con tre Champions League in bacheca, decine di campioni che hanno indossato quella maglia e un settore giovanile tra i migliori in Europa. Dimenticate tutto questo. Nel 1986 lo United era una squadra mediocre, da mezza classifica e al massimo un paio di FA Cup (l’equivalente della nostra Coppa Italia) vinte qualche anno prima. Nobile decaduta, il Manchester viveva un presente triste specchiandosi nel suo passato glorioso. Bobby Charlton e George Best, che avevano fatto grande lo United negli anni Sessanta, erano un peso difficile da portare per un club dove lo sport preferito dei calciatori non era giocare ma bere. “Quando arrivai allo United – ha raccontato Ferguson – questo club aveva già una gloriosa tradizione alle spalle. Mi misi a leggere un sacco di libri sui Red Devils e familiarizzai con la loro bellissima storia. Poi smisi del tutto. Compresi che così facendo, invece di concentrarmi sul futuro, come avrei dovuto fare, stavo perdendo troppo tempo a pensare al passato”. Bisognava ricreare un ambiente, far tornare a essere un football club quello che nel frattempo era diventato – definizione sua – un drinking club, rimettere lo United davanti a Liverpool e Arsenal» (Vietti) • Primo discorso nello spogliatoio dell’Old Trafford. «Il fatto è semplice: dobbiamo cominciare a raccogliere risultati». Nove parole • Lui allora punta tutto sulle giovanili: dice che la squadra deve prodursi in proprio i suoi calciatori. Da quella scuola escono: David Beckham, Gary e Phil Neville, Paul Scholes, Ryan Giggs e Danny Welbeck. La seconda stagione va meglio: lo United arriva secondo, a nove punti di distanza dal Liverpool. La terza è di nuovo un fallimento: undicesimi un’altra volta. «Nell’estate del 1989 arrivarono nuovi giocatori, ma la situazione non migliorò. Dopo una serie di risultati negativi, nel dicembre di quell’anno – “Il periodo più brutto della mia carriera”, dirà poi Sir Alex – all’Old Trafford apparve uno striscione inequivocabile: “Tre anni di promesse ed è ancora una merda, addio Fergie”. I giornali lo davano per spacciato, l’unico dubbio era su quale partita sarebbe stata decisiva per il suo licenziamento. Quella partita arrivò. Terzo turno di FA Cup, l’avversario era il Nottingham Forest. Tutti si aspettavano una sconfitta dello United. Quando Mark Robins segnò il gol della vittoria dei Red Devils, non sapeva che quella rete avrebbe cambiato la storia del calcio. Il Manchester United di Alex Ferguson nacque quella sera. La conseguenza del gol di Robins fu la finale di FA Cup contro il Crystal Palace: 3-3 nella prima sfida e vittoria per 1-0 nella ripetizione. In sede potevano togliere la polvere dalla bacheca dei trofei. E cominciare a cercarne una più grande. L’anno dopo fu la volta della Coppa delle Coppe, con successiva vittoria della Supercoppa europea. Per vincere il primo campionato, però, Ferguson dovette aspettare il 1993. Dopo ventisei anni di digiuno, lo United era di nuovo campione d’Inghilterra» (Vietti).
Amore La moglie Cathy, sposata nel 1966. Tre figli maschi: Mark (n. 1968) e i gemelli Jason e Darren (n. 1972). Anche Darren ha fatto il calciatore.
Rabbia «Dopo una sconfitta non era raro sentirgli dire che il suo United aveva perso per colpa dell’arbitro. Faceva parte del suo modo di essere, anche se ci credeva davvero, ma la sua rabbia si fermava all’invettiva. Nessun complotto, nessuna accusa di corruzione, nessun pianto né ostentazione di superiorità morale. Nella penultima stagione sulla panchina dei Red Devils perse il campionato per due gol che il Manchester City fece nei minuti di recupero dell’ultima partita. Ferguson non accusò gli avversari del City di essersi scansati, né i tifosi dello United se la presero con chi durante la stagione aveva fermato la loro squadra sul pareggio pur non avendo obiettivi concreti. Lo perse per differenza reti. L’anno dopo lo vinse lui» (O’ Malley).
Politica «In Gran Bretagna, al tempo del Labour al potere e del fortissimo Manchester United, la foto di Tony Blair in campo con Alex Ferguson poteva anche significare qualcosa di più che una semplice passione per il football» (Michele Farina, Corriere della Sera, 1/4/2018).
Religione Sua madre era cattolica, suo padre protestante. Lui è protestante, ma ha sposato una cattolica. Ha sempre detto che quando militava nei Rangers, in Scozia, lo trattavano male per la fede della moglie.
Vizi Le gomme da masticare. Pare ne facesse fuori un pacchetto da 14 ogni 45 minuti di partita.
Curiosità Alto 1 metro e 80 • Ha otto lauree honoris causa • A Manchester gli hanno eretto una statua • Appassionato di vini e di cavalli • Sul suo primo faccia a faccia con José Mourinho: «Durante il post-gara mi chiamava “boss” o “big man”, ma sarei stato più contento se i suoi saluti fossero stati accompagnati da un buon vino. Mi ha portato dell’aceto!» • Ascolta i Deep Purple • Gli piacciono i film di Ken Loach (in Il mio amico Eric ha recitato anche il suo ex giocatore Éric Cantona). «Si racconta che un giorno, in stretta confidenza (ma quanto stretta?), Sir Alex Ferguson gli abbia telefonato: “Senti un po’ Eric, ma non ci sarebbe una parte per me e mia moglie in uno di questi bei film sul proletariato britannico?”. Si cerca ancora di capire se stesse scherzando» (Enrico Sisti, la Repubblica, 29/12/2019) • Ha tenuto un corso di management dello sport alla Harvard Business School • Nella sua biografia (La mia vita, Bompiani, ed. it. 2015) non nomina mai né la monarchia né Margaret Thatcher • Anche se è fieramente scozzese, non vuole l’indipendenza • Se potesse andare a cena con un personaggio storico sceglierebbe JFK o Abramo Lincoln • «Il suo difetto peggiore? L’accento scozzese che ne rende spesso incomprensibile l’eloquio. Il talento segreto? Ha un grande orecchio per la musica e non si vergogna di prendere a quasi sessant’anni lezioni private di pianoforte. L’amore di gioventù? I Rangers Glasgow. La curiosità? È diventato un videogioco per PlayStation: Alex Ferguson’s Player Manager» (Luca Valdiserri, Corriere della Sera, 14/11/2001) • «I giocatori migliori che ho visto sono stati Pelé, Di Stefano, Maradona e Cruyff, in quest’ordine» • «Paul Gascoigne è il giocatore che più mi dispiace di non avere portato a Manchester. Era un calciatore incredibile, probabilmente il miglior giovane uscito dall’Inghilterra negli ultimi trent’anni. E un altro rammarico è Paolo Di Canio. Da noi sarebbe diventato un grande. È stato un buon calciatore, ma da noi avrebbe potuto esprimersi al livello di Best, Cantona, Rooney. Siamo bravi a fabbricare campioni, in questo club» • Dopo il suo ritiro hanno scritto il suo nome sulla tribuna, proprio davanti alla sua panchina: il suo successore sarà costretto a guardarla ogni volta • Nel 2018 è stato ricoverato per un’emorragia cerebrale • Il giorno del suo addio al calcio i suoi giocatori, per ringraziarlo e «per cercare di fermare il tempo», gli hanno regalato un Rolex del 1941 con le lancette posizionate sulle 15.03, l’ora della sua nascita • A proposito del Manchester City ha detto: «Può capitare di avere dei vicini rumorosi, non puoi farci niente: saranno per sempre rumorosi. Bisogna andare avanti con la propria vita, alzando il volume della tv» • «In canna c’è una sola pallottola: a chi spara? Ad Arsène Wenger o a Posh Beckham?». «Posso avere due pallottole?».
Titoli di coda «Non ne fanno più della pasta di questo scozzese, che è già entrato nell’eternità della storia del calcio» (O’ Malley).