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 2020  dicembre 19 Sabato calendario

I 100 anni di Franca Ciampi

Al telefono la voce arriva flebile e insieme energica, come di chi vuole essere padrona della propria vita fino alla fine, e forse anche dopo la fine. «Come vuole che stia? Sono stanca, molto stanca. Sto per compiere cent’anni e ho una grandissima voglia di raggiungere mio marito».
Oggi Franca Pilla festeggia il traguardo dei saggi, il compleanno del secolo vissuto per tre quarti al fianco di Carlo Azeglio Ciampi. Al fianco, appunto. Non un passo indietro, di lato, o nel distanziamento scelto da altre mogli della Repubblica non certo per difetto di temperamento. Ma “donna Franca”, come la chiamavano i quirinalisti, il suo carattere forte e a tratti impulsivo l’ha messo al servizio delle istituzioni, ripristinando un ruolo da first lady ormai dimenticato, e forse anche qualcosa di più della veste tradizionale della première dame (significativo che in italiano non esistano titoli analoghi a quelli inglese e francese).
Il destino ha voluto che i funerali di Ciampi si svolgessero proprio nel giorno del loro anniversario, il 19 settembre del 2016, a settant’anni dal matrimonio celebrato in una Bologna appena resuscitata dalla guerra. E la memoria presbite dei vecchi finisce per andare sempre là, agli anni più belli della giovinezza, al primo incontro a Pisa al «tè danzante» organizzato da amici di famiglia: entrambi diciannovenni e universitari, l’uno livornese l’altra nata a Reggio Emilia da una famiglia molisana, stessa annata e stesso mese, e ora nel 1939 uniti anche dalla Normale, la Scuola d’eccellenza dove incubavano umori antifascisti.
Da quel pomeriggio musicale sarebbe iniziato il lungo corteggiamento a distanza, nel fondale cupo della storia, tra le leggi razziali che avevano fatto sparire il professore di tedesco Paul Oskar Kristeller e la dichiarazione di guerra alla Francia, al fianco della Germania di Hitler. Lei piccolina, agile, molto sveglia. Lui timido, studioso, un’ironia arguta da toscano bennato. «Ci innamorammo subito», avrebbe raccontato la first lady a Massimo Giannini. «E da quel giorno il filo non s’è mai spezzato».
Rientrato dalla guerra – dove intanto s’era unito ai partigiani di Giustizia e Libertà – il futuro presidente bussa senza preavviso alla sua casa di Bologna e dopo un attimo si trova a passeggio con Franca, a progettare il futuro insieme: è il settembre del 1945, l’anno successivo il matrimonio nella stessa città. Ma è stata Franca a scegliere Carlo o viceversa? Alla domanda di Arrigo Levi, formulata in un libro-intervista pubblicato dal Mulino, Ciampi preferì lasciar cadere il discorso. Forse perché l’inequivocabile risposta si evince dal prosieguo della storia.
Dietro molte scelte di Ciampi, poi rivelatesi provvidenziali, c’è la determinazione della moglie. Fu Franca a spingerlo a prendersi una seconda laurea in giurisprudenza, dopo la prima in letteratura greca con Augusto Mancini. E fu sempre la moglie – grazie ad alcune amicizie di famiglia – a dirottarne gli interessi dall’insegnamento liceale alla Banca d’Italia, dove comincia a Macerata da archivista-ispettore per chiudere in via Nazionale da Governatore. La carriera del marito impone traslochi e capacità di adattamento e non sarà facile lo strappo dai riti placidi della provincia marchigiana per trasferirsi con i due bambini tra i temuti palazzacci della capitale. Siamo nel 1960, in un’Italia in pieno cambiamento. Carlo intuisce il malumore della moglie e fa di tutto per trovare casa in una delle strade più accoglienti, tra il verde di Villa Ada e il parco Nemorense, in quel quartiere Trieste da cui mai si sarebbero mossi, se non per salire sul colle più alto. Anche la sera prima dell’incarico presidenziale, Franca rimane un po’ spiazzata quando Carlo le comunica: da domani si dorme al Quirinale. E se da signora governatrice non aveva mai fatto parlare di sé, nella veste di first lady quasi ottuagenaria inaugura un nuovo stile che segnerà la storia della Repubblica.
In realtà era stata una decisione del presidente Ciampi: incoraggiare un ruolo attivo di Franca nel suo settennato al Quirinale. Più di ogni altro ne conosceva il carattere indomito e la straripante umanità, ma pur di attuare il suo progetto pedagogico non solo sull’italianità ma anche sulla famiglia preferì affrontare il rischio di essere zittito pubblicamente dalla consorte. Se lui era il padre di tutti gli italiani, Franca doveva esserne la madre. Con tutta l’intrusiva sollecitudine che solo le madri sanno esercitare sui figli. E con la dispotica determinazione con cui le ragazze del secolo scorso sanno rendersi indipendenti dal proprio compagno.
Viste con la lente di oggi, quelle che apparivano ai quirinalisti come stravaganti alzate di ingegno d’una signora âgée erano segni di un’emancipazione che spezza i vincoli del silenzio subalterno e toglie alla figura della première dame il ruolo esornativo da accompagnatrice muta. La presenza di Franca Ciampi è stata costante, nelle ambasciate del mondo, nei luoghi istituzionali e soprattutto in mezzo alla gente comune, terreno ideale per quelle che il presidente con sguardo sornione chiamava le «uscite estemporanee di mia moglie». Sempre dettate da un urto di coscienza come quando, in piena retorica leghista contro la zavorra del Mezzogiorno, eruppe a Napoli con uno spassionato elogio della «gente del Sud, più buona e più intelligente». Roberto Calderoli, ministro delle Riforme, indignatissimo per l’affronto alla razza padana pretese dal Quirinale una smentita, che di fatto non arrivò, se non nella forma ovattata d’un comunicato di maniera. Altra sortita passata alle cronache fu quella contro «la Tv deficiente che corrompe le nuove generazioni», e certo la signora Franca non poteva prevedere che da quegli studi televisivi sarebbe uscita parte della futura classe dirigente, politica inclusa. Ma il confine più estremo fu raggiunto al cospetto di papa Wojtyla, e non per quell’invito «a non strapazzarsi» che fece tintinnare il corteo di frac e divise riccamente addobbati con ciondoli e catene. Durante un lunch privato con il pontefice, vedendolo piegato in due dalla malattia, alla signora Ciampi scappò detto: «Santità, io tutti i giorni prego per lei», dimenticandone per un momento il rapporto privilegiato con il Padreterno. «Santità, io non mi permetto di pregare per lei, però la penso spesso», corse ai ripari il presidente dopo aver incenerito la moglie. E fu tra loro tre come «un abbraccio nello sguardo», racconta Ciampi, forse anche il Papa divertito da quella gaffe rivelatrice d’un’indole incontenibile ma generosa. Quando finito il settennato gli chiesero il segreto del suo longevo matrimonio, Ciampi rispose con la voce rotta dall’emozione: «Non ci siamo mai addormentati in discordia».
Insieme a Carlo Azeglio Ciampi, anche Franca Pilla ha lottato per un’Italia migliore, socialmente più giusta e fortificata nelle istituzioni democratiche. Volevano entrambi qualcosa di diverso dal paese diseguale che mette in fuga le generazioni più giovani. Gli ultimi senza Ciampi, poi, non sono stati tra i migliori anni della nostra vita pubblica, con una destra populista che fomenta l’odio xenofobo e grida scomposta contro l’Europa. Ancora più minuta ed esile di prima, donna Franca s’è ritirata dalla scena e al telefono dice con precisione: «Sono anni che non voglio più vedere nessuno. Non è sottrazione ma sono nauseata. E mi piace stare ritirata nel mio piccolo mondo», anzi dice «nostro», «nel nostro piccolo mondo». Lei, la ghirlanda dei ricordi insieme a Carlo, e il desiderio di raggiungerlo in quell’aldilà in cui non hanno mai smesso di credere. In fondo se l’erano detti tante volte, e lei pregava: Signore, facci arrivare insieme alla fine, a me a e Carlo. Ma ogni volta lui la distraeva dal dolore dell’addio con l’ironia del toscanaccio. «Hai fretta? Perché se proprio hai fretta, vai avanti tu per prima che poi io ti raggiungo». È andato avanti lui, ma sul traguardo finale entrambi non hanno mai avuto dubbi. «Grazie per esservi ricordati di me: apprezzo molto i vostri auguri. Ma ora devo andare», sussurra Franca Pilla nell’accomiatarsi. E la voce stanca svanisce nel nulla, lasciandosi dietro un’eco di malinconia.