1 dicembre 2020
Tags : Ferruccio Soleri
Biografia di Ferruccio Soleri
Ferruccio Soleri, nato a Firenze il 6 novembre 1929 (91 anni). Attore teatrale. Regista. Drammaturgo • «Il grande Arlecchino del Piccolo Teatro» (Ugo Volli, la Repubblica, 14/1/2005) • «Il solo attore italiano che si ricordi che abbia recitato un unico personaggio (a parte qualche altro sporadico ruolo), con tanto di attestato del Guinness dei primati per “la più lunga performance di teatro nello stesso ruolo”» (Anna Bandettini, la Repubblica, 24/4/2018) • Scelto nel 1959 da Giorgio Streheler per dare, una volta a settimana, il cambio a Marcello Moretti, che in Arlecchino servo di due padroni interpretava il ruolo del protagonista, prese definitivamente il posto alla morte di lui. Dal 1960 al 2018 ne ha indossati i panni della più celebre maschera veneziana per 2283 volte • «Un uomo straordinario» (Paolo Poli) • «Senza la maschera gattesca e il costume variopinto di Arlecchino è un signore minuto e gentile, capace di portare con ardimento e grazia i suoi anni» (Leonetta Bentivoglio, la Repubblica, 26/10/2002) • «Schivo, quasi timido, modesto di una modestia propria di chi possiede il mestiere» (Laura Landolfi, Il Foglio, 15/12/2012) • Quando, a 89 anni, non riuscendo più ad esibirsi in salti e capriole sul palcoscenico, appese la maschera al chiodo, disse: «Cominciavo a sentirmi più debole, rischiavo di cambiare la fisionomia della maschera. Dunque, largo ai giovani». Poi aggiunse: «Oh, sono del ‘29, io».
Titoli di testa «Cosa vuol dire indossare la maschera? “Rinunciare a essere narciso. La maschera nasconde, crea mistero. Solo alla fine te la puoi togliere, svelarti per un attimo. Con la maschera bisogna imparare a conviverci, a reggerla, a respirarci dentro. A esprimere gli stati d’animo usando il poco che non cela, la bocca, il mento. Una prigione foriera di libertà”» (Giuseppina Manin, Corriere della Sera, 1/11/2019).
Vita Ultimo di tre figli. Il padre, Ernesto, piemontese, classe 1883, barba candida, professore di storia e filosofia, molto austero, ha un cane guida sempre al fianco: ha perso la vista quando aveva diciott’anni per un incidente in montagna. «Certe volte lo guardavo seduto alla scrivania. Le mani prensili, stese sulla pagina braille. Pensavo: riesce a vedere con le mani. Ma come fa? Sentivo il ticchettio del bastone. Un magnete attratto dai dettagli della realtà: il marciapiede, i muri, le colonne. I ciechi, mi disse un giorno, hanno la capacità di domare l’invisibile» • A sette anni è in vacanza con i suoi al Lido di Camaiore, ospite di Antonio Gandusio, celebre attore dell’epoca. «Nella cameretta destinata a me c’era un armadio, dentro un vestito cucito con pezze di tanti colori. Degno di uno straccione o di un re. Lo guardai incantato. Mai avrei pensato che sarebbe stato la divisa della mia vita. Un segno del destino» • Ferruccio da ragazzo, pensa a tutto meno che a recitare. Ha tantissime passioni: calcio, salto, nuoto, tuffi, ginnastica artistica, danza classica, accademia navale, brevetto da pilota • Il suo primo amore è il circo. A nove anni sogna di fare il clown. «Col pigiama di mio padre, il volto dipinto, intrattenevo mia sorella, convincendola a dirottare la nostra governante verso una tenda del circo per sbirciare». «A casa saltavo dal tavolo da pranzo, atterrando con una capriola finale, davanti agli occhi terrorizzati di mia sorella. Appresi così a muovermi, a scattare e flettere. A governare il corpo» Del circo, Ferruccio, vuole proprio fare la sua professione. «Lo dissi ai miei: lasciatemi provare, implorai. “Ma che succede a Ferruccio? Chi gli ha messo in testa queste cose?” Diceva mia madre rivolta a mio padre. Si opposero. Insistetti, minacciai di fuggire. E mio padre, paziente, mi spiegò, che il circo è come una lunga catena familiare: ne fai parte perché tutti gli altri – i fratelli, le madri, i padri, gli zii – ne fanno parte. “Tu sei solo e io, come puoi capire, non potrò mai venire con te”». Non si è mai visto un cieco che fa il domatore o l’equilibrista • A un certo punto comincia a giocare a calcio. È nell’Audax Rufina. «Ero un centravanti veloce. Un anno vinsi la classifica dei marcatori. Altre squadre si interessarono a me. La società decise di vendermi al Cosenza. Rifiutai il trasferimento. Durante una partita mi ruppi una gamba. Mi falciarono. Finirono carriera e sogni» • «“Mi iscrissi all’università. Facoltà di matematica e fisica. Al terzo anno smisi. Avevo cominciato a frequentare l’Accademia teatrale di Firenze. Ricordo Ilaria Occhini, bellissima; Paolo Poli, stravagante; Renzo Montagnani, una laurea in farmacia buttata al vento per inseguire i sogni teatrali” E lei? “Sentii crescere la passione. Fu Beppe Menegatti, che avrebbe sposato Carla Fracci, a consigliarmi Roma. Se vuoi fare teatro, all’Accademia Silvio d’Amico troverai i maestri giusti”» (Antonio Gnoli, la Repubblica, 24/11/2015) • «Seppi dell’ammissione lo stesso giorno in cui mi presero nel corpo di ballo del Maggio musicale fiorentino, al termine dell’audizione dissi che sarei andato a Roma e cercarono di scoraggiarmi, non avevo voce, ero troppo piccolo per fare l’attore» • Debutto da studente all’Accademia: una particina in Le donne dell’uomo, di Gennaro Pistilli, una commedia contemporanea. «Dicevo una battuta o poco più» • Ferruccio è ormai al terzo anno quando Orazio Costa, il suo maestro, in vista del saggio finale, gli assegna per la prima volta il ruolo di Arlecchino. Lo spettacolo è La figlia obbediente di Goldoni. Costa gli dice: «Tu sei sputato a quella maschera, non te l’ha mai detto nessuno?» • «Io protestai, gli dissi che ero toscano, non sapevo il dialetto veneziano e non conoscevo la maschera. Lui mi disse di imparare il dialetto da Gastone Moschin, che era allora mio compagno d’Accademia e poi mi assicurò che su Arlecchino sarebbe venuto ad aiutarmi Marcello Moretti, il primo Arlecchino di Strehler, che aveva fatto un lavoro meraviglioso. Moretti fu bloccato a Milano dalla prove del Piccolo, e arrivò solo alla generale. Io lo avvicinai e gli chiesi come gli sembravo. Lui mi disse che il mio Arlecchino era assai diverso dal suo, ma non vedeva errori da correggere. Fui deluso, pensai che gli ero sembrato tanto sbagliato da non voler perdere tempo con me. E invece no, ne parlò a Strehler» • «Cosa accadde? “Strehler si incuriosì e volle conoscermi. Mi disse che il Piccolo sarebbe andato in tournée a New York con Arlecchino servitore di due padroni. E che occorreva una riserva per Moretti. Il sindacato americano aveva stabilito che una esibizione ogni sei repliche doveva essere affidata al sostituto”. Curioso. “È stato il modo più rapido per farmi conoscere”» (Gnoli) • «Che ricordo ha di Strehler? “Un maestro duro, a volte terribile, ma sempre pieno di umanità e passione. Solo un genio come lui poteva pensare di aprire il Piccolo nella Milano del dopoguerra con L’albergo dei poveri di Gorkij e l’Arlecchino goldoniano. L’impegno sociale e la vitalità gioiosa per la rinascita» (Manin) • «Le mosse, i salti, le capriole, i balzi, che avevo imparato grazie al circo, li trasferii in Arlecchino. Ne feci una figura acrobatica. Ero già maschera senza saperlo» • «Ho fatto anche altri ruoli. Ma nessuno di essi mi ha dato le emozioni, la soddisfazione, la complicità di Arlecchino. Sono nato per fare questo. Un tempo si nasceva per fare il medico, l’artigiano, l’avvocato. Io sono nato per essere un attore specializzato. All’inizio non ne ero consapevole. Davanti a me c’era tutt’altra strada» • «La sera del 28 febbraio 1960 toccò a me. A sipario ancora chiuso, io con il braccio alzato nel tipico gesto di Arlecchino, sento annunciare che avrei sostituito Moretti. E la platea esplose in un boato di proteste. Fischiato prima di cominciare. Mi sentii afflosciare. A raddrizzarmi arrivò la voce di Paolo Grassi che da dietro le quinte sibilò con la sua erre moscia: “Soleri, per Dio, su quel braccio!” Cominciai come in trance, poco per volta mi resi conto che stavano ridendo. Alla fine un altro boato, stavolta di applausi» (alla Manin).
Amore «E la sua vita privata? “Privata, appunto. Una moglie, tre figli. Nessuno ha scelto il teatro. Nessuno continuerà la strada da me intrapresa. Giusto che sia così”» (Gnoli).
Dolore «Il giorno dei funerali di mia madre non pensai di chiedere la sospensione dello spettacolo, andai in scena».
Successi «A Pechino l’accoglienza più calorosa: a fine spettacolo, gli spettatori affollavano il mio camerino, alcuni si inginocchiavano baciandomi i piedi, incredibile! A Tokyo un pubblico di intellettuali tentava, inutilmente, di trovare tracce del teatro Nō nella Commedia dell’Arte. A Los Angeles, una platea di attori hollywoodiani venne a omaggiarmi e all’Old Vic di Londra, Laurence Olivier mi disse: “Avrei voluto essere te questa sera”» (a Emilia Costantini, Corriere della Sera, 7/11/2017).
Preparazione Ogni giorno tre piani di scale, salire e scendere, e venti minuti di marcia. Un mese prima dello spettacolo, venti minuti di stretching. Una seduta con il fisioterapista una volta al mese, per la colonna vertebrale. Dieta: «Comincio dalla frutta sia a pranzo che a cena, poi a mezzogiorno insalata o contorno e carne bianca o pesce, e per terzo un piatto di spaghetti o riso. Sì, all’incontrario. La sera niente primo. E il pomeriggio bevo il Kee mun, il te nero degli imperatori cinesi che non danneggia il cuore e dà energia ai muscoli» • «Ha ancora la brandina dietro le quinte dove tra una scena e l’altra fa pure un riposino? “Sì”. Ma dorme davvero? “Sì, sì. Riesco a dormire anche solo per due minuti e mi ridà carica”. E quando non fa Arlecchino? “Riduco la disciplina alle sole scale e alla marcia. E mi riposo, faccio finalmente le parole crociate”» (Anna Bandettini, la Repubblica, 8/5/2017).
Religione «Crede in Dio? “Certo che ci credo. Sono un buon cattolico. Ma che c’entra?”. L’attore è spesso stato una figura sconsacrata. “Forse si pensava che trafficasse con l’inferno. Anche di Arlecchino si dice che abbia origini demoniache e che Pulcinella verrebbe dagli inferi. Ma Dio può tollerare le loro origini. Almeno spero”» (Gnoli).
Arlecchino… «Come diceva Strehler, Arlecchino non è una marionetta, non è un buffone. È un povero Cristo che deve ingegnarsi per campare. Furbo ma mai cinico, servo ma non servile. Pieno di ironia ma anche di umanità e malinconia. Sempre affamato di vita... Il mondo è pieno di Arlecchini! Per questo piace ovunque, in Cina, in Giappone, per un po’ guardano le didascalie poi lasciano perdere perché il linguaggio del corpo racconta già tutto» (Manin).
…Pulcinella… «È un altro mondo: non opposto, ma diverso da quello di Arlecchino le cui origini sono nello Zanni. Ne è l’evoluzione. Arlecchino è un servo. Sa adattarsi alle situazioni, sfruttarle a proprio vantaggio. La furbizia è il tratto che lo distingue. Pulcinella è sfrontato. Plebeo. Affamato. Fa mille mestieri che è come non farne nessuno. In qualche caso è violento. Bastona ed è bastonato. Il ventre prominente, la gobba e la maschera col naso a becco, ne fanno una figura poco umana. Un animale che ricorda l’uccello. Un volatile rapace. Arlecchino danza, è gentile e ironico» (Gnoli).
…e tutti gli altri «Pantalone esiste ancora, l’avaro ricco che adora il denaro, come pure il dottor Balanzone che è il falso intellettuale, per non parlare di Brighella che si dà da fare per ottenere tutto, con tutti i mezzi. Oggi ci sono più Brighella che Arlecchini» (ad Angela Calvini, Avvenire, 17/12/2013).
Curiosità Casa a Milano in zona Certosa. Su due pareti bozzetti, disegni a matita di quinte e costumi, un ideogramma giapponese gigante, la riproduzione di un Kandinskij • Colleziona maschere, di cuoio e di gesso • Tiene sul comodino il libro Tre luci nella notte, scritto da suo papà • Visto in Notti magiche (Paolo Virzì, 2018), in cui interpreta un cieco. Ha vinto un Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia. «Avrei voluto fare più cinema, ma non è capitato» • Amico di Antonio Gades, Rudolf Nureyev, Marcel Marceau, Dario Fo • Nel settembre 2007, a dieci anni dalla morte di Strehler, ha portato Arlecchino alla Scala, che per la prima volta nella sua storia ha alzato il sipario su uno spettacolo di prosa • Oggi il ruolo di Arlecchino ufficiale del Piccolo di Milano è stato preso da Enrico Bonavera. «Lo presentai io a Strehler e a lui piacque subito. È stato il mio sostituto per anni, ma no, non direi che è un mio allievo: semplicemente lui mi ha guardato mentre facevo lo spettacolo, proprio come avevo fatto io quando ero il “vice” di Marcello Moretti» • «Un uomo che si dedica per tutta la vita o quasi a un personaggio ha qualcosa di eroico. “Il teatro è eroico solo quando il protagonista, dopo mille recite, muore sulla scena. Se no è un uomo normale. Leggo, raramente. Più spesso faccio parole crociate e sudoku. Mi piacciono le parole come enigmi. Trovarne la soluzione: tre orizzontale: chi ha interpretato per 60 anni Arlecchino?”. Devo risponderle? “Ce l’ha di fronte. La chiama ossessione. Vabbè. Io la chiamerei disciplina, amore, osmosi. L’immortalità che incontra il mortale e per un po’ vivono assieme. Come donna e uomo. Come amanti di tutte le sere”» (Gnoli) • «Lei l’ultimo Arlecchino. “Arlecchino non morirà mai. Per quanto mi riguarda sono contento di ciò che ho fatto. Anche se i bilanci mi disturbano devo dire che rifarei tutto da capo”» (Gnoli).
Titoli di coda «Strehler me lo ripeteva a ogni compleanno: “Ferruccio, com’è che tu invecchi e il tuo Arlecchino è sempre più giovane?” […] Ferruccio Soleri ricorda la battuta del grande regista che ha fatto di lui l’Arlecchino sommo del teatro. E sul suo viso immobile, tutta la vita uso a celare le emozioni dietro la maschera, spunta l’ombra di un sorriso» (Manin).