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 2020  dicembre 01 Martedì calendario

Biografia di Ferdinando Camon


Ferdinando Camon, nato a Urbana, in provincia di Padova, il 14 novembre 1935 (85 anni). Scrittore • «Uno dei grandi vecchi della letteratura italiana. Intellettuale libero, antipopulista, cattolico, politicamente scorretto – e per ciò ritenuto spesso scomodo dagli intellò di casa nostra – ha vissuto e attraversato il secondo Novecento con estrema discrezione e timida eleganza» (Matteo Righetto, Il Foglio, 20/4/2017) • «Veneto per sangue e per cultura, narratore della crisi che ha saputo raccontare di volta in volta la morte della civiltà contadina, il terrorismo, il disorientamento della famiglia e le tensioni sociali legate all’arrivo degli extracomunitari in Europa» (Luigi Mascheroni, Il Giornale, 13/9/2020) • Il suo primo romanzo, Il quinto stato (1970), primo di un ciclo sulla perduta civiltà contadina, uscì con un’appassionata prefazione di Pier Paolo Pasolini e fu subito tradotto in francese per iniziativa di Jean-Paul Sartre. Con Un altare per la madre (1978) vinse il premio Strega, e la Rai ne ricavò un film con Franco Nero e Angela Winkler • Premio Campiello alla carriera nel 2016 • Due raccolte di interviste ai letterati italiani: Il mestiere di poeta (1965) e Il mestiere dello scrittore (1969). Due saggi: Letteratura e classi subalterne (1974) e Tenebre su tenebre (2006). Svariati romanzi: La vita eterna (1972), Occidente (1975), Storia di Sirio (1984), La donna dei fili (1989), Il canto delle balene (1989), Il Super-Baby (1991), La Terra è di tutti (1996), La cavallina, la ragazza e il diavolo (2004), La mia stirpe (2009). Due raccolte di poesie: Fuori storia (1967) e Liberare l’animale (1973). Una storia della psicoanalisi: La malattia chiamata uomo (1981). Una storia della comunità contadina dai tempi dell’occupazione nazista a oggi: Mai visti sole e luna (1994). Un libro in versi: Dal silenzio delle campagne (1998). Una Conversazione con Primo Levi (1989), un Figli perduti. La droga discussa con ragazzi (2009) e un A ottant’anni se non muori t’ammazzano (2020), pamphlet scritto durante l’epidemia di coronavirus • È stato pubblicato in venticinque Paesi • «A un populismo viscerale, complicato da una raffinata mitologia contadina non troppo lontana da quella di Pasolini, può essere ricondotta la sua prima narrativa: mentre una maggiore attenzione alla cronaca e alle ragioni di un disagio che non è solo personale caratterizza i successivi romanzi» (Treccani) • «C’è qualcosa di biblico in Ferdinando Camon» (Antonio Gnoli, Robinson, 10/8/2019) • «Passa la vita con la penna in mano» (Luca Pavanel, Il Giornale, 2/7/2019) • «È da parecchio tempo Coscienza del Veneto ma a questo punto potrebbe benissimo diventare Coscienza d’Italia, se non fosse che nel resto della nazione i veneti sono considerati solo fornitori di pittoresco: di pittoresco leghista (tante ciacole, dal tanko di piazza San Marco al doge Zaia, ma autonomia nessuna), di pittoresco alcolista (lo spritz scadente e il prosecco onnipresente), di pittoresco televisivo (penso a Massimo Cacciari veneziano e a Mauro Corona che sarebbe friulano però comunque triveneto e veneto-percepito). Eppure, morto Ceronetti, silenti Alvi e Arbasino, se cercate una riflessione passabilmente profonda sulla povera patria è a Camon che dovete rivolgervi» (Camillo Langone, Il Giornale, 11/4/2019) • «Ferdinando Camon, lei si considera un tipo polemico? “No. Sono essenzialmente timido, vulnerabile, malinconico e infelice”» (Luca Pavanel, Il Giornale, 2/7/2019).
Titoli di testa «Io sono nato in una civiltà che credevo eterna e quella civiltà è morta sotto i miei occhi».
Vita Nato a Urbana, paese sperduto nella Bassa padovana. Secondo dei quattro figli di Oriondo e Elena Camon, contadini. «Abitavamo in una casa senza il pavimento, si camminava a piedi nudi sulla terra nuda e le oche entravano e uscivano. C’era anche la stalla con i buoi» (a Edoardo Pittalis, Il Gazzettino, 22/5/2017) • «Mio padre era pre-galileiano, gli portavo da mangiare nei campi, alzava le mani verso il sole a perpendicolo sulla testa e diceva: “Varda in do’ ca sè el sole, e stamatina el jera là”, e indicava l’orizzonte, “e i dise che no ‘l se move!”» • «Mia madre era taciturna e grande lavoratrice, sempre a messa e basta. Morì giovane d’infarto» (a Pavanel) • «Mi ricordo il giorno che mio padre è partito per la guerra, sono venuti a prenderlo due carabinieri in motocicletta e se ne sono andati loro in moto e lui a piedi che li seguiva”» (a Pittalis) • I campi dietro casa di Ferdinando terminano su un grande fosso, dopo c’è un grande olmo, cresciuto con le radici immerse nell’acqua. Lui, da bambino, ci si arrampica per guardare da lontano i bombardamenti degli anglo-americani e i rastrellamenti dei nazisti. «I tedeschi erano giovani, quelli dell’ultima leva, i cappotti più grandi di loro, e cercavano i parenti dei partigiani che avevano preso» • «“Mi ricordo scene di barbarica violenza, impiccagioni, bastonate, incendi. Un impiccato fu lasciato lì due giorni e due notti. Passò una contadina e gli chiese che ora fosse, poi si accorse che era staccato da terra. E ne ebbe, riportano documenti, un’impressione tremante”. Atroce. “Ordini di un comandante tedesco. Ho raccontato queste cose lasciando il cognome vero di quell’ufficiale, che era Lembcke. Tradotto in Germania, il libro fu letto da magistrati tedeschi, i quali a distanza di anni hanno citato quell’uomo in processo. Lui è morto d’infarto la notte prima della prima udienza”. La sua penna fu come una spada. “Come un fucile, che colpisce al cuore. Lui era crudele. Per interrogare i prigionieri li appendeva a testa in giù, e li scottava con una sigaretta”» (Pavanel) • Ferdinando ha dieci anni quando suo padre viene congedato. Gli sembra di incontrare uno sconosciuto. «Con mio fratello maggiore e la sorellina più piccola eravamo dietro la casa, doveva essere mezzogiorno perché in quel momento si sentirono i rintocchi del campanile. Mi sembrò un ordine dato all’universo: Sonè campane che è tornà il padre, disse mio fratello» (a Pittalis) • «C’era povertà ma ha studiato... “Ho fatto tutte le scuole. Mi hanno sempre comprato libri nuovi. In qualche modo ero la longa manus della stirpe che si protendeva verso l’acculturamento urbano”. Quindi distrazioni poche? “C’era una ragazza che mi piaceva molto e che abitava lungo il fiume, Raffaella. Io facevo il giro del paese col carretto del venditore di alimentari. Un giorno restai deluso perché si presentò tutta sporca del verderame che aveva appena dato alle viti”. Non proprio un playboy. “Ero carino ma timido, non capivo le ragazze. Una mia ex allieva mi ha detto un anno fa professore non si accorgeva che in classe eravamo innamorate tutte di lei?”» (Pavanel) • Racconta di aver passato i primi venticinque anni della sua vita in campagna, senza luce elettrica, senza grandi letture, senza amici, senza ragazze, senza cinema, senza cultura, senza televisione, senza neanche nessuno che parlasse l’italiano. «Davvero è stata questa la sua stagione giovanile? “È stata anche questo”» (Gnoli) • «Perché si è messo a scrivere? “Perché sono il secondo di quattro fratelli. In famiglia non mi spettava mai la parola. Stavo zitto e pensavo. Avevo una reazione meditata. Questo porta alla scrittura, che è una reazione alla realtà tardiva ed è solida e duratura”» • «I suoi esordi? “Era il 1963, scrivevo con una Olivetti Lettera 22”» • «“La campagna in cui sono nato e cresciuto era una realtà ancora più povera, ancora più bassa rispetto a quella della fabbrica, ma capace di grande generosità. Quando si faceva una processione, per esempio, era normale che il percorso si allungasse fino alle case in cui c’era un malato. Chi era in difficoltà non si sentiva escluso: fosse pure uno sconosciuto, gli si trovava un posto per dormire sotto il portico, gli si rimediava qualcosa da mangiare. Allo stesso modo, non era raro che dal pulpito il parroco predicasse contro l’esosità del padrone, che teneva per sé la maggior parte dei prodotti coltivati dai contadini. Inoltre, era una civiltà che riconosceva l’autorità degli anziani. I vecchi sedevano a capotavola, a loro ci si rivolgeva con il vu”. Con il voi, intende. “No, il vu ha un’altra intonazione, ancora più rispettosa. Sa che cosa trovo più strano, a ripensarci?” Che cosa? “Che l’anziano era il primo a essere servito. Gli si chiedeva che cosa desiderasse, si cercava di soddisfare ogni sua richiesta. Ora come ora ci si comporta in modo diametralmente opposto: sono i più giovani a dover essere accontentati”» (Zaccuri) • «La morte della civiltà contadina è stata un evento immenso. Un poeta francese, Charles Péguy, ha scritto che “è il più grande evento della storia dopo la nascita di Cristo”. Sono d’accordo. Ma la stampa non l’ha colto. Perché la stampa coglie la cronaca, il fatto improvviso, fragoroso e superficiale, non sente i lenti bradisismi, che avvengono in profondità. La civiltà contadina è crudele, arcaica, invivibile. È ruzantiana, non pasoliniana”» • «Quando ho pubblicato Il quinto stato i miei volevano vendere i campi per trasferirsi dove non fossero conosciuti. Si vergognavano di vivere come il loro figlio aveva raccontato» • «Pasolini mi accusava di tradimento: anziché immaginare una permanenza della società contadina, sosteneva, io avrei auspicato una sua evoluzione verso un “destino neocapitalistico”. Ma già allora i contadini si erano stancati della povertà. Sognavano l’acqua corrente, il riscaldamento, non ne potevano più di avere le mani spaccate dai geloni. Per loro diventare borghesi significava essenzialmente emanciparsi dal bisogno» • «Pasolini è un problema per me. Fu lui a chiamarmi una mattina, verso le cinque, per chiedermi se poteva scrivere una prefazione al mio primo romanzo. Non sapevo che Garzanti glielo avesse dato in lettura. Poi scrisse una prefazione alle mie poesie. Poi dedicò un saggio al mio primo libro di saggi. Dopo la sua morte, ho scoperto una chiara allusione a me in Petrolio e mi sono chiesto: ma pensava ancora a me? E perché? Non ho una risposta» • Quando lavora a Un altare per la madre pensa di aver scritto una sciocchezza. «Davo i miei manoscritti a una dattilografa, sempre la stessa, che battendo a macchina separava le frasi con righe di puntini, perché si faceva pagare a battuta, e ogni puntino era una battuta. Costei mi batté Immortalità (questo era il mio titolo sul manoscritto, Un altare per la madre è il titolo imposto da Livio Garzanti), e mi disse: “Professore, in passato el gà scrito de mejo”. Rimasi annichilito. Era un libro che avevo riscritto diciannove volte. Garzanti scelse la terza stesura, e mi disse: “Poi lei è impazzito”. Garzanti è un editore puro, non ha giornali né radio né tv, ogni volta che pubblicava un libro doveva inventare un modo per lanciarlo. Per l’Altare fece così: stampò fulmineamente mille copie, rilegate in tela rossa, in edizione fuori commercio, e le regalò ai commessi di libreria, in giro per l’Italia, in modo che quando poi fosse arrivato il libro sapessero che cos’era. Ho capito che il libro era al di sopra dei miei meriti quando Gallimard lo lanciò col giudizio di “Express” che diceva: “Attention: chef d’oeuvre”, quando un editore islamico lo tradusse a Istanbul, quando un editore della Lettonia lo stampò con la prima carta che riusciva a comprarsi… Io non sono all’altezza di quel libro, il libro sta al di sopra di me» (a Davide D’Alessandro, Il Foglio, 3/5/2019) • «I suoi romanzi descrivono un mondo contadino in cui la famiglia è esaltata e descritta come una santa istituzione, mentre suo padre, apprendo, ha tentato di diseredarla. “Non ha tentato, mi ha diseredato”. Cosa è riuscito a scatenare in quell’uomo? “Mio padre e mio fratello si presentarono a casa mia con un notaio di Bologna e mi hanno diseredato. Avevo appena pubblicato Un altare per la madre, loro avevano letto il libro e ne erano rimasti mortalmente offesi”. Perché? “Racconto la vita faticosa e stremata della campagna dove si lavorava anche di domenica e di notte. Non volevano che si sapesse. Si sentivano traditi e umiliati. E a tradirli era uno della famiglia”» (Gnoli).
Amore Sposato da sessant’anni con Gabriella Imperatori, giornalista e scrittrice. «Moglie e buoi dei paesi tuoi? “La mia più che altro è una moglie della mia Facoltà, di Lettere, a Padova, un immenso gineceo. Un serbatoio dove pescano la moglie tutti gli studenti universitari che vanno sempre lì a spiare le ragazze”. I figli? “Il primo Alessandro è andato Los Angeles, dove è diventato sceneggiatore e produttore cinematografico. L’altro, Alberto, ha studiato Legge, ora è ordinario di Procedura penale a Bologna”» (Pavanel) • Quattro nipoti • «Per la mia generazione il sesso era qualcosa di represso, terrorizzante. Ora è vissuto in maniera più gioiosa, serena. Ma questo non significa che la coppia sia più felice. Anzi. Infatti dura meno. Noi avevamo il matrimonio cattolico che legava indissolubilmente. Perse la religione e l’idea di Dio, cosa tiene insieme la coppia? Niente. Neanche i figli» (Mascheroni).
Mestiere «“Ho fatto l’insegnante per tutta la vita. È un lavoro bellissimo, seducente e mal pagato. Finché lavori ti danno un finto stipendio, quando smetti ti danno una finta pensione”. Dove ha insegnato? “Nei licei, ma avrei voluto insegnare all’università. Mi spettava, per legge, un incarico, ma la ‘mafia universitaria’ lottò per anni con delibere per impedirlo. Arrivarono a falsificare un verbale di facoltà. Andai al ministero, scoprii che avevano il verbale falsificato, lo feci notare e successe una cosa inaudita: mi cacciarono fuori con un urlo”» (Gnoli).
Politica «Ma perché hanno nominato ministro Lucia Azzolina? E non me, invece? È una vita che insegno, scrivo, pubblico libri... Io sono un professionista nel campo dell’istruzione, lei è una dilettante» (a Mascheroni).
Religione «Di solito, la soglia oltre la quale si cambia il pensiero sulla vita e sulla morte è gli ottant’anni. Ha anche lei avvertito questa mutazione di giudizio? “Mi viene in mente Einstein, il grande turbatore con le sue teorie sull’inizio e sulla fine. Einstein crede in un Dio-Natura, alla Spinoza. Io ho bisogno di un Dio-Persona, perché ho sete di giustizia. Sia per punire che per premiare”. Molto biblico. “Supponga che io sappia di dover essere punito. Se dovessi morire perché questa giustizia si compia, sarei pronto a morire per essere dannato”. Anche in eterno? “Anche”. E il Dio misericordioso? “Qui accanto a me c’è un orfanotrofio dove lavorava una inserviente che voleva un bambino in adozione e quando le han detto: ‘Signora la sua pratica è conclusa, può sceglierne uno’, lei ha risposto: ‘Quello’. Era l’unico bambino cieco di tutto il gruppo. Dentro di me penso che la madre naturale lo aveva abbandonato perché era cieco, mentre la madre adottiva lo voleva perché era cieco”. Morale? “Penso che il Dio-Natura di Einstein se ne frega. Vorrei che un Dio-Persona la premiasse”. Il Dio cristiano, lei è cristiano? “Cristiano, sì”. Cosa pensa di Papa Francesco? “Sono bergogliano”» (Gnoli).
Giornali «Per scrivere bisogna essere nevrotici. Ci sono nevrosi lunghe, con le quali scrivi libri, e nevrosi brevi, per le quali scrivi articoli» • «Lei ha lavorato per l’Unità e l’Avvenire. Non è complicato passare da una visione del mondo al suo opposto? “Non trovo grande diversità nel messaggio. Il comunismo è un cristianesimo terreno e il cristianesimo è un comunismo spirituale”» (Pavanel).
Curiosità Vive a Padova • Libro preferito La città di Dio di Sant’Agostino • In Italia e Francia è pubblicato anche in Braille • «Quando non vede gente e non scrive, cosa le piace fare? “Andare al cinema, leggere i giornali anche on line quando sono in fattura; sono un fanatico di Dagospia. Mi piace mangiare bene, so fare dei risotti. Quando vado a Los Angeles da mio figlio lui avvisa gli amici italiani, i quali piombano a casa sua alla sera. Sanno che se faccio da mangiare io si mangia bene”» (Pavanel) • «“La scrittura va anche espiata, perché è un lavoro che non affatica il corpo. Il lavoro vero era quello che faceva mio padre”. Cioè? “Trasportava pesi, trasportava sacchi, guidava l’aratro, si sfiniva sulla terra”. Quindi... “Quindi per espiare, al termine di una giornata di scrittura in cui non mi ero affaticato, non avevo fatto nulla, per punire il corpo mettevo anelli di piombo intorno alle caviglie e con quelli marciavo per la città”. Lo fa ancora? “No, ho dovuto smettere; il dottore mi ha detto che quei pesi mi rallentavano troppo e agli attraversamenti stradali rischiavo di essere investito”» (Pavanel) • «Come vorrebbe essere ricordato? “Chi le dice che voglia essere ricordato? Forse, mi piacerebbe che Un altare per la madre fosse stampato in edizione ultraeconomica. Uscì in tantissime lingue. Per uno scrittore i suoi libri, quelli in cui crede davvero, sono il lasciapassare per l’aldilà”» (Gnoli) • «Non ho mai capito se la scrittura assolva o condanni chi la pratica».
Titoli di coda «Vivere senza scriversi la vita vuol dire perderla. Apprezzo tutti coloro che tengono un quaderno segreto, nel quale annotano quel che gli capita. Intorno a me i ragazzi miei coetanei, contadini, non scrivevano niente, han patito torti immensi, e non si sono fatti giustizia. Io ho fatto giustizia per loro».