1 dicembre 2020
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Biografia di Simonetta Agnello Hornby
Simonetta Agnello Hornby, nata a Palermo il 27 novembre 1945 (75 anni) • «È una delle scrittrici italiane più amate, ma da oltre quarant’anni vive a Londra, dove ha esercitato a lungo la professione di avvocato, ha sposato un inglese e preso la cittadinanza britannica» (Luigi Ippolito, Corriere della Sera, 24/4/2018) • Una carriera come avvocato in Inghilterra, prima nel settore dei servizi sociali del Comune di Londra, poi con un proprio studio legale specializzato nella tutela dei bambini vittima di violenze o dei genitori a quali viene sottratta la patria potestà. Già insegnante di diritto dei minori alla facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Leicester. Esordio letterario a cinquantasette anni, con il romanzo La Mennulara, tradotto in venticinque lingue. Otto romanzi, oltre al primo: La zia marchesa (2004), Boccamurata (2007), Vento scomposto (2009) e La monaca (2010), Il veleno dell’oleandro (2013), Via XX Settembre (2013), Caffè amaro (2016), Piano nobile (2020). Un’autobiografia: Nessuno può volare (con il figlio Giorgio Hornby, 2017). Una raccolta di racconti per denunciare la violenza domestica: Il male che si deve raccontare (2013). Quattro libri sulla cucina: Un filo d’olio (2011), La cucina del buon gusto (2012), La pecora di Pasqua (con la sorella Chiara Agnello, 2012) e Il pranzo di Mosè (2014). Due libri sui luoghi più amati della capitale inglese: La mia Londra (2014) e La nostra Londra (con il figlio Giorgio Hornby, 2018). Un libro sulla sua città natale: Siamo Palermo (con Mimmo Cuticchio, 2019). Un libro per ragazzi: Rosie e gli scoiattoli di St. James (sempre con il figlio Giorgio, 2018) • «Una donna molto affascinante, la sua intelligenza la avverti nella voce quando la senti parlare, la vedi nello sguardo» (Elisabetta Favale, Linkiesta, 1/3/2020) • «Quattro giri di perle, capelli grigi tagliati corti, un piglio sicuro e garbato: palermitana di nascita e inglese per la vita, con la sua carriera d’avvocato prima e di scrittrice poi, ha l’aria di una signora da romanzo» (Amelia Cartia, Il Foglio, 5/1/2018) • Ha detto: «A differenza di voi nati nella Penisola, io mi identifico di più con gli inglesi, in quanto isolana. Anche noi abbiamo avuto l’invasione normanna, come loro. E come loro diciamo “il Continente”». Ha aggiunto: «Guardiamo Shakespeare: che emozioni, che drammi! Potrebbe essere una cosa siciliana».
Titoli di testa «Gli inglesi sono un popolo rozzo, guerriero: e così dovevano essere per conquistare il mondo, come hanno fatto. Solo che da noi venivano a fare il Grand Tour e vedevamo arrivare aristocratici colti e pallidi, per cui ci siamo fatti l’idea che fossero poco attivi sessualmente. Invece nel mio lavoro di avvocato ho visto che procreano a tutto spiano e fanno sesso in tutte le salse, altro che Cinquanta sfumature di grigio» (a Elena Stancanelli, la Repubblica, 21/1/2016).
Vita Famiglia dell’aristocrazia baronale palermitana, benestante, ma non ricchissima. Casa di fronte al Politeama, comprata poco dopo l’Unità d’Italia. Sua madre spesso le parla in francese. Suo cugino Francesco è intimo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa • «Fino alle medie non sono andata a scuola, avevo una bambinaia ungherese che mi insegnò il tedesco che volli dimenticare quando seppi degli orrori nazisti. Stavo spesso in cucina dove ascoltavo le storie, i pettegolezzi: allora le persone di servizio erano importanti, mangiavano assieme alla famiglia, una torta di compleanno si divideva con loro» (a Mario Di Caro, la Repubblica, 15/10/2020) • «Cosa ricorda della sua giovinezza palermitana? “La mia era una famiglia tradizionale. Però mi permisero di andare a Casa Professa, dai gesuiti. Là si leggevano libri, si facevano dibattiti. Assieme a una mia compagna facevo del volontariato, andavamo a trovare le donne e i loro bambini all’Albergheria. Molto degrado, molta povertà”» (ad Amelia Crisantino, la Repubblica, 8/2/2009) • Al padre di Simonetta, don Francesco Agnello Gangitano, detto Cicì, che pure ha ereditato il titolo di barone di Signefari, importa poco del passato e del casato. Dice: «I cornuti sono più di quanti si pensi; noi che discendiamo da un Giovanni dell’Agnello pisano esiliato in Sicilia secoli fa, probabilmente non abbiamo una goccia di sangue pisano». La madre, donna Elena Giudice Caramazza, lo rimprovera: «Ma che dici? Pensa a tua madre, a tua nonna...». Lui si spiega: «Nei secoli, dico. Anche noi in famiglia, oggi, qualche cornuto dovremmo averlo» • «Sapevo poco e niente sulla mia famiglia. Papà ne parlava con parsimonia, preferiva reminiscere dei fattori, del personale domestico e dei commercianti, “gente che lavora fino a quando muore, a differenza di noi che abbiamo vissuto quasi da parassiti”. Diede a noi figlie tre insegnamenti non tanto graditi a nostra madre: non sposare, non avere figli, mettersi a lavorare. Lui credeva che chi viveva di rendita avrebbe dovuto estinguersi naturalmente» (a Tuttolibri, 10/10/2020) • Sua madre la manda al liceo Giuseppe Garibaldi, poi a Cambridge: non si può dire di avere un’istruzione completa senza una laurea a Cambridge. «Sono andata via a 18 anni e non è stato difficile trasferirmi all’estero perché mi sono portata dietro il mio mondo. Non ho mai perso il mio accento palermitano e questo non è stato facile in un grande studio legale italiano di Londra: lì ho misurato il razzismo degli italiani nei confronti dei siciliani quando fanno dei complimenti. Insomma, la memoria siciliana non mi ha mai lasciato» (a Di Caro) • «Com’era quella Londra degli anni Sessanta, quando lei è arrivata? “Allora non c’era neanche una pizzeria. L’olio si comprava in bottigliette minuscole ed era da poco nella sezione del cibo, perché prima lo si trovava in farmacia: l’olio di oliva serviva per disotturare le orecchie. Aglio e prezzemolo non esistevano, l’aceto di vino era rarissimo. E il prezzemolo: pensi che ce l’abbiano tutti, ma qui no, allora”. Beh, magari si poteva provare a mangiar fuori... “Non c’erano ristoranti italiani, il cibo italiano era esotico. Si faceva il macaroni cheese, che era una besciamella col cheddar e la pasta cotta dentro. Questa era la cucina italiana che conoscevano”» (Luigi Ippolito, Corriere della Sera, 13/3/2019) • «In Inghilterra esistono due tipi di avvocati, i barristers e i solicitors […] I barristers, ovvero gli specialisti e i patrocinanti, che lavorano negli Inns in studi associati chiamati chambers, costituivano storicamente l’aristocrazia dell’avvocatura e tra loro venivano scelti i giudici. Non potevano essere contattati direttamente dai clienti, ma soltanto tramite i solicitors, avvocati socialmente inferiori che non avevano diritto a patrocinare nei tribunali superiori e che non potevano essere nominati giudici. Il solicitors era un po’ come il medico di base […]». Lei vorrebbe diventare una barrister perché le piace il dibattito in aula. Un amico però le consiglia di iniziare da solicitor: un po’ perché è italiana, e il linguaggio giuridico inglese è molto difficile da imparare, un po’ perché è una donna, e le donne, all’epoca, non sono ben viste tra i barristers. «Lei ha partecipato ai movimenti di liberazione degli anni Settanta. “Cominciai col femminismo in quel periodo, ma fin da allora non ne condividevo alcuni atteggiamenti, tipo la mania di togliersi il reggiseno a tutti i costi. Io allora allattavo e dissi: non posso, grazie. Venivo perfino guardata male perché aspettavo un figlio. A chi mi criticava rispondevo: dobbiamo pur riprodurci (ndr, ride)”» (Raffaella De Santis, la Repubblica, 7/9/2018) • «Ha esordito tardi, ma direi che l’ha fatto con un botto... “Sì. E mi fa un gran piacere che ho esordito con un botto. La vita di ogni giorno però è un’altra cosa, e lo stesso non ne potevo più. Mi sono detta ‘smetto tutto’. Continuavo a fare quel che dovevo, ho finito le mie cause. Facevo il giudice, rispondevo ai traduttori e agli editori. Ma non ho più scritto. Mi sono lasciata tempo, senza pensare a quello che volevo. Ero quasi convinta che avrei scelto di fare solo l’avvocato: perché sono più a mio agio, penso di essere migliore come avvocato piuttosto che come scrittore. Mi sono data sei mesi, ero quasi decisa ad abbandonare la scrittura. Ma il giorno in cui dovevo prendere la decisione, svegliandomi mi sono detta ‘no, devo fare la scrittrice’» (Crisantino).
Amore Hornby è il cognome del marito, conosciuto a Cambridge e sposato a ventuno anni. Vissero assieme negli Stati Uniti e nello Zambia, finirono per divorziare. «“Da fidanzati mio marito non mi scriveva mai. Dopo tre mesi io facevo la tragedia: giravo la foto, dicevo a mia madre: mi ha dimenticata. Da sposati, quando partiva per lavoro, tre quattro settimane, diceva: ti darà notizie la mia segretaria. Mi ha allenata”. All’assenza? “Alla presenza in me”. Risultato dell’allenamento? “Quando ho avuto delle simpatie telefonavo di rado. Tanto se uno ti deve dire che non è più innamorato, meglio saperlo tardi”» (Teresa Ciabatti, iO Donna, 3/5/2016) • «Quando la famiglia si è allargata, io ho allargato i miei Natali. Anche alla seconda moglie di mio marito» • Due figli: Giorgio e Nicola. «Con loro ho sempre parlato italiano, anzi siciliano, anzi il dialetto della campagna vicino ad Agrigento dove li portavo in vacanza da piccoli. Una lingua strana in cui, per dire “fermati”, si dice “moviti”» • Nel 2002, subito dopo il successo del suo primo libro, a Giorgio fu diagnosticata la sclerosi multipla primaria e progressiva. «Lui era appena diventato padre e si accorse del tremore alle mani nel momento in cui la figlia Elena, neonata, sembrò sfuggire alla sua presa. E allora le corse, i medici, la lucidità che si appanna, e una scure. “Il 3 marzo 2002 ricevetti una telefonata dalla Feltrinelli. ‘C’è talento nel suo manoscritto, talento...’. Subito pensai a Giorgio: e se l’indomani mi avessero detto: ‘C’è un male incurabile in suo figlio, incurabile...’? Quando cedevo alla vanità, subito mi calava addosso un’ombra. Non lo volevo il talento. Volevo un figlio sano, e basta”» (alla Cartia) • «Io mi sono trovata con un figlio che era un ragazzo di grande successo, ammalato, con una malattia terribile, ma anche molto coraggioso: Giorgio aveva una moglie e due figli piccoli, e così reggeva. Poi la moglie lo ha lasciato, e si è trovato nel dramma del divorzio. Non ho mai biasimato mia nuora, perché non ce l’ha fatta: la gente non sempre è fatta per reggere bene i drammi della vita. E Rebecca, che lavorava, e che aveva voluto fare un altro figlio dopo la diagnosi, per cui ci credeva in quel matrimonio, non ha retto. Solo per l’acrimonia sui danari non sono contenta, non per la scelta. I bambini stavano con lui metà del tempo, ma lui era un uomo distrutto, non sapeva che fare: aveva lasciato il lavoro alla City ed era solo. Comprai una casa accanto alla sua, e cercai di occuparlo: gli ho mostrato che sui mezzi pubblici ci sono le pedane per i disabili, che poteva muoversi. Poi Giunti mi ha chiesto un libro su Londra, e io l’ho fatto con lui».
Sesso «In questo romanzo c’è molto sesso. “Ce n’era di più. L’editor me l’ha tolto”. Cosa ha tolto? “Me lo scordai”. Come mai tanto sesso? “Guardi, io ho avuto una vita modesta: sposata stravergine, mai baciata, sono rimasta con mio marito vent’anni”. Dunque? “Tutto quello che so, lo so dai miei clienti: teste sotto lo sciacquone, e altro. Come avvocato dovevo sapere ogni dettaglio così vincevo la causa”. E vinceva? “Quasi sempre”» (Ciabatti).
Politica Non le piace Boris Johnson. «È un buffone». Ha detto di averlo conosciuto di persona e di averlo giudicato un individuo egoista che ama divertirsi alle spalle degli altri.
Curiosità Nel 2016 Mattarella l’ha fatta Grande ufficiale dell’ordine della Stella d’Italia • Ha un suo club del libro tutto al femminile • Il #MeToo non la convince • Nel 2005 ha avuto una crisi. «Troppa pressione. Editori, traduttori, bozze, il mio lavoro di avvocato. Stavo scrivendo un libro in inglese che non ho finito, non avevo più tempo per niente. Mi sembrava di passare la vita ad essere frustrata e seccata». Poi si è ripresa • Se non avesse fatto l’avvocato e la scrittrice le sarebbe piaciuto fare la parrucchiera o la tassista. «Il primo perché è un lavoro creativo, che rende felici i clienti e non comporta scelte irreparabili. Il secondo perché mi piace guidare e poi in taxi si ascoltano un sacco di storie» • Torna spesso a Palermo a trovare i parenti • Ha preso la cittadinanza inglese quando la Gran Bretagna scelse di restare fuori dall’euro: «per cautelarmi» • «Gli inglesi sono intolleranti verso gli stranieri? “L’inglese non prova odio e nemmeno disprezzo. Usa il sarcasmo per riaffermare il suo senso di superiorità”» (Gregorio Sorgi, Huffington Post, 31/1/2020) • «Anni fa conobbi ad un ricevimento un anziano giudice inglese. “Signora Hornby, quando lei è nella mia aula al tribunale, la ascolto con molta attenzione”. Lo ringrazio, e lui risponde con una battuta tagliente: “È per decifrare quello che dice, nel suo inimitabile accento”» (ibidem).
Titoli di coda «Lei ha mai incontrato personalmente la regina? “L’ho vista 25 anni fa, questa povera donna aveva questo sorriso così, tutto tirato: quando la guardi che si gira attorno ti sembra una cosa terribile. Pare che sorrida a te, ma sorride a tutti. Filippo camminava dietro di lei e se ne fregava di tutto. Mi sembrò un lavoro terribile e malsano”» (Ippolito).