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 2020  ottobre 21 Mercoledì calendario

Biografia di Lea Vergine

Lea Vergine (1936-2020). Critica d’arte. Allevata dalla nonna, una Ruffo di Calabria («mia madre veniva considerata una reietta totale, ma io mi sono sempre considerata figlia di mia madre: cedo all’istinto, all’emotività, a tutto ciò che non si dice, che non si deve provare»). Ha iniziato l’attività di critico d’arte giovanissima, a 19 anni, abbandonando la facoltà di Filosofia a cui si era iscritta dopo il liceo classico per pubblicare su riviste e giornali napoletani. A 19 anni si è anche sposata, Vergine è il cognome del primo marito (lei si chiamava Buoncristiano), quando si sono separati ha continuato ad usarlo, visto che con quello firmava già articoli sull’arte programmata e cinetica e in seguito sulla Body Art. «Ho avuto la possibilità di scrivere presto; ero bravina. Ma dall’alto mi contrastavano: è bella, è benestante, è giovane, scrive d’arte, ma perché non fa qualcosa d’altro nella vita? Una volta ho fatto una conferenza all’Accademia di Belle Arti sui giovani artisti, dall’astrattismo all’informale. Paolo Ricci scrisse sull’Unità che la gente era venuta numerosa non per l’argomento ma perché c’era il tavolo aperto: era lì per le mie belle gambe. Lo citai in giudizio, e il giudice mi disse: “Si alzi e si metta con le gambe dritte; e adesso si giri. No, non c’è niente di speciale in queste gambe”. E così vinsi. Era il 1960, mi sembra». A 23 anni aveva già organizzato una mostra di Lucio Fontana, per cui scrisse un testo a catalogo che scatenò l’indignazione di Luigi Compagnone: il suo parlare di buchi, scrisse, rivela una perversione sessuale. «Lea reagì con un’azione legale. Fiera della propria bellezza e dell’intelligenza, orgogliosa di sé, non le deve essere stato facile attraversare mezzo secolo d’arte italiana, sempre ad alto livello, con interlocutori di primo ordine - Argan, Battisti - e mostre decisive - memorabile L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940 nell’80, a Palazzo Reale a Milano. Ha scritto diversi libri, tra cui uno in cui ha raccolto le interviste con personaggi diversi e curiosi, da Cioran a Rossana Rossanda, da Gina Pane a Leonardo Sciascia. S’intitola Gli ultimi eccentrici, ed è del 1990 (Rizzoli)» (Marco Belpoliti). Su di lei ha avuto grande influenza Argan. «Era infatuato dell’arte programmata, in funzione anti-pop. La vedeva come un ponte tra il Bauhaus e il contemporaneo. Non capiva nulla delle singole opere, ma era straordinario: un filosofo, uno scrittore prestato all’arte. È stato lui a farmi conoscere Enzo Mari, che poi ho sposato. Verso la metà degli Anni Sessanta. Volevo fare una rivista, Linea struttura. E Argan mi disse: “Ho l’uomo che fa per lei, le farà la grafica”. Negli ultimi anni della sua vita voleva che gli dessi del tu, che lo chiamassi per nome, ma non ci riuscivo. Una volta mi ha anche detto: “Non le avrò fatto fare delle sciocchezze nella vita?”» [Lauretta Colonnelli, voce dal Catalogo dei viventi 2009, Marsilio]. È morta al San Raffaele di Milano a un giorno di distanza dal marito, Enzo Mari, ricoverato con lei nello stesso ospedale e come lei deceduto per complicazioni legate al Covid.
«Quando le due parti di una coppia che è stata insieme per tutta la vita vanno incontro alla morte l’una dopo l’altra, come se non volessero riposarsi in solitudine neanche un po’, si entra nel territorio dell’insondabile, che è quello di competenza dell’amore. Nel caso di Lea Vergine e di suo marito Enzo Mari, siamo oltretutto lontanissimi da ogni modello tradizionale. Si conobbero a Milano già diversamente sposati, andarono subito a convivere e furono denunciati per concubinaggio e per ripicca dai portinai, a cui Mari contestava di ammorbare il condominio con le fritture di salsicce. Da allora Enzo e Lea sono rimasti liberamente incollati per 54 anni, gestendo due ego zuppi di talento e dunque non facili: critica d’arte e anticonformista lei, designer immenso e spigoloso lui. Si sono amati litigando fino alla fine, e hanno condiviso i successi e le malattie, compreso il Covid che ha dato loro l’ultima spinta, portandoli via a ventiquattr’ore di distanza l’uno dall’altra.
In un’intervista di alcuni anni fa, Lea Vergine definì il loro rapporto un’ossessione “al di là di ogni logica e di ogni ragionevolezza”, come ogni amore che si rispetti. Entrambi parlavano dell’altra metà come di un coniuge, di un amico e di un compagno di vita. L’incastro perfetto, proprio perché imperfetto, dal momento che quel tipo di amore lì, per il quale ogni aggettivo sarebbe un limite, non ha alcuna intenzione di renderci perfetti. Si accontenta di farci diventare completi» [Gramellini, CdS].