1 novembre 2020
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Biografia di Francis Fukuyama
Francis Fukuyama, nato a Chicago, Illinois, il 27 ottobre 1952 (68 anni). Direttore del Ford Dorsey Master’s in International Policy dell’Università di Stanford • «Il più grande pensatore politico americano del nostro tempo» (Federico Rampini, la Repubblica, 9/10/2015) • «Da quando ha pubblicato il suo libro del 1992 La fine della storia e l’ultimo uomo è forse il politologo più citato al mondo» (Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano, 18/5/2019) • Scritto quando aveva appena 36 anni, e preceduto da una primissima stesura pochi mesi prima della caduta del muro di Berlino, vi teorizzava la superiorità del modello occidentale, basato su capitalismo e liberaldemocrazia. «La mia analisi dell’89, poi tradotta in slogan, era una reazione alla profezia di Marx: la storia finirà nel socialismo. Niente affatto, dissi allora, finirà in un sistema fatto di economia liberale e istituzioni politiche democratiche». Il crollo dell’Unione Sovietica, la conversione della Cina Popolare all’economia di mercato e l’ascesa degli Stati Uniti come unica superpotenza, sembrarono, all’inizio, avergli dato ragione • «Il profeta smentito dai fatti» (Gianfranco Morra, ItaliaOggi, 1/11/2014) • «Diagnosticò omologazione e fine della storia (e ancora cerca di metterci una pezza)» (Adriano Sofri) • «Lessi quel libro quando uscì in traduzione italiana. Gli si attribuì un valore profetico che alla luce dei fatti successivi mi sembrò quanto meno azzardato» (Emanuele Macaluso, ad Antonio Gnoli, Robinson, 3/11/2019) • «Inevitabilmente, ogni volta che si è verificato un importante evento storico, in modo particolare l’11 settembre, qualcuno da qualche parte lo ha utilizzato per provare che Fukuyama aveva torto. “Visto?”, strillano, “la storia è ancora in divenire”» (Richard Cannon, la Repubblica, 8/8/2004).
Titoli di testa «Sembra che la prima volta che Margaret Thatcher sentì la teoria di Fukuyama abbia detto: “La fine della storia? L’inizio di un’assurdità”. In realtà si tratta di un’idea più sottile e intellettualmente complessa di quella che il titolo lascerebbe suppore. Fukuyama parla della direzione verso cui la storia tende inevitabilmente, non della storia degli eventi e dei popoli» (Nicholas Wroe, The Guardian, 11/5/2002).
Vita Figlio di Yoshio e Toshiko Kawata Fukuyama • Suo nonno materno, Shiro Kawata, fondatore della facoltà di economia dell’Università di Kyoto, è stato mandato in Germania quando il Giappone doveva occidentalizzarsi, prima della prima guerra mondiale. Sua madre, cresciuta ascoltando Beethoven, è arrivata in America nel 1949 • Suo nonno paterno era emigrato a Los Angeles, California, nel 1905 per evitare di dover combattere nella guerra russo-giapponese e dopo Pearl Harbor lo avevano messo in un campo di prigionia in Colorado. Suo padre, invece, nato americano, è riuscito a laurearsi all’università di Chicago, dove ha conosciuto la moglie. È diventato sociologo e ministro protestante. «Si trattava di una corrente di protestanti molto di sinistra. Quel tipo di protestantesimo non sembrava nemmeno una vera religione, mio padre ha passato gran parte della sua vita a snobbare i fondamentalisti e chiunque praticasse la religione in modo tradizionale. Per lui, era più una questione di politica e attivismo sociale» • Francis ha qualche parente in Giappone, ma nessun vero legame. Non parla nemmeno giapponese: i suoi, a casa, lo usano solo quando vogliono nascondergli qualcosa. Quando è piccolo, i suoi si trasferiscono a Manhattan e lo fanno studiare in una scuola di ebrei. Non ha nemmeno fratelli. «Probabilmente è stato importante essere cresciuto in una piccola zona di New York ed aver avuto a che fare più con gli adulti che con gli altri ragazzi» • Francis è molto studioso: impara francese e greco antico, sa leggere il russo e il latino • Nel 1970 è alla Cornell University, vuole studiare lettere classiche. Sono gli anni della contestazione studentesca, ma lui diventa allievo di Allan Bloom, filosofo conservatore. «Gli studenti erano finiti sulla copertina di Time con indosso bandoliere di munizioni. Era uno spettacolo orribile. L’intera amministrazione dell’università era capitolata ai loro piedi. Dicevano fosse un’istituzione razzista e senza libertà accademica. Bloom era parte di un gruppo di professori che si sentivano oltraggiati da una situazione simile e se ne andò. Io frequentai il suo ultimo corso» • Dopo la laurea, Francis continua gli studi, va a Yale, fa un corso di letteratura comparata e a un certo punto passa un periodo a Parigi dove tenta di scrivere un romanzo. Conosce Roland Barthes e Jacques Derrida, due tra i più grandi esponenti della nouvelle critique francese, una nuova corrente basata sullo strutturalismo. «Forse da giovani si tende a pensare che le cose sono profonde quando sono complicate, non si è maturi abbastanza da dire “ma questo non ha senso!». Quando torna in America, lascia perdere la letteratura e si dà alle scienze politiche, questa volta ad Harvard. «È come se mi fossi tolto un grande fardello dalle spalle. È stato un grande sollievo lasciar perdere le teorie astratte di cui mi occupavo prima e occuparmi di problemi concreti come la politica del Medio Oriente, il controllo delle armi, e così via». Tesi di dottorato sul ruolo dell’Unione Sovietica in Medio Oriente • Nel 1979 comincia a lavorare per la Rand Corporation, un grosso think tank con sede a Washington, D.C. «Mentre a Milano esiste un quadrilatero della moda e a Londra un quartiere delle banche, a Washington, capitale degli Stati Uniti, esiste un Viale della politica internazionale. È la Massachusetts Avenue, una larga strada che taglia diagonalmente la città. Qui, o nelle immediate vicinanze, vi sono quaranta ambasciate […]Le rappresentanze degli Stati più giovani, nati dalla disintegrazione della Unione Sovietica e della Repubblica Jugoslava, sono state verosimilmente attratte dalla presenza nel Viale di un numero considerevole di istituti accademici e culturali, noti in America come brain trust […] queste istituzioni sono state per molti anni il serbatoio intellettuale della Casa Bianca, il luogo dove il nuovo presidente, democratico o repubblicano, andava a pescare i suoi collabori all’inizio del mandato. A ogni cambiamento di presidenza, quindi, Massachusetts Avenue assisteva a una sorta di trasloco collettivo incrociato. Quando il presidente uscente era democratico, gli intellettuali democratici tornavano nel grande viale per impartire lezioni e scrivere libri; e quando il presidente entrante era repubblicano, i loro posti venivano presi dagli intellettuali di Massachusetts Avenue che simpatizzavano per il suo partito. I traslochi nei due sensi erano sempre numerosi perché il presidente degli Stati Uniti, all’inizio del suo mandato, ha il diritto di chiamare al servizio dello Stato, con nomine discrezionali, circa 4000 funzionari e magistrati» (Sergio Romano, Corriere della Sera, 29/5/2017) • I primi studi di Fukuyama alla Rand riguardano questioni militari in Medio Oriente. A 28 anni, subito dopo l’invasione russa dell’Afghanistan, si mette in contatto con l’ISI, i servizi segreti pachistani. «All’epoca nessuno sapeva chi fossero i mujaheddin, passai due settimane a raccogliere informazioni. Arrivai alla conclusione che i mujaheddin andavano sostenuti e per farlo bisognava rafforzare le forze armate pachistane». Quando Reagan diventa presidente Francis inizia a collaborare con il Dipartimento di Stato. Uno dei primi atti della nuova amministrazione è vendere al Pakistan alcuni F16. «Non avevo niente a che vedere con quella decisione, benché ovviamente fossi d’accordo, ma la cosa mi rese uno degli uomini più impopolari nel sub-continente indiano. Per sei mesi la stampa indiana non ha fatto che attaccarmi» • Membro della delegazione americana ai colloqui tra Egitto e Israele sull’autonomia palestinese • Quando George Bush diventa presidente, Francis collabora con il segretario di Stato James Baker. Nel maggio 1989, comincia a studiare la riunificazione della Germania, cosa che, secondo gli altri analisti, nessuno di loro sarebbe mai riuscita a vedere. Consiglia ai suoi superiori di preparare un piano per reagire alla dissoluzione del patto di Varsavia, e i cremlinologi lo prendono per matto. «Era un anno straordinario» • Proprio nel 1989, a Chicago, gli chiedono di tenere una conferenza. Lui decide di intitolare il suo intervento: La fine della storia • Quando gli chiedono di farne un libro, lui si dimette dal governo e si mette al lavoro.
Libro «Fukuyama si era convinto che con la caduta del muro di Berlino si era conclusa una intera epoca. Proprio il marxismo, il più grande mito escatologico della modernità, aveva parlato di “fine della storia”. Con soddisfazione, Fukuyama capovolgeva la profezia: il mito comunista era in frantumi e la storia non era finita nel comunismo, ma nella universalizzazione della economia di mercato: “Non è finita soltanto la guerra fredda. La democrazia liberale è divenuta la forma finale del governo umano”» (Morra) • «Il suo punto di vista è semplicemente che la ricerca di una risposta politica alle vicende umane è terminata. Solo la democrazia liberale ha un senso» • «La democrazia liberale trionfante rappresentava l’ultima parola nell’organizzazione umana, l’apice di un processo di evoluzione politica, il sistema più fecondo mai creato e quello più in armonia con la natura umana. La storia era finita perché non ci poteva essere più discussione su quale fosse il miglior sistema politico. Voi, sembra dire, siete al vertice dell’intera storia umana. Non c’è niente di meglio nel futuro e tutto, nel passato, è stato peggiore» (Cannon) • Spiega: «Sono un liberale illuminista che crede nell’esistenza della storia progressiva, sebbene non in senso meccanicistico, marxista. Ma esiste un processo coerente di modernizzazione: non stiamo semplicemente girando in cerchio. Penso che ciò che guida questo processo sia la conoscenza cumulativa della scienza e della tecnologia che produce un mondo economico con determinati rapporti sociali e politici. Ciò che io definisco ‘fine della storia’ è la razionale accettazione della lotta per il riconoscimento, per la dignità» • Il mattino dell’11 settembre, quando il volo 77 dell’American Airlines si schianta contro il Pentagono, lui si trova a Washington, al 7° piano della School of Advanced International Studies e resta a guardare la colonna di fumo che sale dall’edificio. Nel giro di poco, tutti i grandi giornali del mondo iniziano a chiamarlo: la storia è veramente finita? • «Lo so, a molti l’ipotesi della fine della storia è sembrata sbagliata o, quantomeno, bisognosa di una revisione. Io continuo a credere che l’idea di fondo sia corretta: in tutti questi anni un sistema politico alternativo alla democrazia liberale, capace di essere accettato e di diffondersi nelle principali aree del mondo, non è emerso. Ma è anche vero che il sistema liberaldemocratico non solo non ha trionfato ovunque, ma dà segni di decadenza in molte parti dell’Occidente e in modo particolare negli Stati Uniti: oggi registro limiti e involuzioni dei processi politici che non avevo visto nella festosa eccitazione del 1989 […]L’affermazione definitiva di questo sistema obiettivamente non c’è stata. Ma non sono emersi nemmeno modelli alternativi credibili: quelle che vengono dall’Islam radicale sono resistenze e reazioni alla modernizzazione. Quella di Putin è una battaglia antistorica che il presidente russo può combattere — oggi e non so per quanto tempo ancora — grazie alla posizione di preminenza che Mosca occupa nel mercato energetico europeo. Quanto può durare? Quello governato dal Cremlino è un sistema fragile, che non attira nessuno che non parli russo. Solo la Cina, con la sua autocrazia efficiente, potrebbe proporsi come modello alternativo. Ma anche lì ci sono grosse nubi […]: un ceto medio sempre più vasto si accontenterà di vivere in una dittatura altamente produttiva o chiederà libertà e democrazia? Vedremo. Per me i problemi principali sono all’interno delle democrazie occidentali. Soprattutto quella Usa, profondamente malata» (Massimo Gaggi, Corriere della Sera, 10/10/2014).
Critiche «Quell’idea sciocca… La premessa implicita dell’argomento di Fukuyama, e di molti in quella generazione, era che la democrazia è un sistema auto-stabilizzante. Una volta instaurata, si mantiene da sé. Ciò di cui questa visione non tiene conto è che la democrazia è sempre a rischio di degenerare, in varie forme» (Charles Taylor a Mattia Ferraresi, Il Foglio, 10/11/2019) • «La verità è che tanto la caduta del Muro quanto la fine del regime sovietico innestarono sommovimenti che ancora oggi stentiamo a comprendere interamente» (Macaluso a Gnoli) • «Milioni di persone si sono accalcate per entrare nei territori romani, egizi o greci, quando quelle civiltà erano all’apice del loro potere. E immagino che per ciascuno di esse ci sarà stato un Francis Fukuyama che assicurava che quello era l’apice della storia umana» (Cannon) • «Molti lo contestano anche a sproposito, senza averlo letto, fissandosi sul solo titolo e quindi sulla semplificazione estrema della sua tesi. È il prezzo del successo: da Marx a Gramsci per la sinistra, da Adam Smith a Karl Popper per la tradizione liberale, i più grandi pensatori spesso vengono criticati da chi li ha letti poco» (Federico Rampini, Robinson, 24/2/2019).
Vita privata Sposato dal 1986 con una Laura Holmgren conosciuta che studiava la politica sovietica in California. Tre figli: Julia, David, John «Fino a quando non ho visto loro, non avevo mai veramente rimpianto il fatto di non aver avuto un fratello e una sorella. Ma adesso lo rimpiango».
Politica Fu contrario all’intervento in Iraq e negli ultimi anni ha sempre votato democratico: nel 2012 per Barack Obama, nel 2016 per Hillary Clinton, nel 2020 sostiene Joe Biden. «Trump è un pericoloso incompetente, che ha dimostrato di avere seri problemi con il mondo democratico» • Non ha mai voluto candidarsi di persona. «Anche se ho delle idee molto precise sulla politica, specie sulla politica estera, ci sono troppe mani da stringere e bambini da baciare per i miei gusti. E poi, bisogna semplificare troppo. Non sarei felice di dire le cose che devi dire per farti votare».
Religione Agnostico.
Curiosità «Vestito sobriamente, estremamente ordinato, privo di senso dell’umorismo, sembra essere più una emanazione istituzionale che un uomo» (Cannon) • Fa il fotografo a tempo perso • Appassionato dei mobili del 17° secolo, ha delle riproduzioni che si è costruito da solo • Conosce Condoleeza Rice fin dai tempi del college • Dal nonno materno, quello che era andato in Germania, ha ereditato una prima edizione del Capitale di Marx • Nel 2020 ha firmato la lettera di Harper’s Magazine contro la cancel culture assieme ad altri 150 intellettuali. «Uno dei motivi per cui Trump venne eletto, fu che a destra c’era gran fastidio verso il politicamente corretto, l’attenzione sempre più ossessiva su come trattare questioni razziali, di gender, religione e così via. Ma la scorrettezza di Trump, per esempio le sue imitazioni di persone con problemi fisici ai comizi, è andata davvero oltre. Così come aver detto di voler far intervenire l’esercito dopo la morte di George Floyd. Alle provocazioni la sinistra ha reagito irrigidendosi ed esasperando, appunto, la cosiddetta “cultura della cancellazione”. Il risultato è che l’America, oggi, è divisa fra due opposte versioni di illiberalismo» (ad Anna Lombardi, la Repubblica, 22/7/2020) • «Quando si lavora per il governo, il contesto generale cambia ogni sei mesi e del tuo lavoro rimane poco o nulla. Kissinger diceva che al governo si consuma capitale intellettuale senza recuperarlo, e penso sia vero, in fondo. Mi piace quello che faccio ora. Mi piace fare il professore, scrivere libri e pensare a cose interessanti».
Titoli di coda «Con Francis Fukuyama un’intera generazione credette veramente che la storia fosse finita con il trionfo del liberalismo, o meglio che la storia avesse una meta, un orizzonte, una direzione, inevitabilmente giusta e razionale. E invece “la storia, nel senso in cui la maggior parte della gente ne parla, semplicemente non esiste”, come ha intuito Popper. La storia non ha una direzione e una meta. È circolare, torna indietro, si ripete in forme diverse. E “non è maestra di nulla che ci riguardi”. Troppo giovane per aderire davvero al marxismo, […] si è rifugiata nel progenitore di Marx, Hegel. Convinta di veder passare “lo spirito del tempo a cavallo”, ha creduto allo storicismo, al manifestarsi delle idee nella storia, al progresso senza fine. Così la caduta del Muro era un evento provvidenziale per i “comunisti liberali”, perché sarebbe seguito il trionfo della libertà, dell’ingerenza umanitaria, dell’economia sociale di mercato, della costruzione europea. Oggi, trent’anni dopo, possiamo concludere che non è andata così» (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 26/9/2019).