1 novembre 2020
Tags : Marcel van Basten
Biografia di Marcel van Basten
Marcel van Basten, detto Marco, nato a Utrecht, in Olanda, il 31 ottobre 1964 (56 anni). Calciatore. Uno dei migliori di tutti i tempi. Fu attaccante dell’Ajax (dal 1981 al 1987), poi del Milan (dal 1987 al 1995). Smise di giocare a soli 28 anni, dopo una serie di operazioni alla caviglia. Si ritirò nel 1995 • «Era il centravanti più forte del mondo» (Antonio D’Orrico, La Lettura, 13/4/2020) • Tre volte Pallone d’oro (1988, 1989, 1992). Campione d’Europa con la nazionale olandese nel 1988, dopo aver segnato un gol in finale all’Unione Sovietica che fu descritto come il più bello della storia dopo il coast to coast di Maradona. Considerato il più grande olandese di sempre dopo Johan Cruijff • «È stato realmente quanto di più vicino alla perfezione, sui campi di tutto il mondo, oppure il nulla, fuori. Colpa della caviglia destra, maltrattata dai chirurghi prima, durante e dopo le pedate degli avversari. D’altra parte, se Omero era cieco e Beethoven era sordo, a posteriori possiamo persino accettare che Marco fosse tecnicamente zoppo» (Daniele Abbiati, Il Giornale, 6/3/2020) • Alto un metro e 88, pesa 80 chili. Carattere schivo e ombroso. Il suo gioco era così elegante che Berlusconi lo soprannominò: Nureev • Con l’Ajax vinse tre volte il campionato olandese (1982, 1983, 1985) e tre volte la Coppa dei Paesi Bassi (1983, 1986, 1987). Con il Milan quattro scudetti (1988, 1992, 1993, 1994), tre Coppe dei Campioni (1989, 1990, 1994), quattro Supercoppe italiane (1988, 1992, 1993, 1994), due Supercoppe Uefa (1989, 1990), due Coppe Intercontinentali (1989, 1990) • «Van Basten nel Milan ha reso naturale vincere» (Mario Sconcerti, Corriere della Sera, 16/12/2019) • «Una buona metà della carriera gli è stata negata, ed è un vulnus perpetrato ai danni di noi spettatori perché la bellezza diffusa dal cigno di Utrecht (mai accostamento fu più indovinato) non aveva eguali» (Paolo Condò, La storia del calcio in 50 ritratti, Centauria 2019) • Dopo il ritiro, da allenatore, ha guidato lo Jong Ajax (2003 – 2004), la nazionale olandese (dal 2004 al 2008), lo Heerenveen (dal 2012 al 2014) e l’AZ Alkmaar (2014). Già dirigente della FIFA di Infantino. Oggi è ambasciatore UEFA del calcio • Ha detto: «Noi ragazzi degli anni ottanta abbiamo scritto la storia di un grande periodo. Diciamocelo...».
Titoli di testa «Non ce lo meritiamo, lo capite? Abbiamo visto van Basten, non possiamo sopportare questo» (un tifoso del Milan, nel vedere Javi Moreno, detto El ráton, che non riesce a controllare la palla, inciampa e ruzzola per terra, a San Siro, ultima partita in casa della stagione 2001/2002. Dalla tribuna, a queste parole, partì un’ovazione).
Vita Figlio di Joop e Leny van Basten. Anche suo padre è stato un calciatore. «Era molto orgoglioso di me. Al tempo stesso era un padre, come dire, olandese. Mi spiegava il calcio, mi sosteneva, ma era anche distaccato, freddo». Sua madre ha avuto la vita segnata da un ictus cerebrale. Nel 1985, all’inizio della sua malattia, la mettono in manicomio. «Era una donna sensibile e infelice, così come il matrimonio con mio padre aveva prodotto altra infelicità. Ha trascorso 22 anni senza riconoscere nessuno. Non si è potuta godere i figli, i nipoti. Solo quando se n’è andata, nel 2007, ho capito la natura del dolore sordo e senza nome che mi ha scavato dentro per tutto questo tempo» • Da bambino, Marco gioca a hockey • A sette anni, lui e l’amichetto Jopie vanno a giocare su un lago ghiacciato. Jopie va avanti e sprofonda nell’acqua gelata. Marco corre a chiedere aiuto in una fabbrica lì vicino ma quando torna Jopie è già morto. «Quel giorno portava un berretto come quello del campione di pattinaggio Ard Schenk, blu con una striscia bianca al centro e due rosse ai lati. Il berrettino galleggiava sull’acqua, me lo ricordo tuttora con precisione» • «Il suo primo ricordo da calciatore? “Ho nove anni, sono in ritardo all’allenamento. Mio papà Joop esce dalle macchine in coda per prendere la corsia d’emergenza con la nostra utilitaria, e io mi spavento moltissimo. Non aveva mai fatto una cosa del genere”» (Marco Imarisio, 7, 2/3/2020) • Da adolescente, annota tutte le sue parti le su partite su quadernoni colorati con gli anelli, formato A5. Ogni settimana scrive data, formazione, risultato e gol segnati. A volte, anche qualche commento (continuerà a farlo per quattro-cinque anni anche da professionista). Sulla scrivania della sua cameretta, con un coltellino, incide queste parole (in maiuscolo): «IO SONO IL MIGLIORE (DOPO DI ME)» • Arriva nelle giovanili dell’Ajax, suo allenatore è Johan Cruijff. «È stata la figura calcistica più importante per me. A forza di sentirmi dire che ero speciale, ho finito per crederci anch’io». Il suo debutto è a sedici anni, contro una squadra chiamata Texas: «La prima cosa che ho fatto quando ho infilato la maglia biancorossa, sono andato davanti allo specchio, negli spogliatoi, per guardarmi con calma. Me la sono presa comoda, ho dimenticato tutto il resto intorno a me. Mi sono girato, c’era il numero 10 dietro» • Viene soprannominato Bastrup, per l’assonanza con l’attaccante danese Lars Bastrup, che con l’Amburgo vinse due campionati e la Coppa Campioni nella stagione 1982/83. Con il primo stipendio da professionista si compra un’Alfa Giulietta beige e bianca usata. Prezzo: novemila fiorini • Il primo infortunio arriva nel 1986: si fa male alla caviglia sinistra. Viene operato il 15 dicembre all’ospedale Prinsengrachtziekenhuis, dal medico svizzero René Marti. Poi, quando la sinistra si riprende, inizia a fargli male la destra. «Quando uscivo dal campo ero costretto a tenere il piede in un catino pieno di ghiaccio. Le provavano tutte, ma la caviglia restava dolorante e gonfia. E nessuno sapeva dirmi quale fosse realmente il problema» • Eppure, van Basten diventa uno dei più forti calciatori olandesi. I tifosi dello FC Utrecht, per infastidirlo, gli gridano: «Marco, Marco... Tua madre è matta», ma lui segna lo stesso una rete dopo l’altra • Silvio Berlusconi inizia a corteggiarlo: per convincerlo a firmare per il Milan, lo invita nella sua villa e si mette a cantare il nuovo inno della squadra che ha appena fatto comporre. Il 31 maggio 1987, ultima partita di Van Basten con la maglia dell’Ajax, prima del passaggio al Milan, la sua curva grida: «Marco van Basten, Marco van Basten is great, he’s the pride of Mokum, he’s scoring every game». Quel pomeriggio l’Ajax batté lo Zwolle 5-2. Quattro gol sono suoi • «Quando arrivò a Milano per giocare nel Milan pensava che Emporio Armani fosse un fratello di Giorgio. E notò subito, assieme al compagno Ruud Gullit che, rispetto agli olandesi, gli italiani tenevano molto all’aspetto esteriore. La differenza balzava agli occhi quando andavano ad allenarsi a Milanello. Lui e Ruud avevano per beauty case una busta di plastica e portavano calzini e scarpe da tennis. Costacurta, Baresi, Maldini e gli altri sfoggiavano scarpe di cuoio lucidate abbinate alla cintura dei pantaloni e calzini intonati al vestito. I loro beauty erano “eleganti borselli di pelle”. E poi gli italiani “dopo la doccia si asciugavano i capelli col fon”. Cosa che lasciava i due olandesi straniti come Totò e Peppino la prima volta a Milano: “Ruud e io, in Olanda, non avevamo mai visto uomini asciugarsi i capelli”. Gli italiani avevano altre fissazioni. Ancelotti, per esempio, era capace di spiegare fino allo sfinimento come andava tagliato il prosciutto di Parma. A pranzo si intavolavano disquisizioni “sul condimento della pasta, su quale fosse il sugo più indicato”. Lui e Ruud erano sempre più perplessi: “Ma dove siamo finiti?”, pensavamo noi. “Ma che razza di discorsi sono?”» (D’Orrico) • Van Basten veste la maglia del Milan per 201 volte, segna in 125 occasioni. «Segnare, essere decisivi è una cosa sacra, in Italia. Io lo avevo capito, e facevo bene il mio mestiere» • «Sono stati gli anni più belli della mia vita» • «In Italia regolarmente si avvicinava qualcuno che voleva un autografo o una foto, anche quando sedevo infortunato in tribuna. Mi suggerivano sempre cosa dovessi scrivere come dedica sotto l’autografo: “Per Claudio, con simpatia”. O: “Per Pietro, con affetto”. Esistevano un paio di queste varianti. Una volta una sfilza di tifosi era venuta da me con richieste del genere e l’ultimo mi aveva pregato di mettere l’autografo “per esteso”. Io credevo che fosse il nome di un suo amico, per cui firmo e sotto scrivo: “Per Esteso, con simpatia”» • Lo vorrebbe il Barcellona, ma, in quegli anni, non c’è nessuna squadra in Europa, nemmeno il Liverpool, nemmeno il Real, nemmeno lo United, in grado di reggere il passo con gli investimenti di Berlusconi. Appena arrivato al Milan, Marco guadagnava un miliardo e mezzo netto, piano piano arriva a sei miliardi. Considerando i diritti di immagine, tocca i dieci miliardi l’anno • Non gli va a genio Arrigo Sacchi. «Lui mi definiva lunatico, ricollegava il mio comportamento alle fasi lunari. Pensava fossi sfuggente» • Dopo neanche sei mesi dal suo arrivo in Italia è di nuovo infortunato. Il 14 novembre 1987, seconda operazione alla caviglia, stavolta la destra, sempre con il dottor René Marti. È il 14 novembre 1987. «Emerse che il danno alla caviglia era molto serio. I legamenti superficiali erano già lesionati da tempo, forse dalla partita contro il Groningen, undici mesi prima. Il dottore mi spiegò che praticare sport ad alti livelli senza la protezione dei legamenti, il cui compito è di tenere l’articolazione al suo posto, può essere pericoloso. C’è il rischio che si formino frammenti ossei, dato che l’articolazione non ruota “nella sua coppa”, ma leggermente di lato, o all’esterno. Il dolore è insopportabile, ma non finisce qui. Questi frammenti possono infilarsi fra le due ossa che formano l’articolazione, aggravando la situazione. Continuare a giocare con dei frammenti ossei nella caviglia può provocare seri danni alla cartilagine, la quale è l’unico schermo che separa le due ossa. Esattamente ciò che avevo fatto io per quasi un anno: continuare a giocare» • «Da quando ho fatto presente che la caviglia mi limita nel gioco, Sacchi preferisce schierare Gullit e Virdis in attacco» • «“Era bravo a farsi amici i giornalisti, ha saputo costruire una immagine da grande innovatore” Non lo è stato? “Non ha inventato nulla. Il modulo che usava il Milan non era né rivoluzionario né offensivo. Schieravamo difensori eccezionali. A farci vincere così tanto è stata sempre la difesa, alla quale lui si applicava molto, dedicando invece poco tempo alla fase offensiva”» (Imarisio) • Una volta, nella primavera del 1991, Sacchi entra nello spogliatoio mentre Van Basten è sotto le mani del massaggiatore. L’allenatore inizia a discutere della posizione, degli errori tattici, dei movimenti sbagliati finché Van Basten sbotta: «Mister, voglio che sia chiara una cosa. Tu continui a dire che siamo vincenti proprio perché abbiamo lavorato con te, io invece vorrei metterla diversamente. Non abbiamo vinto tutti quei premi perché ci sei stato tu, ma nonostante ci fossi tu». Sacchi esce in silenzio, va da Silvio Berlusconi e dice al presidente: «O Van Basten o me». Berlusconi allora assume Fabio Capello • Con il nuovo allenatore, Marco si trova benissimo, ma ormai il suo destino è segnato • È il 21 dicembre 1992: terza operazione alla caviglia, di nuovo la destra. La esegue, ancora una volta, il dottor René Marti, alla Klinik Gut di Sankt Moritz. «L’idea era di ripulire nuovamente la caviglia e liberarla dai frammenti ossei. Sono quelli che ogni volta provocano l’infiammazione, mi aveva spiegato Marti […]. I frammenti possono danneggiare la cartilagine se finiscono fra le ossa della caviglia, e io ormai avevo imparato che era meglio andarci cauti, con la cartilagine» • «Perché non ascoltò il parere dei dottori del Milan, Monti e Tavana, che le consigliarono di non farlo? “Lei non può immaginare quanto l’ho rimpianto. Ogni mattina, per almeno i vent’anni seguenti. Il primo pensiero al risveglio è sempre stato quello. Non mi fidai di loro. Pensavo che stessero parlando nell’interesse della società”» (Imarisio) • Il professor Matri spiega a Van Basten che l’operazione è riuscita, che molti residui erano stati rimossi e che, per completare la pulizia, aveva dovuto segare un pezzo di osso. Secondo lui ci sarebbe volute quattro settimane per tornare in campo. Invece, man mano che massa il tempo, il dolore non sparisce, anzi: si fa più acuto «Lo sentivo a ogni passo, prima dell’intervento non era mai stato così. Prima mi dava problemi solo dopo gli allenamenti o le partite, quando si gonfiava, ora era perennemente arrossata, grossa e sudata» • Dopo quell’operazione gioca solamente altre tre partite, in Serie A contro Roma e Ancona (quando segnerà anche di testa), poi nella finale di Coppa Campioni persa contro l’Olympique Marsiglia a Monaco il 26 maggio 1993. In quel caso scende in campo con la caviglia anestetizzata dagli antidolorifici, quasi insensibile • Gli applicano l’apparecchio di Ilizarov, un attrezzo terribile, usato di solito per far allungare gli arti alle persone affette da nanismo. «Era un fissatore con ventidue “fili” che mi attraversavano l’osso. In realtà pareva una specie di impalcatura sulla gamba dal ginocchio in giù. Nel mio caso erano coinvolti tibia e malleolo. Tirando le ossa in direzione opposta, si sarebbe creato uno spazio dove avrebbe potuto generarsi del nuovo tessuto connettivo, in grado di fungere da cartilagine. Questo tessuto alla lunga avrebbe potuto sostituire la cartilagine danneggiata». Invece, una volta tolto l’apparecchio, la situazione peggiora • «Ero convinto che sarei durato per sempre. Dicevo sempre ai miei compagni che avrei smesso a 38 anni. Come poi hanno fatto Franco Baresi e Paolo Maldini. Ci credevo davvero. Quando sei giovane, ti senti immortale» • Il 17 agosto 1995, con indosso un paio di jeans, una camicia rosa e una giacca di renna, compie il suo ultimo giro di campo a San Siro. Marco è rimasto al Milan otto anni, più o meno tre e mezzo dei quali senza giocare. «Saluta con larghi gesti un pubblico milanista inebetito dalla tristezza. Marco ha 30 anni, ma ha giocato a pallone fino a 28: poi ha tentato in ogni modo di guarire la sua fragile caviglia, infliggendole quattro inutili operazioni, e il giorno prima ha ufficializzato il ritiro. “Devo salutare per l’ultima volta i miei tifosi, e poi sarà finita.” Quella sera l’umidità milanese è ai suoi massimi, eppure, chiunque ami il calcio sente un brivido gelato lungo la schiena» (Condò).
Amore Lasciò la casa dei genitori a 21 anni per andare a vivere con una Liesbeth van Capelleveen. Nozze il 21 giugno 1993, in un castello alla periferia di Utrecht. Tre figli: Rebecca (n. 1990), Angela (n. 1992), Alexander (n. 1997).
Dolore Ha sofferto di depressione, ansia e attacchi di panico. Prima degli incontri con la stampa, quando era allenatore, si sdraiava per terra in una stanza vuota • La sua autobiografia si intitola Fragile (Mondadori, pagg. 345, 2020) • «“Sono stati anni molto brutti. Forse, dovevo toccare il fondo per poi cominciare la mia nuova vita”. Quando ha capito di averlo raggiunto? “Un giorno che stavo tornando a casa da non so quale evento promozionale. Scendo dalla macchina. Angela, una delle mie figlie, mi corre incontro per abbracciarmi” Cosa c’era che non andava? “Aveva le mie stampelle in mano. Me le stava portando, come fosse un gesto naturale. Ormai era abituata a vedermi così. Non potevo più sopportare l’idea che le mie ragazze pensassero a papà come a uno zoppo. Alzai il telefono e chiamai il dottore” Per dirgli? “Che accettavo la sua proposta di bloccarmi per sempre la caviglia. Me l’ha fusa con il resto della gamba. Non posso più piegarla o girarla. Non posso più correre. Ma non sento più dolore. Da quel momento ricominciai a pensarmi come una persona con una vita davanti, e non come un menomato ricco e viziato che si piange addosso”» (Imarisio).
Malefatte Accusato dall’Agenzia delle Entrate italiana di non aveva pagato alcune tasse nel 1997. Per chiudere il contenzioso, nel 2008, pagò 7 milioni 200 mila euro.
Vizi «Non bevo birra, al massimo qualche drink più dolce: Cuba libre, Gin Tonic, Pisang Ambon, cose così. Drink da donne, insomma» • «Non ho mai usato crystal meth, né preso cocaina. Non sono mai stato in piscina con donne nude durante un Europeo o un Mondiale. E non sono mai stato schiavo del gioco d’azzardo. Nemmeno ho mai indossato una parrucca. Devo deludervi. Si è scritto molto su di me. Moltissimo. Un sacco di stupidaggini, tra l’altro. Spesso neanche le leggevo. E di solito ne restavo fuori. Le ignoravo, o le dimenticavo in fretta».
Gaffes «Come le è venuto in mente di pronunciare un sieg heil alla televisione olandese? “Una tempesta in un bicchiere d’acqua, scatenata da una mia battuta da cretino. Certe volte uno vuole fare lo spiritoso, e invece farebbe bene a tacere”» (Imarisio).
Curiosità Casa a Badhoevedorp, vicino ad Amsterdam. All’ingresso ha appeso un quadro che raffigura un ballerino di danza classica. «Ci sono solo due colori. Il rosso e il nero» • Gioca a golf • Il nonno era campione olandese di sollevamento pesi • La volta che Roger Federer si mise a piangere dopo la sconfitta agli Australian Open del 2009, gli scrisse una mail per consolarlo: «Io sapevo benissimo cosa stesse provando» • Rimpiange di aver litigato con Johan Cruijff, prima che lui morisse. «Aveva un progetto. Un’utopia. Voleva ridare l’Ajax agli ex calciatori. Avrei dovuto fare il team manager. Poi mi lasciò fuori. Non ho mai capito perché. Forse era un modo per proteggermi. Andai da lui, e sua moglie mi cacciò di casa. Non sono mai più riuscito a parlargli» • «Si sente ancora vittima di una ingiustizia? “Ho smesso quando ho passato i quarant’anni, ovvero l’età in cui tutti smettono di giocare. Fino a quel momento non c’è stata una mattina in cui non abbia pensato a quel che avrebbe potuto essere” Cosa sarebbe diventato Marco van Basten con una caviglia normale? “In pratica ho smesso di giocare a 28 anni. Avevo vinto tre Palloni d’Oro. Guardi oggi gli ultratrentenni Ronaldo e Messi, a che punto sono”» (Imarisio) • «A quei tempi avevo un che di arrogante. Forse sarei diventato un uomo insopportabile se per tutta la vita avessi continuato a vincere e a essere il migliore. Se non avessi mai subito quell’infortunio... Se non sai cosa vuol dire essere infelice, non sai nemmeno cosa vuol dire essere felice» • «Qual è il suo rapporto attuale con il calcio? “Vivo una condizione permanente di ambiguità. Da un lato ripeto sempre di non essere stato così importante, di essere uno dei tanti che hanno fatto buone cose”. E dall’altro? “Ho sempre paura che la gente si dimentichi di me. Aveva ragione Sacchi, sono un po’ lunatico”» (Imarisio).
Titoli di coda «Perché da allenatore non ha funzionato? “Quando tornai all’Ajax un ragazzo mi provocò. Sei van Basten, mi disse passandomi la palla, fammi vedere cosa sai fare. Ma io ormai non potevo più muovere la caviglia. In quel momento capii che non avrei mai potuto essere un allenatore come Cruijff, che viveva anche di quel che era stato” Chi era quel ragazzo così impertinente? “Oh, sono sicuro che lo conosce. Si chiamava Zlatan, di cognome faceva Ibrahimovic”» (ibidem).