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 2018  agosto 04 Sabato calendario

La storia d’amore tra Remarque e Marlene Dietrich

Era stato lui, Eric Maria Remarque, a prendere l’iniziativa quella sera del 1937, al Lido di Venezia. Si era avvicinato a Marlene Dietrich che stava cenando con il suo regista. «Il signor von Sternberg? Gentile signora?». Il timbro colto della voce dello sconosciuto aveva incuriosito la diva, ostile a ogni tipo di intrusioni. Quando si era presentato, facendole un baciamano perfetto, Marlene, lo invitò a sedersi. Nascondendo l’impressione che le faceva la sua celebrità, gli disse: «Lei sembra troppo giovane per avere scritto uno dei più grandi libri del nostro tempo» (Niente di nuovo sul fronte occidentale, ndr). «Forse l’ho scritto soltanto per potere sentire un giorno la sua meravigliosa voce dire queste parole». Mentre lui le accendeva la sigaretta con un prezioso accendino d’oro, Sternberg si allontanò.
Marlene Dietrich
Eric e Marlene avevano parlato tutta la notte, ma all’alba lui, guardandola, le aveva detto con la sua voce profonda: «Devo confessarlo… sono impotente!».  Ma, aveva aggiunto, all’occorrenza poteva essere un’ottima lesbica. Allora la Dietrich aveva ribattuto: «Oh, è magnifico! Che sollievo! Tu sai quanto detesto fare l’amore». Marlene, entusiasta, pensava a lunghe notti passate a chiacchierare e a dormire; ma, naturalmente, non era vero.
Eric aveva trentanove anni e lei trentasei. Non tutto era perfetto. Se Marlene era seccata dal persistente legame con la moglie Jutta, un’esangue, raffinata bellezza straordinariamente simile alla Dietrich, Eric doveva sopportare l’inesauribile seduttività bisessuale dell’attrice. «Marlene mi rimprovera perché mi sono risposato. Giusto e ingiusto. Jutta è furibonda per Marlene. Giusto e ingiusto… un sacco di contraddizioni» registrava in quella movimentata estate in cui si muovevano in uno strano quintetto: lo scrittore, la diva, la figlia e il marito di lei, cui si aggiungeva Tami, l’amante depressa del coniuge continuamente tradito dall’attrice. A tratti Eric, esasperato, esplodeva: «Non c’è amore con famiglia appresso». Gli alti e i bassi d’umore della Dietrich sembravano dare a Remarque un inconfessabile piacere. Un giorno avevano litigato per due ore. A un tratto, con gli occhi lucidi di lacrime, Marlene gli aveva spiegato in che modo amava gli uomini. O meglio che non ne aveva bisogno a letto. Solo le donne riuscivano ad appagarla. «Puma si è resa rapidamente conto che avevo un’esperienza maggiore. Innamorata… Dormito vicini. Puma accoccolata contro di me. Al mattino Puma sempre innamorata». La chiamava Puma ma anche scimmietta, pantera chiara, estate dorata, pioggia dolce.
Da sinistra, Dolores del Rio, lo scenografo Cedric Gibbons, Marlene Dietrich e Erich Remarque, nel 1955 a Hollywood.
Remarque era rimasto travolto dal successo inatteso del suo libro e riteneva di non meritare la fama e la ricchezza che gli aveva portato. Pochi sapevano che dieci anni prima aveva comprato da un nobile decaduto il titolo di barone. Tutti lo guardavano con sospetto, dai nazisti ai colleghi invidiosi del suo successo e della sua storia con la Dietrich. Ma niente poteva convincerlo ad adeguarsi al comportamento comune.
Erano in albergo a Parigi, quando una mattina la piccola Maria si era presentata alla suite della madre per aiutarla come al solito a vestirsi,  ma era stata bloccata da due uomini biondi di guardia alla porta. Poco dopo la porta si era aperta e un tedesco altissimo si era congedato dalla madre sbattendo militarmente i tacchi. Quando il terzetto si fu allontanato, l’attrice era esplosa: «Hai mai visto una cosa simile? Com’è possibile che un uomo beneducato come Ribbentrop creda in Hitler?… Ho dovuto nascondere Remarque nel bagno, dopo che hanno bruciato i suoi libri, temevo che se quegli avvelenatori di pozzi l’avessero visto… Che situazione ridicola! Ma… hai visto l’uniforme? Hai visto il taglio delle spalle? Ecco dove sono finiti tutti i sarti ebrei! Li hanno presi per confezionare i loro costumi! Tesoro, vai a chiamare mister Remarque… adesso può uscire dal bagno».
Lo scrittore era spuntato furibondo: «Marlene… non permetterti mai, mai più di rinchiudermi! Mi hai sentito? Non sono un bambino capriccioso o un idiota irresponsabile!». «Oh mio unico amore! Avevo tanta paura per te! Se sapessi come ti odiano perché tu, che non sei ebreo, hai lasciato la Germania! Forse li hanno mandati qui proprio per te». Poi si era ricreduta: «L’unica ragione per cui (Hitler) continua a mandare i suoi pezzi grossi per convincermi a tornare è perché mi ha visto con le giarrettiere nell’Angelo Azzurro e vuole infilarsi in quelle mutandine di pizzo!»
Erich Maria Remarque con l’ultima moglie Paulette Goddard.
Con Marlene gli alti e bassi erano senza fine. Nel 1938 registrava: «Vita piena e dolce con qualche timore che non possa durare». «Notte di esaltazione. Ma per il resto si va verso la fine». Spesso pensava di fuggire lontano, nella sua splendida villa sul Lago Maggiore. «Lavorare. Lavorare. Sbarazzarsi del Puma! Basta! Basta!». Ma non riusciva neanche ad arginare l’angoscia che gli procuravano le innumerevoli avventure dell’attrice tradendola svogliatamente.
In albergo le stanze dell’attrice erano sommerse di lillà bianchi profumati, fino a renderne irrespirabile l’aria. Erano, insieme alle casse di Dom Pérignon, gli omaggi di Remarque. Gli piaceva vederla scegliere tra gli abiti da sera disposti sul letto. Avrebbe scelto quello bianco col corsetto d’oro di Schiapparelli o quello con le pieghe da statua greca di Vionnet? «Dammi una sigaretta, caro… provare abiti stanca» gli diceva senza smettere di guardarsi allo specchio, buttando indietro i capelli con una lieve scossa.
L’aveva accompagnata nel fastoso Hôtel du Cap di Antibes. Grande conoscitore di vini, era in grado di indovinarne il nome e l’annata con un sorso. Il rovescio di tanta competenza era che a volte Marlene doveva, al volante della sua Packard, cercarlo in tutti i bar fra Cannes e Montecarlo, per riportarlo in albergo ubriaco, evitando che la notizia affiorasse sui giornali.
Marlene Dietrich.
Probabilmente la sua irritazione per il flirt di Marlene con l’ambasciatore americano, padre dei futuri Kennedy, lo spinse a trasporre l’amata in Arco di trionfo. Ne fece una maldestra cantante, Joan, «una bellezza eccitante e perduta con sopracciglia alte e un viso che non celava nulla e proprio per questo non rivelava nulla. Non prometteva niente e quindi tutto». E come il suo modello inconfessato, Joan era taciturna, egoista, infedele, bugiarda, e lo scrittore se ne vendicò facendola assassinare dall’ultimo amante.
Quando, a Hollywood, la Dietrich si innamorò di Jean Gabin, Remarque trovò la forza per allontanarsi  da lei, ma continuarono a scriversi fino alla morte di lui, anche se l’ultima moglie di lui, l’attrice Paulette Goddard bruciò tutti i messaggi di Marlene.