Anteprima, 21 settembre 2020
Tags : Rossana Rossanda
Biografia di Rossana Rossanda
Rossana Rossanda (1924-2020). Dirigente politico e giornalista. Fondatrice del manifesto. «Nessuna delle mie idee aveva funzionato, troppo presto o troppo tardi che fosse». • Giovanissima antifascista, brillante allieva del filosofo Antonio Banfi, fino alla fine degli anni Sessanta fu dirigente del Pci. Chiamata da Togliatti, prima donna in Italia, a dirigere la Casa della cultura di Milano, nel periodo in cui fu deputata (1963-1968) si occupò in modo particolare dei problemi della scuola e della cultura. Nel 1968 uscì il suo L’anno degli studenti (De Donato), nel 1969, dopo il XII Congresso del Pci (Bologna), promosse - insieme a Lucio Magri, Luigi Pintor e Aldo Natoli - la nascita della rivista il Manifesto: il tentativo di rimettere in discussione la cultura politica del Pci, e di «uscire da sinistra» dallo stalinismo, si concluse con la radiazione dal partito. Da allora, la vita politica di Rossanda ha coinciso con quella del giornale, diventato quotidiano. • Tra i suoi libri: Un viaggio inutile (Il Saggiatore 1962), Le altre (Bompiani 1979), Appuntamenti di fine secolo (Manifestolibri 1995, con Pietro Ingrao), soprattutto La ragazza del secolo scorso (Einaudi 2005) con cui arrivò vicina allo Strega (150 voti su 370 contro i 177 del vincitore, Sandro Veronesi). • «Sono nata a Pola, in una terra di frontiera. Sono venuta su in una famiglia che aveva un’idea della convivenza non nazionalista. Negli Anni Venti e Trenta, prima che me ne andassi via, si parlava tedesco, sloveno, italiano, in una quotidianità plurilingue, ancora priva di tensioni etniche» (da un’intervista di Alessandra Longo). • «Io sono stata tra i primi a criticare l’Unione Sovietica e per questo sono stata espulsa dal Pci, insieme agli altri compagni fondatori del manifesto. Fu un provvedimento giusto perché ormai non eravamo più d’accordo su niente. E poi non cademmo nel vuoto, ma nelle braccia del Movimento in un periodo di grande fermento sociale. Questo non toglie che quell’espulsione fu una delle mie grandi perdite. Tutta la mia vita ne è stata scandita. A cinque anni persi la mia casa di Pola, una bella villa con giardino, perché mio padre, che faceva il notaio e aveva investito tutti i suoi denari nelle cave di pietra istriane, fu travolto dalla crisi del 1929. La mia vera strada era quella di storica dell’arte, un interesse che mi sembrò totale finché non vinse quello per la politica. Più tardi, nel 1963, mi pesò molto non fare più la funzionaria di partito a Milano ma la parlamentare a Roma. Non era il posto per me. Intanto avevo perso due genitori ancora giovani. Sono una donna del Nord, ho fatto un lavoro da uomo e non mi piace mettere le viscere per terra. Ma non sono fredda, ho sempre frequentato le passioni. E le delusioni. Sa quando mi vennero i capelli bianchi? Nel 1956, durante l’invasione sovietica dell’Ungheria. Tutta quella vicenda si è coagulata nella mia mente attraverso una foto che mostrava un funzionario impiccato a un fanale, il volto scomposto, e sotto di lui alcuni operai della fabbrica in rivolta che ridevano. Mi dissi: ci odiano. Non i padroni, i nostri ci odiano. Avevo 32 anni e mi ritrovai di colpo sbiancata. Non sono stata bella e non mi ci sono mai sentita. Del resto i modelli della mia giovinezza erano Greta Garbo e Norma Shearer, mentre io ero grassottella e con i capelli dritti. Due matrimoni. Il primo con Rodolfo, figlio del filosofo Antonio Banfi, mio maestro. Siamo stati sposati vent’anni, un po’ separati in casa ma molto amici. Ora è morto ed è stato un grande dispiacere. Quando avevo 40 anni ho poi incontrato Karol» (da un’intervista di Stefania Rossini). • «Rossana Rossanda è nata antipatica in una famiglia di borghesi orgogliosi, era perfetta per diventare comunista e infatti lo è stata precocemente. Di suo ha aggiunto da subito una certa monumentalità conferita da sé medesima per non dar torto al proprio cervello: “Eravamo intellettuali, frequentavamo libri”. “Avrei letto e scritto”. S’accorse tardi del fascismo in cui era immersa sin dalla culla e quando arrivò il giorno, nel luglio del 1943, l’evento la lasciò frastornata. La pienezza del suo ego le consente oggi d’assolversi» (Alessandro Giuli). • Nel 2012 l’addio polemico al manifesto: «“Con il giornale che ho fondato non c’è più dialogo. Non voglio condividere più la responsabilità di quanto viene scritto. Ho diritto di esprimermi dove e quando voglio senza dover partecipare a un progetto politico che non è il mio”. Non vuole gettare altra benzina sul fuoco, però una mezza frase la dice: “Io non sono per l’antipolitica”. Dunque, il manifesto è accusato di strizzare l’occhio a Grillo» (a Riccardo Barenghi). • Nel 2011 accompagnò in Svizzera Lucio Magri che andava a morire volontariamente: «un’esperienza terribile. Però è una scelta che rispetto, e capisco. Vivere per vivere non ha molto senso. Se non ci fosse Karol (il marito malato, morto poi nell’aprile del 2014 – ndr) non avrei alcun interesse a vivere» [dal Catalogo dei viventi 2009, Marsilio]. Per dodici anni ha vissuto a Parigi. Nel 2018 è tornata a Roma. «Non avevo più nessuno in Francia, qui a Roma i compagni di una vita non ci sono più, Lucio Magri, Luigi Pintor, Valentino Parlato sono tutti morti, e anche io sono molto vecchia ormai» (a Concetto Vecchio) • «Alla fine ce l’aveva fatta: il corpo paralizzato a metà, prigioniera della carrozzella, ma Doriana [Ricci] era riuscita a spingerla fin dentro il mare di Sperlonga, l’acqua che arrivava alle gambe, e lei felice di questo insperato bagno settembrino, un’immersione nell’azzurro dopo il grigiore del lockdown. E sabato sera, quando il suo cuore sembrava rallentato, gli amici hanno sperato che anche questa volta riuscisse a superare la crisi. La corsa al Policlinico Umberto I e poi l’attesa al pronto soccorso. Ma Rossana Rossanda, l’indomabile ragazza del secolo scorso, la gran signora della sinistra italiana, s’è arresa nella notte» [Fiori, Rep]. Ad annunciare la sua morte, avvenuta sabato notte a Roma, è stato il manifesto. Sarà cremata a Prima Porta e poi condotta nel cimitero di Montparnasse, accanto al suo Karol. «Dopo non voglio che nessuno mi guardi, non voglio funerali. Non per pietà degli altri, ma perché io non sono più. Non voglio impedire che qualcuno mi accompagni, ma non voglio essere portata in una bara, voglio essere bruciata e via. Questo non è credo il timore della fine ma, al contrario, un ancestrale orrore di essere semivivi, trovarsi in una scatola, impotenti e senza pace» [a Lea Melandri e Manuela Fraire, in La perdita].