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 2020  settembre 30 Mercoledì calendario

Biografia di Gino Paoli


Gino Paoli, nato a Monfalcone, in provincia di Gorizia, il 23 settembre 1934 (86 anni) • «Padre autorevole della canzone d’autore» (Paolo Giordano, Il Giornale 12/05/2014) • Autore di brani popolarissimi come: Il cielo in una stanza (1960), La gatta (1960), Senza fine (1961), Sapore di sale (1963) e, a trent’anni di distanza dal suo debutto, Quattro amici, canzone con cui vinse il Festivalbar nel 1991 • Trentaquattro album pubblicati. Milioni di dischi venduti. È stato paroliere, tra gli altri, di Claudio Villa, Umberto Bindi, Luigi Tenco, Franco Battiato, Marco Masini, Zucchero. Ha partecipato a sette edizioni del Festival di Sanremo • «Occhiali scuri e quadrati, capelli corti pettinati avaramente all’indietro, nessuna condiscendenza verso il pubblico, nessun sorriso, nessuna moina, come gl’imponeva quel suo stile asciutto, tirato via da certe reminiscenze dell’esistenzialismo di Sartre» (Marinella Venegoni) • «L’Ungaretti della canzone italiana» (Gianni Borgna) • «Era affetto da timor panico, aveva accettato di salire sul palco solo per debiti. La sua corda interna era quella della poesia, non amava la propria voce» (Fabrizio De André) • «Paoli l’esistenzialista di Pegli, Paoli il probo, Paoli l’ex deputato del Pci, Paoli che ha sempre vissuto dalla parte giusta della storia» (Aldo Grasso) • «Quello con Gino è un legame che non si è mai sciolto» (Ornella Vanoni) • «Con Gino Paoli mi sono tolta tutti i grilli che potevo avere per la testa. La nostra è stata una grande passione» (Stefania Sandrelli) • «È un contaballe mostruoso, come Dalla» (Paolo Villaggio) • Ha detto: «Iniziai nel 1959 senza convinzione con una piccola canzone, La gatta, che uscì in 80 copie, funzionò grazie ai juke box. Me ne accorsi quando la canticchiò il postino in bici sotto la mia soffitta. Sassi la bocciarono perché era filosofica. Su Il cielo in una stanza mi dissero che dovevo cambiar mestiere. Per fortuna la cantò Mina» (a Simona Orlando, Il Messaggero, 10/5/2019).
Titoli di testa «Continuo a pensare che uno spettacolo sia un coito cosmogonico. Io me li faccio e loro si fanno me».
Vita Anche suo nonno si chiama Gino. Toscano di Piombino, ha iniziato a lavorare a cinque anni, poi è andato giovanissimo in una ferriera. «Era il piegatore degli alti forni, quello che prende il magma fuso, lo passa nei rulli e fa la latta». Analfabeta, anarchico, rissoso, ha imparato a leggere e scrivere dai giornali quando aveva cinquant’anni. «Era una persona incredibile, aveva le mani cotte dal calore, che con lo spillo non riuscivi a bucarle. Ha pianto una sola volta in vita sua, quando sono nato. Perché mi sarei chiamato Gino Paoli, come lui» • Il padre, Aldo, comandante di macchina sulle navi militari, dopo esser passato per l’Accademia navale di Livorno, è arrivato ai cantieri di Monfalcone come ingegnere navale. «Era di un’onestà assoluta, insieme contadina e militare. Io sono onesto perché era il tic di mio padre, non solo per mia convinzione. Sono onesto perché mio padre era talmente onesto che mi ha imposto il senso del dovere e l’onestà come comandamenti laici. Una rottura di coglioni mostruosa. Però ce l’ho addosso e non c’è niente da fare» • La madre, Caterina Rossi, donna molto religiosa, famiglia benestante di origine giuliana • «Io sono nato nel 1934 e ho vissuto i primi mesi Monfalcone, poi ci siamo trasferiti a Genova. Dieci anni dopo, parte della famiglia di mia madre morì infoibata. I miei parenti non erano militanti fascisti, erano persone perbene, pacifiche. Ma la caccia all’italiano faceva parte della strategia di Tito, che voleva annettersi Trieste e Monfalcone» • «Cosa ricordi della guerra? “I morti. A Recco. Tremila morti. Eravamo sfollati sopra Recco, a San Lorenzo della Costa. Gli americani buttavano giù tutti i ponti perché così i tedeschi non potevano rifornire il fronte che era a Cassino. Vennero di notte, alle due, bombardarono Recco e praticamente la distrussero. La gente dormiva e quindi li hanno ammazzati tutti. E, paradosso, non buttarono giù il ponte. Era lesionato, ma ancora su. Il giorno dopo mio padre disse: “Torniamo a Pegli”. Salimmo su un treno che arrivò da una parte del ponte. Siccome non reggeva il carico, ci fecero scendere tutti per camminare fino all’altra sponda. Noi camminammo sui morti. Sui tremila morti di Recco. Avevo otto anni. Li ho negli occhi”» (Walter Veltroni, 7, 10/5/2019) • Gino, da bambino, è biondo e i soldati tedeschi gli dicono che assomiglia ai loro figli. «Mi facevano i complimenti. Ci fu un episodio strano: ammazzarono un fascista giù nella strada e uno di questi tedeschi che mi diceva sempre che ero come il figlio, venne a casa perché doveva fucilare dieci persone per rappresaglia. Mia madre, che sapeva il tedesco, cominciò a parlare e a un certo punto questo se ne è andato» • Gino scopre la musica proprio quando la guerra finisce. «Davanti casa a Pegli c’erano i carrarmati americani, da loro sentii la tromba di Louis Armstrong. Avevo l’orto di guerra e scambiavo pomodori con dischi. Volevano darmi la cioccolata, preferii Billie Holiday» (a Simona Orlando, Il Messaggero, 10/5/2019) • Paoli non ha mai sentito niente del genere. Fino ad allora quelle canzoni erano proibite. «C’era l’autarchia, anche musicale. Così scoprimmo la musica dei liberatori. Poi i cantanti francesi e soprattutto la poesia, la letteratura, Sartre, Simone de Beauvoir, Apollinaire.... Noi eravamo affamati di queste cose, in Italia non c’era niente, c’era solo quello che passava il regime. Steinbeck, Hemingway, Melville. Io li ho letti tutti a tredici quattordici anni. Suonavo la batteria, facevamo i gruppetti come tutti i ragazzi» (Veltroni) • Suo padre lo vorrebbe ingegnere, ma Gino, a differenza del fratello Guido, che diventerà un fisico, non è portato per gli studi. Così, quando ha diciotto anni, firma un contratto da grafico e va a vivere da solo, portandosi dietro soltanto tre dei suoi amati libri. «I libri hanno dentro un po’ della tua anima; lo spazzolino da denti te lo puoi comprare dovunque, l’anima no» • Va a stare con la sua ragazza in un villaggio di pescatori, a Genova. «Vivevo da bohémien, senza una lira. Ma quando hai poco, lo dividi con tutti» • Fa amicizia con un gruppo di ragazzi con i suoi stessi interessi. Sono Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Umberto Bindi, Joe Sentieri e un certo Fabrizio De André • «Nessuno pensava di fare il cantautore. Dai cantautori francesi capimmo che la canzone poteva esprimere inquietudine» • Nelle canzoni, teorizzano, bisogna usare il linguaggio di tutti. «Allora c’erano tanti stereotipi, troppi, partendo dal presupposto che la parola dovesse essere poetica o ispirata. No, la poesia è un flash emozionale, è quello che non si dice, che sta dietro alla parola» (Giordano) • Nel suo gruppo di amici ci sono anche due fratelli, Gian Piero e Gian Franco Reverberi, musicisti professionisti, che nel 1959 riescono a procurargli un’audizione a Milano • All’inizio lui si limita a suonare la batteria. «Comincio a registrare dei dischi con canzoni che scriveva Tengo con Franco Franchi, che era un cantante. Ne faccio tre o quattro e poi un giorno torno a casa e provo io a scriverne una. Mai fatto prima. Così ho scritto La gatta...». La canzone ha successo, certo, durante l’estate la suonano in tutti i jukebox, ma niente in confronto a quando Mina, l’anno dopo, decide di interpretare la sua Il cielo in una stanza • «Volevo descrivere l’attimo in cui sei a letto con una donna, hai appena fatto l’amore, e nell’aria percepisci una sorta di magia, che non sai da dove arrivi e che svanisce subito. In quel momento capisci che non sei nessuno, ma nella tua anima c’è tutto il mondo. Naturalmente non potevo mettere nel testo il punto centrale della storia – l’atto sessuale. E presi a girarci intorno, raccontando dei rumori della strada, le pareti... un itinerario a spirali, dove trionfava il non detto» • L’armonica citata nella canzone, racconta, è stata ispirata da quella suonata al matrimonio di suo nonno Gino, l’anarchico, che in tarda età si era fatto convincere a recarsi all’altare: «Quella canzone è la celebrazione di un rito, di un officio, di qualcosa di sacro come è fare l’amore. Il riferimento all’armonica ci stava bene» • «Il cielo in una stanza è, come si dice, un atto di omaggio nei confronti di una prostituta della quale ti eri innamorato? O è una leggenda? “In parte sì. C’era una che mi piaceva molto, nel casino qui a Genova. E andavo a trovarla. È dedicata all’orgasmo, quella canzone” Nessuno lo aveva capito? “L’orgasmo è qualche cosa di incomprensibile per gli esseri umani. È qualcosa che non ha niente a che fare con l’umano. È inutile che ci giriamo intorno. È un atto mistico, l’orgasmo. Tu ti senti proiettato nello spazio, nel tempo e nello stesso tempo ti senti niente, ti senti zero, non ci sei più. C’è qualcosa di inspiegabile nell’orgasmo. Infatti io non l’ho spiegato, ho cercato di ricreare una emozione che lo richiamasse. In genere le cose che voglio dire sono nel non detto, mai nel detto. Come una spirale che ti porta nel centro delle cose. È un po’ la lezione di Prévert che, tutto quello che scrive, lo fa così. Anche Apollinaire usava le parole come fossero una forma” […] L’hai più risentita? “No. Allora le prostitute dei casini facevano quindici giorni o un mese. Poi sparivano e andavano chissà dove...”. Ma quando sei diventato famoso non ti ha cercato? “No”. Quindi anche grande dignità... “Sì”. Avrebbe potuto rivendicare. Oggi sarebbe al Grande fratello... “No, no. Era un trappolo: piccola con i capelli neri, un’aria un po’ orientale. Gentile, buona”» (Veltroni) • «Estate 1963: Sapore di sale è in classifica e lei tenta il suicidio. Perché? “Né depressione né disperazione. Volevo vedere cosa c’era dall’altra parte. A 29 anni avevo tutto, pensavo di aver visto tutto. Lo feci con precisione, non mi riuscì, decisi: mi tocca vivere. Avrei perso la vita straordinaria che è seguita”» (Orlando) • «Ti ricordi quel giorno tu o no? “Sì”. Lo ricordi lucidamente? “Sì, la mia ex moglie era andata a stare da un amico dall’altra parte di Genova. Io ero solo in casa. Ho preso un paio di pistole, le ho provate per vedere quale sparava più lontano. Le provai in un vocabolario. Sparai per vedere quanto era penetrante il colpo. C’era questa Derringer che aveva una canna piuttosto lunga quindi era più sostenuta. Poi misi un po’ di pillole sul comò e cominciai a prendere le pillole, ma era una rottura di coglioni mostruosa. Pensai, mi butto dalla finestra. Ma poi se mi vede mia madre tutto spiaccicato non è il caso, povera donna. Ad un certo punto ho pensato: mi sparo, vediamo. L’ho fatto. Come se mi avessero tirato un masso enorme addosso. Poi ho perso conoscenza. Mi sono svegliato in ospedale con il prete che mi dava l’estrema unzione e l’ho mandato a fare in culo”» (Veltroni).
Amore Sposato con Paola Penzo, dalla quale ha avuto i figli Nicolò (1981) e Tommaso (1992). Il primogenito Giovanni (1964, giornalista) è nato dal primo matrimonio con Anna Maria Fabbri. Nello stesso periodo una relazione che fece scandalo con Stefania Sandrelli («Mi venne un colpo quando, dopo, mi confessò che aveva appena sedici anni») da cui è nata Amanda (1964). Un’altra con Ornella Vanoni, per la quale scrisse alcune delle sue canzoni d’amore più famose (Senza fine, Che cosa c’è ecc.): insieme pubblicarono poi il libro Noi due, una lunga storia (Mondadori 2004). Lui: «Ornella mi attirava soprattutto come donna, ma è difficile scindere, in una come lei, la donna dall’artista: le due facce sono molto simili». Lei si disse dispiaciuta di non aver avuto un figlio insieme: «Una tenera curiosità mi è rimasta dentro: come sarebbe stato il pargolo di una donna dalle mani senza fine e di un uomo che vede il cielo in una stanza?» • Con Mina «solo amicizia. Anzi, in un primo momento andavamo d’amore e d’accordo, poi ci accapigliavamo. Niente sesso. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto. A quel tempo era una grande gnocca» (a Stefano Manucci) • «Però le donne che hai avuto sono state tutte donne di qualità… “Assolutamente sì” Tu hai tre fedi alla mano sinistra per quello? “Sì”» (Veltroni) • «Se amo una donna, è per tutta la vita: le ragioni per cui l’ho amata sussistono, la bellezza permane. Perché smettere solo perché non si va più a letto insieme?».
Politica «Le mie prime manifestazioni furono quelle contro Scelba» • Nel 1987 il Partito comunista gli chiese di candidarsi tra gli indipendenti di sinistra. «Mi convinsero Occhetto, D’Alema e Angius. Mi dissero che bisognava mobilitare tutte le energie migliori per cambiare questo Paese. E io, ingenuo, accettai» • Prima del voto, i suoi amici genovesi, Antonio Ricci, Renzo Piano, Beppe Grillo e Arnaldo Bagnasco cercarono di farlo desistere. «Convocarono una cena per farmi cambiare idea. Piano disse: “Tu fai già politica con le tue canzoni, lascia perdere”. Non cambiai idea e fui eletto nel collegio di Napoli» (a Paolo Giordano, Il Giornale 12/05/2014) • In Parlamento fino al 1992 • Poi divenne assessore comunale alla Cultura ad Arenzano: «Altro errore. Mi ci portò mio cognato. Capii subito che si riproducevano gli stessi meccanismi della politica nazionale. Ricordo che nel 1992, con Enzo Majorca mi sono immerso per esplorare la nave Haven, una superpetroliera che era affondata al largo di Arenzano. Era ancora piena di nafta, petrolio nero dell’Iran. Denunciammo tutto. Il Comune di Arenzano mi accusò di voler rovinare l’immagine del paese... Li mandai a cagare».
Religione «Cristiano lo sono, ma cattolico no» • «Sono rimasto cattolico rispetto alla scopata. Perché la scopata senza il cattolicesimo non è così gustosa. Se non è peccaminosa non ti diverti mica tanto» (Gino Paoli).
Grane Già presidente della Siae, polemizzò con gli occupanti del teatro Valle, a Roma, perché ovviamente non pagavano i diritti d’autore • Il 20 febbraio 2015 la Procura di Genova aprì un’indagine su di lui per evasione fiscale • I pm, al lavoro sul caso Carige, avevano messo microspie in vari posti, beccarono il suo commercialista e la storia saltò fuori così. Paoli fu accusato di aver incassato due milioni di euro in nero, anche per aver cantato ad alcune Feste dell’Unità e di averli depositati in Svizzera per nasconderne all’erario 800 mila • Da alcune intercettazioni telefoniche. Paoli: «Non voglio che si sappia che ho portato soldi all’estero». Poi la moglie: «Bisogna nascondere bene le carte in un posto sicuro». Paoli: «Io sono un personaggio pubblico, non posso rischiare questo. Ho un’immagine da difendere. Non voglio che si sappia che ho portato soldi all’estero, li voglio riportare in Italia». Poi il commercialista Andrea Vallebuona: «Vedremo di trovare un modo» • Su Facebook scrissero: «Il cielo in un caveau» • Nell’aprile 2016 Paoli iniziò a trattare con l’Agenzia delle Entrare, con l’intenzione di mettersi in regola. A luglio la procura chiese l’archiviazione. « Paoli, travolto dalla vicenda, annullò qualche concerto, si dimise dalla Siae, incassò la difesa dell’amico Beppe Grillo […] ed iniziò a pensare a come uscirne. Il cantautore spiegò che alla festa dell’Unità così fan tutti, “è un sistema diffuso”, e precisò che non era lui a gestire “in prima persona” le quisquiglie finanziarie. Dimostrò poi di aver effettuato parecchie operazioni sul conto elvetico ben prima del 2008: impossibile, dunque, fissare proprio in quell’anno la “dichiarazione infedele”. E il 2008 è il termine ultimo affinché non intervenga il non luogo a procedere, la prescrizione chiesta dal pm e che a breve, con certezza quasi assoluta, verrà cristallizzata» (Andrea Tempestini, Libero, 1/8/2016).
Vizi Buona forchetta. «Anni fa eravamo un gruppo di amici: i fratelli Reverberi, Giacomo Assandri… In alcune serate decidevamo di partire per spedizioni gastronomiche e, sulla Serravalle, esisteva un posto dove si cenava a prezzo fisso. Una volta, a metà del pasto, il ristoratore ci disse: “Ragazzi voi mi rovinate!”. C’erano dei mangiatori che facevano paura!» • «Sono stato un grande bevitore per 20 anni. Poi ho avuto la fortuna di riuscire a smettere, mentre mio fratello non ha smesso ed è morto» • Continua a fumare.
Curiosità È alto 1 metro e 80 e pesa 84 chili • Era il cantante preferito di Emanuela Orlandi • Ha una casa sulla collina di Nervi, a Genova, e un podere a Campiglia Marittima, in Maremma, dove già il nonno e il bisnonno coltivavano olive: lui, assieme al figlio Nicolò, produce un Olio dei Paoli • Prepara il pesto con una ricetta particolare: usa i pinoli, le noci al posto dell’aglio, e il parmigiano reggiano al posto del pecorino. Sostiene che nel vero pesto il basilico andrebbe tritato con un pestello di legno. «A pestare ti fai due palle notevoli, ma è fondamentale perché pestando si sprigionano gli oli essenziali del basilico […] lo faccio raramente con il mortaio, sopporto mia moglie che lo frulla. Ma quello si chiama frullato e non pesto. Il pesto bisogna pestarlo e come dicevo è una rottura» • Gli piace alzarsi tardi al mattino • «Non guardo la tv da 10 anni, solo i telefilm. I social non so cosa sono. Guardo Facebook la mattina, e il TG24 dove ci sono le notizie senza opinioni» • La sua canzone d’amore preferita è La donna cannone di De Gregori • Ha dichiarato che Carla Bruni cantava Il cielo in una stanza meglio di Mina. «Meglio Carla Bruni, perché Mina canta Il Cielo in una stanza e l’elenco telefonico allo stesso modo, non so se sa quello che canta oppure no. Canta come se fosse uno straordinario strumento tecnico, come un flauto o una chitarra» • «I giovani che vedo danno i sintomi che si sono rotti: dicono basta con la plastica, basta con le stupidaggini. Sono specifici. Il consumismo è scoppiato, loro se ne sono già accorti» • «Tutti sanno bene come la penso. E io non ho cambiato idea; sono loro ad averla cambiata. Io sono sempre di sinistra, diciamo pure comunista; sono loro a non esserlo più» • Una delle sue canzoni s’intitola Voglio morire malato. «Una provocazione? “È la mia versione di Vado al massimo di Vasco. Ho sempre voluto provare tutto. Dovrei conservare il mio corpo per morire sano? La morte non mi spaventa, è una compagna. Ogni giorno che vivi, è un giorno in meno che vivi. La natura ci dice che tutto rinasce» (Orlando) • «Credo di essere stato un bravo pittore».
Titoli di coda «Come vorrebbe essere ricordato? “Con la mia umanità, senza essere mitizzato. Descrivessero la testa di cazzo che sono stato”» (Orlando).