30 settembre 2020
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Biografia di Pedro Almodóvar
Pedro Almodóvar, nato a Calzada de Calatrava, nella regione della Mancia, in Spagna, il 25 settembre 1949 (71 anni). Regista. Sceneggiatore. Produttore cinematografico • «Grande, grandissimo Pedro Almodóvar» (Mariarosa Mancuso, Il Foglio, 4/9/2020) • «Il ragazzaccio terribile del cinema spagnolo» (Maurizio Porro, Corriere della Sera, 11/2/1990) • Ateo e omosessuale dichiarato. Nel 2008 si è detto contrario alla psicoanalisi • Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia. Due premi Oscar, due Golden Globe, due David di Donatello, due premi César, sette premi Goya, maggior riconoscimento del cinema spagnolo • «Nessun altro è stato ed è come lui: eccessivo, colorato, istrionico, geniale, profondo. Un grande della cultura, non solo cinematografica, della Spagna post franchista. Mai uguale a se stesso eppure sempre riconoscibile. Ecco alcuni segreti del più importante regista iberico svelati attraverso i suoi film: perché c’è sempre un buon motivo per guardarne uno» (Sara Sirtori, iO Donna, 25/9/2015) • «Una delle cose più belle che mi siano successe nella vita» (Antonio Banderas) • «Ciò che crea è pura magia» (Penelope Cruz) • Tra i suoi film: Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1980), Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988), Légami! (1990), Tacchi a spillo (1991), Carne tremula (1997), Tutto su mia madre (1999), Parla con lei (2002), La mala educación (2004), Volver – Tornare (2006), Gli amanti passeggeri (2013), Julieta (2016), Dolor y gloria (2019) • «Al gusto per la provocazione e la trasgressione che ha caratterizzato le sue prime opere si è in seguito aggiunto quello per la contaminazione dei vari generi cinematografici e, infine, per la dolorosa indagine nell’animo dei propri personaggi» (Treccani) • A Malcom Pagani, che lo intervistava per L’Espresso, disse: «Sintetizzi pure, sono drammaticamente logorroico»
Titoli di testa «Mia madre era costretta a vestire di nero. Anche quando sono stato concepito. Forse per reazione, il mio immaginario è sempre stato in Technicolor» (ad Arianna Finos, la Repubblica, 18/5/2016).
Vita Terzo di quattro figli, ha due sorelle più grandi, Antonia e María Jesus, e un fratello più piccolo, Augustin, detto Tinín • Alla nascita pesa cinque chili • «Sobre su madre – che si chiamava Francisca Caballero ed è scomparsa nel ’99 – Pedro ha raccontato se non proprio Todo diciamo parecchio. Mentre del padre Antonio sappiamo pochissimo. Chi era? “Uno degli ultimi arrieros, mulattieri della Mancia. A dorso d’asino trasportava olio e vino fino in Andalusia. Caricava tutto sulle bestie in viaggi impervi attraverso la Sierra Morena che lo tenevano lontano da casa per settimane. Le automobili già esistevano. Ma mio nonno, che produceva il vino, voleva che il figlio continuasse a venderlo così. L’autorità degli anziani pesava ancora molto sull’economia familiare”. Antonio Almodóvar è morto nel 1980 – “nella stessa stanza in cui era nato” – e senza aver mai visto un solo film del figlio. Sospetto che non gli sarebbero piaciuti. “Mio padre apparteneva alla Spagna che puoi trovare nei resoconti di viaggio di Théophile Gautier o nella Carmen di Mérimée. Era un uomo dell’Ottocento cui toccò vivere nel Novecento. Ci separavano un paio di secoli”» (Mario Cicala, il venerdì, 29/4/2016) • «I ricordi più belli della mia infanzia sono associati al fiume. Mia madre mi portava con sé quando andava a lavare al fiume perché ero molto piccolo e non aveva con chi lasciarmi. C’erano sempre diverse donne che lavavano e stendevano la biancheria sull’erba. Io mi mettevo accanto a mia madre e infilavo le mani nell’acqua, cercando di accarezzare i pesci che accorrevano alla chiamata del sapone, casualmente ecologico, che usavano le donne dell’epoca e che fabbricavano loro stesse. Il fiume, i fiumi, erano sempre una festa. È stato poi nelle acque di un fiume che ho scoperto anni dopo la sensualità» (a Maria Pia Fusco, la Repubblica, 15/5/2006) • «Vivevo in un piccolo paese dell’Estremadura […], l’unica occasione per vedere film era il cinema estivo in piazza: venivano proiettati spaghetti western ma anche film d’autore come quelli di Buñuel, Antonioni e Orson Welles» (Chiara Ugolini, la Repubblica, 24/9/2019) • Racconta il fratello Tinín: «Vivevamo in campagna, i film arrivavano con un anno di ritardo. Ma si divorava di tutto. La fontana della vergine di Bergman l’ho visto che non avrò avuto nemmeno diec’anni. Film durissimo per un ragazzino. Non credo che in un cinema di città mi avrebbero lasciato entrare» • «Passavamo serate ad ascoltare Pedro che ci raccontava i film. Spiegando quello che sullo schermo non si vedeva, e aggiungendoci molto di suo» • Un giorno, per festeggiare un anniversario di matrimonio, i coniugi Almodóvar portano i figli a vedere Guerra e Pace, ma al secondo bacio il padre, scandalizzato, ordina a tutti di tornare a casa. «I miei non sapevano vedere un film, non ne capivano il linguaggio: flashback, dissolvenze, stacchi li disorientavano. “E ’sti cavalli adesso che c’entrano? Da dove sbucano? Sono veri o di cartone?”» • Pedro viene mandato in un istituto di salesiani di Caceres. «Avrei voluto imparare qualcosa, apprendere, sapere di più sui miei dubbi precoci legati all’esistenza di Dio e al senso della vita. Ma fu un’esperienza atroce. Fecero di me un bambino incolto e ignorante che passava il tempo cantando, con insegnanti del tutto inadeguati al compito» • «In collegio c’erano moltissimi abusi, soprattutto tra i bambini più piccoli. Avevo dieci anni e con i miei coetanei passavo 24 ore al giorno. In camerata, di notte, ci raccontavamo le nostre esperienze. Mi ricordo di almeno venti bambini che vivevano nel collegio ed erano stati molestati. Ci provarono anche con me, ma riuscii sempre a scappare. C’era un prete che in cortile mi dava sempre la mano perché gliela baciassi. Io quella mano non l’ho mai baciata. Fuggivo. Fuggivo sempre e sotto i portici del chiostro, quando ero solo, non camminavo ma correvo. Avevamo paura» • Pedro non ha la minima intenzione di farsi prete, ma a Caceres, se non altro, riesce a vedere molti film americani. «La vera scuola, la cultura, gliela hanno insegnata i film. Le pellicole di Luis Buñuel, Michelangelo Antonioni, Ingmar Bergman, Orson Welles» (Sirtori) • Deciso che vuole diventare regista, a diciassette anni, scappa di casa. «Mio padre la prese malissimo. Voleva farmi riacchiappare dalla Guardia civil. In paese mi aveva trovato un posto in banca. Ma se fossi rimasto sarei stato un infelice. Parliamo del 1969-70: all’epoca, per fare la tua vita dovevi rompere con quella dei tuoi. Oggi non è più così […] La famiglia mediterranea può ancora opprimere e diventare repressiva. Però adesso – a meno che i genitori non siano fanatici integralisti o, che so, adepti di una setta – la frattura con loro è provvisoria. Necessaria, non dico di no, ma prima o poi la ricomponi. È successo perfino a me che venivo da una cultura della ribellione» (a Cicala) • «Da ragazzino coltiva il sogno di andare a vivere a Londra. Quando ci arriva, nel 1971, scopre un modo che lo segna profondamente. Fatto di cinema underground e di uomini che girano per strada truccati. Dei concerti di David Bowie e di Alice Cooper» (Sirtori) • Si trasferisce a Madrid e vorrebbe studiare cinema, ma non può: in Spagna c’era un’unica una scuola ma Francisco Franco l’ha fatta chiudere. Allora trova lavoro come impiegato nella società Telefonica statale. «Alle cinque del pomeriggio staccava e là fuori c’era tutta Madrid. Col suo sottosuolo ruggente, al crepuscolo del franchismo» (Cicala) • Con il primo stipendio, compra una cinepresa Super8. «È diventata la mia scuola: ho cominciato a sperimentare fin quando non mi sono potuto permettere mezzi più sofisticati» • Nel frattempo, Franco è morto, la dittatura è finita e a Madrid comincia l’era della Movida. «Esta noche todo el mundo a la calle o Madrid nunca duerme erano alcuni slogan del tempo» (Il Post, 22/5/2020). Ci sono la musica, le riviste indipendenti, provocatorie e iconoclaste, gli artisti di strada, i letterati, il teatro, gli stilisti, le radio e le televisioni. E poi, c’è il cinema • «Tra gli anni 70 e i 90 la mia vita è stata un tourbillon, una continua festa, notte e giorno si confondevano» (alla Finos) • «Avevo una vocazione molto concreta: volevo fare il regista. E non avevo nessuno che mi facilitasse il percorso. Sapevo che riuscire o meno dipendeva solo da me. Dal disordine mi ha salvato la vocazione» • Pedro si mette alla prova in un gruppo teatrale, incide canzoni, scrive racconti e fumetti. Poi, nel 1980, dopo due anni di lavorazione, completa il suo primo film: Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio. «Pensavo che non avrei mai lasciato Telefónica. Presi sei congedi senza retribuzione. Quando tornavo, mi mettevo a piangere» • Nel 1982 arriva per la prima volta al Lido: un po’ di nascosto, in orario preserale, presenta L’indiscreto fascino del peccato. «È stata la mia prima vittoria contro la censura, rappresentata dal direttore della Mostra, Gian Luigi Rondi. Lui, che era un democristiano, mi accusò di aver fatto un film anticlericale e non voleva prenderlo a Venezia; la questione però arrivò fino alla stampa, e per il clamore causato fu impossibile non programmare la pellicola. Quello fu il mio battesimo come regista internazionale, ma anche la mia prima grande battaglia contro l’intolleranza democristiana». Il film è la storia di un gruppo di monache invasate da droga e sesso di ogni ordine e tipo, un crescendo di calcolata blasfemia. «Rondi allora non ebbe guai col patriarca di Venezia […] anche se le monachelle ispaniche arrivarono all’Excelsior alzando le gonne già dal motoscafo e iniziando la lunghissima era “scandalosa” del regista che ha vissuto l’era della movida spagnola e che ama il gusto della sfida solo come chi ha studiato presso i frati» (Maurizio Porro, Corriere della Sera, 25/9/2019) • «L’etichetta di provocatore di scandali m’ha accompagnato per anni, ma non ci ho sofferto mai. L’ideale, da artista, è incontrare la complicità del pubblico, vedere che gli spettatori si rispecchiano in ciò che racconti. Quello è accaduto. Altri si sono indignati, ma l’ho accettato. Vuol dire che erano vivi i miei film ed era vivo il pubblico. Io certamente la trasgressione non l’ho mai cercata. Non sono come Madonna, lei sì cerca lo scandalo. Io ho sempre scritto naturalmente quel che mi sentivo di scrivere, se poi la gente ne usciva scioccata andava bene comunque. Non mi sono mai voluto mettere nella situazione di dover difendere i miei film: sono quello che sono. Solo una volta è successo, ma perché in quel caso fu quasi censura. Légami! uscì negli Stati Uniti classificato come un film pornografico, confinato nei cinema a luci rosse. Con la Miramax, che lo distribuiva, denunciammo la Motion Picture Association of America, che decide il rating di ogni film. Vincemmo la causa a New York, e da quell’anno, era il ’90, i distributori statunitensi dovettero inventarsi una nuova classificazione per quei film d’autore che sì, avevano scene di sesso molto esplicite, ma non erano certamente dei porno. Ecco, solo in quel caso ho difeso un mio film come si difenderebbe un figlio» • «François Truffaut affermava che ogni film dovrebbe insegnare qualcosa, e infatti in Baci rubati viene spiegato come spalmare la marmellata senza rompere le fette biscottate. Ricordandomi di Truffaut, ho inserito una scena in Donne sull’orlo di una crisi di nervi in cui Carmen Maura illustra la ricetta del gazpacho, una ricetta che avevo chiesto alle mie sorelle. In America non sapevano cosa fosse il gazpacho, e dopo l’uscita del film, nei menù di molti ristoranti americani ho visto riportata la stessa ricetta del gazpacho di Carmen Maura!».
Amore «Non mi piace classificare i film secondo categorie sessuali. Sarebbe come dire “questo è un film grasso di Orson Welles” oppure “un film brunetta di Sofia Coppola”. È vero che esiste una cultura gay a cui mi ispiro, ma questa è solo una delle influenze che agiscono sui miei film. Non sono un regista gay che fa film gay per un pubblico gay» • Dopo aver girato Volver, a proposito della Cruz: «Penelope mi ha fatto desiderare fisicamente una donna dopo 22 anni di omosessualità convinta».
Religione Vorrebbe che le suore potessero dare la confessione e la comunione e che il Papa abolisse il celibato ecclesiastico. «I religiosi sono esseri umani e la sessualità per noi è un dono, una cosa naturale che Dio ci ha dato, ma per loro è una punizione; credo che molti problemi della chiesa cattolica, a partire dagli scandali degli abusi sessuali nei seminari, sparirebbero».
Grane «La vicenda dei Panama Papers le ha cambiato la vita? “Non l’ha cambiata, no. Ma è stato tremendo, anche perché davvero non sapevo niente di niente. Non mi sono mai occupato delle questioni economiche e non c’è una causa contro di me. Quel che mi ha fatto soffrire è come mi hanno ritratto i media. Come fossi il protagonista della storia, quando in realtà ero solo una comparsa, un figurante muto”» (Finos).
Curiosità È alto un metro e settantasette • «Se potessi cambiare qualche cosa vorrei essere più alto, con il pene molto più grande e più sexy» • «Non mi attrae solo la bellezza. Ci sono molte cose bruttissime che mi ispirano» • «Tutto ciò che non è autobiografico è plagio» • «Scrivo racconti, non li pubblico ma lo faccio di continuo. Nella mia testa, ciascuno di essi potrebbe diventare una scena di dieci-quindici minuti, se mai mi servirà dentro un film. E penso che ogni storia, prima o poi, troverà la sua collocazione, il suo film» • «La mia idea di vacanza è un computer per poter scrivere» • Ha una società di produzione con uno staff di 24 persone, nel 2014 fatturava 45,2 milioni di euro. Suo fratello Augustin, calvo, brevilineo, schivo, laureato in chimica, ex insegnante di scienze, è suo socio con il 15 per cento delle azioni • Augustin compare in un cameo in ogni film del fratello. Racconta: «Adesso sono diventati una tradizione. Ma iniziai a farne per il semplice motivo che sul set mancavano sempre comparse. Comunque mi considero il più costoso degli attori almodovariani. Non in termini di cachet, ma di pellicola: con tutte le scene che sbaglio, gliene faccio sprecare una montagna». È stato postino, bancario, poliziotto, immobiliarista, farmacista, fabbro ferraio, tassista, prete, pulitore di piscine, commesso di ferramenta, giardiniere, controllore di volo • In ogni film c’è sempre anche qualcosa di rosso • Gli sarebbe piaciuto avere dei figli • Bellissima casa a Madrid piena di opere d’arte • Vive da solo con due gatti. «Sto diventando un mezzo misantropo, un asociale». Esce poco la sera: «Non ci sento più da un orecchio e mi è difficile seguire le conversazioni. Soffro di iperreattività bronchiale, il semplice odore del fumo mi ammazza, qualsiasi sbalzo di temperatura mi spegne la voce» • «Credo che oggi in Europa si vedano molti meno film europei rispetto a trent’anni fa. Il gusto degli spettatori è peggiorato, almeno in Spagna, per ragioni commerciali, o va’ a sapere per cosa. Le sale chiudono, posti di provincia che prima avevano il loro cinema ora non ce l’hanno più. Il cinema nelle sale io continuerò a difenderlo: è lì che sono nato» • Si fa un autoscatto ogni mese da decenni. «Certifico il passaggio del tempo sul mio volto, i segni, le espressioni» • «Sarò un vecchio arrabbiato, uno che da un lato capisce che il corpo perde colpi e dall’altro si infuria. Non credendo in un Dio non ho risolto i miei problemi con la morte e non capirla e rifiutarne l’idea rappresenta un problema oggettivo» • Nel suo testamento ha disposto che nessuno scriva libri su di lui • «Rimpianti? “Nessuno. È un altro sentimento cattolico. Avrei potuto vivere una vita migliore? Certo, ma è bene riconoscere le cose che esistono, sapendo che ce ne sono altre da vivere ancora”» (Finos).
Titoli di coda «Ama ripetere: “Essere un regista in Spagna è come essere un torero in Giappone”. Ma essere diversi, qualsiasi cosa voglia dire, non è mai stato così bello» (Sirtori).