Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  settembre 30 Mercoledì calendario

Biografia di Francesco Tullio-Altan


Francesco Tullio-Altan, nato a Treviso il 30 settembre 1942 (78 anni). Fumettista. Vignettista. Autore satirico • «Il papà della Pimpa, il personaggio a fumetti più amato d’Italia, dai bambini tra i 2 e i 5 anni» (Marco Belpoliti, La Stampa, 16/3/2010) • «Dal 1974 collaboratore di Linus, L’Espresso, Panorama, La Repubblica, si è dedicato soprattutto al fumetto (Trino, 1974; Pimpa, 1975; Ada, 1978; Colombo, 1979; Macao, 1984), raggiungendo i migliori risultati con le vignette satiriche di Cipputi (1979), nelle quali l’omonimo operaio metalmeccanico commenta con spirito caustico i temi dell’attualità politica e sindacale del paese» (Treccani) • «Altan ha la barba di Mosè, ma non sente di detenere alcun segreto. Così minimizza, riduce, ride di se stesso e quando gli pare di esagerare, precede i ragionamenti sibilando un “abbastanza”» (Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano, 3/6/2014) • «Altan non va in televisione, Altan non appare quasi mai e questo ha creato intorno ad Altan un alone di leggenda. Ma Altan detesta gli aloni» (Stefano Benni) • «Un poeta solitario» (Enzo Biagi) • «Una sagacia appartenente all’altro mondo» (Oreste del Buono) • «Il grande sovrintendente all’anagrafe delle avventure» (Paolo Conte) • «Un genio. Ogni volta mi stupisco delle sue trovate, mentre altri disegnatori spesso mi colpiscono per la modestia e la banalità… È un artista popolare, pur essendo raffinatissimo» (Giorgio Bocca) • «Il disegnatore Altan, l’eccelso battutista Altan, il politologo Altan, il critico del costume Altan (eccetera eccetera: bisognerebbe aggiungere il filosofo, lo psicologo, l’editorialista, il sociologo e ancora altro), insomma, Altan e ci siamo capiti, è uno della vecchia guardia. Come direbbero oggi i pensatori politici più attrezzati, un oltranzista, un massimalista. Oppure, semplicemente, un comunista. Un tipo misteriosamente fuori moda» (Edmondo Berselli) • Campionario di sue battute: «“Quest’anno facciamo la partenza intelligente?” “Perché, tu non vieni?”», «“Lei è un coglione?” ”Maledizione, c’è una fuga di notizie”», «“Papà, mi suicido”. “Non fare il moralista, spara agli altri”», «“Ancora violenza su donne e bambini” “E con chi dovrebbero sfogarsi, con i panda e le foche monache?”», «Mi vengono in mente solo idee che non condivido», «Nel campo del virtuale noi della old religion abbiamo un know-how che la new economy se lo sogna» • «Non c’è giorno che io apra Twitter e non trovi una sua vecchia vignetta pubblicata da qualcuno per dire qualcosa sul presente. Ogni suo lavoro s’attaglia perfettamente all’attuale. “Questo la dice lunga sull’attuale”» (Simonetta Sciandivasci, Il Foglio, 27/7/2020).
Titoli di testa «Altan detesta parlare di Altan? “Una delle più grandi sofferenze della mia vita l’ho provata l’anno scorso, quando mi sono ritrovato a dover parlare di me davanti a una telecamera, per un film che è stato fatto sulla mia storia”» (ibidem).
Vita Figlio di Carlo Tullio-Altan, insigne antropologo, grande intellettuale liberale, impegnato nella Resistenza, e di sua moglie Nora • «Mia madre era dolce e mio padre severo. Con me giocava poco e aveva idee precise su quel che si dovesse o non si dovesse fare» (a Pagani) • «Com’era il suo rapporto con suo padre? “Abbiamo vissuto insieme solo nella primissima infanzia, anche se era molto preso dal suo lavoro”» (Simonetta Fiori, Robinson, 12/10/2019) • «Mio padre era tecnicamente incapace di leggere i fumetti, non riusciva a spostare l’occhio dal fumetto alla figura. E da bambino me ne aveva proibito la lettura durante l’anno scolastico: allora era considerato un genere diseducativo» (ibidem) • «E lei rispettava il divieto? “Non proprio. Una volta, in una grande casa a San Vito, ci fu un incendio. I miei corsero a svegliarmi alle sei del mattino, preoccupati che le fiamme si propagassero, per portarmi via. Aprirono la porta e mi trovarono con la testa ficcata nelle pagine di un fumetto”. Quale? “Non ricordo precisamente, ma io leggevo Piccolo sceriffo, Pecos Bill, Gim Toro, quegli album a strisce piccoline di cui ora mi sfugge il nome. Avevo amici più grandi che li compravano per me in paese. E io, per non farmeli beccare, li nascondevo in giardino”» (Nicola Mirenzi, Huffington Post, 12/11/2019) • Francesco è pigro fin da giovane. «Pensi che una volta, da piccolo, volevo imparare a suonare. Mia madre me lo sconsigliò fortemente, mi disse ma no, ché il giorno dopo ti stufi» • «A 7 anni sognavo di essere ingegnere navale: mi ero innamorato di un’illustrazione. La prua di una gigantesca nave di ferro. Stava sulla Treccani» • «“E poi quando ero giovanissimo mi ero messo in testa che sarei morto a 28 anni in una pescheria di Rotterdam […]”. Scusi, perché una pescheria? Poi a Rotterdam! “Non ne ho la più pallida idea”» (Fiori) • Nel 1950 i suoi genitori si separano: lui rimane con la mamma. «“Un giorno facemmo le valigie e partimmo per Bologna. Avevo annusato l’atmosfera, ma nessuno mi disse né mi spiegò niente. All’epoca l’addio tra moglie e marito si gestiva male”. Fu traumatico? “Abbastanza. Arrivammo a fine novembre. La nebbia era nebbia e il freddo, un freddo porco. Dalle finestre si vedevano ancora i palazzi distrutti dai bombardamenti. Sembrava Guernica. Tubi, appartamenti sventrati, tetti crollati. Bologna, con il tempo, si è fatta amare molto. Ci ho vissuto fino ai 19 adorando le sue piazze, tifando per la sua squadra di calcio e sentendola sempre una seconda patria. Il ricordo casalingo di mio padre invece è fermo agli 8 anni, a una visita sporadica e a qualche vacanza estiva”. Il disegno è un riflesso della solitudine? “A 14 anni volevo fare il pittore. Mio padre mi dissuase: ‘Fai il liceo, poi deciderai’. In verità non ho mai scelto una mia strada. Mi sono fatto guidare dalle correnti. All’inizio degli anni ‘50 la tv non c’era e le alternative erano poche. Si disegnava e si leggeva creandosi la propria mappa un libro dopo l’altro”. Ha letto molto? “Esisteva il dovere di leggere ed era una fatica. Il punto di rottura fu L’uomo senza qualità di Musil. Era estenuante e mi fermai al primo volume. Cominciando a scegliere da solo, senza imposizioni, conobbi finalmente anche il piacere. Il meccanismo perfetto dei gialli di Dürrenmatt o Le Carré. L’umorismo un po’ amorale degli inglesi. Una goduria”» (Pagani) • «Ha avuto grandi maestri? “No, ma un paio di professori del liceo li ricordo ancora”» (Sciandivasci) • «Iniziò alla fine dei’60 su Playmen e già all’epoca, con piglio da Wodehouse, ritraeva mostri, satrapi, cialtroni e disgraziati. Donne travestite da sirene, impegnate a cantare con il timbro del cinismo: “Io son disposta a tutto, basta che sia alto, bianco, serio, biondo, innamorato e ariano”. Farfalle in volo allusivo: “Sul serio credevate che gli entomologi ci rincorressero per le bellezza delle nostri ali?”. Affreschi di naufraghi che ballano porcini all’immorale ritmo della perdita di sé: “Babbo, vado in tv”. “Allora non ho vissuto invano”» (Pagani) • I primi passi li muove in Brasile. «Arrivai a Rio la prima volta nel 1967, insieme a un amico che doveva realizzare per conto della Rai un film sulla musica popolare brasiliana. Avevo 25 anni, studiavo ancora Architettura a Venezia. Ci tornai poco dopo con Gianni Amico per girare un altro film, Tropici, storie di migranti dal Nordest verso San Paolo. Insieme all’attore Joel Barcellos, scrissi una favola che non aveva riferimenti alla realtà. Ne scaturì un film, Tatu Bola. Facevo di tutto: l’autore, lo scenografo, il tecnico dei suoni. Rimasi in Brasile da clandestino. Non avevo il permesso di soggiorno ed ero costretto a lavorare in nero. Disegnavo per un foglio satirico, ma senza figurare. Il giornale si chiamava Pasquim, era l’unico libero in tempi di dittatura: l’informazione passava nella forma indiretta della satira. Ogni tanto i censori se ne accorgevano e qualche redattore finiva in galera. A quel punto mi chiamavano a dargli una mano. Disegnavo vignette surreali, affidate solo all’immagine. Vivevo là come se ci fossi nato. Dopo un paio d’anni, sognavo in portoghese. Stavo bene, perché mi sentivo a casa. O forse perché non ero a casa» • «Ho vissuto a lungo in Brasile, lì ho cominciato a lavorare, ho conosciuto e sposato mia moglie, è nata mia figlia» (alla Sciandivasci) • Nel 1975 torna in Italia e, per il Corriere dei Piccoli, crea la Pimpa. «“Abitavo a Milano, in una casa in periferia. Ho fatto vedere all’agenzia con cui lavoravo, e ancora lavoro, Quipos, i disegni, un paio di prove su carta millimetrata. All’inizio non piacevano, poi il Corrierino le ha prese, e ho iniziato a disegnarle con cadenza settimanale. Nei primi sette anni il mio personaggio è cambiato parecchio: era un disegno selvatico” Ma Armando, chiedo, è un padrone o anche un padre per la Pimpa? Loro due sono una famiglia senza esserlo, non è vero? “Il rapporto tra Armando e Pimpa è il rapporto ideale tra padre e figlia”, mi risponde. Certo, è così. Nel fumetto iniziale Altan ha trasposto il rapporto con sua figlia, Chicca, di due anni e mezzo. “Armando, mi spiega, viene dal Walter Chiari dei fratelli De Rege”. Ma ricorda anche il Signor Bonaventura, un personaggio positivo: buono, accomodante, disponibile, padre ideale, un padre-nonno» (Belpoliti) • «All’inizio i veri lettori della Pimpa sono gli adulti; loro fungono da mediatori con i bambini, che non sanno leggere, quando questi cominciano a prendere in mano le storie e le guardano. C’è una generazione-Pimpa: dura tre o quattro anni, poi passano ad altro, ma non la dimenticano certo. L’età dei miei lettori varia dai due anni ai cinque-sei. Quando vanno a scuola cominciano a leggere altre cose. E quando disdicono l’abbonamento scrivono per scusarsi» • «Il disegno della politica è stata una passione o un dovere? “Non è stata né una passione, né un dovere: ci arrivai perché il mio agente, dopo che avevo già cominciato a pubblicare per Linus, quando ancora vivevo in Brasile, mi presentò al direttore dell’Espresso, Livio Zanetti, il quale mi domando: ‘Le andrebbe di occuparsi di politica e attualità?’. Risposi: ‘Perché no?’”» (Mirenzi) • «Cipputi è nato da solo, tra gli altri personaggi delle mie vignette. Tra le madri e i figli a un certo punto è spuntato lui, e si è preso un certo spazio» • «Lei li ha conosciuti bene gli operai? “In fabbrica, li ho incontrati una volta sola: a Roma, alla fine degli anni Sessanta. C’era uno stabilimento occupato, che era diventato la meta di pellegrinaggio di tutte le forze extraparlamentari d’Italia. Ciascuna portava il proprio messaggio rivoluzionario, mentre quelle persone avevano ben altri problemi per la testa. Mi sentii in imbarazzo, perché non avevo nessun titolo per fare quel tipo di discorsi”» (Mirenzi) • «Il talento rende liberi? “Non so, io sono stato fortunato. Ho cominciato a fare questo mestiere per caso, ai giornali chiesi subito se avrei potuto disegnare quello che volevo, e non su commissione: mi dissero di sì. Diversamente non credo che ce l’avrei fatta. So di miei colleghi che devono aspettare le sei della sera per sapere cosa disegnare. A me non capita, sono libero dal ‘tema del giorno’”» (Sciandivasci) • «Ha mai pensato di trasformare un classico in un fumetto? “No, non è il mio mestiere. Dovrei restare fedele alla storia scritta da qualcun altro e io ho sempre lavorato per rovesciare gli schemi. Prima di tutto i miei”. Viene prima il disegno o il testo della vignetta? “All’inizio mi capitava di fare un disegno e domandarmi cosa potesse dire quel soggetto specifico. Adesso no, viene prima il testo. Ho comunque imparato che su una storia non c’è modo di esercitare alcun controllo”. Lo dicono tutti gli scrittori: le mie storie hanno vita propria, vanno da sole. Ho sempre pensato che lei fosse prima di ogni cosa uno scrittore. “Non lo so. Quando lavoravo a storie lunghe, o scrivevo una sceneggiatura, dopo i primi due capitoli abbozzavo sempre un finale: mi serviva a esser sicuro di andare da qualche parte” E come andava a finire? “Mi ritrovavo altrove. Sempre”. È molto romantico. “È il piacere di fare questo lavoro”» (ibidem) • «Qual è la sua vignetta più famosa? “Forse, quella che feci quando vinse Silvio Berlusconi nel 1994. Uno dice: ‘Poteva andare peggio’. E l’altro risponde secco: ‘No’”» (Mirenzi).
Vita privata «Stanno insieme da quasi cinquant’anni, Mara Chaves e Francesco Tullio Altan. Estroversa, morbida, ridanciana Mara, con la sua fluente parlata brasileira; riservato ed essenziale Checco, amante della sintesi nella vita come nelle vignette» (Fiori) • Racconta lui: «La prima volta che provai a conquistarla con un mio disegno, sfiorammo la rottura. Ritrassi un omino piccolo e brutto, in mano aveva un uovo. Mara non capì e si arrabbiò moltissimo». Racconta lei: «Eppure adoravo il tuo umorismo nero» • Vivono ad Aquileia, in una casa in campagna lasciatagli in eredità dal padre. La figlia si chiama Francesca, detta Chicca.
Politica Si considera ancora di sinistra, va sempre a votare, ma non è mai stato iscritto a nessun partito: nemmeno al Pci. «Con una sola eccezione. Avevo 16 anni e il circolo monarchico organizzava festine niente male» • «Adoro i referendum: si vota ma non si elegge nessuno».
Religione «“Dio t’assista”, senza l’apostrofo, è una bestemmia?».
Vizi «Fuma il sigaro, beve caffè amaro» (Pagani).
Polemiche Attaccato dal centrodestra, nel 2012, per aver illustrato la favola Piccolo Uovo (racconta il viaggio di Piccolo Uovo alla ricerca della famiglia perfetta e il suo incontro con una coppia di Pinguini omosessuali in frac e bombetta con figli).
Curiosità «Cosa la fa ridere? “Le sciocchezze. Le cose semplici”» (Sciandivasci) • «Quando mi traducono in francese, su Le Monde, a volte non funziona. La battuta si sgonfia come un soufflé. Sono più verbosi, i francesi» • Detesta spostarsi. «Ti dicono “Ci mettiamo un’ora” e un’ora non è mai. Si perdono 3 giorni e fuori dal mio ambiente, non riesco a pensare. Non amo il telefono e non ho molti amici. Ma ne ho di buoni. Magari non ci incontriamo per un anno, ma quando accade, si riparte dallo stesso punto. Non c’è bisogno di spiegarsi con gli amici veri. La condizione che preferisco» • Sogno ricorrente: cadere giù da una montagna • Un tempo lavorava di notte, rimaneva sveglio fino alle 4 del mattino. «Non vedevo la luce, avevo la sindrome del fornaio. Ora devo dormire 8 ore, sogno molto e non faccio più incubi. Se ho un’illuminazione mentre riposo, la lascio fuggire» • «Oggi cado, rimbalzo per poi discendere gioiosamente attraverso i ghiaioni» • Dopo essere diventato nonno ha introdotto un nuovo personaggio nelle storie della Pimpa: Olivia Paperina, la Pimpa le fa un po’ da genitore • «Si è fatto un’idea del perché la sinistra sia sempre in crisi? “Me lo chiedo da quarant’anni”» (Mirenzi) • «Come sta Cipputi? “Ci vediamo un po’ meno di una volta. È nato in un periodo molto distante dall’attuale. E anche la classe operaia è cambiata molto. Non sappiamo nemmeno più per chi vota”. Le è mai venuto il dubbio che Cipputi possa aver votato Lega? (Per la prima volta il tono di Altan diventa assertivo, come mai era capitato di sentirlo prima). “Questo non mi è mai passato per la testa”» (Fiori) • «Ha nostalgia? “La nostalgia puoi anche averla, ma non serve a niente”» (Mirenzi) • «Forse ho nostalgia degli anni bolognesi, ma più probabilmente è nostalgia per i miei 16 anni. È non è vero che il tempo degli anziani valga di più. È tutto uguale il tempo. L’impresa eccezionale è organizzarlo, dargli un ordine. Prenda la Pimpa […] La concorrenza di Peppa Pig è feroce, ma io so che i bambini e la mia edicolante la aspettano ancora. Non posso fermarmi» (a Pagani) • «Lei sente l’età che avanza? “No. Finché riesco a lavorare non sento il tempo. È cambiato tutto fuori di qui, ed è cambiata la mia vita, ma quando disegno non avverto il peso degli anni” […] La vecchiaia le ha regalato qualcosa? “Sì, mi ha dato la calma. Le angosce della giovinezza sono passate. Io avevo paura del mondo in generale, non una paura specifica. Era un sentimento di inadeguatezza ad affrontare le cose della vita. Ora ho capito che più o meno ce la faccio”» (Fiori) • Suo padre morì nel 2005. La vignetta che dice «Gli italiani sono un popolo straordinario. Vorrei tanto che fossero un popolo normale» gliel’ha suggerita lui. «Alla fine siamo arrivati a parlare delle stesse cose. I suoi studi sugli italiani — sul familismo amorale, sulla mancanza di senso dello Stato, sull’individualismo sfrenato — mi hanno aiutato molto nel mio lavoro. E quindi direi che dopo un lungo viaggio ci siamo ritrovati. È finita abbastanza bene» (alla Fiori) • «Se scoppiasse un incendio quale delle vignette porterebbe in salvo? Non mi risponda quella più vicina all’uscita… “Sceglierei quella vignetta che dice: ‘Uno nasce, e poi muore. Il resto sono chiacchiere’”».
Titoli di coda «È stanco di rispondere alle domande? “Più che altro mi imbarazza, perché non è il mio mestiere” Mi dica solo l’ultima cosa: come ci si sente a finire in una mostra? “Ci si sente vecchi, caro mio”» (Mirenzi).