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 2020  settembre 02 Mercoledì calendario

Biografia di Irene Papas


Irene Papas, nata nel villaggio di Chiliomodi, in Grecia, il 3 settembre 1926 (94 anni) • «La grande Irene Papas» (Antonio Ferrari, Corriere della Sera, 23/9/1996) • «Regina del teatro greco, una delle attrici tragiche più famose e amate nel mondo» (Maurizio Porro, Corriere della Sera, 4/7/2004) • «La sua bellezza è tragica, racchiude la dannazione e la gloria di tutte le età» (Dario Cresto Dina, la Repubblica, 14/5/2006) • Leone d’oro alla carriera. Molto ammirata da Federico Fellini. Fu definita da Katharine Hepburn «una delle migliori attrici della storia del cinema» • Nel 1968 interpretò Penelope nello sceneggiato televisivo dell’Odissea, che fu, in assoluto, la prima produzione della Rai realizzata a colori • Tra i suoi film: Le infedeli (Steno e Mario Monicelli, 1953), Una di quelle (Aldo Fabrizi, 1953), Attila (Pietro Francisci, 1954), La legge capestro (Robert Wise, 1956), I cannoni di Navarone (J. Lee Thompson, 1961), Antigone (Yorgos Javellas, 1961), Elletra (Michael Cacoyannis, 1962), Zorba il greco (Michael Cacoyannis, 1964), A ciascuno il suo (Elio Petri, 1967), La fratellanza (Martin Ritt, 1968), Z – L’orgia del potere (Costa-Gavras, 1969), Le troiane (Michael Cacoyannis, 1970), Le farò da padre (Alberto Lattuada, 1974), Cristo si è fermato a Eboli (Francesco Rosi, 1979), Il leone del deserto (Mustafa Akkad, 1981), Assisi Underground (Alexander Ramati, 1985), Cronaca di una morte annunciata (Francesco Rosi, 1987), Il mandolino del capitano Corelli (John Madden, 2001), Un film parlato (Manoel de Oliveira, 2003) • «Non è donna che ti lascia indifferente, e ne subisci il fascino, che parte da quel suo aspetto fiero, dagli occhi che conosci da sempre e che ora ti scrutano pronti alla difesa, se non all’attacco» (Leoncarlo Settimelli, l’Unità, 9/6/2011) • «Mio padre diceva che la letteratura è finita con Goethe, perciò io che cosa posso ancora raccontare d’interessante? Credo nulla. Mi sento una moneta sul fondo di un secchio di pietre e, come se non bastasse, sono greca. È difficile, sai, parlare con i greci. Molto difficile. Possiamo rimanere qui due giorni e due notti, ma qualsiasi cosa io dirò sarà soltanto un piccolo pezzo di me. Forse autentico, forse no. Solo il mio fisico non può barare: sono alta un metro e settantotto centimetri e porto il quarantuno di scarpe» (a Cresto Dina).
Titoli di testa «Non ho mai vinto un Oscar, ma gli Oscar non hanno mai vinto Irene Papas».
Vita «Sono cresciuta con quattro sorelle, ci volevamo tutte bene, però ciascuna aveva un legame privilegiato con l’una o l’altra. È umano, le affinità esistono» • Irene Lelekou, questo il suo vero nome, nasce in un piccolo paese del Peloponneso, a una ventina di chilometri da Corinto. Sua madre è maestra elementare. Suo padre insegna drammi classici • «Quando ero ragazzina mio padre, sotto una tenda, in un prato, davanti a un piatto di verdure, olive e formaggi, raccontava a me e alle mie sorelle le imprese degli dei e ci abituava alle suggestioni della mitologia. Per questo motivo il libro conduttore della mia vita è uno, l’Iliade» • Irene si appassiona fin da giovane alle antiche storie. «Al paese, le vedevo svolgersi ogni giorno. Le stesse. Le donne piangevano ai funerali e ridevano alle nozze, come nei vecchi testi. Il Mediterraneo ha una memoria resistente, una memoria comune. Per questo noi, anche i più ignoranti, troviamo facilmente la verità nella cavea di un teatro, o in un sirtaki, oppure la sera, all’orizzonte, guardando il mare dopo un piatto di pesce fritto e parecchi bicchieri di vino...» (a Rita Sala, Il Messaggero, 10/5/2005) • «Scrivo da quando avevo otto anni. Ho un baule di versi. Li tengo bene in ordine. Ma resta una scrittura segreta, uno specchio intimo della mia testa. Io sono timida» (a Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica, 5/1/2003) • A dodici anni e mezzo inizia a frequentare la scuola d’arte drammatica di Atene. «Ricordo che ero già alta come adesso, solo un po’ più grassa. Mi aveva spinto la curiosità, avevo accompagnato un’allieva che era mia amica. Osservai una lezione, ebbi l’impressione che l’insegnante invece di mostrarle come si usa la verità la conducesse verso la bugia. Glielo dissi: non è così che si recita. “Allora, fammi vedere tu”, mi rispose l’uomo. Quel giorno ho capito che l’arte ci insegna a non ubbidire. La mia carriera cominciò così”» (a Cresto Dina) • «Per sfortuna o per fortuna io non ho amato mai la scuola. I maestri forniscono un modello che uno imita. Io ho imparato sempre guardando le persone che dicono la verità» • «A diciassette anni avevo deciso di chiarirmi le idee sulla religione. Così, con caparbia sistematicità, ho preso in mano i principali libri sacri: la Bibbia, ma anche il Corano, la Cabala, alcuni testi buddhisti, maya, dell’antico Egitto... Una lettura comparata che mi ha fatto intravedere un Dio sempre e comunque simile all’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, e non viceversa come ci raccontano. Un Dio su misura per noi» (a Giuseppina Manin, Corriere della Sera, 10/12/1994) • Sempre a diciassette anni, contro il volere della famiglia, scappa a Salonicco con un giovane attore, Alekis Papas, e lo sposa. Il matrimonio dura solo quattro anni, ma anche dopo la separazione lei continua a usare il suo cognome • Debutta in un film greco, La città morta. Poi decide di trasferirsi a Roma e comincia a frequentare Cinecittà. Da subito, in Italia, si trova benissimo. «È da quando avevo ventuno anni che vi frequento e vi invidio, perché non siete musoni, perché non vi prendete sul serio, perché il cameriere che ti serve al ristorante è quasi sempre allegro e non ti guarda, come qui in Grecia, con la rabbia di chi ti avvelenerebbe volentieri» (ad Antonio Ferrari, Corriere della Sera, 30/8/1993) • A Roma conosce Marlon Brando. Lui ha 30 anni. Lei 24. Si innamorano a prima vista, e il cinema non c’entra, perché non girano nessun film assieme. «Che tipo di amore è stato, lo può dire oggi? “Guardi io non ho mai più amato un uomo come ho amato Marlon, è stato la grande passione della mia vita, in assoluto l’uomo cui ho voluto più bene ed anche quello che ho più stimato, due cose che è in genere difficile riunire”. Che cosa aveva in più? “Come se si potesse raccontare. Aveva esperienza, fascino, dovrei scrivere un libro intero per spiegare cos’è stato per me quest’uomo e questo straordinario attore”. In particolare? “Guardi, mettiamola così: un’intelligenza fantastica, un potere seduttivo enorme, una persona speciale”» (Porro) • Irene comincia a ingranare. Conosce i più importanti registi dell’epoca. Lavora con Francisci e Monicelli. «Ho girato un film a Cannes, poi ne ho fatti altri due o tre, sono andata in America» • Rimane a Hollywood per due anni. A un certo punto, nel 1953, i giornali la descrivono come possibile quinta moglie di Humphrey Bogart • «Che cosa vuoi che ti dica di più? Mi restano pochi ricordi di quella esperienza, non ho bisogno del mio passato. Come tutti gli attori ho una memoria breve, se mi portassi addosso il peso di tutti i personaggi che ho interpretato non riuscirei a camminare» • «Ho fatto un solo film, un western, è mi è bastato. In America non hanno bisogno di attori ma di operai specializzati» • «Non ho mai voluto interpretare la parte della donna fatale. Volevo essere me stessa, una donna fiera e indipendente» • «Tu hai cominciato la tua carriera con film molto politicizzati, come Z. di Costa Gavras, il film che denunciava il regime dei colonnelli. “No, io ho cominciato con i testi dei tragici. E sì, sono tutti testi politici. Parlano tutti delle stesse cose: dello Stato e della Chiesa, del potere e del denaro, della violenza, della guerra, della mistificazione, dell’ideologia” Scusa, cosa c’entra la tragedia greca coi rapporti tra Stato e Chiesa? “Cos’altro rappresenta il ruolo di Tiresia nella tragedia di Edipo se non l’oscurantismo della casta sacerdotale? La forza del braccio secolare della Chiesa, brutale, e non solo per metafora? A quell’epoca le braccia degli uomini di chiesa erano forti anche fisicamente. Erano guerrieri, energumeni. Pensa alla durezza, al senso di parità nel braccio di ferro tra Creonte e Tiresia: “Io ti ho dato i soldi!”, “E io ti ho fatto re!”. Z. di Costa Gavras era una tragedia greca. Il potere e i soldi, la forza e la dittatura”» (Silvia Ronchey, La Stampa, 26/1/2009) • «Sono affascinata da Cassandra, il personaggio dell’Iliade, che prediligo. Perché Cassandra è la buona coscienza, la coscienza della verità. Suo padre aveva tanti figli perché aveva bisogno di  tenere sotto controllo altrettanti villaggi e i tesori di quei villaggi. Ma quella figlia intelligente e ribelle, che partecipa alle riunioni del governo di Troia, non sa essere accomodante, non sa fingere, rifiuta d’essere un pupazzo complice delle menzogne del potere […] dopo Cassandra, scelgo Ulisse. Perché Ulisse non è un eroe muscolare; è l’uomo che sa sopravvivere facendo lavorare la mente […] Sì, certo, c’è anche Ettore, il grande, caro e limpido Ettore, il combattente valoroso e perdente, incapace di capovolgere l’indirizzo del proprio destino. Ma sì, in fondo amo tutti i troiani, perché sono tutti perdenti, perché sono stati trascinati in una guerra che non avevano provocato e non avevano voluto» • Irene continua a lavorare per tutti gli anni Settanta e Ottanta. «A volte ha preso parte a film davvero insoliti, come il cupissimo Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci, del 1972. O davvero brutti, come L’assistente sociale tutto pepe, del 1981». È anche nel cast de Il leone del deserto, il film sull’eroe della resistenza anti-italiana in Libia, a lungo vietato da noi per vilipendio alle forze armate • Poi, a poco a poco, lascia da parte il cinema. «Troppi remake americani di vecchi film italiani impomatati con il gel, poche idee, nessuna ideologia, pochissime speranze, fantasia senza bellezza, nulla che sopravviva al tumulto del tempo. “Nel teatro, invece, non bisogna essere moderni a tutti i costi. A teatro l’uomo è nudo, i testi delle grandi tragedie greche nella loro classicità sono modernissimi. Di più, predicono il nostro futuro”» (Cresto Dina) • Si dedica moltissimo al teatro, fonda addirittura delle scuole di recitazione: una ad Atene, una a Sagunto, in Spagna, e una a Tor Vergata. Spiega: «Gli attori di teatro devono fare cinema per non avere gli occhi di vetro e quelli di cinema devono fare teatro per avere l’animo più sottile». Ha le sue idee, si arrabbia quando in scena vede effetti speciali e luci particolari. Vuole che tutto sia il più naturale e semplice possibile. «A volte penso che dovrei essere più accomodante, ma che ci vuoi fare, davanti a due occhi che mi guardano io non so dire bugie» • «La felicità? Tu conosci qualcuno che sia mortale e che sia felice? Io no. Ogni tanto sento dire: sono felice perché ho un ottimo stipendio, un po’ di soldi da parte, posso pagarmi da mangiare e l’affitto. Io non so descrivere la felicità, ma non credo sia quella. Anche se sono stata educata all’infelicità, so che la felicità da qualche parte dentro di noi ci deve essere. Nel profondo di noi. Serve qualcuno che ci aiuti a trovarla. Forse i genitori, forse i figli, forse gli amanti. Io sono molto limitata. Sono stata capace di fare soltanto un mestiere e il mio mestiere è l’unica verità che possiedo. Mi garantisce la libertà assoluta» (a Cresto Dina) • Nel 2011 l’università di Tor Vergata le assegna una laurea honoris causa. Irene, come tesi, porta la Teodora di Bisanzio, un’opera scritta di suo pugno. Quando le posano il tocco sul capo e la proclamano dottore, un cronista le chiede se sia un punto d’arrivo. «Lei mi taglia subito la domanda con uno sguardo che è una stilettata. “Non c’è mai un arrivo: bisogna sempre andare avanti, cercare, rischiare. Come Ulisse, no?”» (Settimelli).
Amore Della sua vita sentimentale non s’è mai saputo nulla. «Ho amato molto. Mai stata infedele, mai messo le corna ai miei compagni. Ma credo di non essere mai stata amata. Io amavo e nello stesso tempo avevo paura di amare, gli uomini lo avvertivano e si ritraevano. Io cercavo un alleato, loro la complicità. La complicità è un crimine e io detesto i criminali» (a Cresto Dina).
Figli «Avrei voluto dei bambini, certo, ma la natura deve aver pensato che con me aveva compiuto un capolavoro e che era meglio fermarsi» (a Cresto Dina).
Politica Da sempre di sinistra: egualitaria, femminista, antiamericana. «Vuole un’opinione? Niente da fare. Quelle le lascio volentieri ai protagonisti delle varie tribune televisive, che sanno tutto di tutto. Io sono un’attrice. Posso dire che mi arrabbio quando dicono che il tal politico è un teatrante. Magari lo fosse. Teatro è verità, la politica no».
Religione «Le bugie ti violentano, e poi ti obbligano ad acrobazie mentali per non essere scoperto. No, meglio la verità, è più naturale e comoda. Per questo soffro le imposizioni, come quelle della Chiesa, del cristianesimo. Disegnare il sesso e la passione come peccati e come vergogne… hanno distrutto il sesso, ecco la verità! E allora, evviva gli dei dell’Olimpo, evviva Giove, evviva Nettuno, che vivevano il sesso come lo vivono gli umani: da innamorati, gelosi, vendicativi. Quanta gioia di vivere, lassù, sull’Olimpo! Al nostro povero Gesù, invece, hanno persino tolto la barba» (a Ferrari 1993).
Curiosità Oltre al greco, parla correntemente inglese, italiano e francese • Ama leggere. I suoi libri preferiti, oltre l’Iliade, sono la Divina Commedia e Antonio e Cleopatra di Shakespeare. «Forse deluderò qualcuno, ma il solo libro moderno che mi è caro è L’autunno del patriarca di Gabriel García Márquez. Altri non ne ricordo. Vuol dire che non hanno lasciato tracce indelebili» • Fino agli anni 70 aveva paura delle dirette televisive. La superò una volta che l’avevano invitata a cantare a Domenica In • È stata anche cantante. Tra le altre cose, partecipò come ospite all’album 666 degli Afrodite’s Childes, cui lavorarono anche Vangelis e Demis Roussos, e si esibì nella canzone Infinity inscenando un orgasmo (ascoltala qui) • «Oggi l’amore rischia di diventare un vizio, una giostra en travesti. Grandi bocche, grandi tette, grandi culi, una sorta di Las Vegas. Dall’impero dei sensi a quello del kitsch» • Rimpiange gli anni prima della caduta del Muro. «Quando tutto era più naif, esistevano gli ideali e sapevamo per chi votare: eravamo responsabili delle nostre scelte e dei nostri errori. Oggi, invece...» (a Ferrari, 1993) • «Sei pessimista. “Al contrario. Sono ottimista. Credo si possa migliorare la natura umana. Ma serve la cultura. Vedi che oggi i ragazzi non vogliono andare all’università? Hanno ragione. Lì non imparano niente. Potrei raccontarti infinite storie su cosa sono diventate oggi le università, greche ma anche italiane”. Sapessi io. “Se la catena di trasmissione del sapere è interrotta, dominano l’improvvisazione, la frustrazione, l’avidità. Siamo vittime di una diseducazione profonda, capillare ed estesa, che ci viene dall’America. O meglio, da quello che ci viene proposto come modello americano. Perché poi l’America in sé, per le sue élite, ha università magnifiche. Che però non sono di Stato, e sono accessibili solo a una minoranza. Mentre alla maggioranza, e al resto del mondo, propone l’antitesi della cultura”» (Ronchey) • «Il teatro è l’unica arte che fa toccare le persone. Non c’è nessuna minaccia da parte della virtual reality: è un fenomeno che può stancare. I computer in casa sono utili per fornire informazioni, ma il pensiero dove lo trovi?» (a Di Giammarco) • Avrebbe voluto scrivere una serie tivù sulla storia di Bisanzio e una sugli Atridi, la famiglia di Agamennone e Menelao. Entrambi i progetti non si sono mai realizzati • «Credimi, alla morte non penso mai. Ricordo che lo facevo a vent’anni e il suo pensiero mi terrorizzava. Piangevo, non potevo accettare l’idea che la morte mi portasse via l’anima. Ora so di camminare su un filo, sento le campane suonare in lontananza, ma sono una buona equilibrista. Conosco il filo. Sono una vecchia signora per fortuna ancora sana che dentro si sente o tenta di sentirsi una bambina perché assolutamente priva della saggezza degli anziani. Io non sono un’anziana... sono una vecchia bambina» (a Cresto Dina, 2006) • Dal 2013 è scomparsa dalle cronache. Poi, nel 2018, si è saputo che soffre di Alzheimer • «È la memoria dell’infanzia l’unica che ci portiamo davvero sino alla fine dei nostri giorni, fino a quando chiuderemo gli occhi e li chiuderemo su quel tempo lontano ma felicissimo. Io spero di morire così, finalmente felice».
Titoli di coda Quella volta che, a Domenica In, superò la paura della diretta, in studio uno spettatore si avvicinò alla propria moglie e sussurrò: «Questa donna non solo è una  grande attrice. Esprime una civiltà».