la Repubblica, 28 ottobre 2019
Intervista a Gipi - su "Momenti straordinari con applausi finti" (Coconino)
"In questo periodo sto in fissa con Marilyn Manson" dice Gipi sulla porta di casa canticchiando "we’re all stars now in the dope show" mentre ci dirigiamo verso il suo studio, "ha musiche e testi pazzeschi, non capisco i pregiudizi che molti hanno nei suoi confronti". Non posso che confermare: Manson ama spiazzare. La prima volta che l’ho intervistato erano le 9 del mattino a smentire lo stereotipo del musicista fuori di testa e diceva cose molto intelligenti sulla società americana ("the dope show") e i suoi falsi miti (tipo politici, attori e rockstar) che lui cercava di decostruire con un immaginario inquietante e antitetico a "Holy Wood", un gioco di parole che trasforma il senso della capitale del cinema in un territorio "sacro" ("holy") e straniante come L’autostrada perduta di Lynch. "È che mi piacciono le persone vere, quelle che rischiano, come Manuel Agnelli tanto per restare nel rock’n’roll. Quando l’ho incontrato per la sua trasmissione Ossigeno ho capito subito che era come un fratello: c’erano molte cose che ci accomunavano, dall’aver fatto esperienze simili di vita, ma anche l’amore e la sofferenza per la morte di un genitore". Nasce da qui infatti l’idea dell’incontro forse più sorprendente che si terrà a Lucca, in Sala Robinson: quello tra Gipi e Manuel Agnelli. Ma veniamo al motivo per cui siamo qui: il nuovo graphic novel di Gipi a quasi tre anni da La terra dei figli.
Di cosa parla Momenti straordinari con applausi finti?
"Un comico sta al capezzale della madre nei suoi ultimi quattro giorni di vita e deve cercare di continuare a far ridere il suo pubblico. Il comico, mio malgrado, sono io".
Ti definisci così per i corti che fai per Propagandalive?
"Sì, per la satira ma non solo. Anche per la mia presenza sui social. Non a caso sotto il mio nome ho scritto "campo di scemenze". E ogni volta che faccio un tweet mi dico: "sei proprio un cretino". Ma non riesco a farne a meno".
La struttura del nuovo graphic novel è estremamente complessa. Quale è stato il tuo metodo di lavoro questa volta? So che ti dai regole molto precise e strette...
"Un metodo assai elaborato in effetti: ci ho lavorato completamente "alla cazzo". Io ho sempre rotto le scatole a tutti sull’importanza fondamentale del sapere di che cosa parla la storia quando racconti una storia. Non solo. Ho sempre detto che il mio metodo di lavoro consiste nel non portare avanti una storia finché non ho capito di cosa parla. Questo non tanto in termini di trama ma di cuore, di significato profondo. Qui invece sono partito senza avere la minima idea di cosa stessi facendo e non avevo, stranamente, neanche paura" .
Quando hai iniziato a lavorarci?
"Sono andato a rivedere i file: ho iniziato una settimana, dieci giorni prima che mia madre morisse. Volevo prendermi un momento in cui stavo sereno e ormai c’è solo questo per me: fare i fumetti. E quindi mi sono messo a disegnare ma non sapevo cos’era" .
Da cosa sei partito?
"Da un’idea precisa: che non avrei parlato di mia madre. Avevo tante storie in mente, non mi sarei certo messo a parlare di una cosa così personale, naturale poi... Di fatto tutte le mattine alle sei ero al tavolino e mi svegliavo così, senza la sveglia e ci stavo fino alle nove la sera. Dopo tre settimane di lavoro circa ho finito la carta".
Cosa ha comportato?
"Venivo da La terra dei figli in cui mi ero dato una vera gabbia: volevo cambiare stile, l’ho detto in tutte le interviste che quello sarebbe stato il mio nuovo modo di raccontare, invece sono proprio un cialtrone. Mi sono reso conto che l’ultima volta in cui ero stato veramente libero era stato con Unastoria e mi sono chiesto "e perché ero libero?". Perché usavo una certa carta "e che carta era?". Boh. Me la sono ricomprata: "Ah, che ficata! È proprio lei: guarda che risposta al colore, alla penna! È proprio quello che voglio per una cosa che non so se sarà a colori, in bianco e nero o cosa..." Ma un giorno mi sono accorto che stava finendo, così l’ho ordinata su Internet. La mattina in cui dovevano arrivare i nuovi blocchi mi è arrivata una lettera da Amazon : "Per un disguido i suoi blocchi arriveranno tra due settimane". Proprio quel giorno avevo finito di disegnare l’ultimo foglio".
Maledizione! E allora che cosa è successo?
"Ho avuto un attacco di disperazione. Ero solo a casa e senza carta non potevo più rinchiudermi in quel guscio che mi ero costruito. È crollato tutto: mia madre è come se fosse morta in quel momento, quando mi sono trovato a dire "Aiuto! Non posso non pensare a cosa è successo, non ho più la mia droga". Ho chiamato Chiara, mia moglie, che tremavo tutto e piangevo (si imita)" .
E lei?
"Mi ha detto: "Ma che sei scemo a fare così per dei blocchi?" ma poi ha capito cosa ci stava dietro e in 48 ore è riuscito a trovarla. Nel frattempo mi è venuta un’idea per riempire il buco: avevo delle interviste da fare e ho deciso di farle tutte in quei giorni. Poi è tornata la carta e non ho mai più staccato, senza un attimo di pausa. Infatti ho fatto un libro in sei mesi" .
Di solito invece quanto ci metti?
"Un anno e mezzo, due: è stato assurdo. Fino a pagina 80, il piacere che avevo a lavorà, mi faceva stà d’un bene (immaginate un po’ tutta l’intervista con accento pisano)! E poi questa decisione di fare capitoli di cinque pagine l’uno mi dava un’ulteriore libertà perché potevo essere lucido per cinque pagine e poi impazzire su Marte e poi ancora farne altre cinque sullo sbarco in Normandia".
Che tecniche hai usato?
"Ce ne sono due: acquarello e penna. Fine" .
Con una scelta però di colori molto diversi, a volte anche nella stessa pagina: alcune vignette molto cupe contrapposte ad altre con colori luminosi, allegri..." .
"Ed era tantissimo che non riuscivo più a usare i colori".
Perché?
"E chi lo sa? Il colore che ti viene fuori, anche se io sono un razionalista, rientra veramente nel mistero. Forse quando ci sono temi prossimi alla morte il colore agisce come antidoto. Ma non lo so. Però al tempo stesso sentivo anche di avere una lucidità assoluta a livello tecnico che non ho mai avuto prima".
Che cosa è cambiato?
"Per me due cose: uno, ho smesso di fumare e così ho acquisito una capacità di concentrazione al tavolo che prima non avevo. Prima era tutta una fuga in attesa di accendersi la sigaretta. Due: ero attentissimo al fatto che dentro questa storia non ci potesse entrare una sola goccia di sentimentalismo, soprattutto nei giorni in cui stavo all’ospedale con mia madre prima che morisse".
Non c’è sentimentalismo, no. Però piangere si piange.
"Questo libro si apre con "Dove eravamo rimasti". Perché per me si attacca a Unastoria, non in termini di trama ma perché è lo stesso tipo di approccio: vado a prendere una questione fondante della mia esistenza che è poi quella della sterilità che là era sottotraccia mentre qui te la sbatto in faccia. Ho capito tutto grazie alla pappina...".
La pappina?
"Sì, quando ho dato la pappina alla mia mamma mi domandavo: "se la nostra vita è solo trasmissione di geni da genitori a figli i tuoi geni adesso non hanno più una funzione, perché vuoi vivere ancora?". E la risposta che mi sono dato è stata: "Deh, perché la pappina è buona". La risposta è: perché sì! Perché tutto è più semplice rispetto alle elucubrazioni che ci facciamo. La trovo una risposta bellissima: è una resa al dolore. Quella di tutti".
Che poi ci sono certe scene fatte solo di illustrazioni e di quattro parole: la natura, l’acqua, le nuvole, dio. Sei credente?
"No, però era giusto mettere tutto".
Nella prima tavola un personaggio viene ucciso. Poi si scopre che in realtà è il set di un film e c’è un veterano che fa una domanda agli attori: "Sapete cosa si prova quando una raffica stacca la testa al compagno che sta di fianco a te?". E tutti rispondono cose come "rabbia", "dolore". E lui invece dice un’altra cosa...
"Dice: "gioia". Quando mi hanno detto che non avrei potuto avere figli ho sentito davvero dentro di me la voce di un uomo primitivo. È una delle mie ossessioni: tu sei convinto di essere una persona, una persona civile, che fa certe cose. E poi invece succede qualcosa e tu scopri di essere un altro, diverso, che parla una lingua aliena".
Hai fatto una scelta difficile: quella di parlare di un tema come il fatto di non potere avere figli.
"Sai perché l’ho fatto? Perché tutte le volte che l’ho detto in pubblico dopo gli incontri molti mi scrivevano "ho lo stesso problema ma non ho mai avuto il coraggio di dirlo, ti ringrazio". Quindi se vai lì con un po’ di ghigna e dici "non c’ho gli spermatozoi" aiuti molta gente che si sente in colpa o diminuita nella virilità, che sono cazzate immani. Che poi quando uno è giovane dice pure: "che figata!". Poi se uno vuole, ci sono tanti bimbi che possono essere adottati...".
Vorresti farlo?
"Per adesso no, anche perché mi piace fare quello con la schiena dritta, che non si piega, non accetta compromessi. Se dovessi dare da mangiare a qualcuno dovrei essere per forza di cose più attento, accettare dei compromessi. Così invece posso essere irresponsabile. Però con Chiara ci diciamo che forse arriverà il giorno in cui adotteremo un paio di ragazzini".
In questo libro ci sono varie storie che si intersecano e a un certo punto c’è una bellissima sequenza di paesaggi con solo una radio con la voce di Salvini che dice...
"... stronzate! Ovvero le cose che dice Salvini: ho fatto una specie di riassunto. In quei giorni io stavo nell’ospedale dove era ricoverata mia mamma in Lunigiana e mentre viaggiavo in macchina entrava la realtà con tutta la sua brutalità. Intorno a me uno scenario di grande bellezza, il mio momento di fragilità con queste frasi schifose spalmate sopra così quando ho fatto quelle tavole mi sono detto: "Gianni tu qui devi dipingere bene!". E poi ci ho messo quelle frasi sotto. Un amico che le ha viste ha detto "Gianni sono bellissime ma quella roba sotto rovina tutto". E io mi sono detto: "Perfetto!"".
Però c’è una luce: puoi parlare del bambino?
"Non parlerò del bambino luminoso. Dirò solo che mi è apparso all’improvviso a pagina 102 e che aveva in mano un canotto. Non ci avevo mai pensato prima a questo bambino. E all’improvviso mi ha cambiato tutto quanto".
Poi tua mamma è morta...
"Però poi ho scoperto che mi aveva fatto un regalo".
Che regalo?
"Ho scoperto che mi aveva regalato una storia. Questa storia".