la Repubblica, 30 agosto 2020
Covid, il governo sapeva e non si è mosso
Il 12 febbraio 2020 era il primo giorno in cui abbiamo iniziato a chiamare Covid-19 la malattia portata dal nuovo coronavirus. Quel giorno al ministero della Salute c’era un’agenda fitta: nel pomeriggio era in programma una riunione, chiesta dall’Italia, dei ministri della Salute del G7 per fare il punto sugli scenari di diffusione del virus e le eventuali misure di contenimento; a fine mattinata era prevista la visita dell’ambasciatore cinese con il quale la Farnesina aveva concordato una donazione di 18 tonnellate di materiale sanitario di protezione dal coronavirus (mascherine, ma non solo) che sarebbero partite da Brindisi tre giorni dopo. E alle nove era in programma una importante riunione del Comitato tecnico scientifico il cui contenuto è rimasto segreto fino ad oggi. L’oggetto della riunione era la presentazione di uno studio intitolato “Scenari di diffusione di 2019-NCOV in Italia e impatto sul servizio sanitario, in caso il virus non possa essere contenuto localmente”. Era stato realizzato da un ricercatore della Fondazione Bruno Kessler: Stefano Merler, 51 anni, più della metà dei quali passati a costruire modelli matematici applicati alle pandemie. Che questo coronavirus non andasse preso come «una banale influenza», Merler lo aveva già detto in una intervista a un quotidiano locale alla fine di gennaio: «È una cosa seria, anzi serissima», erano state le sue parole, non gradite dai tanti che in quel momento anche in Italia cercavano di minimizzare. Il 5 febbraio il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro lo aveva invitato a Roma ad una riunione a porte chiuse sullo “stato dell’arte” del coronavirus. E in quell’occasione Merler era stato invitato a produrre lo studio ufficiale del 12 febbraio. Lo studio si basa sui (pochi) dati arrivati fino a quel momento dalla Cina per provare a capire cosa sarebbe potuto accadere in Italia: l’impatto sul sistema sanitario (va ricordato che l’11 febbraio nel mondo c’erano 43 mila casi, di cui 42 mila solo in Cina). I vari modelli presentati prendono in esame l’indice R0, l’indicatore del numero di contagi a partire da un infetto, escludendo le due situazioni limite: quella per cui il virus non arrivi in Italia (ipotesi che Merler nell’intervista di fine gennaio aveva escluso categoricamente); e quella di un virus fuori controllo, come ad un certo punto a Wuhan (R0 pari a 2.6; anche se in Italia per un mese è stato oltre 3). I due scenari considerati plausibili dallo studio sono R0 1.3 e 1.7. Questi i risultati. Nel primo scenario i casi di contagio in Italia sarebbero stati circa un milione, nel secondo, addirittura due. Di questi, i casi gravi che richiedono cure, oscillano fra 200 e 400 mila. Il fabbisogno totale di letti in terapia intensiva varia fra 60 e 120 mila. Nel momento di picco, dice lo studio, ci sarebbe stato un gap di circa 10 mila letti nei reparti di terapia intensiva. Il documento non fa stime sul numero di morti, ma secondo Merler, il tasso di letalità registrato in quel momento in Cina applicato agli scenari italiani, produceva un risultato spaventoso: fra 35 e 60 mila morti da Covid-19. Da notare che 35.472 è il numero di morti effettivamente registrato fino a ieri in Italia. Era prevedibile, ed era stato previsto. Questo documento è stato ottenuto dopo oltre cento giorni di intenso dialogo con il ministero della Salute e la Protezione Civile. Dialogo iniziato il 13 maggio quando abbiamo richiesto un “accesso agli atti” in seguito a una intervista del direttore generale della programmazione del ministero della Salute Andrea Urbani in cui si afferma che già a gennaio c’era un «piano nazionale di emergenza» con tre scenari «uno dei quali troppo drammatico per essere divulgato senza scatenare il panico fra i cittadini». Per questo, si spiegava, «il piano è stato secretato». La richiesta del 13 maggio – tecnicamente, un Foia – dal ministero è stata dirottata sulla Protezione civile che a stretto giro ha replicato di non avere il documento che cercavamo. A seguito di una ulteriore richiesta di riesame, il 20 agosto il ministero della Salute ci ha fornito alcune informazioni importanti: 1) non è vero che a gennaio c’era un piano pandemico, si tratta di un travisamento giornalistico; 2) Urbani faceva riferimento agli scenari sulla diffusione del virus presentati dalla Fondazione Bruno Kessler al Comitato tecnico scientifico il 12 febbraio; 3) quello studio era effettivamente riservato, se non segreto, visto che la nota di Salute concludeva dicendo che «la presidenza del Consiglio sta valutando se e come renderlo pubblico». Morale: chiedete alla Protezione civile, presso cui è insediato il CTS. Il 28 agosto dal capo della Protezione civile Angelo Borrelli è arrivato il documento. Che però non chiude la vicenda, ma semmai apre la strada a nuove domande. Ne citiamo alcune. Perché, sapendo che il virus sarebbe arrivato in Italia e che era probabile che contaggiasse oltre un milione di persone facendo 35 mila morti, tre giorni dopo abbiamo mandato alla Cina 18 tonnellate di materiale di protezione sanitaria? E poi. Cosa abbiamo fatto dal 12 febbraio al 9 marzo, quando inizia il lockdown, per preparare il sistema sanitario al probabile arrivo del virus? Abbiamo comprato mascherine, tamponi, predisposto protocolli di protezione del personale sanitario? Infine. Quando e come si è arrivati ad avere finalmente un vero piano pandemico? A metà marzo, dicono alcuni. È possibile conoscerne il contenuto? È una storia importante, che abbiamo il diritto di conoscere: non solo e non tanto per le eventuali responsabilità politiche e giudiziarie, ma per non ripetere gli stessi errori, adesso che ci prepariamo a far sì che la seconda ondata possa essere contenuta e gestita senza chiudere tutto, senza bare portate via di notte, senza spazzare via il nostro tessuto economico e produttivo. Con un vero piano. Un piano pandemico, non segreto, ma condiviso. “Repubblica” ha ottenuto l’accesso al lavoro del ricercatore Stefano Merler presentato al Comitato scientifico quando non c’erano casi ufficiali di Covid Erano due gli scenari previsti in base agli indici di diffusione, uno con un milione di contagiati, l’altro con 2 milioni Tre giorni dopo la discussione di questi dati un carico da 18 tonnellate di dispositivi di protezione partiva da Brindisi per la Cina La sanità sotto stress, l’ipotesi era che il picco di epidemia avrebbe creato una carenza di 10 mila posti in terapia intensiva