1 agosto 2020
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Biografia di Dominique Lapierre
Dominique Lapierre, nato a Châtelaillon-Plage, in Francia, il 30 luglio 1931 (89 anni). Giornalista. Scrittore. Filantropo • «L’ultimo tycoon del giornalismo del XX secolo» (Dino Messina, Corriere della Sera, 15/7/2011) • Famoso perché, dopo essere divenuto ricchissimo con i suoi libri, andò in India, conobbe Madre Teresa di Calcutta e decise di dedicare la vita ai poveri • Il suo libro più famoso è La città della gioia (1985), romanzo ambientato in una bidonville di Calcutta • «Un uomo sempre affamato di vita, e tormentato dal pensiero di non riuscire a terminare i mille progetti affollati su un orizzonte sempre pieno. Un giornalista scapestrato divenuto scrittore missionario» (Daniela Cavini, Sette, 20/9/2013) • «Non pensate, tuttavia, se vi apprestate a incontrare Lapierre, di trovarvi di fronte a un missionario bacchettone e severo. Lo scanzonato ragazzo che a diciott’anni si era messo in testa di girare il mondo con un dollaro e, a quaranta, aveva deciso di andare in India in Rolls Royce, coesistono con il benefattore che ha incontrato Gesù nella campagna del Bengala: vestiva gli umili abiti di una ragazzina che tornava da scuola e camminava a fatica nel sentiero verso casa. Per quella ragazzina e per ogni povero che ha incontrato nel suo cammino Lapierre si è spogliato di tutti i guadagni milionari realizzati con il suo talento» (Dino Messina, Corriere della Sera, 16/2/2012) • Madre Teresa gli disse: «Salvare un solo bambino è come salvare il mondo. Tu devi lottare contro le ingiustizie che denunci nei tuoi libri».
Titoli di testa Casa a Ramatuelle, in Provenza, sulle colline attorno a Saint-Tropez, ma lontanissimo dal jet set della Costa Azzurra. Istruzioni per raggiungerla scritte a pennarello e spedite via fax (niente mail): «...prendete il sentiero che sale tra gli alberi e la vigna, sui rami c’è un fil di ferro...». «È capitato che amici invitati per cena non siano mai arrivati».
Vita «Figlio di un diplomatico e di una giornalista, il piccolo Lapierre cresce a Parigi negli anni dell’occupazione tedesca. Rannicchiato sotto le coperte alla luce di una piccola lampada, Dominique scappa ogni sera dalla Francia invasa, divorando romanzi. Il suo preferito è La route aux aventures: Paris-Saigon en automobile, di Guy de Larigaudie e Roger Drapier: notte dopo notte, al volante di una Ford decappottabile, il ragazzino fugge la fame e il freddo di Parigi scorrazzando fra i minareti di Costantinopoli e Gerusalemme, bevendo il caffè amaro con i beduini di Palmyra, attraversando i deserti dell’Iraq, azzardandosi sugli altopiani afghani infestati di briganti, penetrando l’inferno della giungla birmana sulle tracce di tigri ed elefanti. È qui, in quest’inverno di guerra e razionamenti, che prende forma lo scrittore del futuro “Larigaudie e Drapier divennero i miei maestri”, scriverà più tardi, “e la loro mitica Ford la vettura dei sogni di libertà e infinito, che bruciavano inconsciamente dentro me. Il loro straordinario itinerario mi aveva indicato il sentiero…”. A fine guerra il padre è nominato console generale a New Orleans, negli Usa: consegnando giornali a domicilio l’adolescente Dominique guadagna abbastanza da mettere le mani su una vecchia Nash cabriolet anni Trenta. Per finanziare il suo primo viaggio – la traversata della Louisiana – il ragazzo riempie il cofano di secchi di pittura e ridipinge cassette postali lungo la via… Fame di vita. Ma è già tempo di tornare in Francia. Nel ‘48, a 17 anni, il liceale Lapierre vince una borsa di studio da 30 dollari messa in palio nell’ora di Storia e si lancia verso il Messico alla scoperta degli Aztechi: 30.000 chilometri dopo nasce un diario di viaggio Un dollaro, mille chilometri, pubblicato da Grasset, che sarà tradotto in 4 lingue. Da allora in poi, ogni occasione – compreso il viaggio di nozze con la prima moglie Aliette – è buona per mettersi al volante e macinare chilometri e storie» (Cavini) • Lapierre fa il militare al comando della Nato a Parigi e lì conosce Larry Collins, un americano del Connecticut, laureato a Yale. Diventano inseparabili, vogliono fare i giornalisti • Dominique scrive per Paris Match, Larry per Newsweek. Entrambi girano il mondo. Sono amici nella vita, ma rivali sul lavoro: «Un giorno Larry mi chiuse a chiave in una camera d’albergo a Baghdad per impedirmi di inviare al giornale le foto della rivoluzione irakena di cui era riuscito a ottenere l’esclusiva per Newsweek. Qualche tempo dopo mi vendicai ingannandolo sull’orario del treno che andava da Gibuti ad Addis Abeba, il che mi permise di essere uno degli ultimi giornalisti a intervistare il Negus d’Etiopia… Grazie a quei colpi bassi il nostro legame si rafforzò: quale sarebbe stata la nostra forza, se avessimo potuto unire i nostri talenti, invece di contrapporli?» • Nei primi anni Sessanta Lapierre legge una breve su Le Figaro: secondo notizie d’archivio, Hitler, prima di ritirare le truppe dalla Francia, aveva dato ordine di distruggere Parigi. Dominique inizia a chiedersi: perché poi i nazisti ci hanno ripensato? • «La stessa domanda se l’era posta Larry. Cominciammo a scrivere istericamente una serie di articoli in concorrenza l’uno con l’altro. Finché un giorno ci incontrammo e decidemmo di mettere insieme le forze. La partita era troppo grossa: dovevamo passare al setaccio un milione e mezzo di questionari dei prigionieri tedeschi. Ne intervistammo tremila, raccontando l’occupazione dal duplice punto di vista dei tedeschi e dei francesi» (Dino Messina, Corriere della Sera, 15/7/2001) • «Il segreto era custodito da un generale prussiano, Dietrich von Choltitz, nazista ma non folle come il suo Führer: risultato fu Parigi brucia?, best-seller da cinque milioni di copie. “Il primo esempio di due autori che scrivono lo stesso libro in due lingue diverse. Ci dividevamo il lavoro, ogni episodio veniva scritto da me in francese e da lui in inglese. Poi correggevamo, rifacevamo, traducevamo ciascuno il brano dell’altro nella propria lingua, fino a raggiungere l’unità di stile”. Un metodo di lavoro che è continuato con Alle cinque della sera, sul mondo della corrida, con Gerusalemme Gerusalemme, l’epopea della nascita di Israele raccontata dai protagonisti, Ehud Avriel e Golda Meir» (Dino Messina, Corriere della Sera, 3/10/1997) • Mentre lavorano al libro sulla corrida, Dominique incontra la donna della sua vita. «Con Larry vivevamo come due scapoloni (in realtà io ero divorziato e avevo già una figlia, Alexandra) e cercavamo un’assistente che ci facesse da segretaria, ci aiutasse nelle ricerche e ci nutrisse. A un nostro annuncio sul giornale rispose Dominique Conchon, una bella ragazza dell’Auvergne, che ci conquistò con dei deliziosi soufflé al formaggio» • I due diventano ricchi: i loro libri vendono milioni di copie. Comprano cavalli e auto sportive. Acquistano due ettari di terra nell’entroterra di Saint Tropez e si costruiscono due case una di fronte all’altra. «In mezzo avevamo fatto costruire un campo di tennis. Io e Larry ce lo giocavamo ai palleggi» • «L’avventura indiana di Lapierre […] cominciò agli inizi degli anni Settanta a Londra davanti a una vetrina di una con cessionaria Rolls Royce. Dopo il successo internazionale di Parigi brucia? e di Gerusalemme! Gerusalemme!, l’ex inviato di Paris Match […] aveva chiesto consiglio al suo maestro, Raymond Cartier: “Cosa ci consiglia di fare ora?”. Il vecchio giornalista gli suggerì di concentrarsi sull’India. A venticinque anni dall’indipendenza, molti dei protagonisti erano ancora vivi, sarebbe valsa la pena raccontare l’anno cruciale in cui l’immensa colonia britannica si trasformò nel più grande Paese democratico che comprendeva un quinto della popolazione mondiale. Lapierre si mise al lavoro e di passaggio a Londra per intervistare l’ultimo vicerè dell’impero delle Indie, lord Louis Mountbatten, pronipote della regina Vittoria, si fermò davanti a una vetrina di Conduit Street ad ammirare una splendida Corniche verde pallido. “Che bello sarebbe - pensò Dominique - viaggiare in India in Rolls Royce”. Così entrò nel negozio, chiese il prezzo dell’automobile, quarantamila sterline, l’equivalente dell’intero anticipo per il libro che stava per scrivere, e con entusiasmo decise di comprare quel gioiello. Ma si sentì rispondere: “We are sorry, sir, non possiamo venderle l’auto” Troppo pericolose le strade dell’India, la casa automobilistica non era in grado di fornire le consuete garanzie. Quando lord Mountbatten sentì quella storia, consigliò al suo brillante interlocutore di comprare una Rolls usata. Detto fatto: per cinquemila sterline Lapierre si aggiudicò una Silver Cloud nera e grigia che avvolta in uno spesso strato di cotone venne spedita a Bombay» (Dino Messina, Corriere della Sera, 9/1/2011) • Su quella macchina, in sei mesi, percorre più di 20 mila chilometri. Raccoglie testimonianze, vive avventure rocambolesche, riesce persino a intervistare gli assassini del Gandhi. Rimane affascinato dalla figura del Mahatma. «Quando Stanotte la libertà divenne un successo internazionale, volli testimoniare la mia riconoscenza ai miei amici indiani e volli offrire una parte dei miei diritti d’autore a un’opera umanitaria, che il Mahatma Gandhi avrebbe approvato. Volevo trovare un’istituzione caritatevole che si occupasse di curare i bambini lebbrosi, e che avesse bisogno del denaro che desideravo offrire. Sapevo che non avrei avuto nessuna difficoltà a trovare una tale istituzione, in una città come Calcutta, una città di 12 milioni di abitanti, dove più di 300.000 persone nascono, vivono, si riproducono e muoiono sui marciapiedi» (a Daniele Rocchetti, Il Tempo dello Spirito, dal sito delle Acli, 12/4/2019) • Dominique torna dunque in India con la moglie. Per prima cosa va a trovare una famosa suora di Calcutta: «Me la ricordo ancora: avvolta nel suo sari di cotone bianco, orlato di blu, Madre Teresa incarnava la compassione dell’umanità per i poveri del Vangelo. Quale emozione, quale gioia fu per noi scoprire la santa di Calcutta, un mattino alle cinque e mezzo, nella cappella del suo convento, in pieno centro della città! Era inginocchiata in mezzo a un centinaio di piccole suore vestite di bianco; le sue labbra fremevano di una preghiera continua. Sul muro, dietro il prete che celebrava la messa, c’era un cartello che diceva: “Ho sete”» • Madre Teresa gli suggerisce di dare i suoi soldi a tale George Stevens, un commerciante di cravatte britannico che aveva deciso di lasciare il lavoro per aiutare i figli dei lebbrosi della città. Lapierre gli consegna il denaro. «Ci batteremo insieme: adesso andiamo a prendere qualche altro bambino, ce ne sono troppi, là fuori…» • «Ancora non lo sa, ma mettendo quel mucchio di dollari sul tavolo, Dominique Lapierre sceglie di consacrare genio e furore a una missione impossibile: riempire un oceano a forza di gocce. Interrotto il legame letterario con Collins, lo scrittore decide di addentrarsi da solo nel formicaio impazzito di una bidonville indiana per raccontare l’anonima battaglia quotidiana dei suoi 70.000 eroi. Lapierre rimane due anni nei vicoli della baraccopoli, condividendone i riti, le tragedie, le magie. Sedotto dalla dignità dei diseredati di Calcutta. Nel 1984 esce La città della gioia, una saga tradotta in 30 lingue che fa vibrare il mondo e schizza rapidamente in testa alle classifiche dei bestseller» (Cavini) • Racconta che i due anni passati a Calcutta sono stati i più importanti della sua vita: «Durante questo tempo, nessuno ci ha mai domandato qualcosa, ci hanno solamente dato, siamo ritornati in Francia con 50 chili eccedenti di bagagli: erano i regali offerti dagli abitanti della Città della Gioia. Per due anni ho scoperto che ogni giorno era un giorno di gioia, ricco di feste e celebrazioni. Già al mattino si sentiva risuonare la musica: che dio si festeggia oggi, chiedevo? Nessun dio, oggi ricordiamo l’arrivo della primavera…: bene, in un luogo dove non c’erano un albero, un fiore, una farfalla, c’era chi aveva il coraggio di celebrare un avvenimento che non aveva mai visto! Questi sono gli eroi dell’umanità. Tagore diceva che “l’avversità è grande, ma l’uomo è più grande dell’avversità”: i poveri di Calcutta mi hanno dato questo insegnamento» (a Rocchetti) • «Lapierre è come bruciato da una febbre, si lancia in un continuo giro di conferenze, crea una rete di sostenitori di ogni età, Paese, classe sociale. Crea l’Onlus “Associazione per i bambini dei lebbrosi di Calcutta”» (Cavini) • Lui e la moglie fanno costruire decine di scuole, insegnano a leggere e scrivere alle donne di tremila villaggi, distribuiscono quasi 5 milioni di euro in microcredito, fanno scavare 650 pozzi d’acqua potabile, mettono in acqua quattro battelli-ospedale, per gli abitanti delle cinquantaquattro isole del delta del Gange, vittima di mali endemici come la cataratta e gli assalti delle tigri • «Ancora oggi due o trecento raccoglitori di miele finiscono vittime di queste tigri che bevono acqua salata, si nutrono di pesci e di cadaveri gettati nel Gange dalle famiglie talmente povere da non poter comprare la legna per le pire su cui bruciare i propri defunti» • «Abbiamo ormai una "Città della gioia" anche a Guatemala City, per ospitare ragazze strappate dalla strada, poi un programma di sviluppo sociale per 20.000 bambini nelle township di Città del Capo, in Sudafrica, quindi una collaborazione con un ambulatorio per malati di Aids in Costa d’Avorio» (a Roberto Beretta, Avvenire, 20/2/2011) • Quando scrive la sceneggiatura per lo sceneggiato su Madre Teresa, impiega il compenso per fare beneficienza. «Faccio conferenze, scrivo articoli per giornali, ma per aiutare i miei fratelli di Calcutta a un certo punto ho dovuto vendere la mia villa a Cristina Mondadori. Io mi sono dovuto accontentare della dépendance, sono passato da quattordici stanze a quattro» • Non molla mai, neanche durante la crisi del 2011, quando le offerte crollano. «La cosa insopportabile è che, se non troviamo benefattori, dobbiamo chiudere dei dispensari, dobbiamo rimandare a casa dei bambini che ora frequentano le nostre scuole... Vorrebbe dire rimetterli in mano alle mafie locali, che li utilizzerebbero come operai-schiavi. Pensate che in certi villaggi dell’India paghiamo alle famiglie l’equivalente del salario che prenderebbero per il lavoro dei figli, pur di "avere il permesso" di farli studiare!» • Oggi dice di vedere due Indie diverse. «Quella della Città della gioia e quella ricca, dell’informatica e dei nuovi milionari... Faccio un esempio: in Francia stanno chiudendo gli altiforni della ArcelorMittal, colosso mondiale dell’acciaio che prende parte del nome da Lakshmi Mittal, un imprenditore indiano di Calcutta, sesto uomo più ricco del mondo. L’anno scorso ho saputo che il signor Mittal aveva appena comprato una casa da 70 milioni di euro a Saint-Tropez, a 5 chilometri da me. Allora gli ho scritto una lettera di benvenuto: “Welcome nel paradiso, nel posto più bello del mondo dove lei sarà felice. Quando verrà qui, per favore mi telefoni: vorrei vederla 5 minuti per informarla di quello che faccio in India, a casa sua”. Gli ho portato la lettera direttamente a casa, ma finora non ho ricevuto alcun cenno di risposta» (a Beretta) • «Andiamo avanti cercando ogni anno di racimolare i fondi necessari e per il resto ci affidiamo alla Provvidenza, come ci ha insegnato Madre Teresa: “Non temere, Dominique: Dio provvederà”. Certo, lei era una santa e poteva ben dirlo. Io invece sono soltanto un umile scrittore» (a Beretta).
Amore La moglie, per combinazione, si chiama come lui. La guarda ancora con occhi innamoratissimi. «È lei la grande Dominique, io sono un nano al suo confronto».
Dolore Larry Collins morì a Remuette il 20 giugno 2005, assistito dalla moglie e dai due figli. Aveva 75 anni. Dominque: «Poche ore prima della morte ho potuto annunciargli che il regista Elie Chouraqui aveva appena finito di girare a Rodi il film tratto dal nostro Gerusalemme! Gerusalemme! Larry mi ha sorriso».
Religione «Dominique, Lei è un uomo di fede. Tutto, in lei, parla di Dio. Per lei la fede cos’è? “Per me la fede è vedere in ogni povero che soffre la persona di Gesù Cristo”» (Pierluigi Mele, Confini, Rainews, 3/3/2012).
Curiosità «Cosa è rimasto del ragazzo che partì finito il liceo con qualche spicciolo in tasca? [...] “Non ho rimpianti. È straordinario poter dire alla mia età che ho conosciuto la gente più diversa, mi dà la sensazione di essere riuscito a utilizzare ogni ora del mio destino”» (Giuseppina Rocca, Il Messaggero, 5/7/2003) • In India lo chiamano Dominique-Dada: grande fratello • Porta sempre con sé un sonaglio usato dai conducenti di risciò di Calcutta, in memoria del suo amico Hasari Pal, uno dei protagonisti della Città della gioia, morto di tubercolosi a 35 anni • Con Collins, oltre a Parigi brucia? scrisse anche New York brucia?, romanzo fantapolitico • «Ogni mattina faccio un’ora di passeggiata a cavallo nelle colline sopra St-Tropez, e quella per me è un’ora di meditazione, di riflessione» (La Stampa, 22/6/2003) • Il campo da tennis è diventato leggendario • Nel parco auto di Ramuette c’è ancora la Rolls Royce nera e grigia con cui andò in India • Il 10 giugno 2012, mentre andava a comprare il giornale, dopo aver votato alle elezioni, ebbe un malore, cadde, batté la testa e perse conoscenza. È trauma cranico. Per 32 giorni viene tenuto in coma artificiale. Ci vogliono altri cinque mesi perché riprenda a parlare. Oggi non gira più il mondo. «Restano i suoi libri e, soprattutto, l’impegno, tramite la fondazione, a dare dignità alle persone che fanno più fatica» (Rocchetti) • Nel 2013, durante la riabilitazione, diceva alla moglie: «Ho voglia di piangere. Oggi non ho fatto nulla di positivo».
Titoli di coda Sulla sua lapide vuole che venga scritto: «Dominique Lapierre, cittadino onorario di Calcutta. Tutto ciò che non è donato è perduto. Proverbio indiano».