27 luglio 2020
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Biografia di Willem Dafoe
Willem Dafoe, nato ad Appleton, nel Wisconsin, Stati Uniti, il 22 luglio 1955 (65 anni). Attore. Orso d’oro alla carriera al festival del cinema di Berlino • «Se il nome non vi dicesse niente, basterebbe una sua foto per farvi capire quanto Willem Dafoe sia stampato nella storia del cinema con un inchiostro vivo. Se c’è una cosa inconfondibile della sua persona sono, infatti, i connotati: la fronte alta, la bocca larga, i denti prominenti e quel piccolo spazio fra gli incisivi che è diventato leggendario» (Mario Manca, Vanity Fair, 24/2/2019) • «Una predilezione per i personaggi eccentrici e il record di morti sullo schermo, ha spaziato tra generi, ruoli e registi molto distanti far loro» (L’Espresso, 18/11/2004) • Tra i suoi film: Miriam si sveglia a mezzanotte (Tony Scott, 1983), Vivere e morire a Los Angeles (William Friedkin, 1985), Platoon (Oliver Stone, 1986), Mississippi Burning (Alan Parker, 1988), L’ultima tentazione di Cristo (Martin Scorsese, 1988), Nato il quattro luglio (Oliver Stone, 1989), Cuore selvaggio (David Lynch, 1990), Così lontano così vicino (Wim Wenders, 1993), Il paziente inglese (Anthony Minghella, 1996), eXistenZ (David Cronenberg, 1999), American Psycho (Mary Harron, 2000), Spider-Man (Sam Raimi, 2002), L’ombra del vampiro (E. Elias Merhige, 2000), C’era una volta in Messico (Robert Rodriguez, 2003), Inside Man (Spike Lee, 2006), Antichrist (Lars von Trier, 2009), Nymphomaniac (Lars von Trier, 2013), Grand Budapest Hotel (Wes Anderson, 2014), Pasolini (Abel Ferrara, 2014), Assassinio sull’Orient Express (Kenneth Branagh, 2017), Un sogno chiamato Florida (Sean Baker, 2017), Van Gogh (Julian Schnabel, 2018, Coppa Volpi per il miglior attore), Motherless Brooklyn (Edward Norton, 2019), Siberia (Abel Ferrara, 2020) • Sergio Leone, vedendolo interpretare Gesù in L’ultima tentazione di Cristo: «Questo non è il volto di Nostro Signore. È il volto di un serial killer» • In realtà, nonostante interpreti spesso il ruolo del cattivo, è riservatissimo, conduce una vita priva di scandali, pratica yoga, è vegetariano e beve esclusivamente tè alle erbe • Di sé dice: «Non c’entro niente con i personaggi sullo schermo. Sono un uomo molto semplice, vengo dalla middle class americana. Recito perché non resisto alla possibilità di sparire, di diventare qualcosa di altro da me».
Titoli di testa «Schivo, diffidente, con quel volto unico segnato dal tempo, mette in chiaro subito che non intende parlare della sua vita privata» (Jaime d’Alessandro, la Repubblica, 12/10/2013).
Vita Nato ad Appleton, nel Midwest, la stessa città da dove venivano Joe McCarthy e Harry Houdini • Suo padre, William, è medico chirurgo. Sua madre, Muriel, infermiera. Lui è il settimo di otto figli. «Sono cresciuto con sei sorelle, adoro le donne, credo di essere uno dei pochi uomini ad avere solo amicizie femminili» (a Maria Pia Fusco, la Repubblica, 11/7/2002) • Da ragazzino ha una cotta per l’attrice Raquel Welch. Per tutti lui è Billy. Solo alle superiori, alla Albert Einstein High School, cominciano a chiamarlo Willem • Comincia a recitare da adolescente, poi si iscrive alla Università del Wisconsin di Milwaukee, ma viene cacciato con l’accusa di aver girato di un film porno. «Si trattava in realtà di un “documentario di natura sociologica” in cui il giovane Willem intervistava uno spacciatore, un satanista e un nudista: il professore lo mandò via dopo averne visto solo un pezzetto in fase di montaggio» (Silvia Bizio, D, 13/7/2002) • Decide di lasciar perdere gli studi e si trasferisce nella Grande Mela. «Ho cominciato sul palcoscenico nel ‘75 fondando a New York una compagnia sperimentale, il Wooster Group, che mi ha impegnato per anni in un lavoro giornaliero collettivo» (La Stampa, 4/8/2006) • «Prima di fare il cinema per molti anni ho fatto solo teatro, anche in piccoli gruppi, e la maggior parte delle persone che mi conoscono per i film non hanno idea di tutto il teatro che ho fatto. La flessibilità è una delle cose più importanti per un attore: devi essere capace di essere pronto per qualsiasi cosa» (Fabrizio Basciano, Il Fatto Quotidiano, 12/9/2018) • «Al cinema non hai mai il tempo di avvicinarti a una scena sperimentando differenti angolazioni, il teatro ti aiuta a raffinare, a scolpire» (La Stampa, 4/8/2006) • Passa per la prima volta al grande schermo a venticinque anni, con I cancelli del cielo. Michael Cimino, già regista del Cacciatore, vuole farne un film epocale, capace di rivoluzionare per sempre il genere western. Nella sceneggiatura Willem ha solo una battuta, ma è entusiasta di partecipare al film, almeno all’inizio. «Il perfezionismo estenuante di Michael Cimino e le lentezze infinite sul set […] avevano sfiancato tutti i componenti della troupe, e in una notte di ripetizioni e cambiamenti impercettibili Dafoe sfogò la propria stanchezza con uno scoppio di risate, che dapprima sconcertò il regista, e quindi lo mandò su tutte le furie. Cimino lo aveva fortissimamente voluto per il suo volto da angelo caduto, e si era reso immediatamente conto di un talento che meritava ben più di una comparsata, però quella risata offendeva non soltanto il suo orgoglio ma il film che stava tentando di completare contro l’intera Hollywood […] Dafoe venne cacciato dal set tra le urla [...] “Non posso dire che mi sia comportato con grande professionalità, ma ero giovane, inesperto e un po’ sconsiderato. Su quel set si respirava un’aria che non ho mai più visto: un misto di tensione e sacralità, di perfezionismo e ossessione, e Cimino era l’unico a sapere cosa volesse, ma si guardava bene dal parlarne con gli altri”. Chi pensa che questa ricostruzione sia solo un alibi deve ricordare che stiamo parlando di un film che causò il fallimento di una major gloriosa come la United Artists, e che sul set il regista invitò le attrici che interpretavano il ruolo di prostitute ad esercitarsi realmente nel mestiere più antico del mondo» (Antonio Monda, La Domenica di Repubblica, 8/5/2005) • Riprende a lavorare ogni giorno con il Wooster Group, poi lo chiamano per Vivere e Morire a Los Angeles. «Mi sentivo ancora un attore di teatro e solo quello. Friedkin venne da me per dirmi che stava preparando un film che voleva assolutamente fosse recitato da volti sconosciuti. Solo così, questa la sua tesi, lo spettatore può immedesimarsi nel suo personaggio senza riserve […] » (Simone Porrovecchio, Rivista del Cinematografo, 22/2/2018) • In quel film «Dafoe interpreta la parte di un falsario perverso e leggendario, che sfoga nel crimine le frustrazioni procurate da malriposte ambizioni artistiche. “[…] Si tratta di un personaggio complesso, che nasconde una voragine di tormento dietro la sua spietatezza e la sua perversione”. Con quel film Dafoe rubò la scena al protagonista William Petersen ma il grande successo, e la prima candidatura all’oscar, arrivarono l’anno successivo quando Oliver Stone ebbe l’intuizione di scritturarlo finalmente against type in Platoon. Furono in molti ad obiettare che era impensabile prendere un attore con un volto così diabolico per un personaggio assolutamente positivo come il sergente Elias, ma Stone si ricordò della descrizione di “angelo caduto” dell’amico Cimino e dimostrò quanto possa essere efficace sorprendere le aspettative dello spettatore» (Monda) • Da allora la sua carriera decolla e gliene capitano di tutti i colori. Per L’ultima tentazione di Cristo esagera con il collirio, che serviva a dilatargli le pupille e rendergli gli occhi più spiritati, e per poco perde la vista. Per Platoon si becca la febbre gialla. Per My hindu friend deve dimagrire di sette chili. «Io vivo e recito nel mio corpo. Come performer ciò che conta è l’intelligenza del corpo. Ora, invecchiando esige un livello di consapevolezza più alto» (ad Anna Bandettini, la Repubblica, 22/5/2017) • «“A volte intuisco chi ho davanti a seconda se mi ricorda per Platoon o per qualche altro mio film. Significa che andava al cinema in quel periodo, che la sua vita in quel momento era intensa. Poi magari i figli, gli impegni, il lavoro, lo hanno allontanato e rinchiuso in una vita privata totalizzante. Riesco a leggere le personalità degli altri dall’immagine riflessa dei miei personaggi”. Si ferma di nuovo, minimizza non tanto per modestia quanto per non prendersi responsabilità eccessive: “Non mi capita sempre, intendiamoci. Ma succede”» (D’Alessandro) • «Se resti vittima dei successi vieni paralizzato e lo stesso si può dire degli insuccessi. Entrambi possono essere una gabbia, una trappola mentale dalla quale è difficile uscire. Ti possono paralizzare perché hai paura di non riuscire ad ottenere lo stesso risultato oppure di ripetere il medesimo errore» • Per questo oggi continua a lavorare, alternando grandi studios e produzioni indipendenti. Dice di non sapere se ne vale la pena: «Il paesaggio cinematografico americano sta cambiando a una velocità drammatica. Finanziare piccoli film sta diventando una missione impossibile […] Ormai anche i grandi studios stanno sparendo e l’industria è dominata sempre più da persone che di cinema sanno poco o nulla. Hollywood è dominato da franchising, e piattaforme di streaming come Amazon o Netflix lo stanno ormai inglobando. Dove tutto questo porterà è difficile a dirsi. Sicuramente il nostro rapporto con il cinema è già cambiato profondamente» (a Porrovecchio) • «Quello che so è che voglio mantenermi molte possibilità aperte. I miei biglietti da visita sono i miei film. Finché ne esisteranno delle copie in giro, qualcuno mi offrirà una parte. Sicuramente non resterò disoccupato».
Vita privata Nel 1982 ha avuto un figlio, Jack, da Elizabeth LeCompte, undici anni più di lui, sua collega nei teatri off-Broadway • Nel 2002, chiamato a Roma dalla regista Giada Colagrande per girare Aprimi il cuore, s’innamorò di lei, rimase a vivere in Italia e dopo un anno e mezzo le chiese di sposarlo in una trattoria romana. Ora vivono all’Esquilino e non è difficile incontrarlo in via Merulana o sotto i portici di piazza Vittorio. «La città può essere bizzarra, potrebbe essere più pulita. Ma ho vissuto nella New York degli anni 70 e in paragone Roma è un paradiso, meno stressante e pericolosa. Posso vivere nell’imperfezione e un po’ di caos, altrimenti mi trasferirei in Scandinavia».
Politica «Sono un americano per modo di dire. Lo sono culturalmente, ma da anni viaggio per il mondo e quando torno negli Stati Uniti mi sento più come uno di fuori che guarda il paese. Gli americani sono persone generose, ma lavorano come cani, c’è un sistema di assistenza crudele, non c’è nessun welfare, devono fare da sé, devono lottare duramente nella vita quotidiana, non viaggiano, non sono curiosi e sono cresciuti nella convinzione di essere nel migliore posto del mondo. Sono stati fregati, ingannati ed è da lì che viene la rabbia. Trump? Continuano a farsi ingannare... e dalla persona più sbagliata» (alla Bandettini).
Religione «Mi ha sempre interessato la spiritualità, sono sempre stato affascinato da quella che nell’esperienza umana potremmo definire la linea di fondo, da quello di cui la gente realmente ha bisogno, e nella mia personalissima strada ho sempre imparato dalla religione e dalla filosofia. Mi annoio però quando la gente cerca di fare proselitismo» (a Basciano).
Vizi Gli piace il vino, ma non va mai oltre i due bicchieri.
Curiosità È alto 1 metro e 75 • Anche se vegano, ogni tanto mangia il pesce • Sposando la Colagrande è diventato italiano per communicatio iuris. «Divento un po’ più italiano ogni giorno. Appena sveglio penso a cosa mangerò quel giorno e non posso vivere senza un buon espresso» • «Leggo i giornali italiani ma spesso salto le prime pagine perché non capisco la vostra politica» • «Mi piace andare a fare la spesa nel mio quartiere, cucinare, avere amici che vengono a cena. A volte mi piace semplicemente passeggiare e entrare in una chiesa o in un museo» • Gli piace svegliarsi presto al mattino • Pratica yoga sei giorni su sette • Una volta dipingeva, ma ha smesso • Detesta guardare la televisione • Non è riuscito a far appassionare la moglie ai musical di Broadway • Lei invece gli ha fatto vedere i grandi classici del cinema italiano, tra cui lui predilige Sedotta e abbandonata • Il suo film americano preferito è Via col Vento. «Il nostro Gattopardo» • Ha recitato anche in un videogioco: Beyond: Two Souls, del francese David Cage • Il suo unico fratello maschio, Donald Dafoe, è medico chirurgo come loro padre • «Non le è mai venuta voglia di passare dietro la macchina da presa? “Mai. Sono un attore, non ho nessuna ambizione di dire a qualcuno ‘entra da quella porta’. Voglio essere io quello che entra”» (La Stampa, 4/8/2006) • «Quando fai un film non sai mai esattamente come verrà. Quello che però devi sempre sapere è il motivo per cui l’hai fatto».
Titoli di coda «Non c’è davvero alcuna stranezza in me. Sono solo un bravo ragazzo del Wisconsin».