27 luglio 2020
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Biografia di Banana Yoshimoto
Banana Yoshimoto, nata a Tokyo il 24 luglio 1964 (56 anni). Scrittrice • «La timida ragazza che sul finire degli anni Ottanta, appena uscita dall’università, si nascondeva dietro grandi occhiali tondi, è diventata l’autrice più amata della narrativa giapponese contemporanea. Il suo romanzo d’esordio, Kitchen, un vero e proprio caso letterario, ha venduto fino a oggi cinque milioni di copie nel mondo, senza contare gli oltre trenta fra romanzi, racconti e saggi, tutti di successo internazionale, che ha poi pubblicato nei successivi venticinque anni» (Guido Andreutto, la Repubblica, 13/6/2015) • «Nella sola foto che ho visto ha quell’aspetto infantile e un po’ sparuto che, secondo Tanizaki, caratterizza la femminilità tradizionale del Giappone. Il suo modo d’apparire è intensamente giapponese, come quello di Jane Austen era intensamente inglese» (Giovanni Mariotti, Corriere della Sera, 12/5/1991) • «Di interviste ne ha rilasciate pochissime, e quando risponde alle domande dei giornalisti le sue frasi sono quasi sempre molto laconiche, a volte un semplice “sì” o “no”, e molti “non so”» (Giorgio Amitrano, nonsolomanga.it, 29/11/2001) • Tra i suoi libri: Sonno profondo (1989), N.P (1990), Lucertola (1993), Amrita (1994), Honeymoon (1997), H/H (2001), Il corpo sa tutto (2004), Il coperchio del mare (2004), A proposito di lei (2008), Il dolce domani (2011) • «Nel recuperare alcuni temi della letteratura popolare (situazioni stravaganti o paradossali, colpi di scena, l’ambiguità di un reale al limite del fantascientifico), i racconti di Y. evitano parametri troppo ripetitivi e convenzionali e rivelano una capacità costruttiva tutt’altro che ingenua; a essa fa da supporto un linguaggio sofisticato nelle parti descrittive, ricche di ellissi e associazioni, e disinvolto e spigliato nei dialoghi, che mantengono l’immediatezza di un parlare “giovane”» (Treccani) • Lei ha detto: «Credo che il lavoro dello scrittore sia quello di descrivere cose invisibili».
Titoli di testa «Ma si rende conto, le chiediamo, che lei è forse la giapponese più famosa al mondo dopo la principessa Masako? Banana lancia un’occhiata smarrita al traduttore, Alessandro Gerevini. “Ne prendo atto”, balbetta» (Riccardo Chiaberge, Corriere della Sera, 1991).
Vita Il suo vero nome è Yoshimoto Mahoko. Figlia di Yoshimoto Takaaki, uno dei più famosi intellettuali giapponesi. Poeta, scrittore e saggista, una grande influenza sulla gioventù di sinistra tra gli anni Sessanta e Settanta • «Se i libri di poesie di mio padre si sposassero con i libri di haiku di mia madre, nascerebbero i libri che scrivo io» • «Non so quanti anni avessi, ma ero piccolina, e stavo giocando con una papera. Una papera vera, non una paperella giocattolo. Questo è in assoluto il primo ricordo della mia vita» • Ha solo cinque anni quando decide di diventare una scrittrice. «Non ho mai cambiato idea, anche se non ho cominciato subito a scrivere. Aspettavo, forse mi preparavo. Mio padre aveva tantissimi libri. Tutte le pareti di casa nostra erano rivestite di libri, così forse per reazione non li amavo. C’è anche il fatto che avevo così chiara questa aspirazione a scrivere, e avevo la sensazione che se avessi letto troppi romanzi mi sarei riempita delle cose di altri, mentre io volevo tirar fuori le mie. E poi è anche un fatto generazionale. Io appartengo a una generazione che ha letto soprattutto manga, guardato film, ascoltato musica» • Da bambina è gracile e ha problemi alla vista. «Temevo che qualcosa potesse venirmi addosso all’improvviso e farmi male. In questo senso, secondo me, non c’è niente di peggio degli zombi» • «Per me la scuola è stata un’esperienza abbastanza dolorosa. Dalla prima elementare alla fine del liceo non hanno fatto che sgridarmi, anche se non facevo niente di strano» (a Chiaberge) • «Mi sono sempre sentita diversa. Avevo una visione nella mia mente che pensavo fosse sbagliata, non c’entrasse niente col mondo. Pensavo di essere pazza. Ero terribilmente sola. Quando verso i quattordici anni ho visto Suspiria di Dario Argento, per me è stata un’esperienza incredibile. Tutto il mondo che avevo nella mia mente e che mi separava dal mondo degli altri, era lì, in quei colori e quelle immagini, già completo e perfettamente formato. Capii che non ero pazza, non ero più sola. Quando lo dico, alcuni storcono il naso, forse perché non considerano Dario Argento un grande artista. Ma io penso che forse, se non avessi visto quel film e non fossi uscita dal cerchio della mia solitudine, avrei finito per uccidermi» • «Tra i giapponesi ho letto soprattutto Dazai Osamu, quando ero al liceo. Ma se devo dire uno che mi abbia influenzato, l’unico che mi viene in mente è Isaac Bashevis Singer. Lo considero un grandissimo scrittore» • Studi di letteratura alla Nihon University. È in quel periodo che Mahoko comincia a farsi chiamare Banana • Alcuni dicono che lo pseudonimo venga dalla passione dell’autrice per i fiori rossi del Bijinsho (il Red Banana Flower), altri che se lo è scelto perché è un nome uguale in tutte le lingue e lo si ricorda facilmente. Lei dice di averlo adottato «perché è carino» • Comincia a lavorare in un golf – club. Il suo primo romanzo, Kitchen, lo scrive tutto nelle pause pranzo. Vende tantissime copie. L’incipit diventa quasi uno slogan: «Non c’è posto al mondo che non ami di più della cucina» • Da allora, come sognava da bambina, è scrittrice professionista. «Lavoro nel mio studio, che è piccolo, disordinato e puzza un po’ per colpa dei miei animali: due cani, un gatto e due tartarughe. Prima di sedermi alla scrivania, sto qualche minuto con loro […] Lavoro tutti i giorni, la mattina e di notte. Resisto alla scrivania senza alzarmi circa tre ore, per sgranchirmi gioco a ping pong» (Corriere della Sera, 4/12/2001) • «La protagonista dei miei romanzi sarà sempre una ragazza tra i 14 e i 30 anni» • Si parla spesso di morte e famiglie disastrate. «Viene da dentro. È una cosa che ho sempre avuto. Certe esperienze si possono vivere anche solo internamente, senza che fuori si veda niente» • Nonostante il suo linguaggio letterario sia basato su una rielaborazione di quello dei manga, nella traduzione non vi sono neologismi, né tracce di gergo da fumetto. «Il traduttore ha rinunciato a cercare l’equivalente italiano di un linguaggio che è, a suo dire, originale, innovativo e pop. Si tratta di una rinuncia saggia, anche se le informazioni sul testo originale creano un effetto di frustrazione nel lettore. Insomma, non so e non saprò mai come parlino i personaggi di Banana, ma temo di essermi infatuato di lei e delle sue eroine» (Mariotti).
Vita privata «È felicemente sposata con “Hiro” Hiroyoshi Tahata, un terapeuta molto noto in Giappone per la sua specializzazione nella disciplina olistica del Rolfing» • Hanno un figlio: Manachinko (2003) • Vivono a Tokyo, nel quartiere di Daziava. «Sulla parete di una villetta, una banana di ceramica gialla luccica su piastrelle blu cobalto sopra alla scritta “Yoshimoto”» (Pizzati).
Quattrini «I soldi sono importanti almeno per non avere bisogno di pensare ai soldi».
Politica Non le piace Shinzo Abe. Per lei il Giappone dovrebbe rinunciare al nucleare.
Religione «Non sono una grande credente anche se vado ogni tanto nei templi scintoisti, però credo che sia nel normale corso della cose rivolgersi al soprannaturale quando si pensa di non farcela con le proprie forze. Per questo motivo introduco anche questo elemento nei miei romanzi».
Curiosità Ha due tatuaggi: una banana sulla coscia e il fantasmino manga Obake no Q-taro sulla spalla destra. • Non si trucca e veste in modo semplice • Legge poca narrativa. «A me piace leggere cose scritte da persone che non sono letterati. Mi piace leggere i libri scritti da scienziati, ingegneri, gente che scrive usando altri linguaggi, cose pratiche e sconosciute da cui posso imparare molto» • Adora la hula-dance, il ballo hawaiano • Appassionata di omeopatia • Appassionata anche di pugilato • Non parla inglese • Le piace cucinare. «Il mio piatto preferito è carne stufata con patate, Nicu Jaga si chiama, carne e patate!» • «Amo molto la zuppa di miso: è il mio comfort food» (a Del Corona) • Mentre scrive ascolta Joni Mitchell e Leonard Cohen. La musica le è utile nei momenti di blocco. Ama anche il gruppo inglese Prefab Sprout, i Nirvana e John Frusciante • Non ha mai conosciuto Murakami Haruki.
Titoli di coda «Le scuole di scrittura sono come le scuole di cucina: se vai, diventi migliore, ma ciò non significa che sarai il miglior cuoco d’Italia. Chi ha il destino di diventare scrittore, diventerà scrittore anche senza andare alle scuole di scrittura».