27 luglio 2020
Tags : Santiago Calatrava
Biografia di Santiago Calatrava
Santiago Calatrava, nato a Valencia, in Spagna, il 28 luglio 1951 (69 anni). Architetto. Ingegnere. Scultore • 21 lauree honoris causa • Accademico Ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti • «Uomo dall’eleganza compassata, dai gesti sobri» (Antonio Gnoli, la Repubblica, 30/10/2017) • «Un artista di sostanza rinascimentale» (Giuseppe Pullara, Corriere della Sera, 4/7/2007) • Dal 1981 è titolare di uno studio con sedi a Zurigo e New York. Ha realizzato, tra le altre cose: la Città delle arti e delle scienze di Valencia; l’auditorium Adam Martín di Tenerife; la Torre delle comunicazione del Montjuic, a Barcellona; il Turning Torso, un grattacielo di 54 piani alto 190 metri a forma di spirale; la stazione della metropolitana del World Trade Center a New York • Famoso, in generale, per aver realizzato moltissime stazioni e, soprattutto, moltissimi ponti. Inaugurandone uno, ha detto: «La mia missione non era altro che migliorare le condizioni di vita della gente, rendere più veloci i collegamenti e appianare le differenze fra l’una e l’altra sponda» • Spesso criticato per la lentezza e il costo dei suoi lavori, in Italia sono diventate celebri le vicissitudini del suo ponte di Venezia. «Alla struttura sempre uguale del ponte strallato, com’era quello di Genova, sospeso e sostenuto da cavi ancorati ai piloni, Calatrava aggiunge la griffe degli sfarzosi elementi decorativi: una cresta, l’arpa, le eliche o - a Bilbao e a Venezia - il pavimento di vetro per rovinosamente scivolare e farsi molto male nel modo più banale. Costi altissimi, tempi lunghissimi, errori e tribunali sono le sue originalità. Eppure non c’è sindaco che non voglia un bel ponte di Calatrava. Quello di Cosenza è la banalità più alta d’Europa. A Reggio Emilia e a Dallas ce ne sono tre. In California e a New York, in Spagna e in Germania, a Londra e in Italia, non c’è ruscello che non abbia il suo Calatrava» (Francesco Merlo, Fenomenologia del Gran Banal, la Repubblica, 3/3/2019).
Titoli di testa «Santiago Calatrava vuole uccidermi. Qualche anno fa cercò di spezzarmi l’osso del collo, disegnando in modo ingannevole i gradini del suo ponte pedonale veneziano (non riuscì nell’intento ma causò molte vittime collaterali: migliaia le persone cadute e centinaia le richieste di risarcimento danni). L’altro giorno ha cercato di farmi schiantare contro il guard-rail di uno dei suoi ponti automobilistici reggiani, di quei ponti seriali che copiaincolla da un continente all’altro (a Dallas ce n’è uno tal quale, per dire). Pensavo fosse solo svilente e dozzinale, il ponte per Bagnolo, fino a quando, non più osservandolo da lontano ma percorrendolo, l’ho scoperto malevolo, aspirante assassino» (Camillo Langone, Il Foglio, 16/7/2014).
Vita «Dico sempre ai miei figli: avete avuto una bella infanzia, ma la mia è stata bella perché ero circondato da tante persone care. Lei sa come sono le famiglie nel posto di origine, specie se la famiglia è radicata e non ci sono solo il padre e la madre ma tanti parenti … Invece noi siamo stati un po’ nomadi. Parigi, New York…» (a Laura De Luca, Vaticannews, 25/3/2019) • «Che ricordo ha della Spagna degli anni Cinquanta e Sessanta? “Posso dire che la mia infanzia e adolescenza sono trascorse in una specie di arcadia felice rispetto alla realtà politica e sociale vissuta in Spagna in quel periodo» (Antonio Gnoli, la Repubblica, 30/10/2017) • A otto anni i genitori lo iscrivono alla scuola d’arte e mestieri. «A 13 mia madre mi mandò in Francia dove mi si rivelò un mondo completamente diverso. Inoltre cominciai a visitare altri paesi europei. Ad apprenderne le lingue. Fu un’esperienza fantastica che mi fece percepire realtà diverse e soprattutto comprendere le nefaste conseguenze della dittatura spagnola» • A sedici Santiago decide che vuole diventare architetto. «Ricordo che nel giugno del 1968 giunsi a Parigi con l’intenzione di studiare alla École des beaux arts. Era in atto il Maggio francese, la grande contestazione studentesca, e non mi fu possibile iscrivermi a quella scuola. Restai a Parigi fino alla fine di settembre e poi feci ritorno a Valencia. Dove ho studiato architettura. In quel periodo tutte le estati giravo l’Europa con lo zaino in spalla, dormendo negli ostelli e a volte, quando non trovavo posto, sotto le stelle. Mi laureai in architettura e cominciai a pormi il problema su cosa avrei fatto da grande» • «Avevo 22 anni e un gran desiderio di partire altrove e poca voglia di iniziare la professione. Scelsi di continuare a studiare. Questa volta ingegneria. Mi iscrissi perciò al Politecnico di Zurigo, dove rimasi fino a 29 anni. Quel luogo, con le persone che conobbi, divenne per me un posto di calma e di studio. E per la prima volta avvertii insieme alla crescente maturità un sentimento di libertà mai provato prima» • Santiago è affascinato dalle curve. La sua tesi di laurea s’intitola Piegabilità delle strutture • I suoi inizi sono «faticosi e incerti». «“Ho cominciato a lavorare a Zurigo dove avevo conosciuto una giovane studentessa di diritto che sarebbe diventata mia moglie. Le mie prime commissioni arrivarono da alcuni colleghi che mi chiesero di lavorare a piccole cose: una fermata di bus, un balcone, una pensilina. Mi sono impegnato in questi piccoli progetti come se fossero stati la cosa più grande alla quale avrei potuto aspirare. In seguito sono passato a progettare stazioni e ponti […]” Stazioni e ponti sono luoghi di attraversamento, di transito, di passaggio. Hanno affascinato personaggi come Walter Benjamin, lei cosa ci trova? “Fa parte del mio destino esserne stato coinvolto, dato che non avendo clienti cercavo fortuna nei concorsi di architettura. Fu così che cominciai a conoscere e a occuparmi dell’opera pubblica”» (Gnoli) • «La tecnologia, i materiali usati - un mix equilibrato tra cemento armato e acciaio e la prevalenza dell’uso di pietra bianca - hanno conquistato tutti, così come il suo originale design dove colonne, archi e contrafforti sono i protagonisti delle sue opere» (Ansa) • Nel 1996 la città di Valencia gli chiede di progettare la Città delle Arti e delle Scienze. Sul vecchio letto del fiume Turia, trasformato in un parco lungo nove chilometri, realizza l’Hemisféric, un cinema planetario a forma di occhio, il museo della scienza Principe Felipe, a forma di scheletro di balena, l’Oceanográfic, una città sottomarina; l’Umbracle, una serra di piante tropicali, l’Agora, piazza coperta, e il Palau de les Arts, teatro con quattro sale per opere e concerti.
Calatravate «A volte, ma non sempre, l’archistar lascia dietro di sé una scia spiacevole di costi esagerati, di infiltrazioni, di porte che non si aprono. A Valencia, ancora strascichi per la cittadella della scienza, tempo di costruzione ventun anni, settecento milioni di euro il budget, e proteste non solo per alcuni problemi strutturali – mancanza di uscite di sicurezza, cedimento di alcuni materiali – ma anche un parlamentare che crea il sito “Calatrava te la clava”, traducibile in “Calatrava ti toglie il sangue”. Forse solo invidie e rancori per queste moderne celebrità; ma anche a Roma Calatrava […] non ebbe fortuna progettuale: la Città dello sport, un campus e quattro piscine previste per i mondiali di nuoto del 2009, vide i costi lievitati da 400 a 600 milioni di euro, e poi l’abbandono e lo spostamento dell’attività al Foro Italico» (Michele Masneri, Il Foglio, 11/4/2015) • La sua stazione per i treni della metropolitana al World Trade Center di Manhattan. Secondo Mario Platero, sul Sole 24 Ore: «L’ingresso centrale è come un monumento, una scultura […] È come se fossero delle ali di una colomba che si aprono al vento, ali stilizzate, formate da segmenti di acciaio bianco paralleli. C’è un senso di spazio, di visione, di speranza che non può non tener conto del fatto che qui l’America intera ha sofferto la sua più grande tragedia, sul piano psicologico e su quello umano, il più grave attacco al paese, all’America continentale e civile nella sua storia». Secondo Michael Kimmelman, sul New York Times: «La carcassa di un dinosauro» • Poi c’è tutta la vicenda di Venezia. Commissionatogli dalla giunta guidata da Massimo Cacciari nel 1999 per collegare piazzale Roma alle fondamenta Santa Lucia. «Il lavoro, firmato dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava, è stato donato dallo stesso professionista alla città corredato da un modello dell’opera in legno». Sarebbe dovuto essere pronto per il 2002. «La calatravata, inaugurata nel 2008, è stata contestata fin dagli inizi, vuoi per i costi lievitati fino a 12 milioni (quasi il doppio del preventivo iniziale), vuoi per il peso smodato che tendeva a spostare gli argini sul Canal Grande, vuoi per i gradini in vetro trasparente scivolosi in ogni stagione, ma anche tanto fragili da non reggere il peso e gli urti dei trolley dei turisti, che è già stata necessaria una sostanziosa e onerosa manutenzione» (Angelo Crespi, Il Giornale, 7/1/2016) • Nel 2011 la Lorenzon Techmec System, ditta che ha realizzato le opere in carpenteria del ponte, fallì. Così scrisse l’ex ad Lino Lorenzon al Corriere del Veneto: «A causa del ponte ho visto andare distrutti i sacrifici di una vita. Ho perso un’azienda nata dall’esperienza di mio padre e portata alla ribalta negli scenari internazionali. Io non ero a conoscenza, a contrario di altri, che i soldi non sarebbero bastati. Tanto che ora mi chiedo perché il lavoro sia stato appaltato nonostante una copertura economica quantomeno dubbia, con 5 perizie, 80 nuovi prezzi, e altro ancora» • Grandi polemiche anche perché, nonostante una legge del 1986 imponesse il divieto di barriere architettoniche, il ponte era impossibile da attraversare con la sedia a rotelle • Nel 2018, per mettere fine a scivolate e ruzzoloni, il Comune decise di sostituire i gradi in vetro trasparenti con nuove lastre in trachite. Per risolvere il problema dei disabili, invece, si spesero 1 milione 800 mila euro per installare una ovovia che corresse lungo il parapetto del ponte. Non entrò mai in servizio e finì per essere smantellata nel 2020 • Nel 2019 la Corte dei Conti, dopo averlo assolto in primo grado, ha condannato l’architetto a pagare 78 mila euro per danni erariali. A Venezia è stato soprannominato «Calabraga». Qualcuno ha parlato anche di una maledizione.
Vita privata «Ho tre maschi e una figlia: un avvocato, due ingegneri e una studentessa, Sofia. Mia moglie, Robertina, ha origini nei Grigioni, la Svizzera che parla italiano» (Giuseppe Pullara, Corriere della Sera, 10/10/2018).
Religione Credente. Trova affascinanti le riflessioni su Dio di Spinoza e Juan de la Cruz. «Credo che progettare sia un atto di fede. Fede in un edificio che non esiste ancora e che verrà, fede nelle persone che con le loro mani daranno corpo a questa cosa».
Curiosità «Non ha esitato a querelare sir Norman Foster, accusandolo di plagio per il progetto del Reichstag di Berlino» (Rita Sala, Il Messaggero, 7/10/2005) • Oltre a progettare ponti e palazzi, gli piace dipingere, disegnare, scolpire e ascoltare musica classica (soprattutto Bach e Beethoven) • I suoi quadri raffigurano alberi, tori e nudi femminili • Vive a Zurigo ed è cittadino svizzero • Gli piace la pasta al pesto • Ama Roma. Quando è in città va stare in un albergo a Trinità dei Monti e a mangiare in un ristorante in vicolo delle Bollette. Il suo edificio preferito è il Pantheon. Il suo angolo preferito piazza Mattei, con la fontana delle Tartarughe. «Roma è come una persona: più la frequenti, più ti senti attaccato» • Walter Veltroni è un suo ammiratore • «Quando la chiamano Maestro, cosa prova? “Penso che sto diventando davvero vecchio”» • Quando gli chiedono quale sia la miglior definizione di architettura, lui cita Auguste Perret, il maestro di Le Corbusier: «L’architettura è ciò che dà le belle rovine». E spiega: «Nulla dura nel tempo tranne la bellezza».
Titoli di coda «Un guard-rail omicida, desideroso di sventrarmi, mi si para davanti all’improvviso, per una frazione di secondo mi dico no, non è possibile che questo ponte abbia superato il collaudo, no, non è possibile che Calatrava sapesse che un giorno sarei passato di qui, no, non è possibile che io muoia a Bagnolo in Piano, poi sterzo violentemente tagliando la strada alla macchina che sopraggiunge ma questa riesce a frenare, insomma sono qui a raccontarla, la falce dell’architetto spagnolo ancora non mi ha mietuto» (Langone).