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 2020  luglio 20 Lunedì calendario

Biografia di Carlo Verdelli


Carlo Verdelli, nato a Milano il 15 luglio 1957 (63 anni) • «Uno dei migliori giornalisti italiani» (Ferruccio De Bortoli) • «Molto stimato per la sua capacità di guidare i progetti giornalistici più diversi e di conoscere i sentimenti e desideri dei lettori» (Il Post, 3/12/2019) • «Quando hai letto un’intervista o un reportage di qualcuno dei suoi giornali ne riconosci subito l’impronta. Leggi e dici: era il servizio da fare, ma com’è che non ci ho pensato io?» (Maurizio Caverzan, Studio, 1/12/2015) • Già vicedirettore del Corriere della Sera • Già direttore di Vanity Fair (dal 2004 al 2006), che era in crisi di vendite e lui riuscì a risollevare: l’operazione gli valse il Premiolino • Già direttore della Gazzetta dello Sport (dal 2006 al 2010), che sotto la sua guida, complice anche la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 2006, arrivò a vendere 2.302.808 copie, primato assoluto per un quotidiano italiano • Già vicepresidente esecutivo di Condé Nast (dal 2010 al 2012) • Già direttore editoriale per l’offerta informativa della Rai (dal 2015 al 2017), lasciò spontaneamente l’incarico quando il consiglio di amministrazione della tivù pubblica non approvò il suo piano editoriale • Già direttore de la Repubblica (dal 2019 al 2020), fu licenziato dopo che il gruppo GEDI, società editrice del quotidiano, passò sotto il controllo della Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli • Dal 1° giugno 2020 è tornato al Corriere della Sera come editorialista • «Dovunque è andato lo ha fatto innovando: sa molto di giornalismo, di multipiattaforma, di gestione, vista l’esperienza da manager in Condé Nast. Ha studiato e lavorato sui linguaggi visivi. Da Indro Montanelli ed Enzo Biagi alla Gazzetta dello Sport, la sua è una figura completa» (Annalisa Cuzzocrea, citando una sua fonte alla Rai, la Repubblica, 26/11/2015) • «Un uomo dai modi semplici, modesti, uno che “non se la dà”, cosa che nella mia vita ho quasi sempre riscontrato nelle persone di valore» (Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano, 7/5/2020) • «Gentile, garbato, coi suoi gilet perenni, la voce bassa, quasi inconfondibile, gli occhi celesti che sanno gelare senza bisogno di alzarla» (Michele Masneri, Il Foglio, 6/2/2019) • «È difficile fargli perdere la pazienza» (Paolo Conti, Corriere della Sera, 20/4/2017) • Ha detto: «Nella mia vita se c’è una cosa certa è la coerenza, l’onestà intellettuale».
Titoli di testa «Verdelli d’abitudine parla poco, appare poco, sorride poco, non dà confidenza, non dà interviste, al massimo le fa. Ma stavolta ha scritto un libro e gli tocca. Lo sa. Ne soffre. Dice: “Però sbrighiamoci”» (Pino Corrias, presentando il suo I sogni belli non si dimenticano, Vanity Fair, 12/2/2014).
Vita «Figlio unico? “Figlio unico, padre operaio, madre prima impiegata e poi casalinga. Non ricchi, non poveri” Carattere dei tuoi? “Affettuosi, mai sdolcinati. Mio padre uomo solitario, mia madre più vivace: complementari” Ti imbarazza parlarne? “No, perché?” Sei telegrafico “Tu scegli le domande, io scelgo le risposte”» (Corrias) • Abita in periferia. Da bambino gioca per strada. «È vero che avevi la predilezione per i cattivi? “Peter Pan mi è sempre stato sulle palle. Non vedevo l’ora che Capitan Uncino lo inchiodasse al muro”. Il mestiere che sognavi da piccolo? “Un sacco di lavori, tranne il giornalista”» (ibidem) • «Maturità classica al liceo Beccaria. All’università, la Statale, dà 14 esami alla facoltà di Lettere e filosofia, indirizzo storico. La Carlo Erba dove il padre è operaio annuncia la cassa integrazione. E Verdelli inizia a lavorare» (Prima Comunicazione) • «Ho cominciato sulle mitiche pagine milanesi di Repubblica dirette da Gian Piero Dell’Acqua, il mio maestro, che poi ho ritrovato caporedattore a Panorama Mese» (a Corrias) • «Nel 1978 entra alla Mondadori, a Duepiù. Dopo due anni passa a Pm (Panorama Mese): ci resta tre anni, diventando caposervizio con la direzione di Claudio Sabelli Fioretti. Nell’86 Alberto Statera lo vuole a Epoca: redattore, inviato, caporedattore centrale e nel 1991 diventa vicedirettore, quando le redini del settimanale vengono prese da Nini Briglia. A Epoca lavora a stretto contatto con fotoreporter come Lotti, Mori, Leto, Del Grande, De Biasi, Galligani (che nella prefazione del libro Uno sguardo discreto definisce affettuosamente “quelle impareggiabili teste di cazzo”). E impara a usare le fotografie, a sceglierle, tagliarle, metterle in pagina» (Prima Comunicazione) • Carlo, secondo Michele Serra, è «un milanese di popolo»: serio, riservato, ma ambizioso. «E l’ambizione milanese, se è giornalistica, dove deve andare, se non a dirigere il Corriere? Obiettivo di una vita, dicono: ma col Corriere Verdelli si sfiora, e lo manca due volte. La prima, nel 1994, dopo essere stato vicedirettore di Epoca, viene chiamato da Paolo Mieli a fare il suo numero due e a dirigere Sette, che naturalmente sotto Verdelli fa il botto» (Masneri) • Alla fine degli anni Novanta, proprio in via Solferino, conosce Montanelli, che gli affida i propri editoriali e gli dice di tagliarli senza pietà, se dovessero sforare oltre la prima pagina: «Ma chi vuoi che lo legga se gira?» • A Sette Verdelli resta poco più di due anni. Poi, il 12 settembre 1996, Mieli gli annuncia l’intenzione di farlo vicedirettore del giornale, con delega alla supervisione dei tre inserti: Sette, Tv Sette, iO Donna • «Eri il vicedirettore più temuto. Nella rubrica di redazione di un mio amico direttore, accanto al tuo cellulare c’è scritto: mi raccomando NON telefonate, chiamo io. Perché sei così brusco nei rapporti? “Lavoro molto, pretendo molto. Ma anche mi affeziono molto”» (Corrias) • Nel 2003, dopo l’addio di de Bortoli, sembra sul punto di diventare lui il nuovo direttore del Corriere. «Era favoritissimo. Invece in via Solferino fu paracadutato Stefano Folli, Pri, una figura scialba, senza alcun passato giornalistico rilevante. E infatti Folli dirigerà solo per un anno. Si dovette ricorrere all’eterno “cavallo di ritorno”: Paolo Mieli» (Fini) • «Nel 2004 prese un magazine decotto, di quelli che finivano nel cestino ancora col cellophane, e lo trasformò nella corazzata dei settimanali, uno strano ibrido tra un femminile e una rivista colta, oroscopi e Bignardi (era l’unico Vanity Fair del mondo a essere settimanale, con conseguente abbuffata di inserzionisti: alla sede centrale Condé Nast a New York lo trattavano come Maradona). Verdelli […] trasformò la rubrica delle lettere di Vanity da angolo negletto di rettifiche in una specie di bacheca facebook dei lettori sul settimanale. Anche se lui lo trattava come un quotidiano. “Stakanovista bestiale”, raccontano dalla sede milanese di Vanity […] Nonostante il numero fosse già chiuso, in quei tempi gloriosi Verdelli si presentava anche il sabato. Ossessionato dai dettagli, raccontano, dalle fotografie, teorico della “gestione del piccolo”, cioè delle didascalie e dei boxini» (Masneri) • La rivista, che rischiava la chiusura, dalla cura Verdelli esce risollevata. Lui vince il Premiolino. Poi diventa direttore della Gazzetta dello Sport • «Verdelli si inventò una sorta di rubrica, Altri Mondi, affidata a quel genio misconosciuto di Giorgio Dell’Arti, quattro pagine dedicate a notizie nazionali e internazionali che con lo sport non avevano nulla a che vedere. La Gazzetta dello Sport arrivò a vendere 2 milioni di copie, record assoluto per un quotidiano» (Fini) • «Il segreto di Verdelli è […] prettamente editoriale. È la capacità di allargare il bacino di lettori abituali di una testata, declinata secondo la filosofia dello “strambare” […] “Quando nei quotidiani si va incontro a grosse difficoltà, le strade che uno ha davanti sono due: o cerca di arrestare il declino frenando a più non posso; oppure si cerca di strambare. Di cambiare direzione. Questa seconda strada è quella che i direttori preferiscono. Perché mentre strambi ti dai da fare, reagisci, inventi qualcosa…”. Non strambate strampalate, però. Bensì suffragate dal marketing. Non a caso danno ottimi risultati […] La strambata più azzardata però è quella a cui ogni due-tre anni sottopone se stesso, passando dall’attualità alla moda allo sport […] Arriva come un alieno nella nuova testata, provenendo da un mondo lontano. Si mette lì e studia. È l’unico modo per ammortizzare il salto. Di sport non sapeva granché… “Anche quando sono arrivato a Vanity Fair non sapevo di moda. Ho studiato. Sono anche uno che si alza presto la mattina e arrivo alla riunione avendo letto tutti i giornali, compresi quelli stranieri. Così, sono preparato. Non urlo quasi mai. Anzi, mai”» (Caverzan) • Il suo agognato obiettivo pare realizzarsi. «Le cose sembrano fatte nel 2009, quando la sua candidatura alla direzione del Corriere è sponsorizzata dal potente Piergaetano Marchetti, presidente di Rcs, ma avversata dal nume tutelare Nanni Bazoli, che vuole e ottiene il ritorno di De Bortoli» (Masneri) • Così, nel 2010 torna a Vanity Fair, stavolta come vicepresidente esecutivo di Condé Nast Italia. «Un paio d’anni e un altro cambio, il ritorno alla scrittura sulle colonne di Repubblica, ogni servizio uno scoop, qualcosa di imprescindibile, inchieste e storie raccontate con la famosa passione dell’artigiano» (Caverzan) • Poi, nel novembre 2015 lo chiamano alla Rai. «Che rapporto hai con i politici? “Nessuno” E con Roma? “Più o meno quello che ho con Teramo”» (Corrias) • «Con pragmatismo settentrionale-ironico, nel suo cv scrive che era stato assunto “con contratto a tempo determinato”. Il suo navigator, colui che gli procacciò il lavoro, fu Antonio Campo dall’Orto, direttore generale effimero, con un sms: “Ciao, mi occupo di Rai. Ci vediamo?”. Di lì cominciò l’anno romano del Verdelli milanese, del marziano. Fu chiamato come “direttore per il coordinamento dell’offerta informativa”» (Masneri) • La tivù di Stato ha 13 mila dipendenti, 1.729 giornalisti, età media 51 anni, 10 testate giornalistiche, 13 canali televisivi, 10 canali radio, 9 centri per le produzioni tv e 5 per la radio, 11 sedi di corrispondenza all’estero. Lui ha il compito di razionalizzarla. «La Rai non ha futuro. L’orologio dell’informazione nel servizio pubblico si è fermato alla fine del Novecento. La tv generalista ha perso un milione e mezzo di spettatori negli ultimi due anni. I nostri tg, che pure hanno uno share elevatissimo, intorno al 50%, dal 2011 scendono a tutte le ore tra l’1 e il 4%, con l’eccezione del Tg1. Sul fronte digitale, una tragedia: si è arrivati a 250 siti variamente riconducibili al marchio Rai, che non è una ricchezza, visti i risibili numeri totali, ma una dissipazione» (Carlo Verdelli, Roma non perdona, Feltrinelli, 2019) • Va ad abitare in un residence al quartiere Prati, come tutti gli expat. Chiama nella sua squadra Francesco Merlo, assieme consumano cene frugali in viale Mazzini. «Ma non negli aspirazionali locali di finger food e botox alla Settembrini, bensì nelle trattorie dignitose in quella Roma appannata che confina col Vaticano – Verdelli è così, un piatto di pasta, un bicchiere di rosso, e poi a casa a dormire, raccontano. O a lavorare, in ufficio, di nuovo: la notte del terremoto di Amatrice lui era in ufficio. E la mattina arrivava alle sette mandando in tilt il protocollo di viale Mazzini: dove l’ingresso principale apre alle 8,30, e prima c’è solo il varco laterale di via Pasubio, destinato anche alle uscite fuori tempo massimo (le 17 e 30). Le procedure tra Kafka e Cencelli lasciarono nel milanese Verdelli un trauma indelebile: raccontò a Antonio D’Orrico la “liturgia vecchio stile” della cittadella Rai e del suo settimo piano, “il sancta sanctorum del tabernacolo. Lì ci sono il direttore generale, la presidente, alcuni consiglieri e dirigenti. In più ci sono i commessi, e due porte a chiudere quell’ala nobile di Viale Mazzini. Quando l’ultimo di questa parte del piano va via, deve restare un commesso che chiude e sigilla i due ingressi e tu non puoi rientrare. Se hai dimenticato il cellulare, c’è una procedura per aprire le porte molto complessa”. Non c’erano però gli uffici – rimase quasi deluso – che si ampliano o restringono a mantice a seconda della piega che ha preso la carriera dell’inquilino (come nella Terrazza di Scola)» (Masneri) • «Verdelli ha molte qualità ma non è un diplomatico. Si accorge di avere una vasta opposizione interna. I pregiudizi abbondano. Gliene dicono di tutti i colori. Non sa niente di tv. Un usurpatore di cariche. L’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, non gradisce. “Si parte con il piede sbagliato”. I rapporti con la presidente, la collega Monica Maggioni, sono, per usare un eufemismo, pessimi. Per non parlare dei membri del consiglio d’amministrazione» (Ferruccio De Bortoli, Corriere della Sera, 6/3/2019) • «I consiglieri di amministrazione, la direzione generale e la presidenza, tutti alla Rai hanno sui loro tavoli il piano per l’informazione che presentai il 22 dicembre 2016. Due volumi: il primo di 90 pagine, il secondo di 120. Non erano linee guida sommarie. Era un autentico piano per la riforma dell’informazione Rai, dettagliato al millimetro, nei particolari delle singole rubriche dei telegiornali. Quando leggo che il consigliere Franco Siddi parla in commissione parlamentare di Vigilanza di “bozza ritirata”, sostenendo che “non è mai stato portato in consiglio un piano di riforma”, afferma una cosa non vera che ritengo inaccettabile...» (Paolo Conti, Corriere della Sera, 20/4/2017) • «La Rai mi ha espulso come un corpo estraneo gli ultimi che sono entrati nella grotta romana di Polifemo per curargli la vista non ne sono usciti benissimo. Il gigante se li è mangiati e poi li ha sputati a pezzettini» (a De Bortoli) • Nel febbraio 2019 viene nominato direttore de la Repubblica, subito comincia a strambare anche lì: rivoluziona la grafica, fa titoli di forte impatto. «Per molti di noi il giornale La Repubblica ha, o almeno aveva, un’anima. Me ne accorsi quando la gente, i giovani di allora, degli anni Settanta, cominciò ad indossarlo come un accessorio, sul portapacchi della bicicletta nelle domeniche dell’austerity, nelle tasche dei giacconi, nei borselli che allora anche i maschi portavano a tracolla […] Leggendo sull’iPad la vecchia testata diretta da Carlo Verdelli che non conoscevo, trovai un guizzo, l’anima dell’antico spirito folletto. Non era l’antica nave: era una nuova nave, ma aveva quegli stessi cannoni, quel gusto del titolo (ai tempi di Eugenio si passavano ore a scandirli come versi finché non si trovava quello che “cantava”)» (Paolo Guzzanti, Il Riformista, 25/4/2020) • Dice Scalfari: «Verdelli era il mio alter ego, mi piaceva molto. Ha colto subito lo spirito di Repubblica. Io gli ho offerto alcuni consigli, lui mi ascoltava e lavorava» • L’esperimento però dura poco. Il 23 aprile 2020, tramite una società appositamente creata, Giano Holding, gli Agnelli comprano dalla CIR dei Debenedetti, per 102 milioni 400 mila euro, il 43% delle azioni del gruppo GEDI. Tempo due giorni, John Elkann è il nuovo amministratore delegato e Verdelli è licenziato • Dice ancora Scalfari: «Non meritava questo trattamento, è vergognoso»• Verdelli lascia la Repubblica il 25 aprile mentre su twitter spopola l’hashtag #iostoconverdelli, campagna organizzata dal giornale in segno di solidarietà con il direttore, che per il suo lavoro aveva ricevuto diverse minacce di morte via internet • John Elkann al suo posto mette Maurizio Molinari, già direttore de La Stampa: un conservatore, politicamente distante dalla linea tradizionale del giornale, ma è un suo uomo di fiducia. Dicono che a Elkann non piacciano i toni forti della linea di Verdelli, che voglia temi meno politici e campagne mediatiche meno strillate. Dicono pure non gli sia passato di mente che Verdelli, da direttore della Gazzetta dello Sport, aveva cavalcato ampiamente il caso Calciopoli, che portò alla retrocessione della Juventus in serie B • Dopo neanche una settimana, ad ogni modo, Verdelli torna al Corriere: «Il vantaggio dell’età è di non doversi preoccupare del futuro. E del resto, come si sa, non me ne sono mai preoccupato troppo. L’unica cosa importante è andare a letto la sera sapendo di aver fatto qualcosa di buono».
Vita privata A marzo la figlia Nina, nata dal matrimonio con Cipriana Dell’Orto, lo ha fatto diventare nonno. Ha dato al mondo, con il suo compagno, l’attore Alessio Boni, il piccolo Lorenzo.
Curiosità Interista • Refrattario ai social. Ha aperto un profilo twitter solo nel marzo 2019 • Il suo libro preferito è Chiamalo Sonno Henry Roth. «Monumentale. Racconta di un emigrato ebreo in America. Un bambino» • Ha scritto: I sogni belli non si ricordano, Milano, Garzanti, 2014, raccolta di fiabe per bambini; Roma non perdona, sulla sua esperienza alla Rai • Nel primo ha inserito anche delle poesie. «Nessuno immaginava Verdelli poeta. Una dice: “L’odore del dolore delle donne / mi soffoca il cuoricino / molto più del gas nervino”. È una malinconia cattiva che mi ricorda Arbasino, se consenti “Consento, però esageri, non scriverlo”» (Corrias) • Ascolta Bruce Springsteen • Virtuoso della chitarra, ne comprò una da Claudio Sabelli Fioretti • Non sa pronunciare le parole straniere, specie quelle inglesi • «I quotidiani stanno precipitando a testa in giù. “Sono ancora fermi al millennio scorso. Gli editori pensano che buttando un po’ di zavorra, la mongolfiera tornerà ad alzarsi. Se provassero a buttare la mongolfiera e a usare un jet magari volerebbero meglio” E quindi? “Gli aggiustamenti non servono, bisognerebbe scavare nuove fondamenta: sono cambiati il linguaggio, i tempi di lettura, la funzione di un giornale di carta rispetto a quelli digitali. Ma cambiare costa rischi e fatica” Lo faranno? “Gli editori puri ci stanno provando, agli altri basta avere direttori affidabili e giornali che non disturbano”» (Corrias) • «Verdelli mi fece la prima intervista in assoluto. È uno che scrive alla grande. Peccato che non sia molto valorizzato» (Fedele Confalonieri).
Titoli di coda «Grazie, abbiamo finito?».