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 2020  luglio 09 Giovedì calendario

Biografia di Lino Banfi


Lino Banfi, nato ad Andria il 9 luglio 1936 (84 anni). Attore. Comico. Il suo vero nome è Pasquale Zagaria • «Il Lino Nazionale» • «Vengo da Canosa di Puglia, sono il titolare vivente del “porca puttena!”» (Antonello Caporale, Il Fatto Quotidiano, 25/3/2019) • «Un’autorità pontificale e a tratti perfino miracolistica, un super-personaggio, un’icona indiscutibile, una specie di santo della società degli spettacoli. Ma non è così semplice, perché Banfi lo è divenuto, poco a poco, dopo essere stato prima una macchietta dialettale (“Porca puttena”, “checchio”, “Madonna sentissima”) e poi un’incarnazione della commediaccia trash, debitamente scollacciata e disimpegnata» (Filippo Ceccarelli) • Ha lavorato per 104 film, 28 sceneggiati, 26 varietà • È diventato famoso come icona dei film della commedia sexy all’italiana, come La liceale nella classe dei ripetenti (Mariano Laurenti, 1978), La soldatessa alle grandi manovre (Nando Cicero, 1978), L’insegnante va in collegio (Mariano Laurenti, 1978), L’onorevole con l’amante sotto il letto (Mariano Laurenti, 1981) e così via • Ha poi recitato, tra le altre cose, in: Detenuto in attesa di giudizio (Nanni Loy, 1971), L’esorciccio (Ciccio Ingrassia, 1975), Fracchia la belva umana (Neri Parenti, 1981), Vieni avanti cretino (Luciano Salce, 1982), Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio (Sergio Martino, 1983), Il commissario Lo Gatto (Dino Risi, 1986), L’allenatore nel pallone 1 (De Martino, 1984) e 2 (De Martino, 2008), da ultimo Quo vado? (Gennaro Nunziante, con Checco Zalone, 2016) • In tv ha condotto per Canale 5 Risatissima (1984) e per la Rai Domenica In (1987). È diventato popolarissimo come il nonno Libero dello sceneggiato Un medico in famiglia (prima stagione nel 1998-1999, ottava nel 2012-2013, non ha partecipato solo alla settima). Tra 2009 e 2010 ha interpretato, in due miniserie Rai, Antonio (Scusate il disturbo) e Franco (Tutti i padri di Maria), mentre nel 2011 è tornato a lavorare per Mediaset, come protagonista della miniserie in due puntate Il commissario Zagaria (Canale 5) • Ha vinto un Telegatto alla carriera (nel 2003), è cavaliere di gran croce della Repubblica e gli hanno dato una laurea honoris causa • Oggi dice che la vecchiaia «è una mezza fregatura», ma si consola con la popolarità. «È come un amplesso. L’altro giorno mi hanno fermato per strada: sei il nostro Lino di Mameli. Ero in estasi» (a Malcom Pagani, Il Messaggero, 27/8/2017).
Titoli di testa «Sa qual è il mio sogno? Una cucina di 100 metri quadrati, dove muovermi sulla poltroncina con le rotelle, come faceva Aldo Fabrizi a casa sua. Ogni tanto andavamo insieme al mercato e quando io mi lamentavo della mia pancia lui mi diceva: “Ma nun me rompe li cojoni. Vieni con me che così sembri Alain Delon”» (a Carola Uber, Chi, 7/3/2012).
Vita «La mia era una famiglia ricca di blasoni, una famiglia di conti... sì, quelli che non tornavano mai alla fine del mese» (a Emilia Costantini, Corriere della Sera, 23/6/2017) • «Mia madre Nunzia mi mise alla luce il 9 luglio. Ma la mammana diceva sempre a tutte le puerpere: “Faccio un piacere al bambino e te lo registro qualche giorno più tardi, così se è maschio, quando fa il militare ritarda un po’ la chiamata”. E se il bambino nasceva a fine dicembre, si registrava nel nuovo anno. Quindi sui miei documenti c’è scritto 11 luglio e festeggio in questa data» (alla Costantini) • Suo padre Riccardo, terza elementare, coltiva semi di porro e di cipolle per il mercato farmaceutico. «Durante la guerra, la ditta di famiglia aveva interrotto le esportazioni con la Francia, e l’impresa era miseramente fallita. I soldi erano pochissimi» (a Malcom Pagani, Il Messaggero, 27/8/2017) • A 11 anni Pasquale finisce in seminario: è l’unico sistema per farlo studiare. «Mentre gli altri ragazzini potevano tornare a giocare a pallone per strada, perché non cadevano più le bombe, io venivo responsabilizzato. I preti erano severi: ancora oggi ho dolori alle ginocchia, perché lì ti inginocchiavi in continuazione per pregare o per punizione» • «“Ho fatto il seminario fino al quinto ginnasio: studiavo latino, greco, filosofia...” E poi? “Poi una ballerina dell’avanspettacolo, bòna, mi fece l’occhietto. La sera stessa seguii la compagnia”» (Virginia Piccolillo, Corriere della Sera, 16/2/2019) • «Non ero strutturato per prendere i voti. Il Vescovo lo capì prima di tutti e quando me ne andai mi consolò: Zagaria, non devi piangere, il tuo destino non è fare il sacerdote, ma far ridere le persone. Alle recite in cui interpretavo Giuda, San Giovanni e San Pietro, in effetti, ridevano tutti» (a Pagani) • Suo padre vuole che torni a studiare, lui gli dice che non ci pensa nemmeno e ha deciso di fare l’attore. «Ebbe un attimo di disorientamento e mi chiese: se vuoi fare l’artista, fallo, ma poi che lavoro vuoi fare da grande?» • «Papà è morto nel ‘75 e per fortuna, un po’ dei miei film ha fatto in tempo a vederli. Passando da Canosa, Domenico Modugno gliel’aveva profetizzato: Riccardo, tuo figlio diventerà un grande artista, puoi anche smettere di salutare tutti levandoti il cappello perché adesso se lo devono togliere gli altri» • «La prima vera emigrazione fu da Canosa a Napoli dove a 18 anni mi iscrissi all’ufficio di collocamento come attore. A Napoli sono stato iniziato al sesso. Venivo dal seminario e cercavo un bordello per fare la mia prima scopata. “Il migliore si chiama il 18”. Prendo l’indirizzo e l’11 luglio, nel pieno del caldo afoso, mi presento alla porta. Ero caruccio, snello, con il capello ondulato, ma ero un ragazzino: “Guagliò, che vai cercando?”. Spiego e vedo la matrona dubbiosa: “Ma tu ce l’hai gli anni che dici?”. Mostro la carta di identità e quella si accorge che è il mio compleanno: “Carmelina, Assunta, correte”. Arrivarono le donnine nude. Una festa, una sorta di ammucchieta» (Malcom Pagani e Fabrizio Corallo, Il Fatto Quotidiano, 2/10/2016) • «Diciamo che prima di sposarmi mi sono divertito talmente tanto da levarmi la voglia. Ero sempre il più giovane nelle compagnie di avanspettacolo e le ballerine, tra orchestrali anziani e ballerini gay, non sapevano su chi buttarsi» • Esordio come cantante di feste musicali e attore di fotoromanzi. Vince anche un concorso di bellezza e fotogenia. «Non voglio esagerare, ma non ero male. Avevo un vitino piccolo e pensavo di fare carriera interpretando il belloccio» • «Nei primi anni lei ha fatto molti lavori umili. “A Milano ho dormito negli scompartimenti dei treni fermi e nelle case ancora in costruzione. Consigliato da un clochard, mi sono anche fatto togliere le tonsille per fare qualche pasto gratis in ospedale. Dopo un paio d’anni in Lombardia mi trasferii a Roma e mi feci raggiungere da Lucia, mia moglie. L’ho conosciuta che ero adolescente”» (Pagani) • Quando si sono conosciuti lui aveva quindici anni, lei tredici. I genitori di lei però si oppongono al matrimonio. «La porta tra le ballerine puttane e i ballerini ricchioni» • «Ma voi vi siete sposati lo stesso. “Siamo scappati. Due giorni a Bari. E così al ritorno matrimonio riparatore alle sei del mattino. Alla cerimonia solo un amico che faceva il camionista e portava gli anelli. Arrivò pure in ritardo. Con il biasimo del sacerdote: ‘Veloce che dopo ho un matrimonio’. Lucia alla fine disse: ‘È già finito qui?’. Allora le feci una promessa”. Quale? “Che avremmo festeggiato nozze d’oro principesche”» (Terry Marocco, Panorama, 7/6/2019) • I suoceri lo vogliono ammazzare. «Poi si sono rassegnati e mi hanno accolto come genero» • «Come pseudonimo avevo scelto Lino Zaga, ma fu il grande Totò a farmelo modificare. Quando mi ricevette in casa sua ai Parioli, ero molto emozionato. Mi accolse in vestaglia di raso bordò, con tanto di stemma sul taschino. Mi fece accomodare in salotto e subito mi chiese: “Come ti chiami?”. Quando gli risposi Lino Zaga, fu drastico: nel mondo dello spettacolo accorciare il nome porta bene, accorciare il cognome porta jella» (alla Costantini) • «Tempo dopo, mentre trattavo con l’impresario di turno un ingaggio malpagato, a un tratto, dissi che Lino Zaga non c’era più. Raccontai di Totò e dopo un breve momento d’attenzione, l’altro la fece breve: “Fai come ti pare, ma scegli. Devo stampare i manifesti”. Ero indeciso e un po’ diffidente: ‘Mettimi il chezzo di nome che vuoi, basta che mi paghi’. ‘Facciamo così – disse lui, che faceva il maestro elementare e aveva voglia di tagliare la testa al toro – adesso tiro fuori il mio registro di classe e tu scegli un cognome a caso’. Puntai il dito su Aurelio Banfi. Lino Banfi nacque così. Festeggiamo con Frascati e gazzosa. Mezzo litro. Una cosa tremenda”» (Pagani e Corallo) • Lino si fa conoscere come cabarettista. Si esibisce al Puff di Lando Fiorini. «La prima sera improvvisai. Salii i gradini e mi ricordai dei ricchi del paese che quando i contadini, incerti sulla terminologia, dicevano cravattola invece di cravatta, si davano di gomito. Così iniziai in pugliese: Non so che chezzo ci faccio qui e di conseguenza che chezzo devo dire. Ci fu qualche sorriso. Avevo acceso la platea, ma dovevo trovare ancora la chiave. Proseguii: Un’ora fa ero con un pubblico di un certo lignaggio: puttène, ricchioni, militèri, tatuèti, disoccupèti e ora, scusate la franchezza, mi ritrovo con quattro morti di fème con le pellicce false. Ci fu un boato» (Pagani) • «Nel 1967 per tirare avanti subaffittammo una parte dell’appartamento e prendemmo in prestito i soldi dai cravattari. Mezzo milione di lire che aumentava di mese in mese. Venivano a casa, a esigere il credito c’era sempre un ceffo: “Che bella collanina” – diceva a Lucia – e poi se la prendeva insieme alle posate o alle lenzuola ricamate» (Pagani e Corallo) • «Ci fu un momento […] in cui per gli stenti stavo per mollare tutto. Ero andato dal senatore Onofrio Jannuzzi, potente democristiano dell’epoca, in cerca di una raccomandazione: “Che diplomi hai?” “Nessuno, mi sono fermato alla prima liceo”. “È un problema” disse lui e poi con la promessa di affrontare le scuole serali, mi mandò a parlare con un signore della Cassa di Risparmio di Roma. Avrei fatto 6 mesi da messo e forse dopo avrei avuto il mio impiego alla Cassa. Nella settimana che precedette l’inizio del lavoro feci un rito iniziatico. Presi la Bianchina ammaccata che Ciccio Ingrassia chiamava la caldarrosta, imboccai la Tiburtina e con copioni e locandine dell’avanspettacolo feci un bel falò. Poi tornai a casa. Alla vigilia del nuovo impegno, io e mia moglie parlammo fino all’alba: “Non devi andarci per forza, se stai così male”, “Siamo indebitati con i cravattari, devo farlo”, “Non voglio un marito infelice, può darsi che un giorno ti vada meglio. Le diedi retta”. Non la ringrazierò mai abbastanza» (Pagani) • La svolta arriva quando conosce Dino De Laurentiis. «Grazie al fatto che sua moglie Silvana Mangano, nella sua irrequietezza, quella sera era uscita senza dirgli niente, De Laurentiis restò a casa a guardare la tv. Era il 1969. Io allora facevo le mie cose in lingua pugliese, storpiavo il latino, e lui fu incuriosito dal mio personaggio. Mi fece chiamare. “Quanto guadagni, Banfi?” Io non sapevo cosa rispondere: “Cavaliere, che le devo dire? Faccio qualche posa, qualche serata, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia sono amici”. De Laurentiis parlò di un vivaio di attori da far crescere. Accanto a lui c’era suo fratello Alfredo, che era un uomo molto pratico: “Dino, a questo qui bisogna dargli uno stipendio buono, così lavora solo per noi. Va bene un milione di lire al mese?” Non ci potevo credere: “Cavaliere, dove devo firmare?”» (Marco Pasqua, Il Messaggero, 13/7/2018) • La celebrità arriva con i film pecorecci. «È la serie b, dicevano. È un cinema sporco. In realtà tra una doccia e l’altra, era fin troppo pulito» • «Edwige Fenech diceva che ero virile e le altre compagne di lavoro mi invitavano a non buttarmi giù: Sai che in fondo in fondo, non sei male? È quell’in fondo in fondo che mi rompe il chezzo. Sono sempre stato felice della mia fedeltà» • «Alle prese con il seno di Edwige Fenech in un film scollacciato: “Io toccavo, però con un gesto meccanico e agitato, tanto che un tecnico, spazientito, mi urlò: ‘Ahò, pare che stai a svita’ la lampadina’”. Dopo le riprese: “Tutti a ripetermi: ‘Nun te la lava’, la mano’» (Pietrangelo Buttafuoco, Panorama 3/2/2011) • «Anni fa mi fermò un giovane alto, con la barbetta. Mi venne incontro con aria di sfida e mi disse: “Io ti ho sempre odiato”. Io: “Chi è ‘sto str…?”. E lui: “Sono il figlio di Barbara Bouchet. Da bambino, quando in tv vedevo che toccavi il sedere a mia mamma, pensavo: questo lo ammazzo”» (alla Uber) • «La volta che Lino Banfi andò a parlare col chirurgo che aveva appena operato sua madre. Quello gli s’inginocchiò davanti: “Mi permetta di baciare la mano che ha toccato il sedere di Nadia Cassini”» (Buttafuoco) • «In Fracchia la belva umana interpreto il commissario Auricchio a caccia di un Villaggio sdoppiato con tanto di sosia. Organizzo una retata al ristorante e vengo accolto dal menestrello: ‘E benvenuti a ‘sti frocioni / belli grossi e capoccioni / e tu che sei / un po’ frì frì / e dimme un po’ che ciài da dì’. La scena sarebbe dovuta finire con il mio personaggio, che tirato fuori il tesserino della Polizia, faceva portare via l’uomo. Ma quella sera improvvisai. Dissi al musico di continuare e proseguii a cantare: ‘Non sono frocione / non mi chiamo frì frì / son commisserio / e ti faccio un culo così’. Risero tutti. Neri Parenti, il regista, non aveva dato lo stop. La tenemmo. Neri chiamava le mie trovate caccole, ma sapeva che almeno 7 su 10 erano caccole utili» (a Pagani e Corallo) • «Ma come è nato davvero L’allenatore nel pallone? “Su un aereo Roma-Milano. Sedevo di fianco al grande Nils Liedholm: lui sapeva che ero romanista sfegatato e parlavamo spesso di calcio. Mi disse con quel suo accento tipo don Lurio: ‘Hai mai pensato di fare un film su un allenatore di calcio?’. E io dissi: ‘No. Sono pure grasso. Come faccio?’. E lui: ‘Tu assomigli a un vero allenatore, Oronzo Pugliese, molto buffo’”. Un’occasione ghiotta “Sì. Proposi il film al regista Sergio Martino e cominciammo. Ma posi una condizione. Nome Oronzo, cognome Canà. Perché così mia moglie Mara sarebbe diventata Mara-Canà e noi potevamo andare in Brasile a girare il film. Se no quando mai l’avrei visto lo stadio Maracanà a Rio de Janeiro, io?”» (Maria Volpe, Corriere della Sera, 23/5/2020).
Figli Rossana (1963) e Walter (1968). Lei per un po’ ha fatto l’attrice, ora lavora nella orecchietteria di famiglia nel quartiere Prati, a Roma
Nipoti «Ma nella realtà, che tipo di nonno è stato Lino Banfi? “Molto complice”» • Ha un nipote che studia fisica nucleare in Olanda. «I master universitari costano un botto, e pago io. Ne sono felice, ma mi consenta una battuta: i giovani fanno i master e noi vecchi ci facciamo il mazzer!».
Moglie Come le aveva promesso nel 1962, Lino e Lucia Banfi hanno replicato le nozze in occasione del loro cinquantesimo. Cerimonia nella cappella di Sant’Andrea Corsini in Laterano. Ricevimento all’hotel Parco dei Principi a Roma. Tra gli antipasti, burrate e mozzarelle pugliesi. Torta nuziale di cinque piani ricoperta di cioccolato bianco e rose. 270 invitati • «Ho lavorato con le più belle attrici europee, ma non c’è stata mai nessun’altra donna nei miei pensieri».
Politica Ha votato il Movimento sociale, Craxi, Berlusconi. «Sempre l’uomo, non il partito» • Oggi non saprebbe chi scegliere. Gli piace Di Maio, ma non voterebbe mai i 5 Stelle. «Per carità, non diventerei mai uomo di sinistra, neanche se mi mettessero un coltello alla gola”» (Marocco).
Religione Un’immagine di Padre Pio sempre in tasca. «Recarmi mezza giornata dove lui è nato mi dà molta serenità. Figurarsi che da bambino quasi quasi ero un po’ seccato se papà voleva portarmi da Padre Pio» • A fine 2006 l’Osservatore Romano lo criticò per una fiction (Il padre delle spose) in cui interpretava un padre alle prese con una figlia lesbica (interpretata da sua figlia Rosanna). Sua replica: «Si tolgano la ruggine dalla saracinesca che hanno sugli occhi» • Il 1° ottobre 2013 è stato ricevuto per 35 minuti da Benedetto XVI nel monastero di clausura all’interno del Vaticano dove il Papa emerito si è ritirato. Dice che Ratzinger si è stupito del fatto che sia rimasto fedele alla moglie. «“È molto raro nel mondo dello spettacolo, la fa ridere vero signora?” “Ogni tanto è tristarello” “Davvero?” disse lui e io: “Solo quando sono incavolèto”» (Pagani).
Vizi «Mangio porcherie, cose che mi fanno male: a volte lo faccio perché non so che fare della rabbia. Prima di venire al mio compleanno, ho mangiato gorgonzola, mascarpone e bevuto champagne: una cosa da mille calorie a cucchiaino. L’ho fatto apposta per farmi del male» (a Pasqua).
Tifo «Io lo dico sempre: ho lavorato con tante donne meravigliose, ma le curve della Roma sono le più belle di tutte».
Curiosità Appartamento a Roma vicino a piazza Bologna • Berlusconi gli consigliò di farsi un trapianto di capelli, lui si è sempre rifiutato per paura di finire come Massimo Boldi, cui l’operazione era riuscita male • Ha un’azienda agricola (la Bontà Banfi), un’orecchietteria nel quartiere Prati, e una sua casa di produzione (la Alba Film 3000) • È ancora amico con Edwige Fenech • È ambasciatore Unicef e uno dei membri della commissione italiana dell’Unesco. «Non mi piace per niente questo titolo imbarazzente» • Federico Fellini gli chiese di poter leggere la sua autobiografia in anteprima • Sandro Pertini rise di gusto per la sua parodia pugliese di Pianto antico di Carducci • «Mi ricordo una sera a cena con Giulio Andreotti, che diceva alla moglie: “Hai due lauree e guardi queste stronzate” riferito a Nonno Libero. Poi ci cascò anche lui» (Marocco) • Luigi Di Maio gli portò dei fiori per il suo compleanno • «Aspetto la beatificazione. Il mio vecchio Vescovo di Andria sta per essere santificato, gli amici cardinali li ho, ho detto ai miei figli di preparare le carte» (Pagani) • «Ogni tanto penso al fatto che se avessi avuto mezzo euro per ogni copia dei dvd dei miei film sarei ricco. Non è successo perché i contratti dell’epoca prevedevano la cessione assoluta dei diritti di sfruttamento al produttore e purtroppo non eravamo pagatissimi, ma soltanto pagatini. Mi ero illuso che di tanti passaggi un giorno sarebbero arrivati i soldi, ma purtroppo non è arrivato un chezzo» • Ha comprato un coccodrillo di plastica per scherzare con i giornalisti che vogliono intervistarlo • Dei suoi fratelli uno ha fatto l’assicuratore, l’altro il secondino • Oggi sua moglie ha l’Alzheimer. «Il professore che l’ha in cura mi ha consigliato di non partire per più di una settimana. Mi ha detto che dopo un lungo periodo di lontananza avrebbe potuto non riconoscermi. Ho pianto, ma non ce l’ho fatta a lasciarla» • «A volte è lei che me lo chiede: “E se un giorno non ti riconoscerò più?”. Allora io scherzosamente rispondo: “Ci presenteremo di nuovo, ti bacerò la mano o forse ti darò un bacetto come si usa oggi anche tra estranei. Certo non sarò più bello come la prima volta che mi hai visto”» • «Chi è stato Pasquale Zagaria in arte Lino Banfi? “Un gentiluomo che non ha avuto invidie e ha creduto tanto nel suo mestiere nei momenti felici e in quelli bui. A Canosa, dove da ragazzo andavo sul palco nelle pause della compagnia di varietà, per un breve istante, dopo un’esibizione modesta, accarezzai l’idea del suicidio con le corde di scena del retropalco. Mio fratello non mi vide rientrare in platea e mi venne a cercare: ‘Dove sta Pasquèle?’ Mi trovò a osservare i fili: ‘Che stai facendo?’, ‘Niente, niente. Era un brutto pensiero’. Ma fu l’unica volta”» (Pagani).
Titoli di coda «Far ridere costa fatica. “Proprio oggi con mia moglie eravamo nel parcheggio di un ospedale romano. Lei stava per inciampare e io l’ho sorretta. Un tizio, riconoscendomi, mi ha gridato: ‘A Lino, ce devi far ridere!’ Pesa questa cosa a volte, sa?” Ce devi far ridere, Lino. “Avrei voluto fare un’ultima serie di “Nonno Libero”, ma in Rai sono stati di diverso avviso. Mi accorgo infatti che sono sempre di più quelli che mi dicono ‘grazie per averci fatto ridere’, traducendolo al passato. La vita è questa, buonasera”» (Caporale).