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 2020  luglio 06 Lunedì calendario

Biografia di Tom Stoppard


Tom Stoppard, nato a Zlín, in Moravia, il 3 luglio 1937 (83 anni). Drammaturgo. Sceneggiatore. Regista. Uno dei più grandi autori di teatro britannici • «Un uomo che vanta un posto particolare a Londra, non solo per il titolo di cavaliere del Regno Unito che da tempo lo accompagna» (dal sito Londrawe.com) • «È un funambolo del linguaggio. Lui, cecoslovacco di nascita, ha conquistato la lingua inglese come Conrad e come Nabokov, spingendola con enorme talento sul versante capriccioso dei giochi di parole, dei doppi sensi, delle libere associazioni» (Osvaldo Guerrieri, La Stampa, 24/4/1997) • Quattro premi Tony, un premio Oscar, un Golden Globe, un Leone d’Oro • Membro della Royal Society of Literature, rango che fu anche, tra gli altri, di George Bernard Shaw, Doris Lessing e Samuel Taylor Coleridge • «Ha passato il segno del successo per entrare nel dibattito sull’evoluzione del teatro, su un nuovo modo di scrivere e persino sulla funzione sociale dello scrittore» (Furio Colombo, La Stampa, 15/2/1984) • Si affermò non ancora trentenne con la commedia Rosencrantz e Guildenstern sono morti (1966), ideale continuazione di un episodio marginale dell’Amleto di Shakespeare, da cui lui stesso trasse un film per il cinema nel 1990 • Tra le sue opere: I mostri sacri (1974), Ogni bravo ragazzo merita un favore (1977), The Real Thing (1982), Arcadia (1993), L’invenzione dell’amore (1997), la trilogia La sponda dell’Utopia (2002), Rock ‘n’ roll (2006), Leopoldstatd (2020) • «Per tre quarti della sua carriera, Stoppard ha anche prosperato come sceneggiatore, da quando il suo adattamento del romanzo The Romantic Englishwoman di Thomas Wiseman per il regista Joseph Losey è uscito nelle sale nel 1975. Da quel momento in poi ha adattato per il grande schermo le opere di scrittori formidabili, fra cui Tolstoj, Nabokov, Graham Greene, Ford Madox Ford, John le Carré, E.L. Doctorow e J.G. Ballard. Ma ha anche passato buona parte della sua carriera di sceneggiatore nell’ombra, facendo la revisione di stesure già esistenti o risolvendo problemi strutturali. Gran parte di questo tipo di lavoro non porta la sua firma; il contributo di Stoppard aleggia come uno spettro su alcune sceneggiature per le quali altri sceneggiatori hanno ricevuto un riconoscimento pubblico» (David Gritten, Written By, ripubblicata dal sito Writers guild Italia il 24/12/2014) • Sicché c’è il suo zampino dietro i dialoghi di film quali: Despair (Rainer Werner Fassbinder, 1978), Il fattore umano (Otto Preminger, 1979), Brazil (Terry Gilliam, 1985), L’impero del solo (Steven Spielberg, 1987), Indiana Jones e l’ultima crociata (Steven Spielberg, 1989), La casa Russia (Fred Schepisi, 1990), Shakespeare in Love (John Madden, 1998), La bussola d’oro (Chris Weitz, 2007), Anna Karenina (Joe Wright, 2012) • Ha detto: «Io credo che il teatro abbia il potere di trascendere la finzione e di rivolgersi al pubblico andando veramente in profondità. E probabilmente è questo il motivo per cui è sopravvissuto nel corso dei secoli, superando anche l’ostacolo del cinema, che può fare molto ma non potrà mai sostituirsi completamente al teatro perché il teatro “fa cose” che il cinema non può fare».
Titoli di testa «Pareva uscito, alto e dinoccolato com’è, con capelli abbondanti ma non troppo e la giacca invece assai attillata, da un’immagine rotocalco della swinging London» (Corriere della Sera, 2/1968).
Vita Figlio di Eugen e Martha Straussler, ebrei cecoslovacchi. Il padre è un medico, lavora per la Bata, fabbrica di scarpe della loro città • Quando nel Paese arrivano i nazisti, Jan Antonin Bata, il padrone della fabbrica, decide di trasferire tutti i suoi dipendenti ebrei nei suoi stabilimenti fuori dall’Europa. Alla famiglia Straussler tocca Singapore • «La Storia è stata per la sua famiglia “un bagaglio che non intendevamo portarci appresso quando abbiamo cominciato la nostra nuova vita”. E cioè dopo che lui, suo fratello, sua madre e suo padre […] scapparono dalla Cecoslovacchia nel ‘39 per raggiungere Singapore, dove la guerra li separò, e la madre fu imbarcata per l’India con i bambini, mentre il padre morì cercando di raggiungerli. Poi lei si risposò con un ufficiale dell’esercito britannico in India, xenofobo e antisemita quanto basta da scoraggiare qualunque riferimento alle loro origini. Tanto che Stoppard confessa: “Ho scoperto di essere ebreo soltanto a cinquant’anni, quando ho chiesto a una cugina ‘Quanto siamo ebrei, noi?’. E lei stupita mi ha risposto: ‘Ma noi siamo ebrei’. E poi ha scritto su un pezzo di carta i nomi dei miei parenti morti ad Auschwitz. Ma è una scoperta che non mi ha cambiato”. Quanto all’Inghilterra, dove arrivò col cognome del patrigno a nove anni, dice di avere indossato la sua cultura “come un cappotto che mi stava a pennello”» (Manera) • «Non so perché né mi interessa particolarmente saperlo, in realtà, ma afferrai l’Inghilterra e l’Inghilterra afferrò me. Bastarono pochi minuti, almeno cosi mi sembrò, per farmi passare la sensazione di essere in una terra straniera. E da allora il mio amore per il paesaggio inglese, l’architettura inglese, il carattere inglese, non ha fatto che crescere. Non appena sbarcai in Inghilterra seppi di aver trovato una patria. E ne abbracciai lingua e letteratura» • «La prima volta che ho incontrato Harold Pinter studiavo giornalismo a Bristol, lui era venuto a vedere una recita degli studenti. A un certo punto mi accorsi che era seduto proprio davanti a me. Ero tremendamente intimidito. Passai ore a chiedermi come attaccare discorso. Alla fine, trovai il coraggio per dargli un colpetto sulla spalla e dire: “Ma lei è Harold Pinter o è solo uno che gli somiglia?” Lui rispose: “Cosa?” Tutto finì lì» • A vent’anni Stoppard fa il giornalista. Tra il 1954 e il 1958 lavora per il Western Daily Press. Poi diventa critico teatrale per il Scene, un noto periodico londinese. «Feci anche un colloquio con Charles Wintour, direttore dell’Evening Standard. A un certo punto mi chiese se ero interessato alla politica, io, pensando che ogni giornalista dovrebbe essere interessato alla politica, gli dissi di sì. Lui allora mi chiese: “Chi è il ministro dell’Interno?” Ovviamente, io non avevo idea di chi fosse il ministro dell’Interno, e, ad ogni modo, trovo fosse una domanda scorretta. Avevo detto che ero interessato alla politica, non che era la mia ossessione» • «Il giornalismo mi ha divertito, mi è stato utile, se non altro nel farmi esercitare a scrivere e a consegnare in un certo tempo. Il teatro è stato un modo di scappar via dal giornalismo, come uno che scende da un autobus e ne prende un altro» (a Rita Cirio, L’Espresso, 14/10/1999) • «Come è diventato un drammaturgo? “Ho scritto una commedia nel 1960 e poi alcuni brevi radiodrammi. Negli Anni 50 e 60 tutti quelli che volevano fare gli scrittori si orientavano verso il teatro. A quel tempo il teatro era oggetto di grande interesse. Ho scritto Rosencrantz e Guildenstern tra il 1964 e il ‘66 ed è stato messo in scena nel ‘66 dagli studenti”» (Alain Elkann, La Stampa, 25/1/2015) • «Al lettore che non abbia presente l’Amleto di Shakespeare in tutti i suoi  particolari, rammenteremo che Rosencrantz e Guildenstern sono i due cortigiani che Claudio — l’usurpatore del trono di Danimarca —  dapprima incarica di indagare i motivi del cangiato umore del principe ereditario, e poi, dopo l’uccisione di Polonio, d’accompagnarlo nell’esilio inglese con una lettera che segna la sua condanna a morte. Ma durante il viaggio, Amleto, approfittando del loro sonno, cambia la lettera con un’altra nella quale si prega il re d’Inghilterra di sopprimere i suoi latori. “E così” esclama Orazio al quale Amleto, tornato sano e salvo in Danimarca, ha rivelato la crudele beffa, “Rosencrantz e Guildenstern vanno al macello!”. Al che il principe risponde: “Ti dirò, amico, facevano già da tempo all’amore con quella sorta di impiego. Non sono davvero sulla mia coscienza. Il loro massacro procede dall’essersi essi medesimi introdotti nella partita. È sempre pericoloso per la gente volgare mettersi in una posizione dove possa toccare i colpi e le punte infiammate di due potenti avversari”. Benché anche Shakespeare, come tutti i grandi tragediografi, parta dalla aristocratica presunzione che le sofferenze dei servi siano, in fin dei conti, nient’altro che comiche, pure una scintilla della folgore che nel finale di Amleto si abbatte sui colpevoli e sullo stesso vendicatore illumina d’arte, nel momento stesso in cui li incenerisce, anche i poveri Rosencrantz e Guildenstern, e ne fa il simbolo della dolorosa condizione di noi tutti […] Ed ecco il giovane  scrittore inglese Tom Stoppard, colpito dall’attualità dei due personaggi, portarli in primo piano in uno spettacolo che ben può dirsi l’Amleto rovesciato perché, mentre i protagonisti vi fan da comparse, i due oscuri cortigiani sono in scena dal primo all’ultimo momento dei tre lunghi atti imbottiti di un dialogo tanto vivo e serrato quanto spesso difficile ed astruso ma sempre intelligente e stimolante» (Mosca, Corriere d’Informazione, 7/2/1968) • «Così partendo dalla frase di Shakespeare: “Rosencrantz e Guildenstern sono morti” che già poco aveva detto di questi due personaggi minori assurti nel dramma postmoderno al ruolo di protagonisti, Stoppard si ferma per aggiungere ben poco alla consistenza di questi due effimeri personaggi. Rosencrantz e Guildenstern confondono la loro stessa identità perfino tra loro e poco dicono, sanno o ricordano della loro vita presente e passata […] Rosencrantz e Guildenstern sono morti perché non sono mai nati del tutto. Perché vivono solo in un dramma dell’assurdo. E risultano solo abbozzi, scarabocchi umani che si muovono sul palcoscenico» (Corinzia Monforte, Supereva, 9/3/2010) • «Già da questa prima opera si evincono le caratteristiche tipiche e comuni a tutto il corpus drammaturgico di S., costituito da opere nelle quali non sono inserite tematiche particolari, non vibrano messaggi esistenziali o tesi da difendere […] Si tratta più che altro di divertissements tra il pastiche e il collage, di giochi scenici intellettualmente brillanti e spregiudicati, scenicamente ingegnosi, ma − a giudizio di non pochi critici − spesso fumosi e superficiali. Il materiale drammatico scaturisce da situazioni eterogenee e viene di volta in volta modellato e rifuso sino a ricreare sofisticate maschere e rappresentazioni del reale inserite in un fantasmagorico, quasi sempre godibilissimo mélange in cui trovano posto citazioni erudite e slogan pubblicitari, farsa, parodia e fantascienza, politica e religione, Shakespeare e luoghi comuni, effetti stranianti e fantasiosi. Il linguaggio funambolico e persino deflagratorio, con le sue esasperate variazioni stilistiche e l’uso ora spregiudicato ora controllatissimo di una vastissima gamma di stili con cui l’autore è solito giocare, rendono le opere uniche nel loro genere e fra le più interessanti del teatro britannico del secondo Novecento» (Treccani) • Lui commenta: «Invento le commedie man mano che vado avanti, il lavoro non consiste nel mettere per iscritto quello che già conosci, ma nello scoprire quello che non sai» (Cirio).
Cinema «Lei ha vinto un Oscar per la sceneggiatura di Shakespeare in Love e ha scritto altri film come Brazil e L’impero del Sole e di recente Anna Karenina: sceneggiare film è parte del suo mestiere? “Non è il mio vero lavoro” Ma a lei piace o lo fa per soldi? “È bello adattare qualcosa: qualcuno prima di te ha fatto la parte più difficile”» (Elkann) • Nel 1990 a Venezia, nel ricevere il Leone d’Oro per l’adattamento cinematografico di Rosencrantz e Guildenstern sono morti, fu fischiato. «Il popolo del cinema si è ribellato, all’annuncio meridiano dei premi in sala Perla, e ha minimizzato, schiacciato, polverizzato il Leone d’oro alla parafrasi dell’Amleto”» (Tullio Kezich, Corriere della Sera, 16/9/1990).
Matrimoni Tre. Il primo, con tale Jose Ingle, infermiera, dal 1965 al 1972. Il secondo con Miriam Hogg, medico, dal 1972 al 1992, finito perché lui la tradì con l’attrice Felicity Kendal. Il terzo, dal 2014, con tale Sabrina Guinness, irlandese, un lavoro in televisione, una storia con il principe Carlo alle spalle.
Figli Quattro. Oliver (n. 1969) e Barnaby (n. 1971), dalla Ingle. William (n. 1973) e Edmund (n.1974), dalla Hogg.
Politica Negli anni Ottanta votava per Margaret Thatcher. Oggi è restio a dire la sua. «Sono molto sospettoso degli scrittori che pontificano e si pongono come guide morali».
Vizi Per anni accendeva la sigaretta col mozzicone della precedente.
Curiosità È alto 1 metro e 86 • Vive nella città di Blandfort, nel Dorset, ma ha un pied-à-terre a Notting Hill • Membro dell’Ordine dell’Impero britannico • Quando scoprì che tutti e quattro i suoi nonni erano morti nel campo di concentramento di Teresienstadt, si appassionò alle proprie radici ebraiche. Al patrigno scocciò che il cognome Stoppard potesse venire associato con una famiglia ebrea • Fu grande amico dello storico delle idee Isaiah Berlin • Colleziona le prime edizioni dei libri di Evelyn Waugh, Charles Dickens e Ernest Hemingway • Non gli piacerebbe fare l’attore. «Ci si espone troppo, se si recita, mentre scrivere per il teatro, è, sì, un esporsi, ma molto più sottile e motivato» • Ha lottato tutta la vita contro la sua incapacità di organizzare il lavoro di scrittura. Agli inizi degli anni Ottanta, in un periodo peraltro di grande creatività, arrivò a incatenarsi alla scrivania dalle 10 del mattino alle 5 del pomeriggio • «Quanto tempo impiega per scrivere una commedia? “Normalmente posso scrivere una prima stesura in tre o quattro mesi, ma dipende dai casi”. Come scrive? “Con una penna stilografica. Ne ho diverse, ma uso quella che ha la punta migliore. Mando via fax i fogli alla mia segretaria e lei dattiloscrive, poi faccio le correzioni sulla stampata”. Non ha mai avuto paura di perdere l’ispirazione? “No, non l’ho mai pensato. Mi piace scrivere. Gli scrittori nella nostra società sono sopravvalutati e presumo che ci sarà sempre qualcosa di nuovo che si desidera scrivere”» (Elkann) • «Io scrivo per i miei contemporanei e per i posteri, ma come diceva Lytton Strachey: “Cosa hanno fatto mai i posteri per me?”» • «Nel complesso penso solo di essere molto fortunato. Sono entrato nel mondo del teatro nel momento in cui si dava il benvenuto ai giovani scrittori e, in generale, penso di essere troppo fortunato per avere rimpianti. E nella vita, oddio, la vita di ognuno è una serie di accidenti del fato: uno magari fa anche qualche scelta folle, ma poi questa è pur sempre vita» (Cirio).
Titoli di coda «Se mi guardo indietro e ripenso ai miei spettacoli, mi accordo che le cose hanno funzionato meglio quando non sapevo dove mi avrebbero portato».