6 luglio 2020
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Biografia di Massimo Popolizio
Massimo Popolizio, nato a Genova il 4 luglio 1961 (59 anni). Attore. Doppiatore • «È alle soglie dei sessanta, ha cominciato con il teatro quando ne aveva venti. Agli esordi si barcamenava facendo il piazzista, fino all’incontro con Ronconi, che lo ha preso sotto l’ala facendolo diventare il suo attore prediletto, il prescelto. Con e per lui ha recitato in più di 30 spettacoli, alcuni così massacranti da farlo quasi svenire in scena. Dopo la morte del maestro, cinque anni fa [nel 2015, ndr], Popolizio ha imboccato anche la strada della regia, in punta di piedi, con immediato successo; anche se, quando glielo si fa notare, lui minimizza imbarazzato» (Michele Weiss, Il Sole 24 Ore, 24/5/2020) • Ha vinto quattro volte il premio Ubu per i suoi lavori a teatro: tre per la recitazione - nel 1995 per Re Lear e Verso Peer Gynt, nel 2001 per I due gemelli veneziani, nel 2015 per Lehman Trilogy - uno per la regia - nel 2017 per Ragazzi di vita • Al cinema, tra gli altri film, ha recitato in: Le affinità elettive (Paolo e Vittorio Taviani, 1996); Romanzo criminale (Michele Placido, 2005); Mio fratello è figlio unico (Daniele Luchetti, 2007); Il divo (Paolo Sorrentino, 2008); Il grande sogno (Michele Placido, 2009); La banda dei Babbi Natale (Paolo Genovese, 2010); Benvenuto Presidente! (Riccardo Milani, 2013); La grande bellezza (Paolo Sorrentino, 2013); Il giovane favoloso (Mario Martone, 2014); L’abbiamo fatta grossa (Carlo Verdone, 2016); Era d’estate (Fiorella Infascelli, 2016), Sono tornato (Luca Miniero, 2018); Il primo Natale (Ficarra e Picone, 2019) • Grande carriera anche come doppiatore: tra le altre cose, è stato l’io narrante in Sostiene Pereira, ha doppiato Kenneth Branagh in Hamlet, Bruce Willis in Armageddon, Tom Cruise in Eyes Wide Shut e Lionel Abelanski in Train de vie; sua è la voce italiana di Lord Voldemort nella saga di Harry Potter e quella di Scar nella versione 2019 de Il re Leone • «Schivo, determinato, professionale, passionale» (Silvana Mazzocchi, la Repubblica, 7/3/2020) • «Sorride con gli occhi scuri, smettendo le facce bugiarde dell’attore, quando ammette di non sentirsi mai soddisfatto» (Sabina Minardi, L’Espresso, 11/2/2020) • «Ha un’aria signorile, novecentesca, da intellettuale. Sembra piacevolmente fuori dal tempo» (Weiss) • «È un bel 58enne. “Migliorato invecchiando”» (Alessandro Ferrucci, Il Fatto Quotidiano, 14/4/2019) • Di sé dice: «Mi ritengo una specie di Wwf; sono fra quelli che hanno fatto quel teatro che ormai non si fa più».
Titoli di testa «La necessità di fare teatro è estremamente personale. Io ho iniziato perché volevo uscire di casa, eravamo tanti in famiglia, tutti in un’unica stanza e ho fatto tutto il teatro amatoriale che si poteva fare a Roma: per me recitare era una boccata di ossigeno» (a Michele Sciancalepore, Avvenire, 20/5/2020).
Vita Padre pugliese di Altamura, impiegato alla Mira Lanza. Madre ligure. «Sono nato a Genova per caso, ma ho sempre vissuto a Roma» • «Eravamo una famiglia molto normale, lavorava soltanto papà, dormivamo in tre in una stanza, coi miei fratelli, non vedevo l’ora di andarmene di casa. Io sono del ‘61, cresciuto in oratorio, un posto fantastico, dove si faceva il teatro per ragazzi, si suonava la chitarra…» (alla Minardi) • La sua parrocchia è gestita da padre Raffaele, francescano. «Uno che in Nigeria era stato in galera con Bokassa, uno con due palle che gli fumavano: si era indebitato a vita pur di costruire un campetto da calcio e un teatrino» • «“Nella mia zona, Monteverde (medio borghese), c’erano molti licei, e spesso dai Parioli (molto borghese) arrivavano i fascisti a bordo delle loro Vespe. Stavo lì. Una volta, e avevo 16 anni, mi incazzo per l’aggressione, decido di ribellarmi, quindi raccolgo da terra un sampietrino e mentre stavo per attaccare, arriva la polizia”. E lei? “Mi spavento, non sapevo come muovermi, si ferma un autobus e salgo”. Salvo. “Macché, ero talmente impreparato a certe situazioni, da non buttare la pietra, l’infilo nella tasca del montgomery, e vedo la polizia salire sul mio autobus; mi sono cagato sotto, avevo paura della violenza, e fino ai 17 anni ero piccoletto e magrissimo” Per questo non picchiava. “E guardavo con ammirazione chi andava in giro con la tonfa [manganello, ndr], per me erano dei miti di coraggio.” Altri miti di allora? “In realtà non sono mai stato fan di qualcuno o di qualcosa, però ho affrontato l’autostop per raggiungere Milano e assistere al concerto in memoria di Demetrio Stratos”» (Ferrucci) • «Papà per me avrebbe voluto un futuro in banca, la garanzia del posto fisso. Io studiavo ragioneria, ho preso il diploma con sessanta e lode, ma sapevo che in banca non ci sarei andato mai. A sedici anni è normale non avere le idee chiare, io però di una cosa ero certo: volevo “imitare”, imitare qualcuno che avesse un’altra vita…» (alla Mazzocchi) • «A diciassette anni ero già fuori di casa, studiavo e lavoravo, eravamo quattro figli... Ho fatto di tutto, il fattorino di profumeria, il venditore di pentole. Ma ero vivo, contento. E quegli anni Settanta, da tutti considerati tristi e cupi, per me furono allegri, esuberanti. Essere giovani era una sfida: qualsiasi cosa te la dovevi guadagnare, conquistare […] In quel periodo sono passato per tutti i teatrini romani: il Belli, l’Agorà, il Pirandello. Facevamo gli spettacoli la mattina, per le scuole. Era un modo per guadagnare, ma anche per conoscere, incontrare persone. Era il nostro modo di vivere già un’altra vita» (ibidem) • «Come hanno reagito i suoi al “voglio diventare attore”? “Frase secca: ‘Vuoi? Se guadagni abbastanza…’”» (Ferrucci) • Suo padre però lo avverte: «Bisogna distinguere il mestiere tra abusivi, improvvisati e degni interpreti» • Piano piano Massimo si fa le ossa. Incontra Anna Maria Guarnieri, Umberto Orsini, Corrado Pani, grandi attori di quegli anni. «Gabriele Lavia mi fece anche un provino... E tutti mi dicevano “fai l’Accademia, fai l’Accademia”, mi consigliavano di non disperdermi, di seguire una scuola per formarmi e io capii che, se volevo fare veramente teatro, l’Accademia d’arte drammatica sarebbe stato il punto di partenza giusto» • Lo prendono al secondo tentativo • «“La prima recensione l’ho ricevuta su Repubblica a 19 anni, con Babà al Rum, atti unici radiofonici di Pinter in una cantina di via Cavour, assieme a Stefano Antonucci. Mi buttavo a far teatro anche al Don Orione, al Delle Muse, all’Agorà e in altre sale parrocchiali, con lavori per le scuole o con spettacoli comici pseudo-shakespeariani di culto. A quell’età m’ero già reso indipendente dai miei […] Dividevo stanze qua e là a Roma con amici, bloccando con una pellicola il contatore dell’Acea, non pagando mai il biglietto sull’autobus, andando in giro per tre anni col foglio rosa. Fu in sella alla mia Honda 350 Four che sulla Nomentana mi vidi superato da una moto Bmw su cui c’era, dietro, coi capelli sconvolti all’aria, Luca Ronconi, insegnante d’un altro anno di corso dell’Accademia […]”. Per mantenerti economicamente, come te la cavavi? “[…] Andavamo per le case con due valigie Samson piene di pentole dietetiche, dando dimostrazioni alle signore. E rastrellavamo soldi col teatro ragazzi. Per gli affitti, le vacanze, la chitarra, il registratore. L’Accademia m’ha cambiato la vita. Ronconi venne a vedere il saggio della mia classe, dove c’erano Luca Zingaretti, Maria Paiato e Danilo Nigrelli. A me, a Luca e a qualche altro propose di entrare nella sua Santa Giovanna di Shaw con Adriana Asti”» (Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica, 14/10/2019) • «Eravamo tutti studenti, una ventina di scapestrati al minimo di paga… Io viaggiavo con Luca Zingaretti, mio compagno di corso; lui aveva una Mercedes anni Cinquanta, un po’ da boss mafioso. E, ovunque andassimo, ci fermavano e ci chiedevano i documenti. La tournée ci valse il terzo anno, mi diplomai nel 1984» (alla Mazzocchi) • Massimo diventa il pupillo di Ronconi. «Con lui il rapporto era do ut des, ti dovevi sempre guadagnare tutto» • «A ventisei anni ero già a Siracusa, con Aiace e le tragedie greche. Allora, diversamente da quanto accade oggi, si recitava senza microfoni. Avevi di fronte sette, ottomila persone e ti dovevi far sentire… e allora giù iniezioni di cortisone ogni due giorni, per mantenere la voce. La mia è una voce costruita con lo sforzo» (ibidem) • «“Da un certo punto in poi non ho vissuto una vera giovinezza: in 25-30 anni ho partecipato a più di 30 spettacoli di Ronconi, e altrettanti senza di lui; lì ho capito che il teatro è come il passino del pomodoro, tutti ci si buttano, ma avanzano in pochi […] Ronconi diceva sempre: ‘L’attore non è un mestiere da calcolare in uno, due o tre anni, ma sui venti. Sono pochi quelli che resistono nel tempo: del mio corso in Accademia siamo rimasti in tre, mentre all’inizio eravamo in 28”. A cosa ha rinunciato? “Non lo so, forse ai figli; o forse il teatro è stato un alibi per non averne, mascherato dalle solite frasi ‘Sai, sono stanco’; ‘Lo stipendio non è fisso”; ‘Chissà che devo fare’; ‘Sono in tournée’”. Bell’alibi. “Perfetto. E il teatro è in assoluto un alibi: la tournée è una fuga dalla vita, come il set, sei in un’altra dimensione per dodici ore, quindi la realtà diventa quella, ed è sempre una dimensione migliore delle difficoltà quotidiane”» (Ferrucci) • «Alle Olimpiadi di Torino del 2006 ero impegnato con Atti di guerra, spettacolo di nove ore, diviso in tre giorni. Prove lunghissime. Sono svenuto alla fine della rappresentazione, e ricoverato, ero dimagrito undici chili» (Ferrucci).
Vita privata Sposato con Gaia Aprea, di undici anni più giovane, anche lei attrice di teatro. Due case: una in centro a Roma, una in campagna vicino a Todi.
Politica «Fare teatro è un atto politico» • «Sì, sono stato un uomo di sinistra, anche se non ho mai avuto tessere di nessun tipo. E lo sono ancora, per quello che può voler dire oggi essere di sinistra. Cosa vuol dire? Avere degli obblighi verso gli altri, per questo è faticoso. Una persona di sinistra non si preoccupa solo della propria vita, ma punta a migliorare quella degli altri. E non ci si può più nascondere, bisogna agire: perché ormai lo sappiamo che c’è gente che muore di fame, che il pianeta brucia» • «Quando interpretavo Mussolini, spesso mi sentivo dire “ci vorrebbe uno come lei”, cioè non come me attore, ma proprio uno come Mussolini».
Curiosità È alto 1 metro e 82 • Colleziona conchiglie (ne ha cinquemila). «Sono un accumulatore seriale di sassi, fossili, scheletrini, che raccolgo in una Wunderkammer settecentesca piena di stranezze trovate in giro, come nidi di uccello caduti o gusci di tartaruga» (a Weiss) • Insegna ai ragazzi della scuola di teatro del Piccolo di Milano. «Credono di essere unici, si ritengono la manifestazione più importante del mondo. Non è così. Bisogna rubare dagli altri e metabolizzare, avere la coscienza che il nostro è un mestiere orale, tramandato con il racconto» • Dice loro che per un attore la cosa più importante non è provare grandi emozioni, ma imparare a governarle: «Avere dentro un mondo da esprimere, non vi rende automaticamente attori. Anche mia sorella ha tanto da raccontare, ma è architetto» • Soffre di panico da palcoscenico. «Essere organizzato è il mio modo di tenere a bada l’ansia: scrivo appunti, stilo liste» • Ha sofferto anche di depressione • «La riconoscono per strada? “Quasi mai. Ogni tanto sul taxi a Roma mi chiamano ‘Terribile’, si ricordano la mia breve parte nel Romanzo criminale di Placido; io non sono Giallini, Accorsi, Favino o Germano, e neanche come le ultime leve di attori; poi non vado in televisione, però ho capito che l’affetto del pubblico accresce molto l’autostima”. L’ego dà energia. “Ci sono colleghi che mi domandano: ‘Ma tu puoi ancora fare la spesa? Io no…’”» (Ferrucci) • «Mi piacerebbe molto lavorare con Paolo Virzì, magari mi chiamasse…» • Gli piacciono i libri. «Adesso ho tra le mani I Racconti di Kafka e quelli di Edgar Allan Poe tradotti da Giorgio Manganelli. Purtroppo il tempo è sempre meno, non riesco a leggere quanto vorrei» • Gli piacciono anche i viaggi in treno. «Mi consentono di pensare e di leggere. Ma detesto quelli che parlano a voce alta al telefonino: allora intervengo, gli urlo di smettere» • «Odio, ormai, viaggiare. Odio le file, gli aeroporti, le folle» • Odia lo streaming • Odia pure i social network. «Non sono su Facebook, un’amica mi gestisce Instagram. Temo un po’ i social, perché mi arrabbio facilmente» • «Poi ho i miei bagni di salute. L’altra sera, uscito dal teatro, sono tornato a casa e ho visto quattro film di Federico Fellini, uno di seguito all’altro. Fino alle 6 del mattino: davvero, è stato come andare in una Spa» • «Ma no, non sono un misantropo, anche se alcuni dicono che somiglio a un orso: ho tanti amici, molte persone che mi vogliono bene. Sono un fatalista. Credo nella sorte» • «Come tutti quelli che, avendo faticato molto, e coltivato un sogno con tenacia e sacrifici, dicono grazie alla vita, che è una cosa seria. “Oggi sono molto contento. Ma non riesco a godermi l’attimo, ho sempre paura che le cose belle finiscano, ho quasi voglia che arrivi presto l’ora del rimpianto, per dire ‘come stavo bene, allora’, e finalmente essere certo che siano accadute veramente”» (Minardi).
Titoli di coda «Ho rivisto da poco una cassetta con il nostro Peer Gynt con cui ho girato l’Europa: gran forza, devo ammetterlo. Ma quello che più mi ha lusingato è aver dato la mia voce nel doppiaggio dell’Amleto integrale girato da Kenneth Branagh. Mi sembra di esser entrato nella storia. Almeno un po’».